FIONA DAVIS
LA CASA DELLE BAMBOLE traduzione di Elisabetta Lavarello
ISBN 978-88-6905-190-6 Titolo originale dell’edizione in lingua inglese: The Dollhouse Dutton an imprint of Penguin Publishing Group, a division of Penguin Random House LLC. © 2016 Fiona Davis Traduzione di Elisabetta Lavarello Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. © 2017 HarperCollins Italia S.p.A., Milano Prima edizione HarperCollins aprile 2017
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New York, 2016 Si era dimenticata le cipolle. Dopo tutti i preparativi, le liste della spesa, dopo es sere uscita prima dal lavoro per comprare quello che le serviva per la loro cena speciale, Rose aveva dimenticato un ingrediente base del risotto. Guardò in dispensa, ma nel cestino c’era solo qualche friabile frammento di buccia. Griff si era profuso in complimenti per il suo risotto quando avevano cominciato a frequentarsi, e lei ricordava ancora con quanto orgoglio gli aveva rivelato il suo ingre diente più sorprendente. «Il segreto è il latte di cocco» gli aveva confidato. «Il latte di cocco?» Si era appoggiato allo schienale della seggiola traballante che lei aveva comprato in un negozio di mobili usati sulla Bleecker. Sembrava avesse gambe e braccia troppo lunghe per il suo piccolo mono locale. «Trovo che lo renda particolarmente cremoso.» Rose
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lo aveva detto in tono leggero, mentre ritirava i piatti, come se cucinare le risultasse facile, una delle tante cose che le riuscivano bene, e non una frenetica corsa contro il tempo. «Aggiungo il brodo di pollo e il latte di cocco al riso e alle spezie finché tutti i sapori non si sono amalgamati.» «Mi piace come lo dici. Amalgamati. Ripetilo.» Rose lo aveva fatto, come davanti a una telecamera, la voce leggermente più bassa del normale, ma chiara e sicura. E lui l’aveva presa in braccio e l’aveva adagiata sul letto dalla bella trapunta cucita a mano. Rose aveva trat tenuto l’impulso di scostarla, per non doverla mandare in lavanderia il giorno dopo, ma si era arresa allo slancio di lui, al suo fisico tutto muscoli. Aveva un corpo da atleta anche a quarantacinque anni. Le mancavano la semplicità e la passione della loro vita di allora, prima che l’astiosa ex moglie e le figlie scon trose di lui sgonfiassero la loro bolla di felicità. Prima che lei rinunciasse al suo monolocale e si trasferisse con lui nel condominio Barbizon, nell’Upper East Side. Ovviamente, questo era il suo punto di vista. Per l’ex moglie e le figlie di Griff, Rose era l’intrusa, la donna che assorbiva le attenzioni e l’amore di lui. Guardò l’orologio del forno. Quasi le sei. Se si fosse affrettata, ce l’avrebbe fatta ad andare a comprare le cipolle bianche al Gourmet Garage prima che Griff tornasse a casa dal City Hall. Sentì squillare il cellulare. Di nuovo Maddy. La quar ta telefonata in un’ora. «Cosa c’è, Maddy?» Cercò di apparire irritata, ma ro vinò l’effetto scoppiando a ridere.
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«Lo so, lo so. Non hai proprio tempo di parlare con la tua migliore amica. Sei troppo occupata a fare la regina della casa, giusto?» «Giusto. Allora, sei pronta per le Soapies?» «Consegna dei premi Emmy del Daytime, prego. Vorrei che ci venissi anche tu, Ro. Che scarpe mi metto col Michael Kors? Color cipria o oro?» Maddy aveva fat to una splendida carriera da attrice da quando si erano conosciute al college. Appena laureata, aveva ottenuto un contratto per un ruolo in una soap opera, e questa era la sua prima nomination. Rose si sentiva in colpa per non poter essere al fian co dell’amica. «Decisamente quelle cipria. Mandami una foto, okay?» «Ti è poi venuta qualche idea su quale possa essere la grande notizia di Griff?» Rose sorrise e si appoggiò al bancone di cucina. «Pro babilmente non è niente di speciale» mentì. «Forse ha avu to un’altra promozione. È talmente ambizioso.» «Non credo. Fatti qualche calcolo. È divorziato da un anno, voi due vivete insieme da tre mesi, ed è ora che fis siate una data.» «Per la verità si comporta in modo strano, ultima mente. Ma forse è una mia impressione.» «Fidati dell’istinto.» «L’istinto mi dice che ha qualche progetto per la testa. Ma la mia impressione è di essere agli inizi della nostra storia. L’appartamento, per esempio, dobbiamo ancora ar redarlo!» L’appartamento che lei amava e odiava allo stesso
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tempo. Lo amava per le alte portefinestre intelaiate, per i fornelli Wolf e le spaziose cabine armadio. Lo amava per le sue potenzialità, per gli zoccolini alti, le modanature e i palchetti di palissandro boliviano. Ma lo detestava perché era vuoto. Sia lei che Griff avevano orari di lavoro troppo lunghi durante la setti mana per mettersi seriamente a cercare dei mobili, e nei weekend lui raggiungeva le figlie nella casa di Litchfield, mentre la moglie se la spassava con le sue amiche divor ziate. Ex moglie, si corresse. Ci sarebbe voluto tanto lavoro per renderlo accoglien te. La stanza più piccola aveva una tappezzeria con un disegno a scimmiette. Deliziosa per un neonato, ma del tutto inadatta alle figlie adolescenti di Griff. Il pavimento della sala da pranzo era desolatamente disadorno, a par te lo spettrale segno del tappeto orientale del precedente proprietario. Si sentiva uno spettro anche lei, lì, nei fine settimana, seduta da sola alla finestra della biblioteca, a guardare il traffico e i pedoni che passeggiavano in coppia. Strom bazzate di clacson e risate salivano fino all’appartamento al quinto piano anche con le finestre chiuse. Alla strada, la Sessantatreesima a pochi passi dalla Lexington, mancava il carattere del West Village a cui era abituata Rose. Là gli alberi formavano un baldacchino sopra il ciottolato. Qui i marciapiedi erano spogli e i negozi erano ricercate botte gucce che vendevano vestiti da bambino di lino bianco e mappe antiche di Parigi. Rose aspettò mentre Maddy grugniva inguainan dosi nell’abito. «Gesù, questa cerniera è irraggiungibile.
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Avrei bisogno di un altro paio di mani.» «Dove hai detto che è, Billy?» «Incontro genitori-insegnanti. Dopo, lui e la sua ex vanno a cena insieme per discutere le opzioni per il pros simo anno scolastico. E se non l’ho ancora detto, sono feli cissima di essermela scansata.» «Sarei lì ad aiutarti a prepararti, se potessi, lo sai.» «Oh, sta’ tranquilla, cara, lo so. Ti mando un sms con una foto e tu fa’ lo stesso quando avrai l’anello al dito.» Rose riappese ridendo e si avviò lungo il corridoio fino alla stanza padronale, dove si sfilò il tubino che aveva indossato al lavoro. Come al solito, si era vestita troppo elegante. I suoi colleghi della start-up, a stento maggio renni, e comunque tutti più giovani di lei di almeno dieci anni, prediligevano jeans e felpe col cappuccio. Si infilò un paio di pantaloni aderenti e un morbido cashmere con lo scollo a V, poi ritoccò il rossetto allo specchio. A Griff piaceva chiamarla la sua pinup, un’immagine che, quando uscivano insieme, lei rafforzava con un ros setto color cremisi che contrastava con la sua carnagione chiara e col liscio caschetto scuro. Ma ultimamente aveva cominciato a chiedersi se non fosse un colore troppo sgar giante per una donna sui trentacinque. Un po’ forzato. Capitava anche agli uomini di chiedersi se avevano il viso lucido, o i capelli increspati dall’umidità, o se le loro zampe di gallina fossero più accentuate del giorno pri ma? Non riusciva proprio a immaginare Griff dedicare un pensiero a certe cose. Quando lui entrava in una stanza, faceva notizia. Non una ragazza dall’aspetto piacevole che si limitava a riferirla. Quando aveva condotto il telegior
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nale, Rose voleva essere presa sul serio e si era vestita di conseguenza, anche se il produttore del network l’avrebbe voluta più scollata. Eppure, nonostante la scelta di abiti rigorosi, Rose era stata bollata come una belloccia da una buona fetta del suo pubblico. C’era perfino chi si era diver tito a twittare sgradevoli commenti sulle sue tette e sulle sue gambe. Almeno, il suo nuovo lavoro la teneva lontana dai riflettori. Dalla finestra aperta della stanza arrivò uno strom bazzare. Non un clacson, però. Un acuto dolente, seguito dal pulsare di uno strumento a percussione. Non sapeva chi fosse il musicista: Miles Davis era l’unico trombet tista che conosceva. Suo padre ascoltava dischi di Dave Brubeck quando lei era piccola, e il ricordo le portò un sorriso alle labbra. Avrebbe scaricato qualcosa di Brubeck sull’iPhone e glielo avrebbe fatto ascoltare quando fosse andata a trovarlo quel fine settimana. Gli sarebbe piaciu to. Oppure avrebbe scagliato il cellulare contro un muro. Non si poteva mai sapere, ultimamente. Doveva sbrigarsi, ma l’ipnotica melodia la attirò ver so la finestra aperta. Si appoggiò al davanzale, si sporse e rimase in ascolto. La musica arrivava dall’appartamento proprio sotto il suo, ma dopo qualche istante fu sostituita da una canzone cantata da due donne. Una di loro aveva una voce roca, espressiva, tipo Lucinda Williams. L’altra era dolce, argentina, quasi angelica. Il contrasto era strug gente: sofferenza e speranza, mescolate e sovrapposte. La canzone, cosa singolare, terminò con quella che le parve una risatina. Doveva muoversi. Le mancavano le cipolle.
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Squillò il telefono dell’appartamento. Quasi sperò fosse Griff che la avvertiva che era in ritardo. «C’è mio padre?» Rose ancora non riusciva a distin guere le voci delle figlie di lui. «Isabelle?» «No, sono Miranda.» La ragazza sbuffò, impaziente. «Mio padre è in casa?» Nessuna delle due ragazze chiamava Rose per nome. Una cosa esasperante. D’altra parte, erano giovani e la loro vita si era complicata. Anche se Griff e sua moglie erano separati da tre anni, e divorziati da uno, Rose era diventa ta il capro espiatorio di tutto quello che era andato storto in famiglia. Maddy era stata fortunata a mettersi con un uomo i cui figli avevano quattro e sette anni, magiche età in cui Maddy era una compagna di giochi e una persona che li colmava di attenzioni, non una minaccia. Finse un tono vivace. «Ciao, Miranda! Non è ancora rientrato. Hai provato sul cellulare?» «Ovvio. C’era la segreteria. Per questo chiamo qui.» «Ah. Sarà in metropolitana. Gli dirò che lo hai cerca to.» Non un saluto, solo un clic seguito dal segnale di li bero. Forse, tutto sommato, avrebbe lasciato sui muri la carta da parati con le scimmiette. Se davvero Griff era in metropolitana, non le resta va molto tempo. Si mise la borsa in spalla, uscì di casa, si affrettò lungo il corridoio ed entrò in ascensore. Dopo un’interminabile attesa, le porte si chiusero, solo per ria prirsi un piano più sotto. Entrò una donna. Portava guanti bianchi e un bellis
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simo cappello di paglia blu con una fitta veletta color avo rio che le copriva occhi e naso. Il soprabito in tinta, troppo pesante per quel periodo dell’anno, era un modello a re dingote. Solo l’incertezza del passo, come se temesse che il pavimento potesse cedere sotto le sue scarpe color avorio, e le rughe intorno alla bocca e sul collo, tradivano la sua età avanzata. Teneva al guinzaglio un piccolo cane. Si vol tò immediatamente verso le porte dell’ascensore. Il saluto allegro di Rose non ebbe risposta. Il quarto piano. Quando Griff e Rose avevano preso in considerazione l’edificio, l’agente immobiliare aveva ac cennato sottovoce che una dozzina di affittuarie era stata ereditata dal vecchio Barbizon, che nel secolo precedente era stato un pensionato per sole donne. Quando l’edifi cio era stato convertito in un condominio di lusso, queste anziane signore non erano state sfrattate, ma trasferite in appartamenti ad affitto calmierato al quarto piano. Il cagnolino abbaiò a Rose e lei tese una mano per fargliela annusare. La dama velata non si mosse di un millimetro. I nuovi inquilini a volte si lamentavano delle residenti del quarto piano, donne che abitavano in appar tamenti di valore senza pagare le migliaia di dollari di spese condominiali che toccavano agli altri, ma Rose non condivideva il loro atteggiamento. Quelle signore viveva no lì da sempre, e la loro storia la affascinava. In passato quel l’e sclu si vo indirizzo aveva ospitato centinaia di graziose giovani donne. Alcune di esse erano diventate famosissime: Grace Kelly, Sylvia Plath e Candice Bergen, fra le altre. «Io sono Rose Lewin.» Non aveva potuto fare a meno
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di presentarsi. Era chiaro che la donna voleva stare sulle sue, ma Rose si era incuriosita. «Mi sono trasferita qui po chi mesi fa. Non mi pare che ci siamo ancora incontrate.» La donna si girò, lentamente, le labbra strette in una linea rosa. «Benvenuta.» Nella sua voce c’era il tremolio dell’età. Le porte dell’ascensore si aprirono e Rose aspettò che la sua misteriosa vicina uscisse nell’atrio. Camminava con cautela sul pavimento di marmo, facendo piccoli passi un po’ ondeggianti, ma a testa alta e con la schiena dritta come un fuso. Il cane, una specie di terrier, trotterellava con passetti un po’ saltellanti, come se il freddo della pie tra desse fastidio ai suoi piedini grandi come ditali. Rose li seguì. Il portiere spalancò galantemente il pesante portone. «Signorina McLaughlin, i miei riguardi. E come sta il caro Bird oggi?» «Bene, grazie, Patrick.» Quando la signora uscì, Patrick si rivolse a Rose con un sorriso e un lieve inchino. «Signorina Lewin. Come sta questa sera?» «Bene, grazie. Faccio un salto al negozio e torno.» Non si era ancora abituata ad avere un portiere. Non c’era alcun bisogno di dirgli perché stava uscendo o di fare commenti sul tempo. Quel comportamento non man cava di irritare Griff. Per lui, uscire di casa era un semplice bip in una lunga, indaffarata giornata. La donna e il suo cane svoltarono verso Park Avenue, e Rose si avviò verso la Seconda. Anche se il negozio era affollato, lei prese due cipolle, un mazzo di peonie bian
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che e passò dalla cassa rapida a tempo di record. Patrick era fuori sul marciapiede quando lei tornò, le mani dietro la schiena e lo sguardo fisso sul nuovo edifi cio che stavano costruendo sul lato opposto della strada. Aveva il ventre un po’ sporgente sopra la fibbia della cin tura e i capelli grigi agitati dalla brezza. Rose si fermò a guardare con lui. «Quanti piani avrà?» chiese. «Troppi.» Lavorava al Barbizon da quando era arriva to in America, quarant’anni prima, e Rose era sicura che marcasse il proprio accento irlandese per la gioia delle si gnore. «Stavo proprio pensando ai tempi in cui il nostro palazzo era il più alto del quartiere. Sembra strano, eh? Ho visto una foto di quando torreggiava sopra le case di arenaria. E ora questo mostro di fronte sarà grosso il dop pio. Ci schiaccerà.» «Costruiscono solo grattacieli al giorno d’oggi» osser vò Rose. «Ma probabilmente è ciò che dissero mentre tira vano su il Barbizon.» Ne aveva ammirato l’architettura, la prima volta che erano venuti a vedere l’appartamento. Era un edificio solido, inconsueto. Si stringeva a mano a mano che saliva, come una torta nuziale di mattoni e pietra cal carea, e le terrazze erano decorate da archi moreschi. «Patrick, quando ha cominciato a lavorare qui?» L’uomo si girò a guardarla sorpreso. Pochi inquilini dovevano fargli domande personali. «Negli anni Settanta. Era tutto diverso, allora.» Le piacque come pronunciava le t. «Conosce molti dei vecchi residenti?» «Le signore? Certo. Le conosco tutte.»
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«E la donna che è uscita poco fa? Quella col cane?» Lui sorrise. «La signorina Darby McLaughlin. Con Bird. Una per sona singolare.» Un’inquilina dai capelli color burro si avvicinò tra ballando sui tacchi, carica di pacchetti. Patrick si staccò da Rose per andare ad aiutarla. Lei guardò l’orologio. Doveva sbrigarsi, non aveva tempo da perdere in chiacchiere, ma Patrick tornò subito. «Posso chiamarle un taxi, signorina Lewin?» «No, no.» Lei agitò una mano. «Speravo potesse dir mi qualcosa sulla signora McLaughlin.» «Signorina McLaughlin.» Era due spanne più basso di lei e la guardò sollevando la tonda faccia rubizza. «Non mi piace parlare degli inquilini, lo sa.» Patrick adorava spettegolare, ma Rose annuì tutta se ria. «Vive qui dagli anni Cinquanta, è allora che si trasferì in città. Arrivò per frequentare la scuola per segretarie.» «Sembra una donna interessante; il modo in cui si ve ste, l’atteggiamento.» «Non ha molti amici nel palazzo. In amministrazio ne non la sopportano. Ha strillato e strepitato quando le hanno detto che doveva spostarsi dal suo appartamento giù al 4B, con le altre inquiline decennali. Ha minacciato di rivolgersi all’avvocato. Ma non lo ha mai fatto. Alla fine, l’ho aiutata io a fare i bagagli e a trasferirsi. Vive della sua pensione, non poteva permettersi un’impresa di traslochi, e sono stato contento di farlo. Si ricorda sempre di me a Natale con un biglietto e un regalino.»
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L’appartamento 4B era proprio sotto il loro. Quello da cui proveniva la musica. «È stato gentile a darle una mano.» «Terribile, quello che le successe.» Patrick era un mago nel gettare l’amo. «Perché, cosa successe?» «Ci fu una colluttazione su in terrazza.» «Una colluttazione?» «Sì. Non so dirle come andò, esattamente. Lei era su con una delle cameriere. Il Barbizon era un pensionato a quei tempi, non come adesso, avevano molto personale. Comunque, le due ragazze vennero alle mani e la came riera cadde giù e morì.» «Santo cielo. Che tragedia.» «Lo so. Ricordo di aver parlato con uno dei vecchi portieri, quando cominciai a lavorare qui. Avevo notato che portava sempre il velo, non l’avevo mai vista senza. Ho chiesto: “Perché quella donna si copre il volto?”. Mi disse che non sopportava di farsi vedere, da quel fatidico giorno.» «E perché?» Una famiglia di turisti li interruppe per chiedere dove si trovasse Bloomingdale’s. Come se sapesse che Rose era sulle spine, Patrick si dilungò a spiegare la strada migliore e consigliò perfino un bistrò del quartiere dove si mangiava bene. Lei doveva proprio salire in casa. Una cena take-away avrebbe guastato l’atmosfera. Rose stava aspettando che l’ascensore scendesse da uno dei piani alti quando Patrick riapparve al suo fianco. «Comunque, come stavo dicendo... Povera signorina
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McLaughlin. Il vecchio portiere, sa, quello con cui parlai, mi disse che stava frequentando la scuola per segretarie. Era una di quelle innocenti fanciulle che arrivavano qui dalla provincia, senza sapere niente della vita, e si trovò nei guai fino al collo.» «Che tipo di guai?» «Questo non so dirglielo.» Si grattò una tempia. «Ma nella colluttazione, così la chiamarono, rimase ferita.» «Ferita?» Lui fece un movimento da un angolo della fronte fino all’occhio opposto. «Sfregiata. Con un coltello.» Rose si sentì rovesciare lo stomaco. «Rimase sfigurata da una cicatrice orribile. Povera, povera signorina McLaughlin.» Chiuse gli occhi. «Non ha più mostrato il suo viso al mondo.» Le porte dell’ascensore si aprirono e Rose entrò nella cabina, trattenendo un brivido. Aveva fatto male a chiedere.
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Ringraziamenti
Non avrei potuto scrivere questo libro senza l’incoraggia mento e l’esperta guida di Stefanie Lieberman, oltre che l’entusiasmo e l’occhio attento di Stephanie Kelly. L’inte ra squadra della Dutton merita un grosso applauso, come pure coloro che hanno esaminato le prime bozze, fra cui Lisa Nicholas, Madeline Rispoli, Lindsey Ross, Jess Rus sell, Tamra Tuller e Jamie Brenner. Quanto alla ricerca, sono grata a Carol Kirn, Joan P. Gage, Olga Jiménez de Wagenheim e alla Swing University del Jazz at Lincoln Center. Svariati libri e articoli sono stati fonte di ispirazione. Cito fra tutti The Art of Blending di Lior Lev Sercarz (di cui ho sentito parlare per la prima volta nell’ar ticolo di Alex Halberstadt su Lev Sercarz pubblicato sul New York Times), Katharine Gibbs: Beyond White Gloves di Rose Doherty, e The Puerto Ricans: A Documentary History, a cura di Kal Wagenheim e Olga Jiménez de Wagenheim. Infine, vorrei ringraziare le mie care amiche Linda Powell, Cynthia Besteman e Carrie Molay, e la mia famiglia – Brian, Dilys e Martin – per il loro incrollabile supporto.