La principessa ribelle
Immagine di copertina: Beata Banach/Trevillion Images
Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: An Indiscreet Princess William Morrow
An Imprint of HarperCollinsPublisher © 2022 Georgie Reinstein Traduzione di Marianna Mattei
Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con William Morrow
An Imprint of HarperCollinsPublisher. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale.
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© 2023 HarperCollins Italia S.p.A., Milano Prima edizione I Grandi Romanzi Storici Special gennaio 2023
Questo volume è stato stampato nel dicembre 2022 da CPI Moravia Books
I GRANDI ROMANZI STORICI SPECIAL ISSN 1124 - 5379 Periodico mensile n. 332S del 13/01/2023 Direttore responsabile: Sabrina Annoni Registrazione Tribunale di Milano n. 368 del 25/06/1994 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distribuzione canale Edicole Italia: m-dis Distribuzione Media S.p.A. Via Carlo Cazzaniga, 19 - 20132 Milano
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A W.C.R. Ti amo.
La regina deve ammettere di rammaricarsi della scarsa sensibilità di coloro che le chiedono di andare ad aprire il Parlamento... Come si possa concepire il desiderio tanto irragionevole e irriguardoso di assistere allo spettacolo di una povera vedova dal cuore spezzato, nervosa e riluttante, trascinata nel pieno del lutto DA SOLA in un luogo dove un tempo si recava con il sostegno del marito, per essere fissata senza la minima delicatezza, è una cosa di cui non riesce a capacitarsi, e che non augurerebbe nemmeno al suo peggior nemico!
La Regina Vittoria a Lord Russell Londra, febbraio 1868
La Principessa Luisa Carolina Alberta si alzò dal trono reale situato sotto un baldacchino dorato di fronte alla Camera dei Lord. Rivolse poi un cenno all'oceano di Pari del Regno dai mantelli rossi bordati di ermellino e ai membri del Parlamento sobriamente vestiti, in piedi in fondo alla sala. Costoro risposero con un inchino, rendendole omaggio in quanto rappresentante di sua madre, Sua Maestà Vittoria, regina per grazia di Dio del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda.
Il Duca di Norfolk, conte maresciallo di Inghilterra, si fece avanti nella sua giacca rossa dai galloni dorati e prelevò
la Corona Imperiale di Stato dal cuscino di velluto dove era deposta, quindi fece cenno a Luisa di scendere dal podio. Lord e gentiluomini lì riuniti rimasero talmente immobili che ogni singolo fruscio della lunga veste parlamentare di Luisa, sorretta da quattro paggi, echeggiò distintamente fra le pareti lignee in stile gotico. Quel silenzio suscitò in lei un'inquietudine maggiore di quella che aveva provato al suo ingresso nella Camera dei Lord, quando si era seduta sul trono in attesa che il funzionario noto come Gentiluomo della Mazza Nera conducesse nella sala i membri del Parlamento provenienti dalla Camera dei Comuni. Luisa si era preparata a essere contestata dai parlamentari repubblicani, ma persino coloro che avevano fischiato sua madre alle ultime due cerimonie di apertura avevano conservato un atteggiamento rispettoso. Naturalmente Mama non poteva che incolpare se stessa della loro ira. Se si fosse mostrata incline ad adempiere i propri doveri, invece di presentarsi in pubblico con grande riluttanza solo quando i suoi figli avevano bisogno di denaro per finanziare il proprio ingresso in società e il proprio matrimonio, i repubblicani avrebbero avuto assai meno di cui lamentarsi. Quell'ossequioso silenzio si protrasse mentre Luisa seguiva il conte maresciallo verso la porta laterale. A testa alta, mantenne la postura regale in cui si era esercitata per giorni, così come si era esercitata a ripetere il discorso inaugurale di Mama. Lady Sybil St. Albans, la sua più cara amica, la osservava dal proprio posto insieme a Lady Ely, la dama di compagnia della regina incaricata di assistere Luisa quel giorno. Al suo passaggio, le due nobildonne le si sarebbero accodate nella processione che avrebbe attraversato la Galleria Reale per tornare nella Sala della Vestizione, passando davanti alle guardie posizionate di fronte alla folla di dignitari e ufficiali radunatisi per la cerimonia di apertura del Parlamento. Lady Ely rivolse a Luisa uno sguardo arcigno, Sybil, invece, un sorriso radioso come i diamanti del suo
diadema. Quel sorriso riuscì ad alleviare il senso di responsabilità che le gravava sulle spalle come la lunga veste parlamentare. Quella giornata era stata un trionfo, e non certo il disastro paventato da sua madre.
Nel silenzio della Sala della Vestizione Lady Ely ordinò ai paggi di togliere a Luisa la veste cerimoniale. Sentendosi finalmente libera da quel peso, la giovane sospirò sollevata e si massaggiò il collo, lasciando vagare lo sguardo sui dipinti di William Dyce che raffiguravano la corte di Re Artù. Suo padre aveva commissionato quelle opere durante la ricostruzione del Palazzo di Westminster, dopo il brutto incendio di vent'anni prima. Dame e cavalieri abbellivano le pareti, così diversi, nei loro abiti medievali, dai ritratti di Vittoria e Alberto realizzati da Franz Xaver Winterhalter e appesi ai lati del trono dorato. Il padre di Luisa era raffigurato nell'uniforme scura della Brigata dei Fucilieri, con la stella dell'Ordine della Giarrettiera appuntata sul petto. Quando aveva posato per quel ritratto non aveva certo immaginato che gli restassero solo due anni di vita.
Luisa chiuse gli occhi, sentendo il calore della mano grande di lui sulla propria come la prima volta che l'aveva portata in quella sala. Lì le aveva illustrato ogni dipinto con espressione colma di orgoglio, dimostrando una conoscenza delle leggende arturiane superiore persino a quella dello stesso Mr. Dyce.
«Sei una vera artista» le aveva detto suo padre stringendole la mano.
«Un giorno realizzerò un'opera di cui andrete fiero.»
Il sorriso caloroso di lui le aveva instillato un sentimento di pura adorazione. «Non ne dubito.»
Siete fiero di me, adesso? Luisa aprì gli occhi e sfiorò il filo di perle che le cingeva il collo. Era appartenuto alla madre di Alberto, la Principessa Luisa di Sassonia-CoburgoGotha, a cui lei doveva il suo nome di battesimo. La donna
era stata allontanata dal figlio quando lui aveva solo cinque anni, e la sua assenza gli aveva lasciato un vuoto nel cuore paragonabile alla voragine che la morte di lui aveva aperto in quello di Luisa.
«Siete stata meravigliosa, Vostra Altezza Reale» si congratulò Sybil, risistemandole l'ampia gonna e riportandola così al presente.
«Sua Maestà non avrebbe potuto desiderare rappresentante migliore» le assicurò il lord gran ciambellano, Barone Willoughby de Eresby, con una profonda riverenza. Poco distante, il gioielliere della Corona e il suo assistente stavano esaminando la Corona Imperiale di Stato per controllare che nessuna delle pietre si fosse allentata durante la cerimonia. Di lì a poco Lord Norfolk avrebbe accompagnato Luisa all'Irish State Coach, la carrozza che l'avrebbe riportata a Buckingham Palace nell'ultimo tratto del viaggio ricco di emozioni che era stata quella giornata.
«Davvero pensate che sia andata bene?» domandò Luisa mentre Sybil raddrizzava l'onorificenza dell'Ordine reale di Vittoria e Alberto appuntata sul corpetto della principessa con un nastro di raso bianco.
«Da dove sedevo si vedeva chiaramente che i lord e i membri del Parlamento erano ammirati e intimoriti da voi, vero, Lady Ely?»
La dama di mezz'età rimase immobile come se fosse appena stata sorpresa a trafugare una gemma dalla Corona. «Non saprei dire» farfugliò prima di rimettersi a impartire ordini ai paggi.
«Oggi è piuttosto di cattivo umore...» sussurrò Luisa a Sybil.
«Lo è sempre.» Sybil, figlia del generale Charles Grey, segretario privato di Sua Maestà, era stata dama d'onore prima di sposare il Duca di St. Albans. Era una delle poche cortigiane di giovane età che Mama non aveva allontanato da palazzo, ritenendole troppo invadenti. Era anche l'unica
donna giovane a cui era permesso di assistere Luisa, quando l'occasione lo richiedeva, ed era ormai abituata ai malumori di Lady Ely. «Non pensate a lei. Pensate a loro» disse ora, inclinando il capo a indicare la porta chiusa, oltre la quale la folla attendeva che Luisa riapparisse. «Siete stata meravigliosa e, come lo sanno loro, lo saprà anche Sua Maestà. Dopo il successo di oggi chissà quale altro incarico vi assegnerà in futuro.»
La porta si aprì e ne entrò Mr. Disraeli, il nuovo primo ministro, la cravatta di pizzo ondeggiante sui risvolti della giacca di velluto scuro. I capelli arricciati erano stati impomatati in modo da appiattirli sulla sommità del capo e lasciarli fluire ai lati, con un boccolo disposto ad arte che gli spioveva proprio al centro della fronte. L'uomo eseguì un inchino e, raddrizzatosi, con un gesto plateale estrasse dal taschino della giacca un piccolo astuccio rosso. «Vostra Altezza Reale, avete conquistato tutti. Permettetemi di offrirvi un dono per commemorare il vostro grande successo.»
Luisa aprì la scatolina a rivelare una farfalla dorata con occhi d'onice, le delicate ali lavorate con una tale dovizia di particolari da sembrare pronte a spiccare il volo. «È bellissima.»
«Tanto quanto lo è Vostra Altezza Reale. Sua Maestà sarà molto fiera di voi.»
Lady Ely emise uno sbuffo scettico e Luisa richiuse l'astuccio di scatto. Come osava quella donna cercare di umiliarla davanti a quegli uomini illustri? Non sarebbe stata così sfrontata, se non fosse stato per il costante esempio che le veniva offerto dalla stessa regina. Ma lei non intendeva tollerarlo oltre. Quel giorno la Corona aveva trionfato grazie a lei e Sybil aveva ragione: lo sapevano tutti. «Non è che Sua Maestà non ha potuto aprire il Parlamento, Mr. Disraeli. Non ha voluto.»
Lady Ely ansimò per la sorpresa, mentre il Barone Willoughby de Eresby e Lord Norfolk sbarravano gli occhi con
altrettanto sgomento. Mr. Disraeli, invece, reclinò il capo all'indietro e rise di gusto.
Lungo il tragitto verso Buckingham Palace la folla accolse Luisa con applausi scroscianti. Lei salutò con la mano, facendo scintillare al sole i diamanti che le ornavano i polsi. Aveva male al braccio a forza di tenerlo sollevato, ma non voleva abbassarlo. Diversamente da sua madre, non avrebbe mai negato il piacere di assistere alla parata a tutti coloro che avevano atteso per ore. «Non è fantastico?»
«È meraviglioso.» Sybil rivolse un saluto a una bambina con le trecce che aveva appena gettato una rosa rossa in direzione della carrozza. «Vi vogliono bene.»
«E io ne voglio a loro.» Luisa indirizzò un bacio a un gruppo di giovanotti che si portavano le mani al cuore fingendo uno svenimento. «Se potessi lo farei ogni giorno.»
«Non credo proprio che Sua Maestà vorrà di nuovo affidare un compito così importante a qualcuno di tanto sfrontato.» Lady Ely sedeva tutta impettita sul sedile, l'abito color malva rigido quanto il suo viso del tutto privo di espressione. Ora che i fili grigi alle tempie iniziavano a chiazzare il nero delle sue chiome, insieme a quel poco di spirito che aveva mai posseduto stava perdendo anche il suo aspetto regale. «Non avreste dovuto essere così indelicata, davanti a Mr. Disraeli, a Lord Willoughby de Eresby e a Lord Norfolk, non trovate?»
«Non ho detto nulla di cui non fossero già a conoscenza, dopo che alle ultime due aperture del Parlamento mia madre non ha fatto altro che lamentarsi di quanto fosse crudele costringere una povera, fragile vedova a mostrarsi in pubblico. Che assurdità! Mama è più robusta di una giovenca delle Highlands.» Solo la sua capacità di autocompatirsi e di criticare il prossimo superava la sua tempra. «E se la passerebbe molto meglio se desse ascolto a Bertie e di tanto in tanto si degnasse di uscire in carrozza a Hyde Park per farsi vede-
re dai suoi sudditi. Invece si comporta come se un semplice giro in carrozza fosse più estenuante di una spedizione alle fonti del Nilo.»
«Mocciosa impertinente» borbottò Lady Ely. Luisa abbassò il braccio e trafisse la donna con uno sguardo talmente gelido che avrebbe potuto frantumare il ghiaccio. «Io sono Sua Altezza Reale la Principessa Luisa e vi ordino di tenere per voi qualsiasi opinione sulla mia condotta. Sono stata chiara, Lady Ely?»
La donna strinse le labbra, ma non obiettò, la sua pur notevole arroganza messa a tacere dal rispetto delle gerarchie. «Sì, Vostra Altezza Reale.»
«Come ti è venuto in mente di parlare male di me davanti al conte maresciallo, al lord gran ciambellano e al primo ministro?» chiese in tono imperioso Sua Maestà la Regina Vittoria, seduta dietro un imponente scrittoio d'ottone nella sala di Buckingham Palace nota come Bow Room. Era vestita come sempre di nero, in contrasto con la valigetta rossa davanti a lei e con la seta gialla di cui erano ricoperte le pareti. In piedi al suo fianco, scuotendo il capo con aria di disapprovazione, c'era Lenchen, la sorella maggiore di Luisa, la figura corpulenta appena contenuta da un abito di seta malva a cui la sarta era faticosamente riuscita a donare la parvenza di un punto vita. Dalle finestre aperte giungeva il fragore della folla radunata fuori dai cancelli del palazzo.
Luisa evitò di guardare Lady Ely, seduta davanti al camino spento insieme a Lady Churchill, un'altra dama di compagnia della regina. Lady Ely sprizzava compiacimento da tutti i pori e Luisa strinse le mani e inspirò a fondo per calmarsi. Perdere la testa non sarebbe servito a nulla, così come redarguire pubblicamente Lady Ely. «È stato soltanto un commento pronunciato in privato nel corso di un evento pubblico di grande successo.»
«È stata una frase incauta pronunciata da una ragazzina
sprovveduta. Non avrei dovuto lasciarmi convincere dai miei ministri a permetterti di aprire il Parlamento.» Mama puntò contro Luisa un dito grassoccio e inanellato. «Scriverai subito un biglietto di scuse a quei gentiluomini.»
«Non intendo farlo. Mr. Disraeli ha lodato la mia condotta e per ringraziarmi mi ha regalato questa.» Luisa indicò la spilla che portava appuntata sul corpetto. Anche con le tende aperte, quella parte del palazzo non riceveva luce sufficiente a far risplendere l'oro di cui era fatto il monile. «Il popolo mi ha dimostrato affetto. Ascoltate, mi sta ancora acclamando.»
«Sta acclamando me.» Mama prese una penna dal calamaio d'argento sormontato dall'effigie di un cervo, intinse il pennino nella boccetta di cristallo che conteneva l'inchiostro e tornò a dedicarsi alla sua interminabile corrispondenza, segnalando la propria intenzione di rimettersi al lavoro. Ma Luisa non era disposta a farsi liquidare in quel modo.
«Allora uscite sul balcone e mostrate ai vostri sudditi ciò che desiderano vedere.»
«Non sono un animale del serraglio della Torre, da esporre agli sguardi morbosi del pubblico, bensì una regina che lavora instancabilmente per il suo popolo. Lenchen, chiudi subito le finestre. Questo rumore mette a dura prova i miei nervi.»
«Sì, Mama.» Lenchen abbassò i pannelli a ghigliottina, smorzando gli ultimi echi d'entusiasmo per la giornata di gloria di Luisa.
«Non potete ignorarli per sempre e pretendere di restare regina.»
«Non dirmi quello che posso o non posso fare!» sbottò Mama. «Ora che hai assolto le tue mansioni ufficiali torneremo subito a Windsor. Il dottor Ellison e il dottor Jenner dicono che sono troppo debole per sopportare il rumore e i fumi perniciosi della città; vero, Lenchen?»
«Proprio così, Mama.»
«Posso restare qualche altro giorno con Bertie e Alix a Marlborough House?» Luisa inorridiva al pensiero di lasciare la vivace Londra per quel mausoleo che era Windsor. «Vorrei visitare il Museo d'arte di South Kensington e vedere le nuove sculture arrivate da Parigi.»
«Non dopo il tuo comportamento di oggi. Devi imparare che non puoi dire tutto ciò che ti passa per la testa. Torna nelle tue stanze e preparati alla partenza.»
«Sì, Mama.» Luisa abbozzò una riverenza e uscì dalla Bow Room maledicendo il proprio ardire. Se avesse tenuto a freno la lingua forse le avrebbero permesso di rimanere a Londra, ma non era stata capace di tacere mentre il suo grande trionfo veniva sminuito.
«Come è andata?» le chiese Sybil quando Luisa la raggiunse nel corridoio principale, dove la luce del giorno evidenziava impietosa la polvere accumulata sulle superfici e sulle pareti assai malridotte. Vittoria detestava Buckingham Palace e lo stava a dir poco trascurando.
«Mama non ha nemmeno voluto riconoscere ciò che ho fatto per lei oggi.» Luisa si avvolse il filo di perle attorno a un dito. «Il mio caro papà non sarebbe mai stato così crudele.»
Sybil le posò una mano sulla spalla per confortarla. «Lo so.»
Luisa prese le dita inguantate dell'amica e le strinse fra le proprie, grata del suo appoggio. Era l'unico su cui poteva contare, ora che suo fratello minore Leopoldo si trovava a Windsor insieme al suo precettore, il reverendo Duckworth.
«Lady St. Albans, è arrivata la vostra carrozza» annunciò un lacchè, la vivacità della sua livrea rossa e oro smorzata dalla fascia a lutto che portava al braccio.
«Vorrei potermi trattenere, ma devo scappare. Stasera io e William terremo una cena per i lord liberali e per tutti coloro che sono ansiosi di sapere come è andata oggi. Non vedo l'ora di raccontare quanto siete stata magnifica.»
«Lo sono stata davvero?» Era difficile crederlo, con i rimproveri materni che ancora le risuonavano nelle orecchie.
«Sì, e non permettete a nessuno di convincervi del contrario.»
«Siete troppo buona. E ora andate a occuparvi di vostro marito e dei vostri doveri di padrona di casa.»
Sybil seguì il lacchè lungo tutto il corridoio principale. Giunta in fondo si girò per rivolgere a Luisa un cenno di incoraggiamento prima di imboccare la Scalinata del Ministro. Luisa avrebbe dato qualsiasi cosa per poterla seguire, ma non poteva. Mama le aveva ordinato di prepararsi a partire per Windsor e, se non le avesse obbedito, avrebbe ricevuto un'altra ramanzina, o un'altra stoccata, per usare il termine con cui il generale Grey definiva i messaggi di rimprovero che Vittoria scriveva sulla sua carta da lettera bordata di nero. Tutti i membri della famiglia reale e del seguito della regina ne avevano dei cassetti pieni.
«Siete pronta a cambiarvi, Vostra Altezza Reale?» le chiese Jane, la sua cameriera, quando Luisa entrò nella propria camera da letto. La giovane dal grazioso naso a patata teneva drappeggiato sul braccio un abito grigio scuro. Nel frattempo un esercito di domestici era già indaffarato a riempire i bauli per recapitarli alla stazione di Paddington. La principessa storse la bocca nel vedere quella veste tetra e anonima, restia a spogliarsi del fulgido abito bianco per vederlo relegare in fondo al suo guardaroba, accanto al vestito da damigella che aveva indossato sei anni prima alle nozze di Bertie e Alix. «No, portami i miei attrezzi da disegno.»
Luisa non aveva idea di dove trovarli, in quel caos, ma ne aveva urgentemente bisogno per ritagliarsi qualche attimo di serenità. Dal tavolo lì vicino prelevò una statuetta del suo vecchio cane Flash e se la rigirò fra le mani, ammirando la precisione con cui Mary Thornycroft, la sua insegnante di
scultura, aveva riprodotto nel bronzo la soffice pelliccia canina. Avrebbe tanto voluto avere a portata di mano i suoi strumenti per modellare l'argilla, per poter lavorare fino ad aver male alle braccia e allentare la tensione che provava. Ma aveva lasciato tutto l'occorrente a Windsor, dunque avrebbe dovuto accontentarsi di un foglio e una matita.
Jane tornò con un album da disegno dall'usurata copertina di pelle nera e verde e con l'astuccio portamatite ricoperto d'argento su cui erano incise le iniziali di Luisa. Quell'astuccio le era stato regalato da Leopoldo per il suo diciassettesimo compleanno. Luisa ringraziò Jane, uscì dalla stanza e percorse rapida il corridoio per raggiungere le scale che portavano al piano superiore. Ci era quasi arrivata quando la porta della camera di Beatrice si aprì e la sorella minore ne fece capolino.
«Dove stai andando?» le chiese la ragazzina sbarrandole il passo.
«Nello studio d'arte.» Luisa cercò di aggirare la sagoma dell'undicenne, ma Beatrice si spostò di lato per restarle davanti, facendo ondeggiare l'ampia gonna dell'abito. I suoi folti capelli biondi erano fermati da un nastro nero e le ricadevano sulle spalle in morbide onde.
«Lassù è pieno di polvere e di sporco.» Storse il naso disgustata. Le guance rubiconde che Luisa aveva scolpito quattro anni prima su richiesta di Mama si erano smagrite. Gli anni di isolamento e l'atteggiamento soffocante della madre avevano inasprito quella giovinetta un tempo così dolce e ingenua. «Cosa dirà Mama se ti rovinerai l'abito?»
«Ne sarà lieta, dal momento che detesta qualsiasi indumento che non sia nero.» Luisa scansò Beatrice e iniziò a salire le scale che conducevano allo studio soleggiato posto all'ultimo piano. Pur essendo abbandonato da anni, vi aleggiavano ancora gli effluvi pungenti della pittura a olio, della trementina e dell'olio di lino. Luisa inspirò a fondo, lasciandosi travolgere dai ricordi delle lezioni pomeridiane insieme
ai suoi fratelli e al padre. Quando gli impegni glielo avevano permesso, lui aveva lavorato accanto ai figli, correggendo le loro pennellate e i tratti di carboncino, lodando i loro sforzi senza mai sminuirli. Li aveva incoraggiati a coltivare i rispettivi interessi, assumendo dei maestri che insegnassero la tecnica dell'acquerello a Lenchen e la scultura a Luisa. Quei tempi erano stati colmi di possibilità e di speranze, che però erano poi morte insieme ad Alberto.
Luisa si asciugò le lacrime che le erano spuntate negli occhi. Non aveva tempo di piangere se voleva disegnare, e doveva assolutamente farlo. Se non si fosse calmata i nervi, durante il viaggio in treno fino a Windsor sarebbe uscita di senno o avrebbe cercato qualsiasi pretesto per litigare con Lenchen.
Trascinò uno sgabello davanti all'ampia finestra che dominava la città, vi si sedette e si appoggiò in grembo l'album da disegno, come aveva fatto centinaia di volte durante i tediosi ricevimenti nei tetri salotti di sua madre. Muovendo rapidamente la matita argentata, immortalò i pennacchi di fumo che si levavano da centinaia di comignoli, ma anche le persone, i cavalli e i carri che percorrevano le strade affollate. Più velocemente disegnava, più un senso di calma calava su di lei, come un'ombra che si distendeva sul pavimento. In quella stanza l'unica cosa che contava era l'arte: non il Parlamento, né la regina, e neppure ciò che sarebbe accaduto l'indomani.
Luisa lavorò alacremente finché le luci non si accesero oltre le finestre e il Big Ben annunciò che era quasi ora di recarsi alla stazione di Paddington. A malincuore richiuse l'album. La pompa magna e lo sfarzo di quella giornata le avevano offerto un rifugio temporaneo dalla vita di sempre, una vita in cui il suo compito era quello di restare appiccicata a sua madre come uno spaniel ben addestrato e spesso preso a calci.
Sfiorò il filo di perle.
Papà, voi non avreste voluto vedermi relegata in un angolo.
Lui le avrebbe trovato uno scopo nella vita come aveva fatto per le sorelle maggiori di Luisa: Alice, che aveva sposato il Granduca d'Assia, e Vicky, Principessa Ereditaria di Prussia. Luisa non aveva alcun desiderio di sposare uno straniero e suo padre non l'avrebbe mai costretta, tuttavia non le avrebbe nemmeno permesso di languire in quell'esistenza spenta e monotona.
La giovane si tolse la spilla a forma di farfalla e con un dito sporco di grafite ne tracciò i contorni delicati. Gli esponenti della Camera dei Lord e dei Comuni non l'avevano certo giudicata spudorata e avventata, bensì degna di rispetto e ammirazione. Sybil aveva ragione: quel giorno non poteva essere cancellato. Niente poteva impedirle di ripetere quel successo. Non si sarebbe accontentata di fare da scialba tappezzeria alla regina: sarebbe diventata una donna realizzata, con una vita tutta sua di cui andare fiera. Anche se per il momento non aveva idea di come riuscirci.
La principessa ribelle
GEORGIE BLALOCK
Inghilterra, 1868 - La vita della Principessa Luisa, sesta figlia della Regina Vittoria, somiglia più a una prigione dorata che a una fiaba. Dotata di bellezza e talento artistico, però, lei riesce a crearsi un'esistenza al di fuori del palazzo frequentando la National Art Training School, dove impara, in modo del tutto inappropriato, a scolpire modelli nudi, e dove si innamora appassionatamente del famoso scultore Joseph Edgar Boehm. Presto, tuttavia, Luisa si rende conto che nessun reale, per quanto ribelle, può sfuggire alle proprie responsabilità.
Il laird dal passato
JEANINE ENGLERT
Scozia, 1743 - Brenna Stewart non può che sentirsi grata per essere stata tratta in salvo dalla sua carrozza in fiamme. O almeno lo sarebbe se il suo soccorritore non fosse Garrick MacLean, l'uomo che un tempo ha amato e perso, e che ora sembra determinato a proteggerla dal nemico sconosciuto che la sta inseguendo per tutte le Highlands. Tuttavia, con il cuore ancora ferito e amareggiato per il suo abbandono, come potrà Brenna fidarsi di lui?
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SOPHIE JORDAN
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L'eccezionale Miss Adelaide
SARAH MACLEAN
Londra, 1839 - Cresciuta tra i criminali più famigerati di Londra, per uno strano scherzo del destino Adelaide Frampton si è ritrovata a frequentare le luminose sale da ballo di Mayfair, dove finge di essere una scialba zitella, così semplice e senza pretese che nessuno si rende conto che in realtà è la temuta Sfasciamatrimoni, la salvatrice delle giovani future spose che devono evitare di arrivare all'altare. Ma questa volta la sua missione la porta a scontrarsi con un impeccabile duca dalla reputazione e dal viso perfetti, che la fa infuriare eppure sentire viva come mai prima.