DIANA
PALMER COLLECTION
Diana Palmer
La primavera del cuore
Immagine di copertina: talip / iStock / Getty Images Plus Titoli originali delle edizioni in lingua inglese: Boss Man Heartbreaker Silhouette Desire © 2005 Diana Palmer © 2006 Diana Palmer Traduzioni di Maria Letizia Montanari Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Books S.A. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. Harmony è un marchio registrato di proprietà HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved. © 2006 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prime edizioni Harmony Destiny novembre 2006; agosto 2007 Questa edizione Harmony Collezione Sensual marzo 2022 HARMONY COLLEZIONE SENSUAL ISSN 1970 - 0377 Periodico mensile n. 109 del 26/03/2022 Direttore responsabile: Sabrina Annoni Registrazione Tribunale di Milano n. 619 dello 09/10/2006 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distribuzione canale Edicole Italia: m-dis Distribuzione Media S.p.A. Via Carlo Cazzaniga, 19 - 20132 Milano HarperCollins Italia S.p.A. Viale Monte Nero 84 - 20135 Milano
Dire sì alla passione Pagina
Romanzo
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Violet Hardy si sedette alla scrivania chiedendosi come diavolo le fosse venuto in mente di accettare un lavoro di segretaria in quel posto. Il suo capo, l'avvocato di Jacobsville in Texas, Blake Kemp non l'apprezzava minimamente. Eppure lei aveva semplicemente tentato di salvarlo da morte sicura per un prematuro attacco cardiaco servendogli un decaffeinato al posto del caffè normale! Per questo motivo era stata apostrofata nel peggior modo possibile e proprio dall'uomo che amava al di sopra di qualsiasi altra cosa al mondo! Sapeva bene che tutte le colleghe erano sconvolte quanto lei: si erano mostrate così gentili per cercare di risollevarle il morale! Ma niente poteva cancellare il fatto che Blake Kemp pensasse che Violet fosse grassa! Violet abbassò lo sguardo sul proprio corpo voluttuoso inguainato in un abito viola dal colletto alto, il corpetto increspato e la gonna dritta, vagamente conscia che quello stile non l'aiutava molto. E lei aveva deciso di indossarlo proprio quel giorno! Offrendosi allo sguardo di disapprovazione di Kemp! Sua madre aveva tentato di convincerla facendole osservare con gentilezza che increspature e seno abbondante mal si accordavano. E che, ancora peggio, le gonne dritte mettevano in risalto i fianchi generosi. Eppure Violet si era tanto sforzata per perdere un po' di peso... aveva rinunciato ai dolci, si era iscritta in palestra e si era dedicata anima e corpo nel cucinare piatti leggeri che 7
fossero adatti a lei e alla sua anziana madre, che aveva problemi di cuore. L'anno prima suo padre era morto per quello che a dire dei medici doveva essere stato un attacco cardiaco. Ma negli ultimi tempi c'erano in giro parecchie voci che accusavano la matrigna della sua collega Libby Collins, ritenendola responsabile per la morte improvvisa del signor Hardy. Janet Collins era sospettata di aver avvelenato un anziano in una casa di riposo. Inoltre aveva ottenuto una bella somma di denaro dal signor Hardy prima che questi morisse all'improvviso, poco dopo essere stato visto insieme a lei in una stanza di motel. La signora Hardy non era arrivata in tempo per bloccare l'assegno: si era resa conto dell'ammanco solo a funerali avvenuti. Violet e sua madre erano uscite devastate da quell'esperienza, non solo per la perdita del loro caro, ma anche per la disastrosa situazione finanziaria che si era lasciato alle spalle. Avevano perduto tutto, compresa la casa e la macchina. Non era stato possibile inchiodare legalmente la donna, che aveva convinto il signor Hardy a darle un quarto di milione di dollari. La madre di Violet aveva avuto un infarto poco dopo il funerale del marito. Una piccola eredità ricevuta dalla ragazza aveva permesso alle due donne di sopravvivere per alcuni mesi. Ma quando era finita, Violet era stata costretta a trovare un lavoro per mantenere entrambe. Fortunatamente aveva seguito un corso per segretarie contro il volere del padre, che aveva continuato a ripeterle che non avrebbe mai avuto bisogno di lavorare. Era stata assunta nello studio di Kemp. Andava d'accordo con le colleghe, Libby Collins e Mabel Henry, ed era una brava segretaria. Ma il suo capo non l'apprezzava. Quel giorno meno che mai. Per almeno cinque minuti si sfogò con le due donne e arrivò persino a confessare quello che provava per il suo taciturno capo. «Non prenderla così a cuore, tesoro» le disse alla fine 8
Mabel, in tono comprensivo. «Tutti abbiamo le nostre brutte giornate.» «Lui pensa che io sia grassa» disse infelice Violet. «Non ha detto niente del genere.» «Be', avete visto tutti come mi ha guardata e che cosa ha insinuato» borbottò Violet, lanciando uno sguardo di fuoco in direzione dell'ufficio di lui. Mabel fece una smorfia. «Ha avuto una brutta giornata.» «Anch'io» dichiarò secca la ragazza. Libby Collins le diede una lieve pacca sulle spalle. «Lascia perdere, Violet» le consigliò gentilmente. «Concedigli un paio di giorni. Verrà a scusarsi, ne sono certa.» Violet non era altrettanto sicura. Anzi, era pronta a scommettere che al suo capo non passasse nemmeno per l'anticamera del cervello l'idea di scusarsi. «Vedremo» replicò, tornando alla sua scrivania. Ma non era convinta. Si era appena seduta quando sentì Mabel e Libby sussurrare che l'interfono era rimasto acceso quando lei aveva dato libero sfogo ai propri sentimenti. Gli occhi le si riempirono di lacrime. Il capo aveva ascoltato tutte le sue parole! Compresa la confessione che era pazza di lui! Come avrebbe potuto guardarlo ancora in faccia senza voler sprofondare sottoterra? E fu peggio di quanto avesse potuto aspettarsi... Per tutta la giornata, lui continuò imperterrito a uscire dall'ufficio per andare incontro ai clienti, fissare appuntamenti e bere caffè. Ogni volta, incrociando Violet, la fulminava con lo sguardo, come se si fosse macchiata di tutti e sette i peccati capitali. Così Violet cominciò a farsi piccola piccola ogni volta che sentiva il rumore dei suoi passi nell'atrio. Al termine della giornata si rese conto che non poteva più restare lì: era troppo umiliante. Doveva assolutamente andarsene. Libby e Mabel notarono in lei un'insolita solennità, atteg9
giamento che si accentuò quando Violet si alzò, ritirò dalla stampante un foglio e si diresse verso l'ufficio di Kemp, dopo aver tratto un profondo respiro. Pochi secondi dopo lo sentirono esplodere: «Ma che cosa diavolo...?». Violet uscì dall'ufficio e riattraversò l'atrio con passo malfermo, rossa in volto, mentre un furibondo Kemp la inseguiva a meno di due passi agitando in aria il foglio di carta. «Lei non può darmi un solo giorno di preavviso!» urlò. «Ho alcuni casi in sospeso. Lei deve selezionarli e avvisare gli appellanti...» Lei si voltò, mandando fiamme dagli occhi. «Tutte le informazioni sono nel computer, insieme ai numeri di telefono! Libby sa che cosa fare. Ha dovuto aiutarmi a rintracciare alcune persone nei giorni in cui avrei dovuto essere a casa a curare mia madre a causa del suo infarto! La prego di non fingere che abbia importanza chi batte a macchina le lettere o fa le telefonate, perché so benissimo che non le importa niente! Io adesso vado a lavorare per Duke Wright!» Lui, che stava schiumando di rabbia, si calmò di colpo. «Dunque passa al nemico, signorina Hardy?» «Il signor Wright è meno eccitabile di lei, signore, e non va su tutte le furie a causa di un caffè. Anzi, a dire il vero, se lo prepara da solo!» concluse con una certa audacia. Lui cercò una replica pepata, ma non la trovò, così serrò le labbra sensuali soffocando un'imprecazione che avrebbe potuto portarlo in tribunale; ritornò in ufficio e chiuse con fragore la porta, sempre stringendo in mano il foglio di carta. Libby e Mabel si sforzarono di non ridere. Il signor Kemp aveva licenziato in tronco due persone nel giro di un mese. Il suo carattere peggiorava di giorno in giorno e la 10
povera Violet ne era stata investita in pieno. Così adesso se ne andava anche lei: avrebbero sentito la sua mancanza. Libby pensò tristemente che adesso il carico di lavoro sarebbe aumentato. Violet si scusò con le colleghe, ma dichiarò che non sarebbe riuscita a sopportare la situazione nemmeno un minuto di più. Al termine della giornata, spense il computer e notò che le due ragazze erano uscite prima ancora che lei avesse avuto il tempo di radunare le sue cose. Libby aveva promesso di tornare per gli straordinari non appena avesse finito di mangiare: aveva accettato di finire di preparare il materiale per due casi che Kemp doveva presentare il giorno successivo. Violet sarebbe stata anche disposta a darle una mano: la povera Libby aveva un sacco di guai con quell'orrenda matrigna decisa a vendere casa Collins a discapito di lei e di suo fratello, Curt. Ma la ragazza le aveva assicurato che non era un problema. Violet infilò la giacca e proprio in quel momento Kemp uscì dall'ufficio e si avvicinò a grandi passi. Era ancora in collera: gli occhi azzurri lampeggiavano dietro le lenti degli occhiali, il viso scarno era tirato, i capelli, neri e ondulati, erano stati lievemente scompigliati sulla fronte da dita irrequiete. Si fermò davanti a lei, fissandola con occhi di fuoco. «Spero che abbia capito le mie ragioni riguardo al caffè» disse brusco. «Per caso ha ripreso in considerazione le sue dimissioni?» Violet deglutì, poi si drizzò in tutta la sua statura e lo affrontò. «No. Ma me ne andrò non appena lei avrà trovato una sostituta, signor Kemp» ritrattò lei all'ultimo. Lui inarcò le sopracciglia. «Lei sta scappando, signorina Hardy?» le domandò sarcastico. «Pensi pure ciò che le pare» replicò lei. 11
Gli occhi di Kemp scintillarono per l'ira. «Stando così le cose, può considerare questo come il suo ultimo giorno di lavoro. Lasciamo pure perdere il preavviso. Chiederò a Libby di concludere i lavori da lei iniziati e le spedirò per posta la paga di due settimane. Se per lei questo è un accordo soddisfacente.» Violet si irrigidì e gli tenne testa. «Mi va benissimo, signor Kemp. Grazie.» Lui le rivolse un'occhiataccia, furibondo di non riuscire a suscitare alcuna reazione nella donna. «Molto bene. Mi dia la chiave dell'ufficio, allora.» Violet prese la chiave e gliela consegnò, attenta a non sfiorare le sue dita. Si sentiva spezzare il cuore, ma era troppo orgogliosa per mostrargli quanto fosse sconvolta. Kemp abbassò lo sguardo sulla testa di Violet mentre gli consegnava la chiave. Improvvisamente provò un'insolita e spiacevole sensazione di perdita. Non riuscì a capire come mai. Frequentava poco le donne in quegli ultimi tempi, pur avendo solo trentasei anni. Alcuni anni prima aveva perduto la donna che amava e da allora non aveva più avuto alcuna voglia di mettere di nuovo a rischio il suo cuore. Violet, tuttavia, minacciava la sua libertà. Quella donna possedeva grandi doti empatiche, ma era anche molto facile ferirla. Kemp si rendeva perfettamente conto quanto quella situazione la turbasse. Cosa stesse provando al pensiero di andarsene da quell'ufficio, lontano da lui. Ma non poteva fermarla. Violet gli si era già avvicinata troppo. E lui non voleva più provare la pena lacerante di perdere una donna. La sua fidanzata era morta. Lui aveva chiuso con l'amore. Perciò Violet doveva andarsene. Era la cosa migliore, si ripeté con fermezza. Violet era solo infatuata di lui. L'avrebbe superata. Kemp pensò a quanto lei avesse perso in un solo anno: il padre, la casa, il suo stile di vita. Adesso aveva una madre invalida di cui oc12
cuparsi, un carico che si era assunta senza un solo lamento. E a quel punto si ritrovava anche senza un lavoro. Kemp trasalì, percependo il dolore lancinante che Violet stava provando in quel momento. «È la soluzione migliore» borbottò a disagio. Violet sollevò su di lui gli occhi azzurri. «Davvero?» Lui serrò la mascella. «Lei è confusa riguardo ai suoi sentimenti. È solo infatuata, Violet» le disse con tutta la gentilezza che riuscì a trovare. La vide arrossire violentemente. «Non è un amore eterno e ci sono altri uomini appetibili in giro. Supererà questa faccenda.» Con le labbra che tremavano, Violet cercò una replica a quella scioccante affermazione. Aveva temuto che lui avesse udito la sua confessione d'amore? Be', ora ne aveva la conferma. Le parole che le aveva appena rivolto le fecero desiderare di sparire. Era la peggiore umiliazione che avesse mai provato in tutta la sua vita. Lui non avrebbe potuto esprimersi in modo più chiaro riguardo ai propri sentimenti. «Sì, signore» bisbigliò, voltandogli le spalle. «La supererò.» Poi raccolse i cocci della sua dignità e si avviò verso la porta. Senza darle il tempo di toccare la maniglia, lui, da vero gentiluomo, la precedette e le aprì la porta. «Grazie» mormorò Violet con voce soffocata. «È sicura che Duke Wright l'assumerà?» le domandò brusco. Lei non lo guardò nemmeno. «E a lei che cosa importa, signor Kemp?» domandò con voce spenta e colma di infelicità. «Io non sono più un suo problema.» Con il cuore a pezzi, Violet si incamminò lentamente verso casa. Alle sue spalle, un uomo alto e accigliato la guardò uscire dalla sua vita. Aveva dimenticato la torta. Aveva promesso di portarla al ranch degli Hart per il compleanno di Tess, la cugina di 13
Kemp, ma il dolce si trovava sulla sua scrivania... Violet non aveva più la chiave e si sarebbe uccisa piuttosto che telefonargli per chiedergli se poteva ritirare la torta. Lui avrebbe pensato si trattasse di una scusa per rivederlo. Violet si fermò invece alla pasticceria e comprò un'altra torta. Per sua fortuna, Tess non ci voleva nessuna scritta sopra. Violet arrivò davanti alla grande casa di Tess e Cag, dove peraltro abitava anche Kemp, e consegnò il dolce alla governante con un sorriso radioso, incapace però di coinvolgere gli occhi. Poi, tornò a casa. Sua madre era stesa sul divano e guardava l'ultimo episodio della sua telenovela preferita. «Ciao, tesoro» le disse con un sorriso. «Hai trascorso una buona giornata?» «Ottima» le rispose Violet sorridendo. «E tu?» «Oh, me la sono cavata benissimo. Ho preparato la cena!» «Mamma! Non dovresti affaticarti» protestò Violet con una smorfia di disapprovazione. «Cucinare non è una fatica. E a me piace» replicò l'anziana donna. I suoi occhi azzurri, tanto simili a quelli di Violet, brillavano di piacere. I suoi capelli, ormai candidi, erano corti e ondulati. Stava stesa sul divano indossando una vecchia vestaglia pesante, i piedi infilati nelle calze. Le serate erano abbastanza fresche in quella zona. «Vuoi mangiare sul vassoio?» suggerì Violet. «Sarebbe carino, così potremmo guardare il notiziario in televisione.» Violet fece una smorfia. «Non il notiziario» gemette. «Magari qualcosa di piacevole...» «Allora dimmi che cosa ti piacerebbe guardare... abbiamo parecchi DVD» propose la madre. La ragazza indicò un film in cui un alligatore divorava le persone che abitavano in riva a un lago. 14
La madre le rivolse una strana occhiata. «Accipicchia! Di solito quando vuoi vedere quel film significa che hai litigato con il signor Kemp» mormorò in tono insinuante. Violet si schiarì la voce. «Abbiamo avuto una piccola baruffa» ammise, non osando però aggiungere che al momento si trovava senza un lavoro. «Si sistemerà tutto» la rassicurò la madre. «Mi sembra di aver capito che sia un uomo difficile, ma che in genere si comporti con grande gentilezza con noi. L'ultima volta che sono dovuta andare in ospedale, ti ha accompagnato lì in macchina e si è persino fermato a mangiare qualcosa con te mentre i medici si occupavano di me.» «Sì, lo so» replicò Violet, senza specificare che il signor Kemp si sarebbe comportato così con tutti. Era un gesto che indicava soltanto che aveva un cuore gentile. «E poi ricorda quella grande cesta di frutta che ci ha mandato per Natale» proseguì l'anziana. Violet sospirò, poi andò in camera per cambiarsi e indossare un maglione e un paio di jeans. Si chiese se sarebbe riuscita a trovare un altro lavoro senza nominare il signor Kemp tra le referenze. Lui avrebbe dovuto darle una lettera di presentazione, ma lei detestava l'idea di dovergliela chiedere. Alle colleghe e a Kemp aveva detto che sarebbe di sicuro andata a lavorare per Duke Wright, ma era stata semplicemente una bugia per salvare la faccia. «Vai in palestra, stasera?» le chiese la madre quando lei tornò in soggiorno. «No» replicò Violet con un sorriso. Magari non ci sarebbe più andata, rifletté dentro di sé. Che senso aveva dannarsi per tornare in forma se era destinata a non vedere mai più il signor Kemp? Più tardi, in solitudine, si lasciò andare a una crisi di pianto, detestandosi per la propria debolezza. Sfinita cadde in un sonno agitato, ma all'alba era già in piedi, lavata, ve15
stita, truccata e molto determinata. Quel giorno avrebbe trovato un altro lavoro. Le capacità non le mancavano. Era una grande lavoratrice. L'eventuale nuovo datore l'avrebbe senza dubbio apprezzata. Continuò a ripetersi queste frasi come una litania per lenire la ferita inferta al suo orgoglio. L'avrebbe fatta vedere lei al signor Kemp! Poteva trovare un lavoro nuovo in quattro e quattr'otto! Purtroppo Jacobsville era una piccola città e non erano disponibili molti posti per segretarie con la sua esperienza. La maggior parte della gente così fortunata da ottenerne uno in genere lo abbandonava solo quando arrivava il momento di andare in pensione... Ma le rimaneva una speranza: Duke Wright, un proprietario terriero del posto, che aveva in corso una vera e propria guerra con il signor Kemp. Non riusciva a tenersi strette abbastanza a lungo le segretarie. Era un uomo duro, freddo ed esigente. Più di una segretaria aveva abbandonato l'impiego in lacrime. Sua moglie lo aveva lasciato portando con sé il figlio e aveva chiesto il divorzio. E lui si rifiutava puntualmente di firmare i documenti che riguardavano la causa, provocando ogni volta le ire di Blake Kemp. Con una certa determinazione, Violet raccolse tutto il suo coraggio e lo chiamò, mentre la madre dormiva ancora. Non appena ottenne risposta riconobbe subito la sua voce profonda. «Signor... signor Wright? Sono Violet Hardy» balbettò. Ci fu una pausa piena di stupore. «Sì, signorina Hardy?» ripose infine lui. «Mi stavo chiedendo se per caso avesse bisogno di una segretaria in questo momento» disse lei tutto di un fiato, imbarazzata fino alle lacrime. Ci fu un'altra pausa e poi una risatina. «Lei e Kemp avete preso strade diverse?» le chiese subito. 16
Violet si sentì arrossire. «In effetti, sì» ammise secca. «Ho lasciato il posto.» «Fantastico!» «Mi... scusi?» farfugliò titubante. «Mmh... sappia però che non posso assumere una segretaria con mire matrimoniali» l'avvertì. «Sicuramente non è il mio caso!» rispose senza pensare. «Oh... mi scusi...» «Non si scusi. Quando può prendere servizio?» «Tra quindici minuti» replicò vivacemente. «È assunta. Arrivi subito. E si assicuri di comunicare a Kemp per chi lavora. Le dispiace?» aggiunse. «Renderebbe più allegra la mia giornata.» Lei rise. «Sì, signore. E grazie infinite! Lavorerò sodo, farò gli straordinari, tutto quello che vuole... purché rientri nella ragionevolezza.» «Non deve preoccuparsi. Ho chiuso con le donne per il resto della mia vita» dichiarò brusco. «Ci vediamo tra poco, Violet.» Riappese prima che lei avesse il tempo di replicare. Aveva un lavoro! Non sarebbe stata costretta a confessare alla madre che aveva perso l'impiego! Era un sollievo tale che Violet rimase qualche istante seduta a fissare l'apparecchio telefonico, incapace di muoversi. Poi d'improvviso si diede una scossa, ricordandosi che era tempo di andare. «Tornerò a casa poco dopo le cinque, mamma» disse gentilmente alla donna, chinandosi per baciarla sulla fronte. La sentì umida e fredda. Si accigliò mentre si raddrizzava. «Stai bene?» La madre aprì gli occhi celesti e le rivolse un sorriso stentato. «Solo un po' di mal di testa, tesoro. Niente di cui preoccuparsi. Altrimenti te lo direi, sul serio.» Violet si rilassò, ma non del tutto. Amava sua madre. La signora Hardy era l'unica persona al mondo che le volesse 17
bene. Spesso Violet era tormentata dal terrore di perderla. «Sto bene!» assicurò la madre decisa. «Rimani a letto e non cercare di alzarti per preparare manicaretti. D'accordo?» La signora Hardy allungò la mano per prendere quella della figlia. «Non voglio essere un peso per te, tesoro» disse sottovoce. «Non avrei mai voluto che finisse in questo modo.» «Non è colpa tua se hai avuto un attacco cardiaco» rispose la figlia. «Se non fossi stata così cagionevole, tuo padre sarebbe forse ancora vivo... non avrebbe dovuto rivolgersi a quella donna per...» La voce le mancò. «Mamma, non devi incolparti per qualcosa di cui non sei responsabile» la consolò Violet, pensando che il padre non aveva mai amato la madre: era evidente per tutti, tranne che per la diretta interessata. Erano sempre stati così diversi quei due! Fino a quando non si era ammalata, la signora Hardy si era prestata per la comunità lavorando per la parrocchia, organizzando pesche di beneficenza e portando cibo alle famiglie indigenti. Il marito, un commercialista di successo, andava al lavoro e tornava a casa sedendosi davanti al televisore. Non si era mai occupato degli altri ed era sempre stato concentrato solo su se stesso e sulle proprie necessità. Lui e Violet non erano mai stati molto vicini, anche se a modo suo non era stato un cattivo padre. Però non poteva dire tutte quelle cose alla madre. Si chinò invece per baciarla ancora una volta sulla tempia. «Ti voglio bene, non è un peso per me prendermi cura di te. E guarda che parlo sul serio» aggiunse con un sorriso intenerito. «Devi dire al signor Kemp che gli sono tanto grata per averti dato un lavoro. Non so proprio come avremmo fatto, altrimenti.» 18
Violet si sedette accanto alla madre. «Ascolta... devo dirti una cosa...» «Stai per sposarti?» domandò speranzosa l'anziana donna, gli occhi lucidi, un sorriso sulle labbra. «Ha finalmente capito che sei innamorata di lui?» «Lo ha capito» rispose Violet a labbra strette. «E mi ha detto che mi sarebbe passata più in fretta se fossi andata a lavorare per qualcun altro.» La madre rimase a bocca aperta. «E dire che sembrava un uomo tanto simpatico!» esclamò. Violet le strinse forte la mano. «Ho un altro lavoro» le disse in fretta, prima che la donna si turbasse. «Inizio questa mattina.» Sorrise. «Sarà fantastico.» «Ma... per chi lavorerai?» «Per Duke Wright.» La madre inarcò le sopracciglia sottili e nei suoi occhi apparve un luccichio malizioso. «A lui non piace il signor Kemp.» «E viceversa» dichiarò ferma Violet. «Guadagnerò lo stesso stipendio che prendevo dal signor Kemp» assicurò, incrociando mentalmente le dita. «Ma lui non si lamenterà per il modo in cui preparo il caffè.» «Come hai detto?» domandò la madre, confusa. «Non importa, mamma» le rispose Violet. «Andrà tutto bene. A me il signor Wright è simpatico.» La signora Hardy le strinse ancora la mano. «Mi dispiace che sia andata così. So bene quali siano i tuoi sentimenti per il signor Kemp.» «Visto che lui non ricambia, è meglio che non lo veda più. Magari troverò qualcuno che non pensa che io sia troppo grassa...» Si interruppe arrossendo. La madre andò su tutte le furie. «Non sei grassa! Non riesco a credere che il signor Kemp abbia avuto l'audacia di dirti una cosa del genere!» 19
«Non l'ha fatto» replicò subito Violet. «Lui lo ha solo... insinuato.» Sospirò. «E ha ragione. Sono grassa. Eppure sto tentando in tutti i modi di perdere peso!» La madre le strinse più forte la mano. «Ascoltami, tesoro» le disse piano, «un uomo che tiene a te non indugia su quelli che possono essere considerati difetti. Infatti tuo padre mi ripeteva sempre che andava con quella donna perché era snella e curata» confessò con amarezza. «Davvero?» La signora Hardy fece una smorfia. «Avrei dovuto dirtelo. Tuo padre non mi ha mai amato, Violet. Amava la mia migliore amica, che però sposò un altro uomo. Lui sposò me per renderle la pariglia. Avrebbe voluto divorziare dopo due mesi, ma ormai io ero incinta di te. Così restammo insieme e tentammo di formare una famiglia. Ripensandoci, credo di aver commesso un errore. Tu non sai che cosa sia un matrimonio d'amore, vero, tesoro? Io e tuo padre non facevamo quasi mai nulla insieme, nemmeno quando tu eri piccola.» Violet sistemò i capelli della madre. «Ti voglio bene, tantissimo» le sussurrò. «Io penso che tu sia meravigliosa. E come me lo pensano molti altri. Un vero peccato che papà non si sia reso conto di quanto tu sia speciale.» «Almeno ho te» fu la risposta commossa. «Anch'io ti voglio tanto bene, cara.» Violet tenne a bada le lacrime. «Ora devo veramente andare. Non posso permettermi di perdere il lavoro prima ancora di cominciare.» La madre rise. «Sii prudente.» «Guiderò sotto il limite di velocità» promise. «Il signor Wright attualmente non è sposato, vero?» chiese la signora Hardy. «Sì, invece. Ha rifiutato di firmare i documenti per il divorzio» rispose la figlia, ridendo a sua volta. «Anche per questo motivo ha avuto da discutere con il signor Kemp.» 20
«Pensi che sia stato per ripicca o perché ama ancora sua moglie?» «Tutti credono che l'ami ancora. Ma lei adesso guadagna una fortuna lavorando come avvocato a New York e non ha alcuna intenzione di tornare.» «Hanno un bambino piccolo... quella donna non crede che il padre abbia il diritto di vedere il figlio?» «Stanno litigando per la custodia.» «Che peccato!» «La gente dovrebbe riflettere prima di fare un figlio» affermò convinta Violet. «Non si mette al mondo un bambino per caso.» «L'ho sempre pensato anch'io» replicò la signora Hardy. «Passa una buona giornata, tesoro.» «Anche tu. Qui c'è il telefono. Ora ti scrivo il numero del signor Wright, nel caso avessi bisogno di me.» Dopo aver segnato il numero su un taccuino, Violet rivolse un ultimo sorriso alla madre e uscì. Duke Wright abitava in una grande casa in stile vittoriano. Si chiacchierava che sua moglie avesse desiderato una casa del genere fin da piccola, quando viveva in un quartiere povero di Jacobsville. Aveva sposato Duke appena finito il liceo e aveva iniziato a frequentare l'università subito dopo aver concluso la luna di miele. L'ambiente universitario aveva aperto i suoi occhi su un mondo nuovo. Aveva deciso di studiare legge e Duke era stato al suo fianco, permettendole di seguire quella nuova inclinazione, certo che lei non avrebbe mai lasciato Jacobsville. Ma quando era andata a frequentare un corso di specializzazione a San Antonio, si era fatta conquistare dalla vita di città e aveva accettato un posto in uno studio legale del posto. Nessuno aveva capito perché quei due si fossero decisi ad avere un figlio mentre lei stava facendo tirocinio laggiù. In 21
effetti era apparsa poco entusiasta, anche se aveva portato a termine la gravidanza. Tuttavia era stato necessario assumere una babysitter, dal momento che la signora Wright trascorreva sempre più tempo in studio. Poi, due anni dopo, le era stato offerto un posto in un prestigioso studio di New York e lei aveva colto al volo l'occasione. Duke aveva discusso, minacciato, pregato per indurla a cambiare idea, ma era stato tutto inutile. In un eccesso di rabbia, la donna se ne era andata portando via il figlio e aveva chiesto il divorzio. Duke si era opposto, lottando con le unghie e con i denti. E quello stesso mese aveva rifiutato di firmare i documenti finali. Duke non aveva un bel carattere, ma Violet non aveva intenzione di lasciarsi intimorire. Quindi guidò decisa fino al ranch e poco dopo entrò in quello che sarebbe stato il suo ufficio. Si guardò attorno ammirata: la stanza era dotata dei più moderni mezzi tecnologici e informatici. «Non si lasci intimidire» le disse Duke con un sorriso. «Non deve preoccuparsi: utilizzarli è più facile di quanto sembri.» «Lei ne è capace?» domandò stupita. Lui scrollò le spalle. «Visto che la permanenza media delle segretarie in questo posto è molto breve, ho dovuto imparare ad arrangiarmi da solo» le rispose con franchezza. Le rivolse una lunga occhiata e si infilò le mani in tasca. «Violet, non è facile andare d'accordo con me» ammise. «Ho malumori e scatti d'ira e a volte scoppio quando sono sotto pressione. Avrà bisogno di nervi d'acciaio se vuole rimanere a lungo qui. Perciò non la biasimerò se dovesse avere un ripensamento.» Lei lo guardò perplessa. «Ho lavorato per Blake Kemp per quasi un anno.» Duke ridacchiò. «Si dice che sia peggio di me» commentò. «Va bene, se è d'accordo, cominceremo con un paio di 22
settimane di prova. Dopo di che, deciderà lei se il gioco vale la candela. C'è un'altra cosa» aggiunse con un sorriso. «Io pago meglio di Kemp» affermò, menzionando una cifra che lasciò senza fiato Violet. «Questo per rendere più interessante la faccenda. E adesso venga con me: le mostro la struttura.» Affascinata, Violet si disse che quell'uomo era riuscito a creare uno degli allevamenti più moderni che avesse mai visto. «Lei dovrà soprattutto occuparsi di aggiornare questi dati ogni ventiquattro ore» le disse Duke, indicando i grandi fogli su cui erano riportate fitte righe di cifre. «Tutte quante?!» esclamò smarrita, immaginando lunghe ore dedicate a quelle statistiche. «Non a mano, naturalmente» la rassicurò con un sorriso. «Tutti i mandriani sanno usare il computer, anche i più anziani. Immettono le informazioni raccolte nei loro computer portatili, per poi inviarle a quello centrale via Internet, direttamente dai pascoli» la informò. Lei scosse il capo. «È incredibile» replicò. «Spero di essere abbastanza in gamba per imparare tutto questo, signor Wright.» Lui sorrise. «Non c'è niente che apprezzi di più della modestia, signorina Hardy» le rispose. «Se la caverà benissimo. Pronta a incominciare?» «Sì, signore.» Il giorno sembrò volare e Violet riuscì a non pensare al signor Kemp fino al momento in cui tornò a casa. «Come è andata?» le chiese la madre. «Benissimo!» rispose entusiasta Violet, raccontandole a grandi linee la sua giornata. «Ne sono lieta, cara. A proposito... poco fa è passato di qui il signor Kemp.» 23
«Che cosa voleva?» domandò sbigottita. La madre prese una busta bianca. «Darti questa» affermò, consegnandola alla figlia. «Immagino che sia la mia ultima paga» mormorò. «Perché non la apri e vedi?» Esitante, Violet afferrò la busta: dentro c'erano un assegno e un foglio. Trattenendo il respiro, aprì lentamente il foglio. «Che cosa dice?» chiese la madre. «È... è una lettera di referenze» mormorò Violet, incredula.
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DIANA
PALMER COLLECTION
La nuova raccolta dell’autrice ai vertici delle classifiche internazionali, capace di incantare e appassionare con i suoi intensi romanzi d’amore.
Questo mese i primi due titoli: GLI UOMINI DEL DESTINO LA PRIMAVERA DEL CUORE
Ecco il piano completo della raccolta: 11 maggio:
GIOCHI DI SEDUZIONE BATTAGLIA D’AMORE
7 luglio:
INCONSAPEVOLE PASSIONE L’ILLUSIONE DI UN BACIO
7 settembre:
L’ATTRAZIONE DEL POTERE DESIDERIO IMPREVISTO 8 novembre:
EMOZIONI TRAVOLGENTI UN LEGAME INDISSOLUBILE
DIANA
PALMER COLLECTION
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