La musica nelle tue parole

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serena nobile

la musica nelle tue parole


ISBN 978-8-86905-201-9 Titolo originale: La musica nelle tue parole © 2017 Virginia de Winter Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. © 2017 HarperCollins Italia S.p.A., Milano Prima edizione HarperCollins giugno 2017


Dedica

A Pamela, come sempre. A Roberta. Maybe.

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Dedica

Quelli che non hanno mai provato niente, non possono cantare. Enrico Caruso, tenore



Prologo

Roma, 2002 Ludovica Lanfranchi era ferma al centro della stanza. Quando si voltò, mostrò il volto rigato di lacrime e gli occhi grigi che mandavano lampi di collera. Era magra fino all'inverosimile, pensò Vittoria. E non per la prima volta si ritrovò ad ammirare la malsana, affascinante armonia delle ossa che sporgevano dalle spalle e le clavicole pronunciate sotto il panneggio del top nero dalle spalline sottili, che avrebbe fatto apparire qualunque ragazza una balena. Qualunque... eccetto Ludovica. Quell'indumento alla moda cadeva perfettamente lungo il torso magro, dal seno impercettibile, fino ai fianchi inesistenti fasciati da un paio di pantaloni di pelle nera. Era sera e Ludovica sembrava pronta per uscire, almeno a giudicare dai tacchi a spillo. Il trucco sbavato intorno agli occhi li faceva risaltare, enormi sul volto magro e appuntito. I capelli lisci e biondi ricadevano intorno alle guance con la lucente perfezione che tutto il mondo le invidiava. 9


«Esci subito» disse Vittoria, aspra. «Questo è davvero troppo. Non hai alcun diritto di stare qui dentro; tra l'altro mi pare di ricordare che la porta fosse chiusa a chiave.» «Credi che una stupida serratura possa fermarmi?» Ludovica si passò una mano sul viso lasciandosi un'ombra scura di mascara sullo zigomo. «Siete delle bastarde maledette» dichiarò. «L'ho sempre saputo, ma non pensavo che sareste arrivate fino a questo punto.» Vittoria sollevò il mento, altezzosa. «Se hai finito, puoi andartene.» «Non ho nemmeno cominciato.» Alzò la mano destra e Vittoria si sentì impallidire. «Che cosa sta succedendo?» Catherine, il bel visino rannuvolato, aveva appena spalancato la porta, pronta a dare battaglia, ma, quando il suo sguardo cadde sulla mano di Ludovica, perse all'istante la parola. «Come avete potuto?» strillò Ludovica. «Di tutte le azioni rivoltanti che mi aspettavo da voi, nemmeno io avrei mai creduto che sareste arrivate a spiarmi in questo modo.» Il fascio di lettere era nella sua mano. Le aveva scoperte, aveva capito tutto. «Sei stata ingenua.» In tutta quella confusione di urla, nessuno si era accorto dell'ingresso di Eleonore che, con la consueta freddezza, aveva chiuso la porta e vi aveva appoggiato la schiena, fissando Ludovica senza traccia di vergogna o di colpa nello sguardo. «Ti sei fidata. Questo non è un problema nostro.» 10


Ludovica sollevò le lettere e cominciò a farle a pezzi con metodo. «Non serve» disse Catherine, quasi con dolcezza. «Le abbiamo lette.» «Se raccontate qualcosa io vi ammazzo. Dov'è quell'altra puttana della Mornier?» «Attenta a come parli di Bianca» sibilò Vittoria. «E comunque non credo tu sia nella posizione di minacciarci.» Ludovica inarcò entrambe le sopracciglia. «No?» Gettò i frammenti di lettere accartocciate per terra e le calpestò con rabbia. «Londra» disse. «Come ho potuto essere così stupida da non pensare che ci fosse lei dietro?» Indicò Catherine con uno scatto del mento. Per tutta risposta Vittoria sorrise. «Risponditi da sola. La cattiveria non paga, mia cara. Dovevi aspettartelo che prima o poi qualcuno ti ricambiasse con la tua stessa moneta.» «Vi state riferendo a quella ladruncola? La bambina stracciona?» gridò Ludovica. «Lo avete fatto per lei?» «Oh no, è tutto in tuo onore...» sussurrò Eleonore. «Lo abbiamo fatto per te. Perché sei una stronza.» «Questo è assurdo. Siete delle nullità, tutte e cinque.» Un breve bussare alla porta, alle spalle di Eleonore, le distrasse per un momento di troppo. «Aprite» disse la voce di Bianca. «Sta arrivando Suor Maria Adelaide.» Fu un momento e Ludovica scagliò per terra una 11


bottiglia di profumo presa da un tavolo e ci gettò sopra l'accendino acceso. Immediatamente si levò una fiammata, puzza di bruciato e di Chanel n. 5, forte fino a soffocarle. «Ma che cosa sta succedendo?» Bianca si infilò in una fessura della porta. «Vi si sente gridare fino dal salotto!» Si fermò di botto e guardò le fiamme sul pavimento, poi si coprì la bocca con una mano. «Avrei dovuto capirlo» disse Ludovica, con una calma glaciale. «Immagino che il vino sia una tua idea.» Si voltò verso Eleonore, che rispose portandosi due dita alla fronte, in un saluto beffardo. «La musica è roba tua» continuò, guardando Vittoria. «L'elisir d'amore, a chi poteva venire in mente se non a una che studia canto?» È colpa mia, si disse Vittoria. Di colpo le parve di avere lasciato le proprie impronte in tutta quella faccenda, come un assassino con le mani sporche di sangue che non riesce a fare a meno di toccare tutto ciò che ha intorno. Bianca, che buttava una coperta sul pavimento per soffocare le fiamme, la distolse da quel pensiero. Approfittando della confusione, Ludovica era già sulla porta. «Suor Maria» gridò a voce altissima. «Qui dentro hanno dato fuoco a qualcosa, ho sentito il fumo dalla mia stanza.» I passi pesanti della religiosa risuonarono nel corridoio insieme al rumore di porte sbattute e voci femminili. 12


«Che sta succedendo?» gridò qualcuno. «C'è puzza di fumo!» Ludovica sorrise dalla soglia. Un sorriso cattivo tra gli occhi pieni di lacrime. «Tenete la bocca chiusa o giuro che vi faccio ammazzare» proferì, a bassa voce. «Vi rovinerò la vita. Lo giuro, fosse l'ultima cosa che faccio.»

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ECCO UN ARTISTA (Tosca) Napoli, 2016 Come tutto ciò che si prende troppo sul serio, nell'opera lirica il passo dalla solennità al ridicolo è terribilmente breve, pensò Vittoria, valutando il numero di risvoltini che rivelavano i calzini a righe del Carceriere, più adatti a una sessione di pesca alla trota salmonata che alla mise en scène della Tosca di Puccini. Tra l'altro Tosca, considerò, pur essendo uno dei pezzi migliori del suo repertorio, lei non l'aveva mai capita sul serio. Insomma: se il suo ragazzo avesse ritratto un'altra donna gli avrebbe ficcato i pennelli laddove sarebbe stato molto complicato tirarli fuori, non senza un delicato intervento di chirurgia rettale, almeno; e poi lei non si sarebbe mai messa con un pittore. Non bisogna fraintendere, una delle sue migliori amiche era una fotografa ma, con la sola eccezione di Bianca, avere a che fare con gli artisti a tempo 14


pieno era faticoso. Un presidio psichiatrico permanente. E poiché la sua vita già pullulava di artisti, lei avrebbe gradito qualcuno che non ritenesse le crisi uno stile di vita. Per esempio, l'anno precedente, al Regio di Parma, il baritono, reduce da una straziante rottura con un tenore coreano, era scoppiato in lacrime dichiarandosi emotivamente incapace di affrontare il lieto fine de Il barbiere di Siviglia. Davanti agli occhi del regista doveva essere apparsa la scena del debutto dell'opera rossiniana, quando, duecento anni prima, era affogata in un oceano di fischi e generi commestibili lanciati dal loggione; così Raniero si era rinchiuso in una stanza di suppellettili in disuso e si era raggomitolato in una coperta, proprio sopra un vecchio divano dove si erano languidamente adagiate un paio di traviate. A ogni modo, se lei avesse potuto scegliere, avrebbe optato per qualcosa di più convenzionale. Un medico, per esempio, rifletté pensando all'intera stagione di Grey's Anatomy che aveva guardato con l'ausilio di due pizze enormi, il weekend precedente. Forse non era una buona idea, pensò subito dopo, corrugando la fronte: visto l'andazzo della serie tv, si sarebbe ritrovata vedova quanto prima. Era noto che lì il tasso di mortalità del personale medico e infermieristico superava di gran lunga quello dei pazienti. «Tosca» disse qualcuno. «Uhm» brontolò lei in tono poco melodico. 15


«Tosca, ti vuoi muovere?» Era sicura che il dramma di Sardou e il libretto di Giacosa e Illica non prevedessero una battuta del genere, soprattutto declinata nella parlata napoletana. Vittoria si spostò dietro la parete di compensato che la celava e controllò la situazione. L'Ufficiale e il Sergente stavano accompagnando Mario Cavaradossi a farsi ammazzare, i fucilieri guardavano con discrezione l'orologio, dietro le quinte uno dei tecnici parlava al cellulare. Mario rifiutò la benda e il sorriso sdegnoso delle belle labbra carnose suscitò un coro di sospiri in una mandria di ragazzine della scuola di ballo, che tendevano a pascolare da quelle parti quando sul palcoscenico c'era lui. Grazie al cielo, per quel giorno avevano quasi finito le prove di regia e tutto era filato abbastanza liscio. Un quarto d'ora e Vittoria sarebbe stata libera prima di buttarsi – per esigenze di scena – dai bastioni di Castel Sant'Angelo e poi di farsi un aperitivo – per le sue di esigenze. Trattenne uno sbuffo di impazienza e la sua limpida voce da soprano si levò, sommessa e melodiosa. «Com'è lunga l'attesa... Perché indugiano ancor?» Il pesante sospiro di un altro tecnico comunicò che Floria Tosca non era l'unica a porsi quella domanda. L'Ufficiale e il Sergente impartirono gli ordini ma il plotone d'esecuzione, che non vedeva l'ora di 16


andarsene a casa, era già pronto con i fucili in spalla. Il regista aveva un'espressione contrariata, però era la quinta volta che provavano la scena e, se ne avesse richiesto una sesta, avrebbe dovuto arrangiarsi da solo. «Ecco. Apprestano l'armi» cantò Vittoria e, dopo una pausa infinitesimale, aggiunse: «Com'è bello il mio Mario». D'improvviso si fece silenzio, molti sguardi stupiti si volsero nella sua direzione. Una maestra di canto, in platea, annuì. Bello, lo era davvero. L'uomo più affascinante mai visto al Teatro San Carlo, dicevano, e, considerando che il Real Teatro era prossimo al suo trecentesimo compleanno, poteva considerarsi un primato notevole. Primate, si corresse Vittoria, richiamandosi all'ordine. Primate. Il tenore, Lorenzo Ruiz de Silva, era alto quasi un metro e novanta e sfoggiava una muscolatura delle spalle ben in evidenza sotto la camicia di sartoria, che disegnava in modo splendido un busto degno di una statua: torace ampio, braccia forti. Si presentava alle prove vestito come un uomo d'affari, camicie con la cifra, completi tagliati su misura, l'immancabile cravatta di Marinella, colonia discreta. I teatri se lo contendevano, perché garantiva un tutto esaurito non appena il suo nome compariva in cartellone. La gente spendeva cifre astronomiche per i posti in platea, soltanto per essergli più 17


vicina. La sua voce era magnifica, un timbro ricco e scuro che si addiceva ai ruoli drammatici, l'estensione e il volume erano eccellenti. La sua presenza scenica incredibile. Quando, poco prima, aveva intonato l'aria E lucevan le stelle, nell'intero teatro era calato un silenzio estatico. Le maestranze avevano smesso di lavorare, i tecnici si erano sporti dalle loro postazioni; finanche gli addetti alle pulizie si erano affacciati dai palchi e un gruppo di turisti si era rintanato all'entrata, dietro le tende, rubando un momento di puro rapimento. In quel momento, da solo contro un finto bastione, dominava con lo sguardo una dozzina di uomini con le armi spianate, e sul suo volto si leggeva solo sicurezza. E che volto! La carnagione olivastra e bruna, i capelli nerissimi e gli occhi di un verde scuro e limpido, i tratti cesellati e mascolini. Lorenzo scoccò un'occhiata a uno dei fucilieri, che era appena un ragazzo e arrossì fino alla radice dei capelli. Nel teatro risuonò un colpo a salve, e il sospiro del regista rimbombò ancora più forte. Il tenore sorrise, il volto caratterizzato dalla lieve asimmetria delle sopracciglia che gli conferiva sempre un'espressione ironica. Ma in quel momento vi si leggeva solo incoraggiamento. Mario Cavaradossi attendeva l'esecuzione con tranquillo coraggio, bella prova per uno a cui era stato confidato che si trattava di una farsa, pensò Vittoria con una punta di acidità. Tuttavia Lorenzo era l'incarnazione del controllo, la sua perfetta 18


cortesia, il suo distacco lo ponevano al di sopra di chiunque lo circondasse; se ci fosse stato davvero lui davanti a un plotone d'esecuzione, consapevole di dover morire, lei dubitava che avrebbe battuto ciglio. Che stoccafisso, pensò; lo avrebbe volentieri preso a calci sui denti. Uno dei più celebri aneddoti del San Carlo narrava che una volta il tenore Nicola Martinucci avesse cantato così male che, dopo la fucilazione, fosse partito un applauso fragoroso e spontaneo in tutto il teatro. A Macerata, invece, negli anni Novanta, al povero Armiliato avevano sparato davvero, mandandolo in ospedale. Con buona pace di chi sosteneva che il Macbeth fosse maledetto, la Tosca era la quint'essenza della scalogna. Vittoria si disse, speranzosa, che dopotutto c'era anche solo una vaga possibilità di non ritrovarselo a cena, Lorenzo. L'ufficiale abbassò la sciabola, dando il segnale di sparare. «Là! Muori!» cantò Vittoria con tutto il cuore. I fucilieri spararono, Mario crollò sulle ginocchia e poi in avanti. «Che cavolo» disse una delle ragazzine della scuola di danza. «Mi sono spoilerata il finale.» Spoletta si chinò sul corpo immobile per controllare il decesso in un'ottima versione di CSI Napoli, poi lo coprì con un mantello. Vittoria fece un passo avanti, preparandosi a tornare a scena aperta per la sua più grande prova 19


di recitazione: fingersi addolorata per la morte di Lorenzo Ruiz de Silva. L'unico pensiero confortante era che da lĂŹ a poco si sarebbe lanciata dal parapetto urlando O Scarpia, avanti a Dio! sperando di schiantarsi davvero per non doversi sedere a tavola, quella sera.

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Sono riuscita nella barbara impresa di scrivere questo libro in meno di due settimane. Quindi il primo ringraziamento va a chi mi ha salvato dal morire male per mano altrui: grazie inventore degli ansiolitici, ovunque tu sia, ti devo la vita. Scherzi (e non) a parte, questo libro non esisterebbe senza Pamela Ruffo – come d'altro canto, tutti gli altri – quindi, tesoro, grazie in quel dell'Inghilterra, da dove continui a seguirmi. Grazie alle istituzioni di HarperCollins che fingevano di credermi a ogni "Praticamente è pronto, la prossima settimana consegno!", quindi ad Alessandra Roccato e alla tenera Cristina Ferrando che mi sopporta ormai da un sacco di tempo. A Laura perché, sicuro, senza di lei non avrei nemmeno avuto il coraggio di scriverlo. A questo punto bisogna citare la mia Grande Consulente, la meravigliosa Marta Calcaterra, soprano, star e grandissima conoscitrice del mondo della lirica, che mi ha guidato quando non avrei nemmeno saputo da dove cominciare nel descrivere la vita degli artisti dell'opera. La trovate sul suo sito: https://www.martacalcaterra.com e in tour per i teatri a deliziare il mondo con la sua voce e la sua dol281


cezza. Marta, cara, sei stata meravigliosa: scusa se di tanto in tanto le esigenze della narrazione hanno tralasciato la precisione con cui mi hai spiegato tutto ciò di cui avevo bisogno. Poi, naturalmente, c'è Commare (disagio), la mia carissima Giusi, che non so come non mi abbia assassinata anche con la sola forza del pensiero, e Roberta, con la sua profonda conoscenza dei libri e la sua immensa vicinanza. Maybe, tesoro. Must be. I personaggi di questo libro sono frutto dell'invenzione eccetera eccetera, tranne uno. Pietro. Ebbene sì, il povero Pietro è esistito davvero. Si tratta del pappagallo del nonno di Valentina Orani, grande amica e grandissima persona, che mi raccontò le sue avventure nella serata di perdizione che seguì la mia prima comparsa in pubblico a Lucca Comics. Vale, spero di aver reso giustizia a Pietro e che prima o poi ci riammettano al Mago dei Vini. Anche il Commissario Ferrari ha un suo corrispondente, la grande Marta Ciacci che, anche in questo libro, ha ispirato la sua figura. Quasi tutti gli aneddoti narrati sono tratti da: Tutti i disastri all'opera (Hugh Vickers, Pagano Editore, Napoli, 1997) e Opera, che follia! Spiando dietro le quinte del melodramma dal 1600 ad oggi (Enrico Stinchelli, Bongiovanni editore, Bologna, 1992) libri che vi consiglio di leggere per il loro potenziale spassoso e per la finestra inedita che aprono su questo mondo così particolare. Grazie a Maria Chiara e Carlotta, sempre al mio fianco quando mi lancio in progetti improponibili, e 282


a Leila e Valentina, perché per merito del Tribunale il Bere trionferà sempre sul Male. Grazie a tutti perché, come sempre, scrivere per voi è stato un onore. Roma, 30 aprile 2017

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Questo volume è stato stampato nel maggio 2017 presso la Rotolito Lombarda - Milano




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