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LOTTE R. JAMES
La governante di Thornhallow
Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: The Housekeeper of Thornhallow Hall Harlequin Historical © 2021 Victorine Brown-Cattelain Traduzione di Elisabetta Elefante Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Books S.A. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. Harmony è un marchio registrato di proprietà HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved. © 2022 HarperCollins Italia S.p.A., Milano Prima edizione I Grandi Romanzi Storici gennaio 2022 Questo volume è stato stampato nel dicembre 2021 da CPI Black Print, Spagna, utilizzando elettricità rinnovabile al 100% I GRANDI ROMANZI STORICI ISSN 1122 - 5410 Periodico settimanale n. 1290 del 19/01/2022 Direttore responsabile: Sabrina Annoni Registrazione Tribunale di Milano n. 75 dello 01/02/1992 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distribuzione canale Edicole Italia: m-dis Distribuzione Media S.p.A. Via Carlo Cazzaniga, 19 - 20132 Milano HarperCollins Italia S.p.A. Viale Monte Nero 84 - 20135 Milano
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Inghilterra, 1828 Il cigolio del calesse, accompagnato dal borbottio dell'attempato contadino che Rebecca aveva pagato al villaggio, per percorrere l'ultimo tratto di strada, si era affievolito fino a svanire del tutto. Difficile dire da quanto era lì, i piedi affondati nei solchi di fango ghiacciato, il gelido vento del nord che passava attraverso i diversi strati di lana, gli occhi fissi sulla sinistra magione che si delineava al di là della pesante cancellata di ferro battuto. Era solo una casa, in fondo. Una casa come tante. La casa maledetta, aveva mugugnato il vecchio prima di ripartire in tutta fretta. Ma per Rebecca era solo la casa presso la quale era stata assunta. Allora perché tentennava a oltrepassare il cancello e a percorrere quel lungo viale spoglio? Non era la prima casa presso la quale avrebbe prestato servizio e non sarebbe certamente stata l'ultima. Perché allora quello sfolgorante esempio di magnificenza in stile giacobino, che si ergeva sulla cima di una solitaria collina posta al centro di quelle terre di confine, imponente e magnifica nella luce di quel grigio mattino di settembre, le infondeva quasi un senso di presagio? 5
Molte erano le voci che circolavano su quella casa. Voci che Rebecca conosceva bene, racconti sussurrati a bassa voce, con malcelata apprensione. Ed era a causa di questi racconti che le era stato proposto quell'incarico, ne era più che certa. Vendette, fantasmi, misteriose sparizioni. E naturalmente omicidi. Storie raccapriccianti, a cui lei dava poco credito. Tuttavia, ora che era arrivata a destinazione, era pronta ad ammetterlo: davvero quel posto aveva un che di sinistro. E non era solo un'impressione, se lo sentiva nelle ossa. Ma no, è solo una casa! L'unica cosa che avrebbe dovuto metterle i brividi addosso era la consapevolezza di essere tornata in quella terra, così vicina al villaggio in cui era nata. Un pensiero che avrebbe dovuto rassicurarla, e invece le procurava una forte inquietudine. Non era tanto la casa, quindi, quanto l'idea di essere tornata nel luogo da cui proveniva. O per lo meno, nei paraggi. Ma non era importante. Quel lavoro faceva proprio al caso suo, e lo aveva accettato subito. Valeva la pena di tornare nei pressi delle brughiere nelle quali aveva scorrazzato da bambina; in quei territori così brulli e ostili che pure le erano rimasti nell'anima e che ora, mentre si riempiva i polmoni di quell'aria inclemente, le davano la forza di affrontare la nuova sfida. Indipendenza. Autonomia. Isolamento. E una paga più che generosa. Questo avrebbe ottenuto in cambio di ciò che per una qualsiasi governante sarebbe stato un gioco da bambini. Thornhallow Hall era, a tutti gli effetti, abbandonata. Il suo proprietario, lo stimato Conte di Thornhallow, si era ritirato dalla vita mondana ed era partito per chissà dove almeno dieci anni prima; da allora la casa era abitata da uno sparuto esercito di domestici. I motivi per cui si fosse rifiutato di chiuderla contribuivano a infittire il mistero che circondava la 6
tenuta. A questo sparuto esercito, dunque, e ora anche a lei, era affidato il compito di mantenere la casa in perfetto stato di conservazione, sebbene a gran parte di essa il proprietario negasse loro l'accesso. Rebecca avrebbe dovuto occuparsi solo di quattro stanze dell'ala principale: lo studio, la biblioteca, il salotto e la camera da letto padronale. Dovevano essere tenute in perfetto ordine, come se il conte avesse intenzione di rientrare; questo l'ordine tassativo, che lei avrebbe eseguito con il consueto zelo. Quel lavoro presentava per lei il duplice vantaggio dell'indipendenza e dell'isolamento. Sarebbe stato impegnativo, sicuramente, ma la fatica non l'aveva mai spaventata. Era pronta a rimboccarsi le maniche. Tra l'altro, dubitava di poter far peggio delle governanti che l'avevano preceduta. E comunque, se non avesse accettato Thornhallow, l'alternativa sarebbe stata un lavoro a Londra. Rebecca non l'aveva nemmeno presa in considerazione, perché mai e poi mai sarebbe tornata nella capitale. Troppo rischioso. L'ultima volta ci era mancato davvero poco. Era stata a un passo dal mandare tutto in malora. Lì invece... No, lì non sarebbero mai venuti a cercarla. Se non altro, la brutta esperienza vissuta a Londra era servita a questo: ad aprirle gli occhi, ricordandole di non abbassare mai la guardia. Di guardarsi sempre alle spalle. E di spostarsi in continuazione. Perciò Rebecca continuava a muoversi. «Troppo tardi per tirarsi indietro» borbottò tra sé e sé, fregandosi le mani intirizzite prima di sollevare la valigia e la borsa da viaggio. «E hai già preso fin troppo freddo, perciò datti una mossa.» Si decise a spingere il cancelletto laterale mezzo arrugginito e si avviò lungo l'acciottolato destinato ai visitatori che arrivavano a piedi. Dieci minuti più tardi, dopo avere suonato vigoro7
samente al campanello di ingresso, Rebecca si voltò, dando le spalle all'enorme portale di quercia che troneggiava al centro di un elegante porticato, per osservare il panorama che si ammirava da quel punto. Impressionante. Rinvigorente. Si estendeva a perdita d'occhio. A ovest, incastonato nella vallata, un villaggio circondato da pascoli. E altri casolari sparsi negli anfratti e nelle curve di quella terra rimasta allo stato brado, e tutte quelle tonalità di porpora, e rosso, e arancione. Se aguzzava lo sguardo, in una giornata d'aria limpida, forse sarebbe riuscita a vedere casa sua. Era davvero vicinissima. A quel pensiero, un brivido le corse lungo la schiena. «Mrs. Hardwicke, suppongo» tuonò una voce severa. Tornata a voltarsi, Rebecca si ritrovò a fissare un paio di vividi occhi grigi. Appartenevano a un uomo alto e allampanato, che indossava un'elegante livrea. Doveva avere una sessantina d'anni, ma il viso liscio ne dimostrava di meno. I capelli ingrigiti sulle tempie erano raccolti in un codino, come si usava tempo addietro, e le folte sopracciglia scure quasi si toccavano sulla fronte appena corrucciata. Le labbra sottili erano tirate in un'espressione contrariata, tuttavia Rebecca gli sorrise, dando per scontato di avere a che fare con il maggiordomo di Thornhallow. Se voleva farsi benvolere, aveva bisogno di alleati in quella casa. E chi meglio del maggiordomo? «Mr. Brown» rispose garbata. Si sfilò un guanto di lana e porse la mano. Su sua esplicita richiesta, Mr. Leonards, l'avvocato del conte, le aveva fornito i nomi di tutti i domestici. E Rebecca li aveva imparati a memoria, convinta che fosse importante per instaurare con loro un buon rapporto. «Perdonatemi, non mi ero accorta che avevate aperto. Molto lieta.» «Molto lieto, Mrs. Hardwicke» fece lui, sorpreso da 8
quel saluto informale e continuando a mantenere un certo contegno. Seguì una stretta di mano salda, e Rebecca sarebbe stata pronta a giurare che Mr. Brown si fosse un poco ammorbidito nel sentirla ricambiare con altrettanto vigore. «Prego, accomodatevi.» «Con piacere, Mr. Brown. Anche perché non vorrei trasformarmi in una statua di ghiaccio» celiò, e si abbassò a riprendere valigia e borsa. «Consentitemi di aiutarvi...» «Oh, no, non vi disturbate, Mr. Brown. Ce la faccio. Ho fatto tragitti molto più lunghi portandomi appresso ben altro, vi assicuro.» Sconfitto, ma contrario all'idea di insistere o di strapparle i bagagli di mano, il maggiordomo si fece da parte per farla entrare e richiuse la porta alle sue spalle. L'interno della casa era decisamente più accogliente dell'esterno, constatò Rebecca; merito anche dell'enorme camino acceso che scacciava via ogni traccia di freddo dal maestoso ingresso. Piastrelle a losanghe giocate nei toni del verde e dell'azzurro, appena sbeccate ma lucidissime, creavano un magnifico contrasto con le pareti rivestite di pannellature di legno di quercia. Nonostante i colori scuri, l'ambiente era luminoso e arioso, anche grazie alla fila di finestre alle spalle di Rebecca, che lasciavano entrare il timido sole di cui godeva quella parte così settentrionale dell'Inghilterra, e i cui raggi si riflettevano sulle pareti bianchissime del piano sovrastante. Vi si accedeva attraverso una robusta scala di legno finemente intagliato, ricoperta da un prezioso tappeto di provenienza araba. Sulla parete laterale correvano gli enormi ritratti di antenati defunti dall'aria corrucciata, che sembravano mostrare la strada per salire alla zona notte. Alla sinistra di Rebecca, oltre la scalinata, 9
vi era una serie di porte di legno che richiamavano nell'elaborato intaglio quello delle pannellature. Sarebbero di certo sfuggite all'occhio di un osservatore disattento. Erano vie di fuga per i domestici, che conducevano a scorciatoie e corridoi interni. Utilissimi per chiunque dovesse andare su e giù per quella grande casa. Che a prima vista si stava rivelando una gran bella casa. Quando le avevano prospettato quel lavoro, parlandole dell'esiguo numero di domestici che vi abitavano, Rebecca si era allarmata, immaginando di dover gestire una situazione disastrosa. Ma la sua prima impressione era decisamente positiva. Si augurò di essersi sbagliata anche su tutto il resto, compresi i colleghi che l'avrebbero affiancata. Che ne sai? In un posto così, potresti persino essere felice! «Vi accompagno nel vostro alloggio, Mrs. Hardwicke?» si offrì Mr. Brown. «Molto gentile, grazie.» Rebecca si sfilò l'altro guanto, si tolse la cuffia e la sciarpa e mise il tutto nelle tasche del vecchio cappotto. «Dopo, se non è di disturbo, vorrei conoscere il personale e visitare la casa.» C'erano altri sei domestici oltre all'amministratore, un certo Mr. Bradley che avrebbe conosciuto in seguito, perché veniva sporadicamente a Thornhallow Hall. Erano in pochi, quindi. Ma Rebecca confidava di poterli trasformare in una squadra efficiente. «Vi mostro il vostro alloggio, e immagino che avrete bisogno di un po' di tempo per rinfrescarvi» fece il maggiordomo, vedendola trafelata. «Dopo, manderò a chiamare gli altri.» «Perfetto, Mr. Brown. Molto bene.» «Lasciate pure qui i bagagli. Ci penserà Gregory a portarli da basso.» 10
Scoccandogli il suo sorriso più affabile, Rebecca fece un lieve cenno di assenso. Mr. Brown le era ostile; era così per tutti, all'inizio. Troppo giovane. Troppo sfrontata. Troppo cordiale, in confronto a quello che ci si sarebbe aspettati da una governante. Con il tempo, però, Rebecca era sempre riuscita a conquistare anche i suoi più tenaci oppositori. Ravviandosi alla meglio alcune ciocche di capelli ramati sfuggiti alla crocchia, seguì Mr. Brown lungo il corridoio che conduceva alla scala di servizio. «Venite da Birmingham, dico bene?» Le rivolgeva la parola di sua iniziativa. Buon segno, rifletté Rebecca. «Sì, esatto. La signora per cui lavoravo è mancata, e i figli hanno chiuso la casa. Perciò, eccomi qui.» «Un viaggio piuttosto lungo, Mrs. Hardwicke. Spero per voi che sia stato piacevole.» «Abbastanza, sì.» Una risposta diplomatica. Meglio non ripensare alle lunghe ore passate a sobbalzare sul sedile di posta! Ma era arrivata tutta d'un pezzo, perciò non si poteva lamentare. «E non siete sposata, se non sbaglio. Anche se vi presentate come Mrs. Hardwicke.» Di nuovo quel tono di disapprovazione, per quanto Mr. Brown si sforzasse di apparire disinvolto. Rebecca sospirò tra sé e sé, facendo attenzione ai gradini che scendevano nel seminterrato. «No, infatti. E voi, Mr. Brown? Siete sposato?» «No.» Il maggiordomo non aggiunse altro, e Rebecca chiuse la bocca. Era troppo stanca per costringere quel musone a fare conversazione, se non ne aveva voglia. Mr. Brown spinse una porta ed entrambi dovettero chinare il capo per entrare nell'ala della casa riservata al personale. In fondo al corridoio, oltrepassata la sala nella quale consumavano i pasti i domestici, vi erano le cucine e le dispense. Anche lì, tutto aveva un'aria 11
vissuta, ma era tenuto pulitissimo e in ordine; gli spazi erano ampi e luminosissimi, per una costruzione che doveva risalire almeno a un secolo prima. Alla fine, Mr. Brown si arrestò davanti a un disimpegno squadrato e buio, ed estrasse una chiave da una tasca. Rebecca attese con una certa apprensione che aprisse la porta e la invitasse a entrare, sollevando una nuvola di polvere che si adagiò lentamente per terra. La fioca luce che filtrava attraverso le sudicie finestre le permise di vedere il disordine che la attendeva, al suo interno, perché Mr. Brown non perse tempo ad accendere una lampada. Rebecca si costrinse a contenere la propria reazione, ma lo fece solo perché il maggiordomo la osservava come un falco, e non volle dargli la soddisfazione di notare il suo sconcerto. Simulò un'espressione imperturbabile; finse di non notare le traballanti e disordinate pile di documenti che ingombravano la scrivania, le sedie e il pavimento, né la polvere, le ragnatele e le foglie di tè e di tabacco ammonticchiate negli angoli e su ogni superficie della stanza. Non batté ciglio davanti ai mobili sgangherati, macchiati e graffiati, molti dei quali giacevano riversi per terra, ai libri strappati, alle matite abbandonate e alle deiezioni di animali di vario genere. Quello, si disse, era il suo tinello. Non osava pensare a cosa avrebbe trovato nell'adiacente camera da letto. «Grazie infinite, Mr. Brown» disse con un gran sorriso. Lo stupore del maggiordomo, per quanto ben celato, fu evidentissimo, e Rebecca segnò un punto a suo favore. Ci voleva ben altro per scoraggiarla. «Ci vediamo con gli altri domestici in sala... tra mezz'ora, può andare bene? Ah, e potreste farmi portare dell'acqua, per cortesia?» «Certo, Mrs. Harwicke. Vi mando subito Lizzie.» Un breve inchino e l'uomo si congedò, lasciandole 12
una chiave singola sul tavolino vicino alla porta, accanto a un mazzo di chiavi più grandi che, immaginò Rebecca, fosse quello destinato alla governante. Cioè lei. Scosse adagio il capo, ma non si perse d'animo. Afferrò la sedia della scrivania, forse l'unico pezzo dell'arredo che fosse ancora intero e apparentemente pulito, e la spostò fuori dalla porta. Ci posò sopra il cappotto, si arrotolò le maniche e tornò nella stanza, per elaborare un piano. La fredda accoglienza che le era stata riservata al suo arrivo avrebbe dovuto farla infuriare, ma Rebecca era calmissima. In quel modo gli altri domestici esprimevano con chiarezza una totale mancanza di rispetto per il suo ruolo, più che per la sua persona. E come biasimarli? C'erano state ben ventuno governanti in dieci anni, prima di lei. Ventuno persone che forse non avevano compreso l'importanza del loro lavoro, che non si erano sforzate più di tanto per entrare in sintonia con gli altri. Ebbene, quello era l'alloggio della governante, e dunque spettava a lei ripulire il disastro lasciato da chi l'aveva preceduta. C'era, ed era evidentissimo, una chiara suddivisione dei ruoli nella gerarchia della servitù. I domestici facevano la loro parte, ma le governanti prima di lei dovevano essersela presa comoda a giudicare dallo stato in cui versava la stanza, e forse anche il resto della casa, se non si erano prese la briga di sovrintendere il lavoro dei vari servitori. In momenti come quello, molti altri al suo posto avrebbero provato un senso di avvilimento o di sconfitta; Rebecca, invece, si sentiva pervadere dall'orgoglio e da un'elettrizzante eccitazione. Avrebbe ridato lustro a quella splendida casa. Avrebbe fatto tornare il sorriso sulle labbra di quel maggiordomo. Era sempre stata mossa dal fermo convincimento che la sua voca13
zione fosse mossa da un obiettivo nobile, che una governante dovesse assolvere un compito fondamentale: motivare il personale di servizio di una casa, creando una squadra compatta nel perseguire un comune obiettivo. Sì, questo avrebbe fatto. Per questo era destinata a essere lì. Lo sapeva. Lo sentiva. Quel posto, quelle persone, avevano bisogno di lei. Riporterò Thornhallow Hall al suo antico splendore, fosse l'ultima cosa che faccio. Non era un'impresa facile, su questo non si faceva illusioni. Ma Rebecca Merrickson non era il tipo da fermarsi davanti al primo ostacolo. Esattamente mezz'ora dopo il suo arrivo, Rebecca raggiungeva la schiera di compassati domestici nell'ingresso. Allineati e impettiti, sfoggiavano un'espressione irritata e annoiata a un tempo. Un po' come se stessero formulando lo stesso pensiero: Ecco, ne è arrivata un'altra. Rebecca comprendeva quello stato d'animo, come aveva compreso il motivo per cui le avevano lasciato il suo alloggio in quelle condizioni: erano tutti convinti che non sarebbe durata più di un giorno, o una settimana, nella migliore delle ipotesi. Non si sarebbe sorpresa se avessero addirittura scommesso su questo. Non pretendeva di conquistarli tutti nel giro di pochi giorni; sapeva, tuttavia, di dovere costruire quanto prima le solide basi di un rapporto che non poteva prescindere dalla fiducia e dal rispetto reciproco, e per farlo era necessario dimostrare ai colleghi di essere dalla loro parte. Dovevano vederla come un valido e saldo punto di riferimento. Passandoli in rassegna, Rebecca cercò di associare i vari nomi ai visi e alle mansioni che le erano stati indicate da Mr. Leonards. Chiamare ciascuno di loro con il proprio nome poteva aiutarla a dare una buona impressione. Due li conosceva già: Mr. Brown e Liz14
zie, la giovane cameriera che le aveva portato il catino dell'acqua. Per gli altri doveva tirare a indovinare, ma non sarebbe stato difficile Il donnone paffuto dall'aria materna, che in quel momento la guardava di traverso, era sicuramente Mrs. Murray, la cuoca. La ragazza minuta con gli occhi furbetti che le stava accanto doveva essere la sguattera di cucina, Betsy. Restavano i tre uomini. Il più grande, che indossava braghe di ruvida lana, giacca e logora camicia di lino, doveva essere lo stalliere, che si chiamava Tim. Capelli scompigliati, folte ciglia scure e viso aperto, sembrava avere l'indole tranquilla di chi sapeva prendere i cavalli per il verso giusto. Il giovanotto alla sua sinistra vestiva allo stesso modo; occhi chiari, un gran sorriso stampato in faccia, doveva essere Sam, il mozzo di stalla. Per esclusione, il fascinoso giovanotto biondo in livrea non poteva essere che Gregory. «Buon pomeriggio» esordì Rebecca con voce ferma e risoluta. «È un piacere per me essere qui a Thornhallow e fare la vostra conoscenza. Come sicuramente sapete, sono Mrs. Hardwicke, la nuova governante della casa.» «Benvenuta a Thornhallow, signora» fece Tim, impacciato. «Io sono...» «Tim. Dico bene?» «Sissignora» rispose lui, sgranando gli occhi per la sorpresa. «Grazie per questa calorosa accoglienza.» Calorosa era una parola grossa, ma un po' di adulazione poteva tornarle utile. «Siete il responsabile delle scuderie, mi pare.» «Sissignora.» «E dovete occuparvi di due giumente oltre che del purosangue, che apparteneva al vecchio conte.» Tim annuì, sempre più sorpreso. Anche gli altri avevano cambiato espressione. 15
Rebecca poteva dirsi soddisfatta: ora aveva la loro attenzione. «Oltre a occuparvi delle stalle, voi e Sam» disse, spostando lo sguardo sul giovane mozzo di stalla, che la ripagò con un sorriso compiaciuto, «procurate la selvaggina e fate i giardinieri, a quanto mi risulta.» «Be', giardinieri...» rise Sam, rimediando una sgomitata nelle costole da Tim. «Sì, insomma, facciamo quello che possiamo, Mrs. Hardwicke. Non ci ha insegnato nessuno, ecco. Greggy... cioè, Gregory ne capisce un po' di rose, e io gli do una mano.» «A quanto ho sentito, ve la cavate bene. Appena avrete un momento libero, farei volentieri un giro in giardino. E voi, Gregory» aggiunse, rivolgendosi al giovane in livrea, «se ho ben capito, a parte il giardino, affiancate Mr. Brown nel servizio.» «Sì, Mrs. Hardwicke.» «Molto bene. E voi siete Mrs. Murray, immagino.» Ora Rebecca si era rivolta al donnone paffuto, che non ebbe il tempo di rispondere. «La rinomata cuoca di Thornhallow.» «Non esageriamo» disse Mrs. Murray, arrossendo. «Non esagero affatto. In carrozza ho parlato con un certo Mr. Hardy. Non ha fatto che decantarmi le vostre doti, dicendo che non c'è cuoca migliore di voi in tutta l'Inghilterra.» «Che sciocchezze...» «Be', non vedo l'ora di assaggiare le vostre prelibatezze, per scoprire se ha ragione. Appena mi sarò sistemata, spero sarete così gentile da mostrarmi i menu della settimana e le dispense.» «Con piacere, Mrs. Hardwicke.» «Betsy, giusto?» La giovane sguattera fece una rapida riverenza, guardando di sottecchi prima Rebecca, poi Mrs. Murray. «Piacere di conoscervi. Immagino che siate un aiu16
to impagabile per Mrs. Murray.» Rebecca si vide rispondere con un sorriso intimidito, e si spostò su Lizzie. «Noi invece ci siamo già incontrate, Lizzie. Sono certa che diventerete presto un aiuto impagabile per me.» «Come dite voi, signora» fece la giovane, poco convinta, scambiandosi una rapida occhiata con Gregory. «Perfetto. Ora, voglio che sappiate che potete fare riferimento a me per qualsiasi cosa. Da quello che vedo qui in casa, non ho nulla da eccepire sul vostro operato; ma appena avrò avuto il tempo di sistemarmi, troveremo il modo di apportare anche qualche piccola miglioria qua e là.» Se un istante prima era riuscita ad ammorbidire il resto del personale, con quell'uscita Rebecca tornò a inimicarseli tutti. Erano di nuovo contrariati. «Un'ultima cosa, e vorrei che fosse chiara» concluse. «Sono qui per restare. So bene che ora come ora non lo ritenete possibile, ma è così. Non vi chiederò mai di svolgere un lavoro che non svolgerei o che non abbia mai svolto di persona. Rispetterò le vostre opinioni e vi darò fiducia. Vi chiedo solo di fare altrettanto con me.» Concluso quel succinto discorsetto, si girò verso Mr. Brown, che aveva volutamente evitato di guardare fino a quel momento. La sua espressione fiera e severa non era mutata; tuttavia Rebecca intuiva di essere riuscita a smuoverlo dalla sua posizione così intransigente. Aveva un bisogno disperato di un alleato. Di portarlo dalla sua parte. Di convincere lui, e tutti quanti gli altri. «Bene. Vi ringrazio per questa... rassicurante presentazione, Mrs. Hardwicke» disse il maggiordomo, venendo fuori dalla fila. «Ora diamo a Mrs. Hardwicke il tempo di sistemarsi. Noi, invece, torniamo alle nostre occupazioni.» Si accomiatarono tutti con brevi cenni del capo, a 17
parte Mrs. Murray che si attardò un istante per rivolgerle un gran sorriso prima di affrettarsi a tornare al piano sottostante. Mr. Brown attese che fossero soli e le si avvicinò, serissimo. «Sembrano simpatici» osservò lei, gioviale. «Una squadra affiatata.» «Oh, sì. Moltissimo. Vi accompagno a fare un giro della casa?» propose Mr. Brown, con la faccia di un condannato a morte diretto al patibolo. «Se non vi spiace, preferirei visitarla per conto mio, per imparare a orientarmi» gli rispose. «Anche perché immagino che abbiate incombenze ben più importanti di cui occuparvi.» «Come desiderate. La cena è servita alle sette» la informò l'uomo, apprestandosi ad accomiatarsi. «Solo un piccolo consiglio, Mrs. Hardwicke. Per quanto immagini che il vostro piglio intraprendente vi sia tornato utile in passato, se davvero è vostra intenzione restare a Thornhallow in pianta stabile, ricordatevi che, se le cose qui vanno in un certo modo, ci sarà un motivo.» «Grazie per la premura, Mr. Brown. Lo terrò a mente.» Il maggiordomo la salutò con un breve cenno del capo e si avviò verso il corridoio. Le cose qui vanno in un certo modo... sì, c'era senz'altro un motivo. Ma potevano anche andare meglio, no? Quello sparuto gruppetto di domestici riusciva a tenere in piedi la casa, che però aveva tutt'altro potenziale. C'erano tante cose che si potevano migliorare; bisognava soltanto decidere da dove cominciare. Rebecca non si sarebbe accontentata di lasciare le cose come stavano perché si poteva andare avanti benissimo così. Altrimenti, che gusto c'era? Il punto d'inizio era un giro della casa. Doveva rendersi conto della disposizione delle 18
stanze, di come erano arredate, poi stabilire in che modo e in che misura era il caso di occuparsene personalmente. Ed elaborare un piano d'azione. Non c'era obiettivo che non si potesse raggiungere, con un piano ben congegnato. Ne era più che convinta. «Scusate il ritardo» disse diverse ore più tardi, presentandosi nella sala da pranzo della servitù. Venne accolta da una fila di musi lunghi e affamati. Costringere i domestici ad aspettare più del dovuto non era il modo migliore per entrare nelle loro grazie, ma il giro di quella casa enorme si era protratto più del previsto. Ed elaborare un piano sarebbe stato ben più complicato di quanto aveva immaginato. «Ho perso la cognizione del tempo, temo. Vi chiedo scusa, Mrs. Murray» aggiunse, notando il cupo cipiglio della cuoca. «Spero che la cena con cui avete pensato di deliziarci stasera non si sia freddata, a causa del mio ritardo.» «Oggi c'è stufato di montone» sbuffò la donna, facendo cenno a Betsy di prendere il tegame. «Perciò credo che si sia tenuto in caldo.» «L'odore è invitante. Prego, accomodatevi» invitò tutti Rebecca, prendendo posto all'estremità del tavolo opposta a quella in cui sedeva Mr. Brown. «Non so voi, ma io ho un certo appetito.» Gli altri si affrettarono a sedersi, mentre la cuoca e la sguattera riempivano i piatti, prima di accomodarsi a loro volta. Sedevano alla stessa tavola con loro, e lei trovò che fosse una buona idea. Con un personale così ridotto, e in una situazione anomala come quella in cui si trovavano, le sembrò giusto e opportuno. «Come è stata la visita alla casa?» le chiese Mr. Brown, attaccando lo stufato. «L'avete trovata istruttiva?» «Istruttiva mi sembra la parola adatta, Mr. Brown.» 19
Per la verità, a Rebecca ne venivano in mente tante altre. Sconfortante. Avvilente. Aveva scatenato in lei quasi un senso di rabbia. Una vera e propria chiamata alle armi. Era rimasta seduta per quasi un'ora davanti alla finestra della lunga galleria al primo piano, quella in cui erano appesi i ritratti di famiglia, con lo sguardo perso a guardare fuori, in direzione del magnifico parco. Intanto si era sentita addosso gli sguardi dei fieri antenati: sembravano quasi deridere quella nuova arrivata che, ingenuamente, aveva pensato di poter fare grandi cose, e che invece cominciava a rendersi conto dell'enorme responsabilità che pesava sulle sue spalle. Le quattro sale rimaste aperte erano tenute in modo impeccabile, come se fossero abitate. Venivano regolarmente spolverate, pulite, ordinate e arieggiate per essere pronte ad accogliere quel padrone che non si vedeva da anni, e che forse mai si sarebbe ripresentato. I camini erano accesi, i cristalli e gli argenti venivano lucidati, e sui mobili non c'era un solo granello di polvere; persino la boccetta dell'inchiostro sullo scrittoio del conte veniva riempita ogni due giorni. Rebecca aveva dovuto avventurarsi nel resto della casa per rendersi conto dello stato di abbandono in cui versava. L'unica stanza in cui aveva trovato una flebile traccia di vita era la veranda, che Mrs. Murray si era presa la libertà di occupare con le sue piante e i vasi delle erbe aromatiche. Per dirla in parole povere, la casa non era abitabile. Pur splendida nella struttura e negli ambienti, appariva decrepita. Ovunque regnava un senso di desolazione, di abbandono. E lei poteva fare ben poco. Non era giusto. Sentiva che una casa del genere meritava ben altro. Tenere aperte solo poche stanze e chiudere le altre che non venivano usate... sì, era una cosa che i nobili a volte facevano, ma in questo caso, era un vero peccato. Se mai avesse incontrato il conte, non si sarebbe fatta scrupolo di dirgliene quattro. 20
I domestici la pensavano come lei, ne era più che convinta. Essere costretti a vivere in un posto che sembrava morto, a svolgere ogni giorno il proprio lavoro per un padrone che non c'era in quel piccolo mondo chiuso, privo di contatti con l'esterno... Erano disamorati, privi di stimoli; non c'era da meravigliarsene. E tra l'aria opprimente che si respirava in casa e le storie dei fantasmi che la infestavano, ora Rebecca si spiegava anche il perché di tutte quelle governanti che l'avevano preceduta. Non che lei si fosse imbattuta in qualche fantasma, durante il suo giro della casa. Scosse il capo e tornò al presente. «Ho preso una decisione» annunciò. «La mia impressione è che per troppo tempo questa casa sia stata abbandonata a se stessa. E di questo passo, non resterà in piedi ancora per molto.» Si udì il rumore metallico delle posate che cadevano sui piatti e il mormorio trasecolato dei presenti, che la fissarono sgomenti. Impassibile, Rebecca continuò a gustare il delizioso stufato di Mrs. Murray accompagnandolo con una fetta di pane di segale, ancora caldo. «Volete dire che avete intenzione di...?» «Di riaprire ogni singola stanza della casa, dopo averla opportunamente restaurata. Sì, Tim, è questo che intendo fare» spiegò, risparmiando allo stalliere la fatica di trovare le parole giuste per esprimersi. Lo sguardo di Mr. Brown si fece affilato al punto da apparire minaccioso. «Forse le indicazioni che vi sono state impartite da Mr. Leonards non sono state chiare e possono avervi fuorviata. La casa deve restare così com'è.» «Le indicazioni erano chiarissime. Ma ho deciso di non seguirle.» «Vorreste disobbedire al padrone?» Mrs. Murray si strozzò con la propria saliva. «Ma io non...» 21
«Se Sua Grazia dovesse decidere di onorare Thornhallow della sua presenza, sarò ben felice di discuterne con lui, Mrs. Murray. Fino ad allora, mi rifiuto di starmene qui a guardare questa casa che cade a pezzi, se posso fare qualcosa per impedirlo.» «Mrs. Hardwicke, siete in questa casa da meno di un giorno» le fece notare Mr. Brown, sforzandosi di usare un tono conciliante. «Non sono sicuro che comprendiate...» «Ci sono finestre che non vengono aperte da dieci anni» lo interruppe Rebecca, accalorandosi. Ripose le posate e guardò tutti, uno per volta. «Se non interveniamo subito, se e quando il padrone si degnerà di tornare, non troverà nulla. Una governante ha il compito di governare la casa, di tenerla in piedi, ed è quello che intendo fare. Avete svolto le mansioni che vi erano state assegnate con devozione e lealtà, e non vi chiederò di disobbedire al conte. Mi occuperò io stessa di quello che va fatto; chiederò semmai il vostro aiuto solo per spostare oggetti pesanti o cose del genere. C'è anche un'asse che va sostituita nel pavimento della galleria, al secondo piano, e qualche altra piccola riparazione per la quale avrò bisogno di assistenza. Ma a parte questo, non intendo chiedervi nulla. Sono pronta ad assumermi ogni responsabilità della decisione che ho preso, contravvenendo agli ordini ricevuti.» La fissarono tutti a bocca aperta, con un misto di ammirazione e di sconcerto. Rebecca ebbe l'impressione che, per quanto terrorizzati all'idea di disobbedire al loro padrone, in fondo sapevano che aveva ragione. Buona parte di loro, per lo meno. Mr. Brown, invece, continuava a guardarla con un'espressione bellicosa, quasi assassina. «Sembrate decisa a procedere in questo modo.» Era una constatazione la sua, non una domanda. «Perciò fate pure. Ma agite con prudenza. Ci sono cose che non vanno alterate per nessun motivo.» 22
«Mi muoverò con la massima cautela, Mr. Brown. Grazie per avermelo ricordato» replicò lei, in tono altrettanto tagliente. «Ma sapete bene, come sapete tutti quanti voi, che questa casa è una tomba. È un posto buio, tetro e triste.» Il silenzio che seguì, accompagnato da sguardi furtivi e teste chine, fu per Rebecca una conferma delle sue parole. «Thornhallow Hall è una casa stupenda. O per lo meno, con un piccolo sforzo, può tornare a esserlo. È giusto che torni a esserlo.» «La governante siete voi» disse dopo un momento il maggiordomo, sconfitto. «Perciò nessuno può impedirvi di fare quello che vi aggrada.» Questo, però, non significa che siamo d'accordo, né che vi aiuteremo, comprese Rebecca mentre tutti tornavano a mangiare, in silenzio. «E un'altra cosa, Mr. Brown» aggiunse. «Mancano alcune chiavi dal mazzo che mi avete lasciato.» «Ci sono tutte. Ho controllato io stesso, prima che andasse via l'ultima governante.» «Mi spiace contraddirvi, ma vi sbagliate. Ne manca almeno una. Quella della torre orientale» insistette Rebecca, ignorando il brivido che l'aveva percorsa quando era passata davanti a quella porta, udendo quello strano suono al suo interno... Il sibilo del vento. Di questo si era trattato, si convinse mentre gli altri si scambiavano strane occhiate, tenendo la bocca ostinatamente cucita «La torre orientale è chiusa.» Stavolta era stato Tim a parlare, con un tono addolorato che Rebecca non si sarebbe aspettata di udire nella sua voce. «Lì non ci va mai nessuno.» «Erano le stanze della signorina» mormorò Lizzie, intimorita. «Tim voleva dire che la torre è stata chiusa dal pa23
dre di Sua Grazia» spiegò Mr. Brown, incenerendo lo stalliere con un'occhiataccia. «E la chiave è andata perduta. Sono stanze vuote.» Visto il modo in cui avevano reagito tutti quanti quando aveva nominato la torre, Rebecca non gli credette. Ma quali che fossero i segreti custoditi in quelle stanze, potevano aspettare. Aveva altre battaglie da combattere. Il resto della servitù poteva non essere d'accordo, ma lei sapeva già cosa fare. Non era andata a Thornhallow per farsi degli amici, e la sua presa di posizione poteva costarle il posto; ma doveva pur fare un tentativo di riportare la vita in quella casa. Finito di cenare, sparirono tutti dopo averle scoccato l'ennesima occhiata torva. Rebecca si ritirò nelle sue stanze e passò buona parte della notte a ripulirle. Olio di gomito e tanta buona volontà. Ma anche tanta pazienza. Di questo doveva armarsi. Non sarebbe rimasta seduta a girarsi i pollici, mentre Thornhallow cadeva a pezzi. Non se poteva fare qualcosa per salvarla. Forse non importava a nessun altro; meno che mai al conte, che era sparito chissà dove. E che forse non si sarebbe mai preso la briga di ripresentarsi in quella casa. Meglio per lei: aveva tutto il tempo per farla tornare a risplendere come meritava.
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