Emiliana De Vico
La dama e il leopardo
La dama e il leopardo © 2017 Emiliana De Vico Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. Harmony è un marchio registrato di proprietà HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved. © 2017 HarperCollins Italia S.p.A., Milano Prima edizione digitale eLit Historical marzo 2017 Seconda edizione eLit Harmony novembre 2017 Questo volume è stato stampato nell'ottobre 2017 da CPI, Barcelona ELIT HARMONY ISSN 2532 - 8204 Periodico mensile n. 002 del 18/11/2017 Direttore responsabile: Chiara Scaglioni Registrazione Tribunale di Milano n. 244 del 26/07/2017 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - Via Mondadori, 1 - 20090 Segrate (MI) Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 045.8884400 HarperCollins Italia S.p.A. Viale Monte Nero 84 - 20135 Milano
Prologo Castello Piccolomini – Celano, 1467 «C'erano altre talpe, quest'oggi? Le hai viste? Ne hai presa qualcuna?» Nicoletta assorbì l'odore che Rosella aveva dopo aver lavorato al suo erbario: era un profumo di terra grassa e di bagnato, di fiori e di erbe marce. Non riusciva a capire se le piacesse o no, ma lo inspirava sentendolo parte integrante della sua esistenza. «Una sola nuova galleria, che ho tappato con delle pietre. Speriamo che non mangino più la mia preziosa malva. E per fortuna non ho avuto il privilegio di guardarle da vicino, hanno davvero un brutto muso.» Nicoletta le si sedette a fianco con in mano la pezza di lino che usava per imparare a ricamare, ma su cui aveva lasciato solo punti grossolani. «Mi regaleresti una talpa, se mai dovessi riuscire a prenderla? Ti prometto che la terrò nascosta.» «Cosa se ne fa una dama di una talpa?» Nicoletta si strinse nelle spalle. Era di ossatura delicata e l'abito le scendeva troppo lar5
go. «Mi piacerebbe almeno vedere come sono fatte.» Rosella guardò in alto, come se un aiuto divino potesse salvarla. «Si dice che il re sia l'uomo più curioso del regno, ma voi, Nicoletta, lo battete di certo.» Poi un sospiro profondo, e la tranquillità tornò sul suo viso. «Spero solo che quelle bestiacce vadano a mangiare in qualche altro orto. Sapete una cosa? Oggi è il primo venerdì di luna crescente. È un giorno buono per creare il vostro sacchetto portafortuna, piccolina. Avete già dieci anni e la capacità di conservarlo a dovere» le confessò la donna abbassando un po' la voce, come se le rivelasse un segreto. Nicoletta si avvicinò ancora di più alla balia e la fragranza che lascia il vento sui vestiti le rimase nelle narici. «Esaudirà tutti i miei desideri?» le chiese mentre il luccichio dei suoi preziosi occhi verdi si faceva speranzoso. «No, temo di no.» «Farà morire di crepacuore i nemici dei Piccolomini Todeschini?» «Non penso neanche questo.» «Mi renderà bella?» «Lo siete già.» Il broncio fu inevitabile, anche se Nicoletta sapeva che le dame non ne facevano mai. «Allora a cosa serve un sacchetto portafortuna?» Rosella si abbassò quasi a sfiorarle l'orecchio. «Serve a ottenere protezione, a propiziare la fortuna e a rinforzare le difese.» Nicoletta si trovò a socchiudere le palpebre e a riflettere su parole che non avevano senso 6
per lei, mentre le mani di Rosella rovistavano in una cesta e tiravano fuori un pezzo di flanella color del grano. «È quello?» I piedi nelle pianelle si mossero inquieti. Le donne riunite nella stanza della Contessa Maria D'Aragona erano intente a cucire, ricamare e spettegolare sulla corte napoletana e Nicoletta si nutriva di storie e immagini che le si formavano in testa. Ma, quel giorno, con occhi curiosi seguì le dita dalle unghie ancora sporche di terra che piegavano e cucivano il suo sacchetto, invece che guardare i vestiti e le acconciature delle dame presenti. «Mi piacerebbe averlo di colore rosso.» «Non si addice a voi, Nicoletta. Il giallo è la sfumatura del sole, dell'oro e delle stelle. Simboleggia la luce spirituale, il successo e la fortuna.» «Sì, ma rosso si vedrebbe di più sui miei vestiti.» «Non deve vedersi, ma stare a contatto con il corpo. Lo porterete al collo o attaccato alla vita.» «Dovremo metterci delle cose dentro?» «Certo, ma lo faremo con calma. Tu cosa vorresti riporvi?» Nicoletta si guardò attorno. Non aveva che il lino stropicciato in mano. «Ci metterei un pezzo di stoffa verde, quello del vestito che la contessa mi ha fatto cucire. Con quell'abito farei scalpore alla corte napoletana. E un anello del cerchietto per i capelli che mio padre ha commissionato per me. Dice sempre che le dame al seguito del re resterebbero abbagliate da un gioiello del genere. Magari una conchiglia del 7
mare di Napoli. O un ciottolo del Maschio Angioino. E un capello di una dama di corte.» I suoi pensieri erano pieni del luccichio della reggia di cui suo padre parlava spesso e, ancor più, delle lodi che Maria D'Aragona, madre acquisita, tesseva delle feste e delle cerimonie consumate all'ombra di Castel Nuovo. Poi, pensandoci su, chiese: «Secondo te, che cosa dovrei metterci per far avverare il mio sogno?». «Qual è?» «Entrare a far parte del seguito del re.» Rosella la guardò a lungo. «Tua madre lo sa?» Entrambe fissarono Maria D'Aragona in mezzo alle sue dame, che faceva finta di ricamare mentre teneva banco con le sue storie. «Oh, sì, le ho chiesto di insegnarmi come deve comportarsi una dama. Se mi consentisse di partire e restare sotto la protezione di qualche sua conoscente, potrei imparare più in fretta.» «E cosa ti ha risposto?» «Che una Piccolomini Todeschini sa per istinto come comportarsi: schiena dritta e sorriso sulla bocca.» Era già quello il suo portamento, forse connaturato al carattere fiero. «Andreste così lontano da Celano? Via da tutti noi?» «Oh, sì, andrei anche in Spagna, se il re me lo chiedesse.» Il cipiglio dei Piccolomini Todeschini si attenuò sul viso della bimba, mentre rifletteva. «Rosella, hai qualcosa da poter mettere nel mio sacchetto magico?» La balia aprì un canovaccio pieno di foglie 8
verdi e secche, qualche radice e fili d'erba che, in tutta probabilità, aveva raccolto quel mattino. Lo stese per bene sul tavolo e poi fece a Nicoletta un gesto con la mano. «Scegli.» Lei scansò le erbe secche e si concentrò su quelle ancora fresche. Tra due foglie fuoriuscì una membrana lucida, quasi di seta impalpabile. «Ecco, metterò questa» dichiarò con sicurezza. «Un'ala di farfalla. Chissà com'è finita tra le mie erbe...» «Anche l'ala di una farfalla è magica? Cosa indica?» Rosella ci pensò a lungo, guardando le macchie di polvere colorata sui polpastrelli di Nicoletta. «Cambiamenti. Drastici cambiamenti, bambina.»
9
1 1474 Calendula colta a mezzogiorno: protezione, sogni profetici, questioni legali, poteri della mente Il salone centrale era la sua meta. Sarebbe fuggita se avesse potuto, ma non aveva scelta. Le scarpe di nappa sfioravano i gradini di quella pietra conosciuta e amata mentre lei avanzava, senza poter cambiare il corso della sua vita. Poi, all'improvviso, Nicoletta si fermò: il panno compatto dell'abito si allargò a corolla e le ricadde sulle gambe. Prese un profondo respiro e raddrizzò la schiena. Purtroppo, urlare come una pazza non era un gesto contemplato nel cerimoniere cortese. È solo un banchetto, perdinci! Sì, però... «Tutto bene, Nicoletta?» Rosella aveva il dono di essere sempre dove non doveva, e di coglierla nei momenti meno adatti. «Sì, certo. Ho solo bisogno di ricompormi un attimo. Sei alquanto impicciona, lo sai? Questo banchetto non è nulla rispetto a quelli organizzati alla corte di re Ferrante. Immagino che 10
lì vi siano più di cento invitati per sera, invece da noi...» «La vostra mania di paragonare tutto alla corte del bastardo non vi fa bene. Ci siete stata una sola volta e non è detto che ci tornerete.» «Sembra quasi che ti dispiaccia un'eventualità del genere. Mio padre mi ha promesso che farà il possibile.» Ma il possibile sembrava non arrivare mai, soprattutto da quando la sua adorata madre Maria d'Aragona era morta e al suo posto era arrivata un'altra donna, dal nome simile ma dal carattere molto diverso: Maria Marzano d'Aragona. Nicoletta si sistemò una manica che le sfiorava l'orlo della gonna. «Il posto di una Piccolomini non è nei saloni di second'ordine, ma al cospetto del re.» Gli occhi di Rosella la fissarono a lungo. «Il posto di una Piccolomini...» non terminò la frase, né trattenne il sospiro tra le labbra strette. «Andate, siete già in ritardo.» Poi un nuovo sospiro. «Aspettate, mettete questo nel sacchetto che vi ho dato.» Le allungò una foglia avvizzita. «Sembra che i tuoi talismani non abbiano alcuna forza. Cos'è, questa volta?» chiese Nicoletta, ma allo stesso tempo allungò una mano e fece scivolare l'oggetto nel sacchetto riposto tra le pieghe della veste. «Ne hanno, credetemi. È calendula, vi darà un buon profumo» le rispose con semplicità. Gli occhi di Nicoletta persero l'indecisione e la curiosità prese il sopravvento. «Tu e la tua mania di riempirmi di legnetti e radici!» Riprese la discesa e fece il suo ingresso in sala. 11
L'apparenza era di fondamentale importanza. Sempre! E lei appariva abbastanza combattiva con o senza erbe appese, si rassicurò, così come lo erano le dame al cospetto del re. Il soppalco destinato ai signori del castello svettava sul salone. Nicoletta passò lo sguardo sui presenti già seduti. Era in ritardo? «Quando mai sono stata puntuale?» Scosse le spalle e avanzò. Per tutto il giorno aveva notato piccole stranezze. In primo luogo, il vestito che aveva indossato era stato scelto, con attenzione, da Maria Marzano d'Aragona. Troppo audace. Si sentiva un dolcetto velato di garza. In secondo luogo, la meticolosità con la quale i suoi capelli e il suo corpo erano stati curati, strigliati e lisciati. Il terzo elemento riguardava la sua seconda madre, che l'aveva rassicurata così tante volte dicendole che tutto sarebbe andato bene, e poi l'aveva guardata con occhi distanti, come se stesse per capitarle qualcosa di brutto. Nicoletta ne era sicura. Il suo sogno di andare alla corte del re Ferrante stava per avverarsi, per questo capitavano tante cose e tutte insieme. Un'onda di sguardi si infranse su di lei, che si tirò su la scollatura ottenendo solo l'effetto di far scivolare la veste su una spalla. Di male in peggio, pensò spazientita. Si rassettò alla meglio, anche se le dame alla corte di Ferrante erano più svestite e molto meno pudiche di lei. Camminò per il salone adornato a festa con lunghi paramenti d'argento e blu appesi al soffitto. Quella sera erano state abolite le candele di sego e la cera d'api, unita al fuoco scoppiet12
tante, aromatizzava l'aria. Era una festa in grande stile, come lei non ne vedeva da tempo. Sulla parete centrale, un grande blasone d'argento, con una croce piena d'azzurro, caricata di cinque montanti crescenti d'oro, raccontava dell'antica casata dei Piccolomini di Siena. Nicoletta mantenne lo sguardo fisso innanzi a sé mentre le gambe rallentavano l'andatura. Se avesse continuato così, prima o poi sarebbe tornata in camera a passo di gambero di fiume. «Ecco la mia amata figliola.» La voce roboante del padre la fece sobbalzare. Come se non avesse già tutti gli occhi puntati addosso, pensò stizzita. Ma se fosse entrata a far parte del seguito del re avrebbe dovuto abituarsi alle occhiate curiose. «Avvicinati, Nicoletta, e siedi accanto a noi» la invitò con un gesto imperioso della mano Antonio Maria Piccolomini Todeschini, un uomo corpulento e vigoroso anche se il suo viso mostrava i segni di una vita dura. Al suo fianco, Maria Marzano d'Aragona, avvolta in un abito di fine flanella, la scrutava con occhi acuti, esibendo una innata eleganza nelle forme e maniere. Nicoletta si avvicinò adagio. Era così attenta a tutto che notò appena una mano accorsa per aiutarla a raggiungere lo scranno. Registrò a stento le fattezze delle lunghe dita e le numerose callosità del palmo. Ciò che la riscosse fu la presa ferrea alla quale non era avvezza. Una mano le chiuse il polso, come ferro caldo. E lei non poté che sollevare gli occhi con fastidio e incontrarne due frangiati da lunghe ci13
glia quasi femminee. Era una Piccolomini Todeschini e nessuno poteva costringerla a fare qualcosa, ma, forse, quell'uomo non lo sapeva. «Madonna Nicoletta.» Lo sconosciuto si inchinò sfiorandole appena il dorso della mano, ma la sua pelle percepì il tepore delle labbra, la ruvidezza della mascella scurita dalla barba, che non avrebbe dovuto esser sfoggiata a un banchetto ufficiale. Il naso fiero, troppo presuntuoso. Le sopracciglia come l'ala di un corvo. I corvi non le piacevano: erano uccelli del malaugurio, le ricordava Rosella. I capelli scuri tenuti lunghi a sfiorare le spalle, come portavano i mercenari. Per non parlare del sorriso. No, non le piaceva affatto. «Figlia mia, lascia che il Barone Barrat ti scorti al tuo posto.» Il comando nella voce della madre la riscosse. «Sono onorata, barone.» Ritirò un poco la mano, portando i polpastrelli sul palmo, come si confaceva a un tocco impersonale. Non si sarebbe fatta limitare da nessuno. Nemmeno da quel massiccio mercenario con una investitura da barone. «È questo il vostro posto, madonna?» Ve n'erano solo due liberi e vicini. Il che significava che sarebbe stata accanto a... «Sì, è quello» intervenne suo padre. Nicoletta si lasciò scivolare sulla seduta di legno. Abbracciò con lo sguardo l'intera tavolata, aspettando di trovarvi altri gentiluomini. Magari qualche nobile confinante con le loro terre, pronto a condividere pettegolezzi raccol14
ti direttamente dal sovrano. Oppure qualche pretendente arrivato da Napoli. Forse... Una dozzina di occhi la tennero inchiodata alla sedia: Girolamo, il responsabile della guarnigione, Don Filippo il sacrestano e Francesco e Giacomo, presi a servizio come cavalieri da molti anni. L'unico a ignorarla era lo sconosciuto che osservava la sala con indifferenza; sostava spesso sui tavoli dove alcuni soldati dal mantello rosso si erano accomodati. Gli uomini del suo seguito erano guerrieri. Nicoletta lo guardò di sottecchi, scivolando sui lineamenti addolciti da ciglia troppo lunghe per un uomo. Stava riflettendo su quel particolare difetto quando lui la sorprese a fissarlo. «Mia cara, e voi gentili signori accorsi al mio desco, voglio rendere onore al miglior cavaliere della corte di re Ferrante I, Joan Barrat.» Suo padre fece una pausa a effetto per dare risalto all'ospite. Un brusio di acclamazione riempì la stanza. Un leopardo spagnolo, Nicoletta si trovò a riflettere. Avrebbe dovuto capirlo dalla stazza e dal colore dorato della pelle. E veniva dalla corte del re. «Sono felice di annunciarvi una proficua, e spero fortunata, unione tra la nostra stirpe, da sempre fedele seguace aragonese, e quella dei Barrat, che sono fidati guerrieri catalani. Un legame che resterà immutato nel tempo a venire grazie al matrimonio tra il barone e mia figlia» continuò dopo una impercettibile pausa, senza mai guardarla, senza darle la soddisfazione di vederla sconvolta. 15
Il brusio della sala coprì l'esclamazione che le era scappata dalle labbra. La corte aragonese era il suo sogno, un marito che la conducesse per mano tra i fasti di Napoli era il suo desiderio. Ma quello spagnolo non era mai stato contemplato nel suo progetto. Sposo. Marito. Catalano. Quelle parole esplosero nella sua testa improvvise e inaspettate. «Un brindisi è d'obbligo per la loro fortuna. Calici in alto!» Nicoletta osservò suo padre stringere la coppa e attendere che la sala diventasse una marea di mani. Non ebbe cuore di voltarsi verso il cavaliere spagnolo o il calice sarebbe andato dritto a bagnargli i capelli e la faccia. Non si aspettava un banchetto di fidanzamento. Non aveva mai neanche pensato a uno sposo sconosciuto. Per di più, quel marito l'avrebbe allontanata dalla corte, non avvicinata. La sensazione di tradimento le si estese per tutto il corpo spingendola a reagire, a negare, ma gli anni di sudditanza la schiacciarono. Il cuore impazzito e lo sguardo smarrito parlavano di incredulità e di tradimento, ma nulla usciva dalla sua bocca. Gli occhi di suo padre si negarono e quelli di sua madre si indurirono. Giacomo e Francesco le sembrarono disorientati al suo pari. «Possiamo dare inizio al banchetto in onore delle prossime nozze» disse suo padre rivolto ai presenti, rafforzando il senso di precarietà 16
che Nicoletta sentiva crescere nel petto. Accidenti, doveva dire qualcosa. Provò ad aprire le labbra e non venne fuori nulla. Aveva sempre accettato tutto passivamente, con ironia e spensieratezza. Ma la corte di Napoli le restava dentro come un sogno bruciato. Il rigido insegnamento cortese l'aveva preparata a essere una figlia e una moglie consenziente. Sempre. Ma la corte di Napoli... «Bevete, madonna.» Il sussurro veniva dal suo fianco, mentre l'uomo le porgeva la coppa. «Se non lo fate penseranno che questa unione non vi sia gradita.» «Penserebbero bene» non poté trattenersi dal dire Nicoletta. La schiena rigida non voleva saperne di rilassarsi e le dita tremavano sullo stelo robusto del calice. «In Spagna, lingue come la vostra pendono dalle picche dei muraglioni più alti. Come... non siete felice di prendere uno spagnolo come difensore delle vostre terre?» «Non ho problemi a prendere il difensore ma è il leopardo che si insinuerà nella mia vita e nel mio letto che mi crea fastidio.» E la corte di Napoli le sembrò più lontana che mai. Una risata la costrinse a voltarsi. Quell'uomo rideva di lei. «Leopardo? Non mi conoscete, ma già avete scoperto qual è la mia anima.» La rabbia di Nicoletta salì alle stelle, inondando tutto quello che incontrava, razionalità e buonsenso compresi, sospinta da un volto maschio, da una bocca irriverente, da uno sguardo indifferente e da ciglia ridicolmente 17
lunghe. Da una proposta che la portava via dai suoi desideri. «Padre, non potete farmi una cosa del genere.» «Resta ferma, Nicoletta.» Il tono era di gioviale comando, ma lo sguardo la fulminò. «Giacomo?» supplicò allora la giovane, sapendo che a quel desco gli unici che condividevano con lei timori e speranze erano i due cavalieri. Per un attimo pensò che avrebbe trovato sostegno e così, quando anche gli occhi dei due fuggirono, si sentì persa. I capelli neri sembravano pesarle sul cuoio capelluto e la veste era una costrizione insensata per il suo seno che vibrava al ritmo del respiro. E della rabbia. La sua adorata corte di Napoli svaniva piano piano. Le parole si confondevano nella mente di Nicoletta, persa dietro mille piani per sventare il matrimonio, scappare, o uccidere il leopardo spagnolo. Tutte cose irrealizzabili, complesse. La carne arrosto mandava un profumo invitante insieme ai piatti di funghi e polenta, e le serve si muovevano svelte per portare in tavola vassoi pieni di cacciagione. «Mangiate, madonna.» Le stava offrendo un pezzo di carne dal suo coltello. Un gesto di cui tutti si avvidero, e che aveva un senso ben preciso. Se Nicoletta avesse rifiutato lo avrebbe offeso, se invece avesse preso quel boccone lo avrebbe elevato a benaccetto spasimante. Gli occhi del leopardo erano su di lei, ammantati di una sfida, un'ammonizione, un invito. 18
«Bevete, mangiate. Ordini. La mia vita sarà scandita dai vostri ordini.» Il sorriso spagnolo la fulminò per la sua schiettezza. «Ve lo posso assicurare, madonna. Ordinare ed essere obbedito è una mia ferrea intenzione. Ora mangiate.» Nicoletta sbuffò e prese il pezzo di carne con la punta delle dita. Se lo tenne davanti agli occhi, e poi lo mise in bocca ingoiando il significato implicito del gesto: l'aveva accettato. I commensali sembrarono tirare un unico sospiro di sollievo e ripresero le loro chiacchiere salottiere. Quel banchetto le aveva scombussolato il futuro. La sua vita, ordinata e protetta, era stata rimescolata da poche parole: marito, catalano. «Padre, vorrei ritirarmi, se me lo permettete. Sono stanca» chiese Nicoletta non riuscendo più a reggere la tensione. Antonio Piccolomini si irrigidì: le sue spalle si tesero e il petto si gonfiò. Stava per esplodere in uno dei soliti rimproveri. Poi ci ripensò e sbottò in un semplice: «Puoi andare, mia cara». Nicoletta non attese alcun aiuto e si sollevò dallo scranno. Con sorpresa si avvide del leopardo che si alzava con lei, attirando su di loro le occhiate dei presenti. «Trovo che la giornata sia stata faticosa anche per me. Spero vogliate scusarmi se lascio la vostra tavola» dichiarò il mercenario rivolto al suo ospite. «Niente affatto, barone, dovete essere esausto per la lunga cavalcata. Siete arrivato presto stamani» fu la replica comprensiva. 19
«In tal caso, col vostro permesso, scorterò Madonna Nicoletta fino alla rampa di scale» propose con audacia, sfidando il padrone di casa a rifiutare. Durante tutto il pasto, Nicoletta aveva sostenuto la conversazione con i commensali sentendo aumentare il desiderio di offendere il leopardo. Da ciò che vedeva era un uomo che non amava stare al chiuso, in saloni affollati dove bisognava rispettare le regole della buona creanza. L'aveva percepito chiaramente, come se fosse in cerca di vento sulla pelle e sole sulle spalle. «No, non è necessario che voi vi affatichiate, posso...» Smise di obiettare quando non trovò lo sguardo di approvazione del padre. «Ma certo, barone.» Antonio Maria Piccolomini Todeschini gli concedeva una grande libertà, quasi sconveniente. Non le restò che attendere la sua mano. Sentiva sotto i polpastrelli i tendini in rilievo, la pelle ispessita dalla spada e irruvidita dal sole. Ma il calore fluiva dall'uno all'altra e per tutto il tragitto lei tenne basso lo sguardo. Una modestia del tutto in contrasto con il suo carattere. «Non avete mangiato molto stasera, madonna. Spero che la vostra inappetenza non sia legata alla mia presenza» disse sarcastico, avviandosi a passo lento tra le panche. Il lieve ondeggiare dei fianchi di Nicoletta richiamò l'attenzione di numerosi uomini presenti nella sala. Quell'ammirazione la rese forte. «Non può che essere così, mio signore» disse a fior di labbra. 20
«Mi sbagliavo, prima. La vostra lingua dovrebbe pendere dal pennone del Maschio Angioino, dove vengono esposte solo le più letali. Sapete, non sono mai risultato troppo gradevole nei luoghi di cerimonia» disse, e a Nicoletta sembrò del tutto nudo. Lo guardò sorpresa, cercando in lui un segnale che la stesse prendendo in giro. Era una frase sibillina, ma il tono era chiaro: si sentiva un reietto, del tutto fuori luogo e lei ne avrebbe tratto vantaggio per tornare più vicina ai suoi progetti. «Non mi dite! Il leopardo spagnolo, segugio del re Ferrante, in imbarazzo in una sala larga solo una spanna rispetto a quelle della corte di Napoli?» Avevano ormai attraversato l'intero salone e si apprestavano a raggiungere i gradini. L'indifferenza era un dato di fatto sul viso dell'uomo. Eppure Nicoletta vi riconobbe il guizzare veloce di chi è all'erta, la tensione dei muscoli del collo di chi è rigido per prudenza. «Il bastardo aragonese vi ha incastrato? Quale misfatto dovete scontare per dovervi accollare una moglie tanto diversa da voi?» continuò imperterrita, percependo appena la sua improvvisa rigidità. Non si era neanche accorta di aver chiamato il sovrano col suo nomignolo. Lo status di figlio illegittimo gravava da sempre sulle spalle del sovrano aragonese. Quanti erano in disaccordo con la sua politica ne facevano largo uso, e Nicoletta era in disaccordo con le nozze imposte dal regnante, quindi pensava di poterlo insultare a piacimento. 21
Questo mese Il ventaglio sulla pelle di Barbara Sarri
Un ventaglio che si proietta verso l'aria, scarpe dal tacco chiodato che riportano a un contatto con la terra: sono i due estremi del flamenco, che con la sua magia può aiutare le donne a rinascere dopo un evento traumatico. Questa è la filosofia di Isabel Blanco, bailaora per passione e investigatrice per lavoro, due anime in un unico corpo. Quando un serial-killer inizia a uccidere ballerine di flamenco, Isabel non può non sentirsi chiamata in causa...
La dama e il leopardo di Emiliana De Vico
La Rocca, 1474. Nicoletta Piccolomini Todeschini sa che le sue origini sono avvolte nel mistero, ma conosce anche le dicerie che le domestiche sussurravano su di lei, per questo ha sempre sognato che il destino la portasse a Napoli, alla corte di re Ferrante. Il suo padre adottivo ha invece scelto altro per lei, un marito catalano e una fortezza arroccata su un monte, lontano da tutto e da tutti...
Il prossimo appuntamento Non perdete i due romanzi che vi aspettano in edicola a partire dal 19 gennaio. Una segretaria per milord di Federica Soprani e Vittoria Corella vi porterĂ nella Londra di inizio Novecento dove, al grido di: Il voto alle donne, Emy White porta avanti le richieste del Circolo del Voto. Fino al giorno in cui a intralciarle la strada arriva il Conte di Reavley. Dal loro incontro possono solo nascere guai! Sfashion di Laura Ritter vi farĂ fare un salto nel tempo nella Londra degli anni Duemila, dove un'altra giovane, redattrice di una alternativa rivista di moda, deve fare i conti con un calciatore dall'ego smisurato e con alcuni fantasmi del suo passato. Due donne dal carattere indomito le cui storie vi appassioneranno! Buona lettura!
Biografia Emiliana De Vico (1973) vive in un paesino nell'entroterra abruzzese insieme al marito e ai due figli. Laureata in Scienze Sociali, ha lavorato per anni presso i Servizi di Zona. Da sempre è appassionata di romance in tutte le sue declinazioni. Ha pubblicato per la casa editrice Rizzoli (Collana Youfeel) e per la Sperling & Kupfer (Collana PrivÊ). Numerosi suoi racconti di vario genere sono stati raccolti nelle antologie Delos Books; altri romanzi sono editi in self publishing. Questi i suoi contatti:
https://www.facebook.com/emilianadevico.scrittrice/ http://www.emilianadevico.com/ emiliana.devico@alice.it