LENORA BELL
La perfetta ''English rose''
Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: How The Duke Was Won AVON BOOKS An Imprint of HarperCollins Publishers © 2016 Lenora Bell Traduzione di Maria Grazia Bassissi Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. © 2017 HarperCollins Italia S.p.A., Milano Prima edizione I Grandi Storici Seduction agosto 2017 Questo volume è stato stampato nel luglio 2017 da CPI, Barcelona I GRANDI STORICI SEDUCTION ISSN 2240 - 1644 Periodico mensile n. 68 del 17/08/2017 Direttore responsabile: Chiara Scaglioni Registrazione Tribunale di Milano n. 556 del 18/11/2011 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - Via Mondadori, 1 - 20090 Segrate (MI) Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 045.8884400 HarperCollins Italia S.p.A. Viale Monte Nero 84 - 20135 Milano
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Surrey, 1817 Questa può andare. James mirò ai riccioli dorati e al sorriso innocente e lanciò il pugnale. Dritto al bersaglio. Esattamente al centro dei limpidi occhi azzurri. «Scelta eccellente, Vostra Grazia.» Cumberford si sistemò gli occhiali sul naso affilato e consultò un registro. «Lady Dorothea Beaumont, figlia maggiore del Conte di Desmond.» Lady Dorothea. Una purosangue allevata per sfornare campioni. «Cosa ne pensi, Dalton?» L'amico, alticcio, rispose solo con un lieve russare. Stephen, Marchese di Dalton, era spaparanzato sul divano, il braccio penzoloni dal bracciolo che stringeva un bicchiere di brandy vuoto. James prese un altro pugnale dalla custodia di pelle e studiò i ritratti a pastello che aveva commissionato in forma anonima a un illustratore professionista. Zac. La lama trapassò un delicato collo da cigno. Zac. Un'altra trafisse un naso aristocratico. Cumberford continuava a elencare genealogie, cercando di tenersi il più discosto possibile dalla traiettoria dei pugnali. James bevve un altro sorso di brandy. Come era arrivato a questo? Proprio lui, la disgrazia della 5
famiglia, il secondogenito esiliato, bandito e scriteriato. Il suo posto era nella giungla selvaggia delle Indie Occidentali, non di certo lì a selezionare candidate al ruolo di duchessa. Il matrimonio non era mai rientrato nei suoi piani. Il tiro successivo deviò verso destra, mancando per un soffio il naso di Cumberford, e si conficcò nel dorso di cuoio rosso scuro del libro che raccontava le gesta del suo augusto antenato, il primo Duca di Harland. Se Cumberford disapprovava gli sfregi impressi da James alle pareti in mogano e ai volumi della biblioteca, non lo lasciava trasparire. Era l'uomo d'affari della famiglia Harland da troppo tempo, ormai, per rischiare di tradire le proprie emozioni. «Dannazione!» esclamò James. «Che cosa c'è?» Dalton sollevò finalmente la testa dai cuscini del divano. «Ho quasi scelto Cumberford.» «Ci è mancato poco, Vostra Grazia» confermò la mancata vittima. «Hai quasi... cosa? Che ci fai con un pugnale in mano?» mugugnò Dalton stropicciandosi gli occhi. «Dove sono?» James fece un cenno con la testa e un valletto versò da bere al marchese. L'amico chiuse gli occhi azzurri iniettati di sangue. «Sto per sentirmi male.» «È fuori discussione.» James lo sollevò di peso dal divano e gli mise il pugnale tra le dita. «Renditi utile.» Dalton fissò desolato l'arma. «Hai ragione. Se anche tu finirai nella trappola del matrimonio, resterò l'ultimo superstite, la sola e unica speranza. Un incubo. Meglio che la faccia finita subito.» «Non tu, idiota.» James lo fece voltare verso i ritratti allineati delle giovani donne. «Una di loro.» Tre fanciulle, ciascuna trafitta da un pugnale, li fissavano, per nulla contente del loro ruolo di puntaspilli. James avrebbe giurato di aver visto Lady Dorothea socchiudere gli occhi. 6
«Ripensaci, sei stato troppo frettoloso» disse Dalton. «Ti salteranno addosso come lupi. Warbury Park pullulerà di subdole femmine. Devo andarmene. Subito.» Accennò un passo, barcollando. James lo sostenne. «Dal momento che ti sei autoinvitato, potresti almeno restare e aiutarmi a valutare le candidate.» «Se proprio devi sceglierti una moglie, perché non puoi aspettare la stagione mondana come farebbe qualsiasi persona civile?» Dalton si batté la fronte con la mano libera. «Oh, certo. Dimenticavo. Tu non sei civile. Lo sai come ti chiamano a Londra? Sua Disgrazia.» «Ho sentito di peggio.» «Prendi almeno in considerazione di tagliarti quella barba incolta. Sembri un pirata.» «Sta' zitto e tira.» Dalton guardò di sbieco la sfilza di disegni appesi alla parete. «Tanto sono tutte uguali» biascicò. «Soffici labbra e occhiate civettuole. Finché non ti incastrano. Dopo sono solo lingue biforcute e sguardi da Medusa. Pronte a trasformarti in pietra solo per aver osato guardare un'altra donna. Tutt'altro che divertente. Fidati.» James alzò le spalle. «Sono i padri quelli che mi voglio ingraziare. Cumberford mi assicura che si tratta degli uomini più influenti con figlie dai modi impeccabili e in età da marito.» «Ah!» Dalton strattonò la cravatta di James. «Se è ai padri che punti, invita quelli. Riempiremo loro la pancia col tuo ottimo brandy e potrete discutere da veri gentiluomini. Non sarai neppure costretto a incontrare la prescelta fino al giorno del matrimonio.» James scosse la testa. «La sposa voglio scegliermela da solo. Ho bisogno di una compagna adeguata. Una donna cortese, raffinata, irreprensibile... Insomma, tutto quello che io non sono!» «Buona fortuna, allora.» «Da quando in qua sei diventato così cinico? A scuola non 7
facevi che declamare i principi della Bellezza e dell'Estetica.» «È la vita.» Dalton afferrò il pugnale. «Ti cambia, amico mio. Troppe delusioni per poterle elencare tutte. Sicuro di non volerci ripensare?» «È escluso. Lo sai cosa c'è in gioco.» «Lo so, lo so.» L'espressione di Dalton si fece ironica. «Hai bisogno di un erede. C'è da difendere la discendenza degli Harland e da aprire la tua preziosa fabbrica. Bla bla bla. Una dannata scocciatura, a mio modesto parere.» «Sono entusiasta quanto te, il matrimonio era proprio l'ultimo dei miei pensieri. Come se non avessi abbastanza problemi.» James tamburellò con le dita sulla coscia. Non desiderava niente di tutto questo. Né il ducato, né la sposa di buona famiglia. Aveva passato gli ultimi dieci anni in giro per il mondo, senza dover rendere conto a nessuno, e non aveva alcuna voglia di stabilirsi nella fredda e rigida Inghilterra per diventare un ottuso tiranno come suo padre. Avrebbe trovato una vergine innocente da sacrificare agli dei della Reputazione e della Rispettabilità, con un padre ricco e potente, e sarebbe ripartito il prima possibile. Indicò con la mano i ritratti appesi alla parete. «Una di queste adorabili fanciulle deve pur essere all'altezza del titolo di duchessa. Una modesta, educata...» «Medusa!» Dalton riuscì, sorprendentemente, a conficcare il pugnale sul bordo di uno dei disegni. Cumberford si lasciò sfuggire un piccolo sospiro di sollievo. «Altra eccellente scelta, signore. Miss Alice Tombs, figlia di Sir Alfred Tombs, che si dice abbia accumulato una fortuna di oltre...» «Bene, con questa sono quattro» lo interruppe James. «Spedisci gli inviti, Cumberford. Voglio concludere questa faccenda il più in fretta possibile.» Ormai era agosto e il periodo di lutto per la morte del padre e del fratello lo aveva trattenuto in Inghilterra anche trop8
po. Doveva salpare per le Indie prima che la stagione degli uragani rendesse troppo pericolosa la traversata oceanica. Si sarebbe fermato in Inghilterra solo per il tempo necessario a procreare un erede e a portare al successo la nuova fabbrica di cioccolato. «Molto bene, Vostra Grazia.» Cumberford si inchinò. «Consegnerò personalmente gli inviti alle fortunate fanciulle domani mattina.» James lo congedò con un cenno e l'uomo d'affari si diresse all'istante verso la porta, ansioso di allontanarsi da quella gara di tiro a segno tra ubriachi. «Non è troppo tardi.» Dalton alzò il pugno in aria. «Richiama i segugi! Annulla la caccia!» «Quattro debuttanti. Tre giorni. Cosa mai può succedere?» Dalton sospirò. «Lo vedrai. Non venirmi a dire che non ti avevo avvertito, duca.» Duca. Il duca era morto. James accompagnò l'amico al divano e si versò un altro bicchiere di brandy. Aveva ancora davanti agli occhi l'immagine della bara con le maniglie d'argento che spariva nella lugubre cripta della cappella di famiglia listata a lutto. Sentiva ancora l'odore di morte e il dolce, stucchevole profumo dei gigli. La pioggia inglese era penetrata nei suoi indumenti, causandogli un senso di gelo. James conficcò a fondo una lama nel liscio mogano della scrivania di suo padre. Sono l'ultimo della dinastia. Non ho mai voluto tutto questo. Non ho mai voluto essere il duca. Era sempre stato suo fratello William il perfetto erede della famiglia. Posato, serio, obbediente... rispettoso della legge. Ma era morto nel terribile incidente di carrozza che aveva causato ferite mortali anche al padre, portandoselo via dopo sei lunghi mesi. James allentò quella specie di cappio al collo che la società 9
chiamava cravatta, alla ricerca di un po' d'aria. Non era mai stato bravo a seguire le regole e i percorsi segnati. Ma ora c'erano troppe persone che dipendevano da lui. Non solo gli affittuari e i dipendenti. Pensò alla bambina al piano di sopra. Ai suoi occhi scuri e tristi e all'indole ribelle. Una responsabilità tanto grande quanto inaspettata. Ma lì in Inghilterra sarebbe stata al sicuro, se lui avesse trovato un'elegante e irreprensibile duchessa pronta a proteggerla dalle inevitabili chiacchiere del ton e a occuparsi della sua educazione. Un impegno non da poco per una debuttante, se ne rendeva conto. Sorseggiò il suo brandy osservando i ritratti appesi. Non era fatto per essere un duca, ma era di certo in grado di scegliere una perfetta duchessa. Cumberford gli aveva fornito un assortimento di perfette English rose. Tutte attraenti fanciulle dall'incarnato delicato, sicuramente cresciute con la mentalità ristretta e il carattere mansueto tipici della migliore educazione aristocratica. Da quando era arrivato in Inghilterra, stranamente James non aveva avuto alcuna frequentazione femminile, ma probabilmente era dovuto al fatto che le debuttanti della società inglese erano troppo discrete per attrarlo, e in fondo era meglio così. Non poteva permettersi distrazioni. Doveva concludere un affare, non trovare l'amore. Finì la bottiglia di brandy e fece un brindisi in direzione della sorridente e angelica Lady Dorothea e dei suoi occhi innocenti. Solo una santa avrebbe potuto sposare un tipo come lui. ta.
Certe sere, Charlene Beckett non si sentiva affatto una san-
Quando a forza di lavare panni, la schiena le doleva e le dita diventavano rosse e screpolate. Quando a forza di fissare cifre, la sua testa pulsava per lo sforzo di far quadrare i conti. Certe sere era difficile sorridere, sostenere tutto, essere forti... e quella sera era una di quel genere. 10
I passi si facevano sempre più pesanti mentre saliva le scale per andare nella sua stanza. Non vedeva l'ora di mettersi a letto e tirarsi le coperte sulla testa, lasciando fuori tutti i rumori che venivano dal piano di sopra. Lievi risatine. Spavalde voci maschili. Le note di un pianoforte. Vestita di velluto rosa e piume, sotto l'effetto del laudano che prendeva in abbondanza per placare una tosse sempre più insistente, al piano di sopra sua madre stava intrattenendo gli ospiti nella sua discreta casa di piacere, il Pink Feather. Charlene si appoggiò al muro per un istante e sussultò sentendo la donna tossire. L'indomani avrebbe trovato il modo di convincerla a riposarsi di più, ma stanotte aveva bisogno di dormire. La porta della sua stanza era socchiusa. Aprendola, chiamò: «Lulu?». Si aspettava di trovare la sorellina ad attenderla. Dall'oscurità vide emergere un naso aquilino sopra una smagliante cravatta bianca e il suo cuore mancò un battito. Il momento che temeva da più di un anno era infine arrivato. Non stasera. Ti prego, non stasera. «Vi stavo aspettando, uccellino.» Lord Grant si alzò dalla sedia vicino alla finestra. «Lord Grant.» Cercò di controllare la voce, nonostante il panico le strozzasse in gola le parole. «Ci aspettavamo la vostra visita tra diversi mesi.» «Non potevo di certo abbandonare i miei uccellini così a lungo, vi pare?» Fece un passo avanti, illuminato dalla luce della lampada a olio, e Charlene trattenne a stento la repulsione. Il barone si sfilò i guanti di capretto grigi e li appoggiò sul tavolo, poi si passò una mano tra i ricci castani, ispessiti dalla pomata al profumo di arancio. Lo avrebbe considerato un bell'uomo se non avesse saputo che sotto quell'aspetto curato si nascondeva un animo crudele. Grant fece scorrere lo sguardo sul suo corpo. «Vedo che 11
siete sempre bellissima, anche con questi abiti logori.» Charlene spalancò di più la porta, sperando ci fosse qualcuno nel corridoio, invece erano soli. Si sforzò di non arretrare quando lui fece per avvicinarsi. Le dita dell'uomo le sfiorarono la guancia. «Ho sognato spesso questo momento.» Lo stesso valeva per Charlene. Ma nei suoi sogni, era giorno e lei era pervasa da un odio così forte da riuscire a sopraffare la paura che l'attanagliava. «Ci serve più tempo» gli disse. «Più tempo?» Le strinse il mento tra le dita. «Non capisco.» «Per trovare i soldi. Abbiamo bisogno di più tempo.» La madre di Charlene, che si faceva chiamare Madame Swan, aveva aperto la casa di piacere grazie al sostegno di un generoso benefattore, ma era troppo tenera di cuore per riuscire a gestire oculatamente gli affari. La maggior parte dei profitti finivano alle sue ragazze. Lord Grant era un suo cliente abituale, le aveva fatto un prestito e ora era venuto a riscuotere. L'uomo rise e prese tra le mani il viso di Charlene. La ragazza si ritrasse, ma lui la trattenne. Le unghie curate erano mezzelune bianche e lucidate a specchio. Non era di certo il tipo da sporcarsi le mani. Charlene era sorpresa che non si fosse fatto accompagnare da uno dei suoi scagnozzi, per sopraffarla nel caso avesse opposto resistenza. Cosa che lei avrebbe fatto. «Non imparate mai, vero?» disse il barone. «La vita non deve per forza essere complicata. Anzi, è così semplice.» Appoggiò la fronte contro la sua. «Voglio voi, nient'altro. Questo è il solo pagamento che desidero.» Le mordicchiò il lobo dell'orecchio e il forte odore di arancia dei suoi capelli le annebbiò i sensi. «Sono disposto a perdonare e a dimenticare.» Charlene si irrigidì. Lui era disposto a perdonare. Trattenne a stento un'ondata di rabbia che minacciò di farle perdere 12
il controllo. L'ultima volta che lo aveva visto, il barone brandiva un ferro incandescente, deciso a marchiarla con lo stemma della sua famiglia e a farla entrare nel suo harem privato. L'uomo abbassò la testa per sfiorarle la guancia. «Non rendete tutto inutilmente più difficile.» Charlene non avrebbe mai dimenticato il momento in cui si era vista il ferro rovente a un soffio dalla spalla. Aveva provato una sensazione di distacco dal proprio corpo, come un albume separato dal tuorlo. Prima di quel momento, aveva creduto che nella sua vita ci fosse speranza, perfino la possibilità di un amore. Ma da quel momento aveva capito che i nobili e i ricchi avevano dentro solo il male. Non si sarebbe mai innamorata. Non avrebbe mai permesso ad alcuno di avere un briciolo di potere su di lei. Solo il tempestivo intervento di Kyuzo, il buttafuori del bordello, le aveva permesso di fuggire prima che Grant le imprimesse il marchio. Il giorno successivo il barone era partito per la Scozia. Nell'anno trascorso da allora, si era allenata e aveva imparato a difendersi, per essere pronta al suo ritorno. Ricorda quello che hai imparato, Charlene. Nessuna rabbia. Nessuna paura. Calma, come un fiume che scorre. Lui non sa che stavolta sei pronta ad affrontarlo. L'uomo l'afferrò per la vita e la tirò verso di sé facendola aderire al suo corpo eccitato. «Non respingetemi, uccellino» le sussurrò all'orecchio. Le baciò il collo. «Lasciatemi andare.» «Pensate a tutto quello che potrei darvi.» Sembrava sinceramente sorpreso dal suo rifiuto. «Non siete stanca di indossare questi stracci e puzzare di lisciva? Con me, vivrete nel lusso, coperta di seta e di profumo francese.» E sarebbe stata una sua proprietà, destinata al suo piacere. No, mai. 13
«Lasciatemi andare» gli ripeté, fissandolo dritto negli occhi. «No. È troppo tempo che aspetto.» Aspetta che raggiunga il limite. Le parole di Kyuzo le risuonavano nella mente. Rivolgi contro di lui la sua stessa energia e avrai una forza moltiplicata per due. Girò il viso per evitare il suo bacio ma l'uomo le mise una mano intorno alla gola e la costrinse di nuovo a guardarlo in faccia. Ci siamo quasi. Aspetta. Respira. Ora. Rapidamente, fece un passo indietro, come le aveva insegnato Kyuzo. Metti entrambe le mani intorno alla mano che ti stringe la gola. Piegati all'indietro, allontanati dal pericolo. Torci il suo polso e bloccagli il gomito. Aggancia col piede destro il suo piede sinistro. Spingilo a terra. «Cosa diavolo...?» Grant si ritrovò di colpo con un ginocchio a terra e grugnì di dolore e di sorpresa, il braccio bloccato a un'angolatura innaturale. In quella posizione lei avrebbe potuto spezzargli il braccio. Respira. Nessuna rabbia. Fece più pressione sul braccio indebolito dell'uomo, obbligandolo a mettere anche l'altro ginocchio a terra. 14
«Non sono una vostra proprietà.» «Non siete voi a deciderlo» boccheggiò lui, lottando contro la presa al braccio. «Charlene.» Kyuzo irruppe nella stanza. «Ho sentito dei rumori.» Charlene lasciò andare il barone. Grant si rialzò barcollando e stringendosi il braccio al petto. Lanciò uno sguardo truce a Kyuzo. «Vedo che avete ancora il vostro bastardo da guardia.» Kyuzo incrociò le braccia sull'ampio petto che aveva convinto la madre di Charlene ad assumerlo come buttafuori. «Miss Beckett vi ha detto di andarvene.» Charlene raccolse il cappello, i guanti e la giacca del barone e glieli gettò addosso. Kyuzo lo afferrò per il gomito, ma Grant si liberò. «Non mi toccare.» I suoi occhi marroni diventarono quasi neri. «Tornerò a riscuotere il mio debito.» «Se fossi in voi, ci penserei due volte prima di rimettere piede qui» ringhiò Kyuzo. «Andatevene.» Spinse il barone fuori dalla porta tenendolo davanti a sé. Charlene rimase immobile finché non li udì scendere le scale. Poi si appoggiò barcollando al muro, sentendo cedere le ginocchia. Grant sarebbe tornato. Anche lavando panni e vendendo i dipinti di Lulu, non erano riuscite a risparmiare abbastanza denaro per coprire il prestito e gli altissimi interessi. Mentre lentamente il suo respiro si calmava, cercò di pensare a una soluzione. Doveva trovare il modo di estinguere il loro debito, chiudere il bordello e proteggere la sorellina da Grant. Lo avrebbe trovato. Non c'erano alternative.
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Una lady intraprendente JOANNA SHUPE LONDRA, 1820 - Lady Sophie Barnes è una donna decisa che non accetta un no come risposta, sopratutto quando si aggira per i bassifondi di Londra per difendere i diritti degli emarginati e delle ragazze di strada in difficoltà. Le sue buone intenzioni, però, la mettono in serio pericolo e l'unico che può aiutarla è Lord Quint, l'uomo che le ha spezzato il cuore anni prima. Quando l'attrazione tra i due si fa più intensa e passionale, una serie di intrighi rischiano di frapporsi tra loro...
Alla ricerca di un titolo AMANDA WEAVER INGHILTERRA, 1896 - Dopo aver frequentato la scuola per nobildonne di Lady Grantham, Amelia Wheeler è pronta per contrarre un buon matrimonio che le conferisca il tanto ambito titolo nobiliare. Le cose si complicano, però, quando si ritrova davanti l'amico d'infanzia Natty, che da figlio di un marinaio è diventato un raffinato uomo d'affari. Amelia dovrà scegliere se seguire il proprio cuore o se comportarsi come la lady che aveva promesso di essere.
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