La casa dei ricordi

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L’ULTIMO AVVINCENTE CAPITOLO DELLA SERIE

THE DARK ELEMENTS IL GRANDE RITORNO DI JENNIFER L. ARMENTROUT

Roth o Zayne, Layla chi sceglierà? È il momento di ascoltare il cuore, qualunque siano le conseguenze.

“Una serie perfetta per i fan di Vampire Diaries.” MTV “Jennifer Armentrout è un vero talento, non smetteresti mai di leggerla.” Gena Showalter, autrice nella classifica del New York Times.

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I tuoi sogni più hot si stanno per avverare…

I romanzi che hai sempre desiderato ma non hai mai osato chiedere Autrice pluripremiata, vanta all’attivo oltre 70 romanzi. La vita a New York è sexy e inebriante. “Per le amanti di una sensualità frizzante. Amo tutti i romanzi di Lori Wilde.” Goodreads Reviews

Con i suoi romanzi, l’autrice si è aggiudicata un posto nelle classifiche di New York Times, USA Today e Publishers Weekly. Una danza sensuale, una voce ammaliante. Una donna sa sempre quello che vuole… e come ottenerlo. “I romanzi di Susan Andersen mi fanno impazzire. ” Goodreads Reviews

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Linda Goodnight

La casa dei ricordi


Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: The Memory House HQN Books © 2015 Linda Goodnight Traduzione di Fabio Pacini Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Books S.A. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. Harmony è un marchio registrato di proprietà HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved. © 2016 HarperCollins Italia S.p.A., Milano Prima edizione Harmony Romance febbraio 2016 Questo volume è stato stampato nel gennaio 2016 da Grafica Veneta S.p.A. - Trebaseleghe (Pd) HARMONY ROMANCE ISSN 1970 - 9943 Periodico mensile n. 162 del 26/02/2016 Direttore responsabile: Chiara Scaglioni Registrazione Tribunale di Milano n. 72 dello 06/02/2007 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - Via Mondadori, 1 - 20090 Segrate (MI) Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 045.8884400 HarperCollins Italia S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano


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Il bambino è padre dell'uomo... - William Wordsworth Nashville, Tennessee, oggi Anche la libertà era una sorta di prigionia. Erano questi i pensieri che vagavano nella mente di Eli Donovan mentre, staccandosi dei pezzetti di intonaco secco dal gomito, osservava la Buick marrone che entrava nel viale della casa che stava ristrutturando. Eli mise giù la cazzuola e si raddrizzò. Cosa diavolo aveva combinato stavolta? Dalla macchina smontò un uomo che, dopo essersi aggiustato la cravatta azzurra, s'incamminò verso la casa. I loro sguardi si incrociarono per una frazione di secondo, finché Eli non abbassò gli occhi. C'era stato un periodo in cui sarebbe stato pronto ad affrontare chiunque in un duello di sguardi. I tempi difficili e la maturità lo avevano cambiato. Non aveva più voglia di attaccare briga con tutti. Certo non con il funzionario incaricato di vigilare sulla sua condizionale. Senza aprire bocca, Eli scese sul prato, aggirando una catasta di legname e un mucchio di macerie. Non era più orgoglioso e arrogante, ma ciò nonostante si vergognò dell'ansia nervosa che gli chiuse lo stomaco. «Eli.» Il signor Clifford parlò per primo, spezzando l'impasse. «Come ti vanno le cose?» «Bene.» Si fermò a circa un metro dall'impiegato del tribunale, un uomo sulla quarantina, la cui testa calva era coperta da un velo di sudore. Guardingo, timoroso di commettere qualche errore, attese che Clifford spiegasse il motivo della sua visita. 5


«Stamattina ho ricevuto una telefonata.» Eli continuò ad attendere, non sapendo cosa dire o chiedere. Una parola di troppo avrebbe potuto scatenare una sfilza di domande alle quali Eli non era in grado di rispondere. Ce n'erano sempre troppe, di domande. Il funzionario estrasse dalla tasca un foglietto e glielo porse. «Una donna che risponde al nome di Opal Kimble ti ha rintracciato attraverso il direttore della prigione. Vuole parlarti. Dice che è urgente. Ha menzionato una certa Mindy.» Eli fissò il post-it giallo, e il presentimento di sciagura si accentuò. Inconsciamente, si umettò le labbra. Sapevano anche loro di cemento. «Mindy?» «C'è qualcosa che devo sapere? Se sei coinvolto in...» Eli lo interruppe. «Non sono coinvolto in niente. Mindy è una vecchia amica. Che altro ha detto Opal?» «Non molto. Ha lasciato questo numero, insistendo affinché tu la contattassi. Ho avuto l'impressione che fosse piuttosto importante.» «Ne dubito.» Mindy era un'anima gentile. Probabilmente era dispiaciuta per lui e voleva accertarsi che stesse bene. Si rifiutò di prendere in considerazione qualunque altra ipotesi, convinto com'era che per lei fosse meglio non avere nulla a che spartire con lui. «Potrebbe farti comodo un'amica.» Eli rimase interdetto. Da quando lo conosceva, vale a dire da sei mesi, Pete Clifford gli aveva mostrato solo sospetto, come se da un momento all'altro si aspettasse che l'ex detenuto mettesse un piede in fallo, offrendogli l'opportunità di rispedirlo nella topaia puzzolente dalla quale era appena uscito. «Me la cavo anche da solo.» «Sei riuscito a procurarti un telefono?» «No.» Clifford estrasse il suo dalla custodia che portava appesa alla cintura. «Chiamala.» Eli esitò solo un istante prima di accettare l'offerta. Irritare quell'uomo non avrebbe avuto alcun senso. Era più semplice fare una telefonata a una vecchia che non aveva mai incontrato, sentire cosa aveva da dirgli e poi rimettersi a lavorare. Aveva bisogno della paga. 6


Si prese qualche secondo per studiare il raffinato cellulare di ultima generazione. Mentre era dentro, erano cambiate un sacco di cose. La tecnologia si evolveva di giorno in giorno e chi restava indietro era tagliato fuori. Cominciò a digitare il numero e, dimostrando un tatto che lo sorprese, Clifford indietreggiò in direzione della macchina. «Ti lascio qualche minuto.» «Grazie.» Eli faceva ancora fatica a pronunciare quella parola, ma in quel caso la sua riconoscenza era genuina. Non dava più per scontato niente, neppure i minimi gesti di gentilezza. Una voce di donna, più vivace di quella che si era aspettato da una zia che Mindy gli aveva descritto come piuttosto in là con gli anni, rispose al quarto squillo. «Signora Kimble? Sono Eli Donovan.» «Era tempo che chiamassi, ragazzo.» Il suo tono gli procurò un brivido lungo la schiena, ma rimase in silenzio. Si concentrò su qualcos'altro, come aveva imparato a fare in carcere. Una coppia di uccelli azzurri in amore entrarono nel suo campo visivo, sfrecciando affiancati in un volo di corteggiamento. Abbozzò un sorriso, le labbra che resistevano a un movimento che gli risultava ancora poco familiare. Dal giorno del suo rilascio, era affascinato dalla natura. Il sorgere del sole, il delicato frullare d'ali di una farfalla su un fiore, il vento tra le foglie, un cane intento ad annusare lo pneumatico di una macchina. La natura infondeva pace e armonia nel suo animo tormentato. In fondo al buco nero della sua disperazione, si era dimenticato dei semplici miracoli quotidiani capaci di dare un senso alla vita. All'improvviso, le parole di Opal catturarono la sua attenzione. Si risintonizzò su di esse. «Come, scusi?» «Ho detto: Mindy le ha lasciato delle cose e lei deve passare a prenderle.» Lui aggrottò la fronte al grande nuvolone grigio che si stava addensando sulla linea dell'orizzonte, promettendo pioggia. «Lasciato in che senso? Lei dov'è?» Il silenzio che seguì gli pulsò dentro l'orecchio, annodandogli lo stomaco. Poi Opal parlò di nuovo e il suo tono si era addolcito. «Credevo che lo sapesse. Mindy se n'è andata.» 7


«Andata dove?» Non che avesse fatto qualcosa per mantenersi in contatto, ma le parole di quella donna ora lo stavano confondendo. «Via, Eli. Per sempre.» La voce di Opal si incrinò. «Mindy è morta.»

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Lo aveva salutato con un bacio, quell'ultima mattina. Julia ne era sicura. Non che lo ricordasse, però il gesto era parte integrante della loro routine quotidiana, per cui non aveva dubbi. Aiutarlo a indossare lo zainetto, mettergli in mano il cestino del pranzo, dargli un bacio sulla guancia e restare a guardarlo mentre correva verso lo scuolabus in attesa. Doveva averlo fatto anche quel giorno, anche se nella sua mente non ne era rimasta traccia. Se solo lo avesse accompagnato a scuola con la macchina, o se l'avesse tenuto a casa, perchÊ proprio quell'ultima meravigliosa, terribile mattina lui non aveva fatto i capricci per alzarsi dal letto? Erano passati sei anni, eppure l'orrore, lo strazio non la lasciavano mai. Era il non sapere che stava lentamente e silenziosamente portando Julia Presley alla pazzia. In quei momenti di solitudine, specialmente prima di addormentarsi, oppure appena sveglia, i pensieri partivano per la tangente prima che avesse modo di bloccarli. Eppure era diventata una maestra, nell'arte di bloccarli. Per la maggior parte del tempo, sopravviveva e in alcuni istanti avrebbe potuto persino affermare di essere felice, ma poi arrivano le giornate brutte, e quella era la peggiore di tutte: il compleanno di Michael. Era ancora vivo. Doveva continuare a crederci. Domandarsi chi lo aveva, come stava e cosa gli era successo era troppo da sopportare. Eppure, non poteva fare altro che sopportarlo, perchÊ non aveva alternative. Un giorno, da qualche parte, qualcuno lo avrebbe avvistato in mezzo alla folla, oppure semplicemente lui si sarebbe liberato dai suoi rapitori e sarebbe tornato a casa. Era già capitato e il 9


miracolo di quei bambini perduti e poi ritrovati era l'unica cosa che tenesse accesa la fiammella della speranza nel cuore di Julia. Quel giorno avrebbe compiuto quattordici anni: non era più il bambino con gli occhioni nocciola la cui repulsione per la vasca da bagno era pari solo all'attrazione per le pozzanghere fangose. Era diventato alto e dinoccolato come suo padre? Avrebbe sofferto molto scoprendo che la sua mamma e il suo papà non avevano resistito nemmeno un anno assieme senza di lui? Era stato la colla che aveva tenuto assieme un matrimonio rabberciato e, in sua assenza, loro non erano stati capaci di confortarsi a vicenda. Avevano attribuito colpe dove non ne esistevano, reagendo in modo insensato al più abbietto dei crimini. L'unico colpevole era l'essere malvagio che aveva strappato un bambino felice alla quiete di una cittadina di provincia nella quale non succedeva mai niente di brutto. Eppure, Julia si sentiva responsabile. Mikey era suo figlio e lei aveva fallito nel ruolo di protettrice e guida che era il primo dovere di ogni madre degna di questo nome. Obbligandosi a uscire da sotto il piumino azzurro ghiaccio, Julia allungò la mano verso l'iPad che aveva lasciato sul comodino. Con un tocco del polpastrello, aprì la pagina di Facebook sulla quale, accanto al viso luminoso e sorridente di Mikey a otto anni, compariva una foto invecchiata al computer. Ma era diventato davvero così? Scorse i commenti, lesse la manciata di auguri di buon compleanno, poi, con un sospiro, chiuse il sito. Nessuna novità. Niente avvistamenti. Come sempre dal giorno in cui aveva attivato la pagina con l'aiuto del gruppo di sostegno. Altri genitori in attesa di vedere tornare a casa i loro bambini. Di solito, non prendeva parte alle conversazioni sul forum. La deprimevano e l'ultima cosa di cui aveva bisogno era di infilarsi di nuovo nel buio di quel tunnel privo di una via d'uscita. Pregando per trovare la forza di arrivare in fondo a quella giornata tutta d'un pezzo, Julia si vestì e applicò un velo di trucco ai semicerchi bluastri che aveva sotto gli occhi. Stava appena cominciando ad albeggiare, ma lei doveva darsi una mossa. Aveva gli ospiti a cui badare, una colazione da prepa10


rare, una miriade di altre faccende su cui concentrarsi. Tenersi occupata era fondamentale. Terapia culinaria era l'espressione che aveva inventato per definire la sua ossessione per la cucina. Quando lavorava fino a sfinirsi, riusciva a dormire senza essere perseguitata dagli incubi. Era grata ogni giorno per l'inesplicabile impulso che, quattro anni or sono, l'aveva spinta a comprare la Peach Orchard Inn, la grande, vecchia, caratteristica magione sudista, ora trasformata in un bed and breakfast. C'era qualcosa di benevolo nella struttura a tre piani sopravvissuta alla Guerra Civile e ai centocinquanta anni che si erano susseguiti da allora. La mattina in cui Valery l'aveva trascinata lì giusto per dare un'occhiata, la casa le si era stretta attorno con il calore di un abbraccio. A dispetto delle ragnatele, della polvere che copriva ogni superficie, il suo cuore aveva sussultato. Per la prima volta da mesi, anni aveva provato un'emozione diversa dalla disperazione. Quel vecchio, meraviglioso bed and breakfast l'aveva aiutata a mantenere la sua sanità mentale. Non riusciva ancora a spiegarselo. Però era successo. Era rimasta aggrappata alla casa su Sage Street... la casa di Mikey... per troppo tempo. Non aveva osato lasciarla nel timore che suo figlio, tornando, la trovasse vuota, o abitata da estranei, ma la verità era che lì dentro stava morendo. Depressa, a malapena era in grado di alzarsi dal letto la mattina tanto che certi giorni non si era alzata del tutto. Dal momento che non voleva che suo figlio tornasse a casa da una madre morta, su insistenza della famiglia, aveva venduto la moderna villa in mattoni a vista e si era trasferita in un pezzo di storia bisognoso di una profonda e radicale ristrutturazione. Da quel punto di vista, lei e la casa erano uguali. Tutti a Honey Ridge sapevano della sparizione di Mikey, ma avevano conservato abbastanza dell'innata gentilezza del Sud da non parlarne mai in sua presenza. La lasciavano in pace e, al pari dei suoi familiari, facevano finta che fosse una persona normale: una giovane donna divorziata che mandava avanti una locanda immensa, aggrappandosi alla sua storia personale e a quella del posto. Era incastrata nel passato, sia a quello più distante sia a quello più vicino. Incastrata. Come in un fermo immagine 11


vecchio di sei anni, in attesa , incapace di andare avanti, di abbandonare la tenue speranza che un giorno, svegliandosi, avrebbe scoperto che la scomparsa di suo figlio era stato solo un orribile incubo. Bingo, l'anziano pastore australiano, si alzò dal suo tappetino ai piedi del letto. Quando Julia si fermò per carezzargli la testa nera, notò un oggetto sul pavimento accanto alle sue zampe. Sulle prime, lo scambiò per un sasso, ma, chinandosi per prenderlo, rimase sorpresa nel trovarsi tra le dita un'altra biglia, perfettamente liscia e levigata. Non una biglia moderna, di vetro. Quella aveva un colorito rossastro ed era fatta d'argilla, un pezzo di antiquariato identico agli altri nei quali si era imbattuta in diversi punti della casa. «L'hai portata qui tu, Bingo?» Il cane aveva l'abitudine di portarle dei piccoli doni. «Be', sempre meglio del serpente morto di tre giorni fa.» Si fece rotolare la sfera sul palmo della mano, pensierosa. Durante i lavori di ristrutturazione, che erano ancora in corso, lei e Valery avevano trovato diversi oggetti di valore che avevano aggiunto un alone di mistero alla vecchia locanda. Ma le biglie erano diverse. Apparivano a caso, di solito in posti che erano stati puliti di recente e sempre quando aveva una brutta giornata. Le parlavano, la confortavano e... avrebbero procurato un infarto a sua madre se avesse saputo che la sua psichicamente fragile figlia adesso comunicava con le biglie. «Direbbe che mi ha dato di volta il cervello.» Forse era la verità. Lieta di qualunque sostegno potesse trovare, Julia si infilò in tasca la pallina di argilla e si avviò verso la cucina. Bingo trotterellò al suo fianco sui larghi gradini che conducevano da un piano all'altro. Sebbene non grandiosa come quella di Via col Vento, la scalinata ricurva aveva conquistato Julia alla prima occhiata. Era facile immaginare una sposa ottocentesca incedere leggera sui gradini ora coperti da un tappeto rosso, la mano fasciata da un guanto di lino bianco che scivolava sulla lucida balaustra di quercia, gli occhi fissi sul volto del grande amore della sua vita che l'attendeva accanto al gigantesco caminetto di marmo del salottino sottostante. 12


Fantasie, certo, come le biglie calmanti, tuttavia in una casa come quella era impossibile non concedere qualche licenza all'immaginazione. Parte della cultura del Sud consisteva nell'essere convinti che la storia impregnasse i muri, sussurrasse fra i rami delle querce e, pur avendo perso la fede in molte altre cose, Julia continuava a credere a quelle. La casa era un'entità vivente e lei l'aveva ascoltata con molta attenzione mentre, assieme a Valery, aveva lavorato per trasformarla in un luogo capace di indurre un turista a visitare una sperduta cittadina rurale del Tennessee. Un luogo dove altri potessero trovare la pace che la sua proprietaria non possedeva più. A volte, quando sedeva sull'enorme veranda che avvolgeva l'edificio da tutti i lati, Julia aveva l'impressione di sentire il tonfo degli zoccoli di molti cavalli provenire da oltre la doppia fila di magnolie secolari. Ovviamente, non ne aveva mai parlato con nessuno. Nemmeno della volta in cui aveva sentito una mano fresca posarsi sulla sua fronte dopo che si era svegliata, gridando, dall'ennesimo incubo con Mikey, o della risata infantile che certi giorni udiva nel corridoio del terzo piano. Una donna la cui sanità mentale era appesa a un filo doveva tenere accuratamente sotto controllo i voli pindarici della sua immaginazione. Perché era soltanto di questo che si trattava. Julia non credeva ai fantasmi, agli spiriti e nemmeno più in Dio. In un'occasione aveva commesso l'errore di raccontare a Valery uno di quegli incidenti e lei ne aveva subito approfittato per lanciarsi verso l'armadietto dei liquori. Era una mossa che Julia non voleva ripetere. Valery e i liquori erano una combinazione pericolosa, specialmente dopo gli ultimi scontri fra sua sorella e Jed lo stronzo, il peggior ragazzo della sua poco fortunata storia con gli uomini. Sebbene lei e Valery fossero unite, Julia aveva imparato a tenersi dentro certe cose, le sue riflessioni, il suo dolore. Nessuno capiva. Si aspettavano che andasse avanti, dimenticandosi di aver avuto un figlio, un marito, una famiglia. Dimenticandosi di aver avuto una vita felice, quasi perfetta, fino a quell'orribile mattina di ottobre. Entrando nella cucina, un'aggiunta recente alla casa, accese le luci e puntò diritta verso la macchina del caffè e i co13


mandi dei due forni professionali che aveva fatto inserire fra gli armadietti. Forse non avrebbe mai vinto il premio di miglior chef della contea, però le piaceva nutrire le persone. Sebbene la sua specialità fosse il tè alla pesca, ricavato da prodotti assolutamente genuini a chilometro zero, anche il suo caffè era buono, una miscela personalizzata, che macinava con cura prima di ogni preparazione. La gente era capace di stare delle ore a parlare sorseggiando una tazza di caffè, quindi aveva deciso di cominciare da lì. Il menu della colazione variava, però includeva sempre delle pesche, di solito provenienti dal suo frutteto. Le persone si aspettavano di trovare delle pesche in tavola in una locanda che si chiamava Peach Orchard. Nel giro di pochi minuti, gli strati di pancetta e uova erano pronti per il forno, la pastella dei muffin alle pesche spalmata all'interno delle apposite coppette metalliche e nella cucina regnava un forte aroma di caffè. Dopo essersene versata una tazza, Julia uscì sulla veranda per godersi il suo momento preferito della giornata. Con solo il cane a farle compagnia, si sedette su una delle sedie bianche di vimini e assistette al sorgere del sole, i suoi raggi orizzontali che carezzavano l'erba del prato, insinuandosi tra le foglie lucide delle magnolie e i fiori fucsia dei rododendri. La pioggia della notte precedente aveva lasciato sulla vegetazione delle gocce che rilucevano come cristalli, mentre l'Old Glory penzolava bagnata dal pennone che svettava sul tetto. Julia storse le labbra in una smorfia di frustrazione. Valery si era di nuovo dimenticata di ammainare la bandiera confederata, una grave violazione dell'etichetta che, se notata, avrebbe spinto qualcuno dei suoi concittadini a chiamarla per protestare. Finora, fortunatamente, non era successo. Fiancheggiata da boschi, la Peach Orchard Inn si trovava un po' rientrata rispetto alla principale via di accesso al paese. Mikey si sarebbe innamorato di quel posto. Abbondanza di spazio da esplorare in tutta sicurezza per un bambino. Anche se sicurezza era un termine relativo. La casa era schermata dalla strada da una larga striscia di alberi, che in quel periodo includevano anche la spettacolare fioritura rosa del frutteto, che si stendeva lungo il confine set14


tentrionale della proprietà. Ogni tanto si sentiva passare una macchina, ma capitava di rado. La quiete, il silenzio della campagna erano una delle principali attrazioni della sua piccola guest house. Julia mise i piedi sulla sedia di fronte e, contemplando il frutteto, bevve un sorso di caffè. «Buon compleanno, tesoro» sussurrò, e la voragine che aveva dentro si allargò. Con gli occhi chiusi, sentì la sua vocina festosa, il suo odore di bambino mischiato al gusto di menta del dentifricio, la calda compattezza del suo corpicino mentre gli dava quello che sarebbe stato il suo ultimo abbraccio. Avvertì una stretta alla gola e le lacrime scesero dietro le palpebre abbassate. Si sarebbe crogiolata nel dolore per una decina di minuti, poi, stampandosi in faccia il sorriso della perfetta padrona di casa, si sarebbe dedicata agli ospiti. Bingo le si avvicinò e le posò il muso sulle ginocchia, emettendo un piccolo guaito. Il fedele pastore australiano non sopportava che la gente che lo attorniava fosse infelice, ma lo era stato anche lui. Per settimane, aveva ispezionato senza sosta ogni angolo della proprietà, in cerca dell'adorato padroncino che non era più tornato a casa. Piegandosi in avanti, Julia gli gettò le braccia al collo, sprofondò il viso nel suo morbido manto e pianse. «Madame. Tutto a posto?» Julia si alzò di scatto. Con il cuore in gola, si girò, fissando l'uomo che si era materializzato ai piedi dei gradini della veranda. Cinque secondi prima, lì non c'era nessuno. In giro non si vedevano macchine. Da dove era piovuto? Dopo aver pensato a cavalli inesistenti, biglie parlanti e rinfrescanti carezze notturne, le venne il sospetto che fosse un'altra proiezione mentale. Stava avendo un'allucinazione? L'uomo era abbastanza bello da poter essere un sogno, anche se il suo viso aveva la durezza di uno che ha visto troppo e fatto ancora di più. Un pirata con gli occhi verdi con addosso un liso giubbotto jeans e sotto una spiegazzata maglietta bianca, la barba di un giorno, i capelli scarmigliati. «Lei chi è?» La domanda le venne fuori in tono brusco, del tutto privo della proverbiale cortesia del Sud. Una profonda V si disegnò al centro delle folte sopracci15


glia dello sconosciuto. «Mi scusi, non volevo spaventarla. Stava piangendo.» Lei si rese conto che il suo viso era ancora bagnato. «Sto bene.» Si asciugò le guance con un rapido gesto delle mani. «Com'è arrivato qui?» Lui alzò un pollice sopra la spalla, indicando la strada. «La mia macchina è in panne. Mi ero fermato un momento e adesso non riparte più. Non è che avrebbe dei cavi per la batteria?» «Spiacente, no.» Lui lanciò un'occhiata alla sezione del frutteto che cresceva parallela alla strada. Le sue spalle si alzarono in un sospiro di rassegnazione. «Posso usare il suo telefono?» chiese come se si aspettasse un diniego. «Non ha un cellulare?» La mascella dell'uomo si contrasse, accentuando la spigolosità dei suoi lineamenti. Gli occhi verdi saettarono sul suo viso salvo poi abbassarsi con altrettanta rapidità. «No.» Ormai tutti avevano cellulare. Da dove veniva quel tizio? Dalla luna? Un rumore proveniente dalla cucina le fece capire che i primi ospiti si erano alzati. «Il telefono è in cucina. Venga.» Si voltò, avvertendo la pressione del suo sguardo sulla schiena mentre si avviava verso la porta. Con uno slancio che sarebbe potuto risultare minaccioso, lui la superò e la tenne aperta per lei. Julia non aveva paura. D'altronde, anche se fosse stato un serial killer, non avrebbe avuto paura lo stesso. Quando una è morta dentro, non ha paura di niente. Uno degli ospiti regolari, il sessantottenne, occhialuto Bob Oliver era in piedi davanti al bancone, intento a versarsi un caffè. Lui e sua moglie erano venuti lì un sacco di volte negli ultimi due anni e Julia li lasciava liberi di muoversi a loro piacimento, contenta che si sentissero come a casa. La filosofia della Peach Orchard Inn era proprio quella. «Buongiorno, Bob» disse. «Siamo mattinieri, eh?» «Avevo sentito il profumo del suo caffè.» «Le riempio un bricco da portare a sua moglie.» 16


«Magari più tardi. Le sette sono troppo presto per Mattie. Quando ha smesso di fare la maestra, ha giurato solennemente di non puntare mai più la sveglia. Ed è stata di parola.» «Non posso biasimarla» confermò lei, voltandosi verso lo sconosciuto, che stazionava nei paraggi della porta con l'aria imbarazzata di chi teme di disturbare. Prima che avesse modo di indicargli il telefono, Bob, con il candore che gli era abituale, disse: «Non sapevo che avesse assunto un aiutante». Julia guardò il nuovo arrivato, domandandosi se si fosse offeso. Il suo viso rimase impenetrabile. «Sfortunatamente, l'idea di un aiutante, diverso da Valery, rimane ancora un sogno per la Peach Orchard Inn. No, l'automobile di questo signore ha avuto un guasto lungo la strada.» «Probabilmente la batteria» aggiunse l'interessato e subito dopo, come aspettandosi di venire rimproverato per l'audacia, abbassò lo sguardo sul pavimento. «Ah, sì? Forse posso essere di aiuto.» Bob gli tese la mano. «Mi chiamo Bob Oliver.» Lo straniero fissò la mano allungata per un secondo di troppo, il tanto che bastava perché si notasse l'esitazione, prima di stringerla. «Eli Donovan. Sono tentato di prenderla in parola, signor Oliver.» «Mi chiami Bob. Il signor Oliver era il professore di fisica che sono stato per trent'anni. Ora sono semplicemente il vecchio Bob.» Ridacchiò, abbassando lo stantuffo del thermos con il palmo della mano. «Julia, qui fa un ottimo caffè.» Lo straniero spostò gli occhi su di lei, ma non disse niente. Avrebbe dovuto offrirglielo. Un caffè non si negava a nessuno. Era la prima regola dell'ospitalità. «Gradisce una tazza?» Lui deglutì, come se quella normalissima domanda lo avesse messo in difficoltà. «Se non le dispiace.» Lei riempì una tazza e gliela porse, notando il lieve tremito delle sue dita mentre l'afferrava. Notò anche i segni della stanchezza attorno ai suoi occhi. A dispetto del fisico muscoloso e aitante, l'uomo sembrava esausto, prosciugato. Le mani erano pulite, ma callose, come se svolgesse un lavoro manuale per guadagnarsi da vivere. 17


Non portava gioielli, neppure la fede, particolare che registrò con un moto di fastidio nei confronti di se stessa. Gli uomini attraenti non erano necessariamente delle persone decenti e, anche se lui fosse stato il tipo più simpatico del pianeta, lei era troppo svuotata per essere interessata. «Il telefono è lì, se vuole ancora fare quella chiamata.» Gli indicò l'estremità del bancone e si chinò sul forno per controllare la casseruola. Bob mosse la mano in aria. «Non serve che telefoni. Ho i cavi nel bagagliaio. Non mi metto mai in viaggio senza.» Lo straniero li soppesò con lo sguardo, incerto su come reagire alla loro gentilezza. Sembrava una pantera in gabbia, scura, guardinga e pericolosa. «Raggiungeremo il posto con la mia macchina» disse Bob. «Collegheremo i cavi e nel giro di due minuti sarà di nuovo in strada.» «Grazie.» Eli Donovan bevve un sorso di caffè e si avvicinò al bancone per mettere giù la tazza. «Se lo porti pure dietro» disse Julia. «Anche lei, Bob.» «Ma la tazza...» «È restituibile.» «Oh. Grazie.» Di nuovo quella lieve esitazione prima di pronunciare la parola, come se non fosse abituato a usarla spesso. In effetti, il suo intero modo di esprimersi sembrava arrugginito, prudente. Bob gli diede una pacca sulle spalle e a lei non sfuggì l'immediato contrarsi dei suoi muscoli. «Oggi è il suo giorno fortunato, Eli. Ha incontrato una bella signora che fa un caffè squisito e un vecchio prudente che non si mette mai in viaggio senza i cavi della batteria. La mia macchina è parcheggiata sul retro. Quando vuole, sono pronto.» «Andiamo.» I due uomini uscirono dalla cucina, i loro passi che echeggiavano sulle tavole della veranda. Mentre camminava, Eli bevve un altro sorso di caffè, ascoltando in silenzio il signor Oliver che, con la sua voce impostata da professore, gli raccontava della volta in cui aveva forato due gomme contemporaneamente, di notte, su una strada deserta. Bingo li aveva seguiti. Trotterellava allegramente sulla 18


ghiaia del viale, contento di avere uno scopo, lasciando la padrona alla quiete e ai profumi della sua cucina. Julia si asciugò le mani in uno strofinaccio e si avvicinò alla porta, guardando Bob Oliver ed Eli Donovan che sparivano dietro l'angolo della veranda. Che strana mattina. Prima un'altra biglia dal nulla e poi quell'affascinante straniero dall'aria misteriosa. Entrambi il giorno del compleanno di Mikey. Recuperò la biglia dalla tasca e strofinò il pollice sull'argilla levigata della superficie. Da qualche parte, nei meandri della sua memoria, risuonò la risata argentina di un bambino.

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Chiacchiere di mezzanotte di Dakota Cassidy Marybell Lyman è famosa per due cose: il suo sguardo e la sua acconciatura che sfida il buonsenso. A questo aggiunge numerosi piercing e un sorriso beffardo che comunica chiaramente di tenere le dovute distanze. Ma quando inizia a parlare è tutta un'altra storia. Il tono melenso e la tipica cadenza del sud, morbida e avvolgente, sono il segreto che rendono Marybell la punta di diamante all'interno della Call Girls, la fiorente società di hot line per cui lavora. Il tuttofare Taggart Hawthorn è letteralmente ipnotizzato da lei. Marybell è una contraddizione vivente: voce e modi dolci e amorevoli dentro, aspetto ruvido e spinoso fuori. Lui vuole andare a fondo, vuole conoscerla davvero e vuole che lei gli sussurri parole proibite con...

La casa dei ricordi di Linda Goodnight Il ricordo della maternità e del matrimonio sono ancora freschi nella memoria di Julia Presley, nonostante un evento tragico le abbia portato via entrambi molti anni prima. Trova conforto nella routine della gestione del Peach Orchard Inn, una splendida villa coloniale a Honey Ridge, in Tennesee, e lascia che quel luogo antico e misterioso riempia il vuoto che ha dentro di sé. Non più, infatti, il piacere del bacio gentile di un uomo. Non più la gioia nel sentire la voce di un bambino che la chiama mamma. La vita scorre calma e sempre uguale... fino a quando a Honey Ridge arriva un affascinante sconosciuto, Eli Donovan, accompagnato da un bimbo e da profondi e oscuri segreti.


Tutta colpa delle nozze di Cara Connelly Prima del matrimonio - L'unica cosa che Tyrell Brown desidera è fuggire dalla tensione di Houston, dovuta a uno spinoso processo penale nel quale è stato coinvolto, per ritornare alla tranquillità della sua casa. Invece si ritrova su un aereo diretto in Francia per partecipare al matrimonio della sua migliore amica Isabelle. Per completare il quadro, seduta accanto al lui c'è Victoria Westin, la sexy avvocatessa tacchi a spillo e occhi da cerbiatta, che è stata la sua spina nel fianco per mesi. Al matrimonio - Vicky non può credere alle coincidenze del destino quando scopre che il bel proprietario terriero dal sorriso assassino è uno degli invitati al matrimonio di suo fratello. Lei non sopporta quell'uomo, sebbene in aereo abbiano...

Le quattro amiche di Robyn Carr Gerri non sa cosa sia più traumatico per lei: accorgersi che il suo matrimonio all'apparenza solido ha in realtà enormi crepe oppure rendersi conto di non riuscire a riparare il danno. È sempre stata un punto di riferimento per famiglia e amiche, ma ora è venuto il momento di occuparsi di se stessa. Vista la sua sfortuna nelle relazioni con l'altro sesso, Andy è convinta che l'amore duraturo sia per lei fuori portata. Quando però si ritrova attratta da un uomo normale, senza quelle qualità che di solito la colpiscono, mette in discussione tutto quello che pensava di desiderare dalla vita. La continua ricerca del giusto equilibrio subisce per Sonja una battuta d'arresto quando il marito la lascia su due piedi, stanco del suo mondo fatto di...

Dal 8 aprile


MAISEY YATES CAITLIN CREWS KATE HEWITT DALLE AUTRICI DELLA TRILOGIA BESTSELLER VOGLIO TUTTO DI TE, UN VIAGGIO SCOTTANTE AI PIANI ALTI DELLA NEW YORK CHE CONTA.

Affari, omicidi, vendetta: una donna è la chiave di tutto… ma ora è scomparsa. “Una trilogia ad alto tasso di Cosmitudine ambientata nella Fifth Avenue, la strada più fashionista di New York.” Cosmopolitan

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N OV ITÀ 20 1 6 DUE ROMANZI INEDITI IN EDIZIONE INTEGRALE. SEDUZIONE, PASSIONI TRAVOLGENTI, NUOVE AVVENTURE. LASCIATEVI TENTARE. Lei è una sommelier dai gusti raffinati. Lui una miscela inebriante e afrodisiaca. Basta poco per accendere i sensi. “Vorrei che i romanzi di Jo Leigh non finissero mai… una lettura intrigante.” Goodreads Reviews

Una lussuosa residenza estiva, una fuga impossibile, una battaglia a colpi di lingerie. Non si può mai sapere chi troverai nel tuo letto… “Un romanzo appassionante, con personaggi coinvolgenti. Consigliatissimo.” Amazon Reviews

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Inghilterra, 1815 - Uno scandalo sconvolge la casa dei Ferguson. Costrette alla fuga, toccherà agli agenti segreti di Lord Drake ritrovare Fiona e Mairead , fanciulle in fuga. Ma questa ricerca potrebbe metterle in grave pericolo…

Irlanda, 1172 - Il desiderio di rivalsa dell’emarginato Killian MacDubh è potrebbe portarlo a tutto, anche a sedurre la figlia del Re di Ossoria per ottenere ciò che desidera. L’amore però ha un piano diverso.

Inghilterra, 1810 - Sulle donne di Kempton grava una maledizione: ogni matrimonio finisce in tragedia. Un’ottima scusa per Tabitha Timmons... - serie Le irresistibili zitelle di Kempton.

Spagna, 1815 - Il maggiore Finlay Urquhart ha il compito di mettere a tacere El Fantasma, famigerato rivoluzionario. La sola persona in grado di aiutarlo è la nobildonna Isabella Romero, ma ha un segreto sconvolgente.

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