La promessa di natale

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Susan Mallery

La promessa di Natale


Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: The Wedding Ring Promise Silhouette Special Edition © 1998 Susan W. Macias Traduzione di Teresa Rossi Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Books S.A. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. Harmony è un marchio registrato di proprietà HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved. © 2017 HarperCollins Italia S.p.A., Milano Prima edizione Harmony Romance dicembre 2017 Questo volume è stato stampato nel novembre 2017 da CPI Moravia Books HARMONY ROMANCE ISSN 1970 - 9943 Periodico mensile n. 191 dello 01/12/2017 Direttore responsabile: Chiara Scaglioni Registrazione Tribunale di Milano n. 72 dello 06/02/2007 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - Via Mondadori, 1 - 20090 Segrate (MI) Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 045.8884400 HarperCollins Italia S.p.A. Viale Monte Nero 84 - 20135 Milano


Prologo

Quattordici anni fa - 22 dicembre «Miei cari, siamo qui riuniti davanti a Dio e a questa comunità...» Molly Anderson smise di ascoltare le parole del pastore e sospirò impaziente. Non le interessava essere riunita assieme alla comunità o subire quella che prometteva di essere una cerimonia lunga e noiosa. Non voleva essere là e, a dire il vero, neppure sua sorella, la sposa, avrebbe desiderato la sua presenza. Ma la loro madre aveva insistito. «Che cosa penserà la gente se la piccola Molly non sarà presente alle nozze?» aveva chiesto. «Janet, sarà una delle damigelle d'onore. Ne avrai tante che non darà fastidio. Sistemandola in fondo alla fila, starà contro la parete della chiesa. Non la noterà nessuno.» Molly sollevò un po' il mento. Non avrebbe dovuto ascoltare quella conversazione, e in effetti non aveva proprio origliato. Si era trovata solo a passare davanti alla sala da pranzo. E in fondo quella era anche casa sua, benché tutti sembrassero propensi a dimenticarlo! Strinse più forte il suo mazzetto di ridicole stelle di Natale. Stelle di Natale! Janet si sarebbe potuta accontentare di normali rose rosse per il suo matrimonio natalizio, ma, no, aveva dovuto scegliere le stelle di Natale, che cominciavano già ad appassire... e la cerimonia era appena iniziata. Non importa, pensò Molly cupa. 5


Janet non desiderava che partecipasse, e lei si trovava là solo perché era stata minacciata di severe punizioni se non avesse collaborato. Indietreggiò a poco a poco fino a quando poté appoggiarsi al rivestimento di legno della parete della chiesa. La cerimonia continuò e Molly la osservò senza il minimo interesse. Quella non era affatto la sua idea di un matrimonio romantico. Quanto meno, lo sposo e la sposa avrebbero dovuto essere innamorati. Ma Janet sposava Thomas perché era un avvocato di successo e la sua famiglia era proprietaria di un enorme studio legale a San Francisco. Thomas sposava Janet perché era bella. Janet otteneva quasi ogni cosa, perché era bella. In effetti era una sposa splendida. Perfino Molly era disposta ad ammetterlo. L'abito di seta e pizzo accentuava la sua figura sottile, da modella, e i lisci capelli scuri. Sarebbe apparsa perfetta in ogni fotografia. Non era giusto, pensò Molly, mentre strattonava il suo vestito troppo stretto sui fianchi. Verde, naturalmente. Tra tutti i colori del mondo quello che le piaceva meno. Il modello non le si adattava affatto. Per cominciare era troppo sofisticato. A quattordici anni era la più giovane delle damigelle. Ed era anche la più bassa di statura. Le amiche di Janet erano tutte alte e snelle, come lei. Molly non si considerava piccola, con il suo metro e sessanta, ma al confronto del resto della famiglia era praticamente un elfo. Una ragione in più per non sentirsene parte. Avvertì una specie di formicolio alla nuca. Raddrizzò la schiena, poi si voltò a guardare al di sopra della spalla. Un'ombra comparve in fondo alla chiesa, incorniciata dalla luce tenue dell'alto albero di Natale nell'atrio. L'ombra divenne un uomo, e Molly si sentì mancare il respiro. Dylan! Si era chiesta se sarebbe venuto a vedere Janet sposare un altro. Era sconvolto dalla cerimonia? Voleva marciare lungo la navata centrale e reclamare Janet come sua? Molly era combattuta. Anche se le sarebbe piaciuto assi6


stere a un evento così drammatico, non voleva che quella stupida di Janet sposasse un uomo meraviglioso come Dylan. Lui era troppo... tutto. Sapendo che sua madre l'avrebbe uccisa, ma ritenendo che ne valesse la pena, Molly scivolò lungo la navata laterale verso il fondo della chiesa. Si mosse silenziosamente e, per quanto ne sapeva, nessuno notò che si allontanava. Mettendo piede nell'atrio vide che Dylan era già uscito all'aperto. «Dylan» lo chiamò, affrettandosi a seguirlo. Quando raggiunse i gradini che scendevano sulla strada, si fermò di colpo. La motocicletta nera di Dylan era posteggiata lungo il marciapiede. C'erano due bauletti ai lati e un fagotto legato dietro il sedile. Molly comprese le sue intenzioni e provò una dolorosa fitta al cuore. «Te ne vai.» Non era una domanda. Lui la udì e si voltò. «Ciao, piccola. Che succede?» Lei strinse le stelle di Natale e lo fissò. «Te ne vai» ripeté. «Perché?» Lui scrollò le spalle. «Non c'è niente per me, qui. Non più.» Mentre buona parte del paese lottava contro le tormente di neve, là il tempo era perfetto. Una giornata di quelle per cui il Sud della California era famoso: cielo azzurro, temperatura mite, una lieve brezza. Senza dubbio, Janet aveva espressamente ordinato quel tempo con largo anticipo. Ma la bellezza della giornata era nulla, a paragone di quella di Dylan Black. Era alto, un po' più di un metro e ottanta, con capelli e occhi scuri. Il giubbotto di pelle nera faceva apparire enormi le sue spalle larghe. I jeans aderenti mettevano in risalto natiche e cosce. Portava stivali scuri e un orecchino. «Non puoi andare via» disse, scendendo di corsa gli scalini. «Mancano solo tre giorni a Natale.» Molly rabbrividì al solo pensiero. Dylan era la sua ragione di vita. Lui le indirizzò quel sorriso che le faceva dimenticare di 7


respirare. Dylan era entrato nella sua vita due anni prima, quando Janet aveva cominciato a uscire con lui. Per lo più Molly non prestava attenzione ai boyfriend della sorella. Erano tutti noiosi. Ma Dylan era diverso. Si era accorto addirittura di lei, le parlava, scherzava sul fatto che era brillante a scuola, sembrava interessato ai suoi studi e la trattava come una persona vera. Se questo non fosse già stato abbastanza meraviglioso, non ridicolizzava mai il suo apparecchio per i denti, i suoi brufoli o il suo fisico ancora un po' infantile. Per due anni Molly aveva pregato che Dylan si accorgesse di che impiastro era Janet e preferisse invece lei. Aveva realizzato la prima parte del suo desiderio. Janet e Dylan si erano lasciati, ma era stata sua sorella a rompere... e Dylan non si era rivolto a Molly per conforto. «È tempo di muovermi» disse lui, ficcando le mani nelle tasche dei jeans. «Così va il mondo, piccola. Ma mi mancherai.» «Davvero?» pigolò Molly. «Sicuro. Siamo amici» rispose Dylan con un sorriso che non raggiunse i suoi bellissimi occhi. Amici? Molly represse un sospiro. Okay, aveva sperato in qualcosa di più, ma poteva bastarle. «Dove pensi di andare?» chiese. «Non sarai solo a Natale, vero? Non credo che potrei sopportarlo.» Dylan si strinse nelle spalle. «Lontano da qui. Pensavo che potrei tentare di darmi alle corse.» Accennò col capo alla moto. «Sono piuttosto bravo su quella.» «Sei il migliore.» Molly si strinse i fiori sul petto. Se solo avesse potuto chiedergli di portarla con sé! Sospirò. Aveva una cotta per lui, era vero, ma non era stupida. Dylan era gentile con lei, ma la vedeva solo come la sorellina di Janet. Se solo avesse avuto modo di trattenerlo... «Non puoi andare via» obiettò, ricordando una cosa importante. «Mi hai promesso un'avventura... con te. Ricordi? Quando sarò cresciuta.» 8


Stavolta il sorriso raggiunse gli occhi di Dylan. Allungò la mano e le sfiorò la guancia. «Sì, ricordo. Ce ne andremo in giro con la mia moto.» «Giusto. Be', presto sarò cresciuta. Se te ne sarai andato, come farò a ritrovarti in modo da poter fare quel viaggio? Non ti rimangerai la parola, vero?» «Vieni qui» disse lui in tono brusco, tendendo le braccia. Con il logoro giubbotto di pelle e gli stivali malandati, aveva l'aria di un fuorilegge. Anche se Molly non era mai stata innamorata prima, sapeva che non avrebbe mai provato quegli stessi sentimenti per un altro uomo. Corse verso di lui. Dylan l'afferrò e la strinse forte a sé. Le stelle di Natale rimasero schiacciate fra loro, tuttavia Molly non se ne curò. Niente importava, tranne essere stretta a Dylan. Era stata abbracciata altre volte, ma da dei ragazzi, mentre Dylan era un vero uomo. Si sforzò di notare tutti i dettagli, in modo da poterli ricordare più tardi. Aveva la triste sensazione che non le avrebbe lasciato molto più di quei ricordi. Gli appoggiò la guancia sulla spalla e sentì la liscia freschezza del giubbotto. Aspirò l'odore di Dylan e assorbì il tepore del suo corpo. Era forte e snello e la teneva stretta come se gli importasse davvero di lei. Poi fece un passo indietro. «Devo andare» disse. Molly annuì. «Capisco. È troppo duro restare qui. La ami ancora.» Un angolo della bocca di Dylan si contrasse. «Se questo è l'amore, fa un male cane.» Rifletté un momento. «Sai che cosa ti dico, Molly? Quando sarai cresciuta e pronta per quell'avventura, vieni a cercarmi. Portami questo. Andremo ovunque vorrai.» Mentre parlava, ficcò la mano in tasca. Quando la tirò fuori, stringeva fra le dita un semplice cerchietto d'oro. Molly sussultò. Capì che era una fede che doveva aver comprato per sua sorella. 9


«Non lo sapevo» bisbigliò. Se solo Dylan l'avesse comprata per lei, e gliel'avesse data perché l'amava quanto lei amava lui! «Non c'è niente da sapere» precisò lui. «Ho comprato l'anello, ma poi non mi sono mai deciso a chiederle di sposarmi. Ecco, prendilo tu. Portamelo quando sarai pronta. D'accordo?» Le posò l'anello sul palmo della mano. Molly chiuse le dita e lo fissò. «Buon Natale, piccola» le augurò Dylan prima di salire sulla moto. Molly rimase a guardarlo mentre si allontanava. Non importava che Dylan avesse comprato l'anello per Janet, che avesse voluto sposare sua sorella. Non importava che Janet fosse stata così stupida da rompere con lui. Adesso era lei, Molly, ad avere l'anello. E non appena avesse finito di crescere, avrebbe trovato Dylan e sarebbe andata via con lui. Avrebbe fatto in modo che si innamorasse di lei e sarebbero stati felici. Aveva la sua promessa, una promessa sancita da una fede nuziale.

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Quattordici anni dopo - 5 dicembre «È più facile, nei film» asserì Molly appoggiandosi allo stipite della porta e osservando il disordine della sua camera da letto. Nei film al cinema o alla televisione, quando un personaggio decideva di dare una svolta alla sua vita facendo le valigie e lasciandosi tutto alle spalle, c'era un crescendo di musica, poi la scena cambiava e la protagonista era già per strada o su un aereo, o qualcosa del genere. Nella vita reale, qualcuno doveva preparare i bagagli. «Visto che a quanto pare nessuno si offre volontario, immagino che quel qualcuno sarò io» borbottò Molly. Guardò la valigia aperta sul letto, le pile di indumenti sparpagliate intorno. Sul cassettone c'era il taccuino dov'erano elencate le cose che doveva fare prima di partire: sospendere l'invio del giornale e della posta, controllare che le bollette fossero pagate. Almeno non aveva un animale domestico di cui preoccuparsi. Rimaneva in sospeso anche la piccola questione di decidere dove volesse andare. Fuggire sarebbe stato più facile se avesse avuto in mente una destinazione. Ma in quel momento tutto quello che voleva era andarsene... partire e non tornare più. Purtroppo, quella non era un'opzione. Si avvicinò al letto e prese un pullover. Erano i primi di dicembre nel Sud della California, il che significava giorni 11


soleggiati e serate fresche. Gettò il pullover nella valigia. I jeans erano necessari, ma non aveva bisogno anche di un vestito? Un vestito, o sia pure solo una gonna e una camicetta comportavano scarpe eleganti e scomode, che non voleva proprio portare con sé. E poi c'era il problema della borsa giusta e... Molly imprecò fra i denti. «Niente di tutto questo è importante» si ammonì. «Parti e basta.» Sentì le lacrime pungerle gli occhi, lacrime che aveva promesso a se stessa di non versare più. Se solo ci fosse stato qualcosa che le permettesse di dormire per le prossime due settimane, fino a che tutto si fosse risolto... Scosse la testa. Ci sarebbero volute più di due settimane, si rammentò. Potevano volerci mesi. Quindi fra un anno sarebbe stata bene, giusto? Non aveva la risposta. Nessuno l'aveva. Respirò a fondo. Era forte e non si sarebbe lasciata abbattere dalla situazione. Raddrizzò la schiena, andò al comò ed estrasse il cassetto della biancheria. Poi tornò accanto al letto e vuotò l'intero contenuto nella valigia. Se non era capace di decidere che cosa portare, avrebbe portato tutto. Semplificava la vita. Lasciò cadere il cassetto vuoto sul tappeto e cominciò a separare slip e reggiseni. Mentre districava un paio delle semplici mutandine di cotone che aveva comprato di recente, qualcosa attirò la sua attenzione. Uno scintillio di luce... Molly frugò nel viluppo di elastici e pizzo e il piccolo oggetto cadde in un angolo della valigia. Lo afferrò e lo tirò fuori. Per la prima volta da dieci giorni, Molly sorrise. Passò il pollice sul cerchietto d'oro. L'anello di Dylan... quello che lui aveva destinato a sua sorella e aveva dato invece a lei. Era passata un'eternità. Si lasciò cadere sul letto. Che cosa ne era stato di lui? Si era allontanato nel tramonto ed era sparito, proprio come uno dei quegli eroi dei film western. Solo che anziché sul fedele cavallo, Dylan se n'era andato sulla sua moto. 12


Quel Natale era stato il più solitario della vita di Molly. Janet era lontano, in luna di miele, e lei era sola con i genitori, che erano sempre stati distanti, nel migliore dei casi. Aveva detto a Dylan che nessuno avrebbe dovuto rimanere solo a Natale, ma quell'anno aveva imparato che ci si poteva sentire dolorosamente soli anche senza esserlo di fatto. Si chiese dove fosse lui quel giorno. Possedeva ancora la stessa magia? C'era stato un tempo in cui trovarsi vicina a Dylan era bastato a dare senso al suo mondo. Lo considerava l'uomo più bello e più perfetto del pianeta. Ricordò con un brivido di orrore quanto lei fosse stata poco attraente, con i brufoli e l'apparecchio per i denti. Eppure Dylan aveva sempre tempo per lei. L'aveva fatta sentire speciale, e lei non l'avrebbe mai dimenticato. Infilò la fedina all'anulare della destra. Senza dubbio lui stava ancora spezzando cuori a tutto spiano. O forse era cresciuto, come tutti loro, ed era solo un tizio di mezz'età con una moglie, due figli e un mutuo da pagare. Cercò di immaginarlo alla guida di una pratica berlina, ma non ci riuscì. Per lei Dylan sarebbe sempre rimasto giovane e bello, un ribelle in giubbotto di pelle nera e stivali. Lasciò l'anello al dito e tornò a preparare i bagagli. Stava piegando una T-shirt di cotone con le maniche lunghe quando il telefono squillò. Seppe chi era ancor prima di rispondere. «Sto bene» disse mentre sollevava il ricevitore e lo stringeva fra il collo e la spalla. «Poteva essere qualcuno che vendeva qualcosa» osservò Janet. «E allora ti saresti sentita proprio sciocca.» «No, sapevo che eri tu.» Molly gettò la maglietta nella valigia, poi si sedette sul pavimento. «Sul serio, sto bene.» Janet sospirò. Il suono le giunse chiaramente attraverso tutta la lunghezza della California. Lei e suo marito, Thomas, vivevano nel nord dello stato, a Mill Valley, vicino a San Francisco. «Non ti credo, Molly. E sono preoccupata. So che mi ripe13


ti di non esserlo, ma non posso farne a meno. Sei mia sorella e ti voglio bene.» Molly si strinse le ginocchia al petto. «Lo apprezzo e anch'io ti voglio bene. Non ce l'avrei fatta ad affrontare questa cosa senza di te. Ma devi credermi, sto bene.» Era una bugia piccola, senza importanza. «Ho pensato di venire giù a passare una settimana con te. Fino a quando... lo sai.» Molly pensò a Janet che viveva nel suo piccolo appartamento e la colmava di attenzioni. In effetti, l'idea aveva i suoi pregi. Lei e sua sorella non avevano affatto legato, da bambine e da adolescenti. Una situazione che era stata incoraggiata dalla loro madre, come avevano finito per capire tempo dopo. Infatti una volta che Janet si era sposata ed era andata via, le due sorelle avevano scoperto che avevano in comune più di quanto avessero creduto, e negli ultimi dieci anni avevano sviluppato un rapporto stretto e affettuoso. «Per quanto sia allettante, hai tre figlie e so che le mie nipoti non mi perdonerebbero mai se portassi via loro la mamma, specie durante le feste» rispose. «E per essere del tutto onesta, so che senti la mancanza di Thomas, quando non sei con lui. Entro tre giorni saresti in crisi, e mi daresti sui nervi.» Molly parlò in tono leggero, in parte perché era vero e in parte perché temeva che Janet non avrebbe fatto che piangere per una settimana. E lei aveva bisogno di distrazione più di quanto avesse bisogno di comprensione. «Inoltre, sto andando via» aggiunse. «Hai ragione, le bambine sentirebbero la mia mancanza, e io mi intristisco senza Thomas. Andare via è una buona idea. Vieni a trovarci. Sai che ci farebbe piacere. Ci sei mancata al Ringraziamento.» «Vorrei» disse Molly lentamente. Oh, quanto lo avrebbe voluto! Sua sorella e suo cognato l'avrebbero coccolata, e le bambine l'avrebbero aiutata a dimenticare. La famiglia era una cura. Ma... «Ho bisogno di un cambiamento di ambien14


te. Non ho deciso dove andare, ma ve lo farò sapere quando ci sarò arrivata.» «Non so se devo insistere per convincerti a venire qui o lasciarti fare quello che desideri.» «Mi hai già tiranneggiata abbastanza quando eravamo bambine, perciò penso che dovresti lasciarmi fare a modo mio, adesso. Inoltre, sarò lì per il vostro anniversario e per Natale, come sempre. Ho solo bisogno di andare via per un paio di settimane, prima.» Janet sospirò un'altra volta. «È giusto. Mi fido che tu sappia che cos'è meglio per te. Sono solo frustrata. Vorrei fare qualcosa.» «Dillo a me.» Molly si sistemò una ciocca di capelli dietro l'orecchio. Abbassando la mano notò l'anello al dito. «Janet, ti ricordi di Dylan Black?» Janet rise. «Questo si chiama cambiare discorso. Certo. È il cattivo ragazzo del mio passato. Misterioso e pericoloso e così completamente sbagliato per me. Grazie al cielo è arrivato Thomas a salvarmi da me stessa. Non pensavo a lui da anni. Perché me lo chiedi?» «Mentre preparavo la valigia ho trovato l'anello che mi ha dato. La fede che aveva comprato per te. L'ho ancora, e trovarla mi ha fatto pensare a lui.» «Vediamo... Dylan era all'incontro del decennale del diploma, ma è stato quasi cinque anni fa. Ha una ditta che progetta motociclette su ordinazione a Riverside. Black qualcosa... non ricordo. Correva voce che se la passasse bene.» «Interessante» commentò Molly, e poi cambiò argomento. Parlarono ancora per qualche minuto, e alla fine promise che avrebbe pensato seriamente all'ipotesi di raggiungere Janet e la sua famiglia. Se non l'avesse fatto, li avrebbe almeno informati su dove era diretta. Dopo la telefonata, Molly impiegò un'altra mezz'ora per finire la valigia. Poi la portò in soggiorno, la posò sul divano, si sedette e la guardò. E adesso? Dove sarebbe andata? Voleva fuggire dalla sua vita per un paio di settimane, trova15


re un luogo dove poter dimenticare ciò che era accaduto e nello stesso tempo cercare di stabilire che cosa voleva fare del suo futuro. Una crociera? Un viaggio in treno fino a New York? Forse sarebbe dovuta andare ad Acapulco e restare sbronza per una settimana. Un Margarita la faceva parlare a vanvera, due la mettevano fuori combattimento per il resto della serata, perciò restare sbronza sarebbe stato virtualmente impossibile. Aveva bisogno di un piano. Lo sguardo le cadde sull'anello. Mosse la mano per farlo brillare. Anche dopo tutto quel tempo poteva ancora ricordare l'emozione del momento in cui Dylan glielo aveva dato. Certo, lui non l'aveva affatto inteso come un gesto romantico. Era stato il suo modo per dirle che non aveva dimenticato la promessa che le aveva fatto... che un giorno, quando lei fosse cresciuta, loro due sarebbero partiti per un'avventura. Sembrava che fosse passata una vita. Mentre fissava l'anello, un'idea prese forma nella sua mente. Era un'idea stupida e folle. Sarebbe stata completamente pazza a seguirla. Dopotutto erano passati anni. Dylan non si sarebbe neppure ricordato di lei, no? Si alzò in piedi. «È un inizio» mormorò a se stessa. «Un posto dove andare domattina.» Ed era ciò di cui aveva più bisogno. Il resto non aveva importanza. Avrebbe fatto quell'unica follia, andando a cercare Dylan Black, e poi avrebbe proseguito da là. Almeno sarebbe stato un inizio per il suo viaggio. Forse dopo sarebbe andata da sua sorella. Non importava. Tutto quello che voleva era fuggire, in modo da poter finalmente dimenticare. Dylan Black sbatté giù il telefono e lo incenerì con lo sguardo. Evie, la sua assistente, inarcò le sopracciglia scure. «Distruggere le attrezzature dell'ufficio non mi sembra molto produttivo. Ma, già, io sono solo una dipendente.» 16


Dylan si appoggiò alla spalliera della sedia. «Dillo a me.» Guardò Evie. «Mi stanno rendendo troppo difficile resistere all'offerta. Non riesco a decidere se sto facendo un passo avanti o se sto vendendo l'anima al diavolo.» «Se si tratta del diavolo, i prezzi sono saliti. La maggior parte delle persone che conosco venderebbe l'anima per molto meno. Parliamo di diversi milioni di dollari.» Dylan dovette convenirne. D'altronde, molta gente vendeva l'anima a un pezzo troppo basso. Non era stupido. Sapeva esattamente perché lo stavano tentando. Volevano quello che lui aveva. Per gli acquirenti, era una situazione da cui potevano uscire solo avvantaggiati. Ma per lui? Evie scosse la testa. «Hai quell'aria pensierosa che odio, perciò tornerò alla reception. Se hai bisogno di me, chiamami.» «Lo farò, grazie.» Lei si chiuse la porta alle spalle. Dylan voltò la sedia in modo da guardare fuori della finestra. La selvaggia, arida superficie del deserto californiano si estendeva dietro l'edificio a un solo piano. I suoi detrattori sostenevano che aprire la sua ditta di progettazione di motociclette su ordinazione, la Black Lightning, nel bel mezzo di Riverside era stato un grosso sbaglio. Ma il terreno costava poco, c'era della buona manodopera e Dylan aveva voluto un ampio spazio attorno a sé. Faceva un caldo infernale, in estate e distava quasi due ore dall'aeroporto internazionale di Los Angeles, ma era un piccolo prezzo da pagare per l'autonomia. Aveva investito nella ditta tutto ciò che possedeva. In meno di cinque anni aveva dimostrato che chi lo criticava aveva torto. Adesso era considerato un visionario nel suo ramo... un mago che stabiliva le tendenze. E allora perché stava pensando di vendere? Conosceva la risposta, e non aveva nulla a che fare con la magia, e neppure col diavolo. Era disposto a vendere la sua ditta perché la proposta era troppo allettante per rifiutarla. 17


Non solo gli veniva offerta una somma scandalosa, ma gli veniva garantita una posizione importante nella nuova società. Avrebbe finalmente avuto le risorse per condurre tutte le ricerche che desiderava. Poteva progettare a suo piacimento. Tutte quelle idee che aveva accantonato potevano finalmente essere esplorate. Sarebbe stato pazzo a rifiutare la proposta. Tranne per un unico dettaglio: assieme al denaro e al nuovo lavoro, ci sarebbe stato un capo a cui rispondere. Dylan si conosceva abbastanza da rendersi conto che sarebbe stato un problema. La domanda era: quanto grande? E lui era capace di convivere con le conseguenze? Avrebbe guadagnato delle risorse e perso il controllo della Black Lightning. Il suo legale gli soffiava sul collo da settimane; comprensibile, dato che era l'occasione di una vita. Ma l'istinto continuava a sussurrargli che doveva aspettare e riflettere. Dopotutto, era lui che aveva lavorato venti ore al giorno per tutti quegli anni. I progetti innovativi erano suoi. Aveva portato le moto sui circuiti, a volte affidandole a dei professionisti in modo che i nuovi sistemi potessero essere testati nelle condizioni più impegnative. Aveva dedicato tutto se stesso alla ditta. Come poteva venderla? Sarebbe stato come vendere un braccio o una gamba. Denaro a fronte di principi. Un dilemma senza tempo. I filosofi ne discutevano da quando la crosta terrestre si stava ancora raffreddando. E allora? La cosa sarebbe stata molto più facile, ammise tra sé, se lui non fosse diventato così cinico. Anni prima, quando era ancora un sognatore, si sarebbe sentito offeso dall'insinuazione che poteva essere comprato. Se il suo legale di allora avesse anche solo accennato a una vendita, Dylan lo avrebbe messo alla porta a calci. Quando la vita aveva cessato di essere così semplice? «Al diavolo» borbottò, pensando che non era obbligato a decidere subito. La società interessata gli aveva dato tempo fino al 23 dicembre per fissare un incontro preliminare. Se per Natale 18


avesse ancora rifiutato, avrebbero ritirato l'offerta. Perciò avrebbe aspettato fino a quando qualcosa fosse cambiato, fino a quando non avesse saputo da quale lato pendere. Nel frattempo c'erano dei rapporti da esaminare. Si voltò verso il computer e cominciò a digitare sulla tastiera. Si era appena immerso nei dati trimestrali quando Evie lo chiamò sul telefono interno. «Hai una visita» annunciò. «Molly Anderson. Non ha un appuntamento, ma dice che ti ricorderai di lei. Vi siete conosciuti molti anni fa.» Ci volle solo un secondo perché i ricordi riaffiorassero. La piccola Molly, la sorellina di Janet. Certo, la ricordava, con i suoi riccioli chiari e i grandi occhi. Era una cara ragazzina. Ricordava anche che aveva una cotta per lui. Di solito era una cosa che lo seccava, ma nel caso di Molly si era sentito lusingato. Forse perché aveva capito che cosa voleva da lui. Era trasparente, e aveva un cuore fondamentalmente buono. Dylan non poteva dire la stessa cosa di molta gente, oggigiorno. «Falla entrare» disse. Si alzò e attraversò la stanza. Quando Evie aprì la porta dell'ufficio, lui era in piedi con la mano tesa e il sorriso sulle labbra. Ma la donna che entrò nel suo ufficio non era più una ragazzina. Era ancora abbastanza piccola di statura, forse un metro e sessanta. I riccioli erano più lunghi, e li aveva raccolti in una treccia. Un trucco leggero evidenziava i grandi occhi nocciola. Dylan ricordava che aveva una brutta pelle, da adolescente, ma il tempo l'aveva cambiata e adesso le guance erano lisce e avevano un gradevole colorito roseo. Il sorriso era luminoso, il passo sicuro. La camicetta dalle maniche lunghe e i jeans mettevano in risalto le curve generose del suo corpo. «La signorina Anderson» annunciò Evie, prima di eclissarsi. «La piccola Molly completamente cresciuta» commentò Dylan, stupito da quella visita. 19


La donna davanti a lui annuì. «Nessuno mi chiama così da molto tempo. Immagino che tu sia sorpreso di vedermi.» «Lo sono. Piacevolmente.» Dylan decise che una stretta di mano non era la cosa giusta per l'occasione. Dopotutto, quella era Molly. Le tese le braccia. «Per amore dei vecchi tempi?» Molly fece mezzo passo avanti e lui l'abbracciò. Era tiepida e morbida, e stringerla non era per niente spiacevole. Ma sembrava un po' rigida e imbarazzata, perciò la lasciò e le fece cenno di sedersi sul divano di pelle collocato in un angolo dell'ufficio. Poi andò al mobile bar vicino alle librerie. «Una bibita? Vino?» Lei scosse la testa per rifiutare. «No, grazie.» Dylan si sedette accanto a lei, appoggiando la caviglia al ginocchio. Non riceveva molte visite inaspettate, e certo non visite a sorpresa dal passato. Comunque, quell'intrusione non lo disturbava. Semmai, era curioso. «Che cosa ti porta qui?» Lei sedeva con le mani in grembo, le dita intrecciate. «Non ne sono sicura. Credo che sia stato un impulso del momento. Spero che non ti dispiaccia.» «Niente affatto. Sono passati parecchi anni.» Molly annuì. «Quattordici. Non che abbia tenuto il conto.» «Sei cresciuta. Sei sempre stata una ragazzina adorabile, ma adesso sei proprio una bella donna.» La frase sembrava spontanea e sincera. Aveva sempre avuto la lingua sciolta. Lei rise. «E tu hai sempre lo stesso fascino. La verità è che ero un tipo comune, e ora sono un po' migliorata. Non sarò mai una modella da copertina, ma va bene così.» Lui la studiò. Non ricordava l'ultima volta in cui aveva pensato a Molly, o a Janet, che a quel tempo era stata l'amore della sua vita... o così gli era sembrato, a vent'anni. Molly si girò verso di lui. «Parlavo con mia sorella ed è saltato fuori il tuo nome. Mi sono chiesta come te la passavi, 20


e visto che venivo da queste parti ho pensato di farti visita. È strano?» «Per niente. Sono contento che tu l'abbia fatto. Quindi parlami di Molly Anderson. Usi ancora lo stesso cognome, perciò o non sei sposata o sei una donna moderna e indipendente che si rifiuta di farsi condizionare dalle aspettative della società.» Lei gli indirizzò un sorriso che parve non raggiungere gli occhi. «Non sono sposata. Vediamo. Ho una laurea in gestione aziendale e ho lavorato per una ditta di telecomunicazioni a Mischief Bay. Ho le abitudini solite, buone e cattive. Ho sentito che tu te la cavi bene.» Dylan accennò all'ufficio. «Progetto motociclette. Non immaginavo che avrei potuto guadagnarmi da vivere facendo qualcosa che amo, perciò in generale sono felice.» Tranne in quel momento, ammise tra sé, ma non aveva intenzione di pensare alle decisioni che doveva prendere. Molly era una distrazione inaspettata e sorprendentemente piacevole. All'improvviso era contento che fosse andata a trovarlo. Consultò l'orologio. Era quasi mezzogiorno. «Sei hai tempo, mi farebbe piacere portarti a pranzo» disse. «C'è un posto favoloso a poco più di un chilometro di distanza. Non è un granché a vederlo da fuori, ma servono i migliori hamburger della contea.» Sorrise. «Possiamo raccontarci tutto quello che è successo nella nostra vita, e non ti costringerò neppure ad andarci in moto.» «Sembra un'ottima idea» commentò Molly. Mezz'ora dopo erano al ristorante, a un tavolo vicino alla finestra. Babbo Natale, dipinto sul vetro accanto a loro, mangiava un hamburger mentre Rudolph, la sua renna dal naso rosso, lo guardava leccandosi le labbra. La cameriera aveva già portato da bere e preso le ordinazioni. Canti natalizi suonavano in sordina in sottofondo, e le feste erano abbastanza lontane perché non fossero ancora diventati irritanti. Molly sorseggiava un Margarita, mentre Dylan si era con21


cesso una birra. Di solito non beveva durante la giornata e aveva ancora molto lavoro ad aspettarlo in ufficio, ma l'aveva imitata quando lei aveva ordinato qualcosa di alcolico. Mentre osservava Molly, non poteva liberarsi dalla sensazione che qualcosa non quadrasse. Qualcosa nel modo in cui lo guardava lo spingeva a interrogarsi sul perché fosse andata a trovarlo. Era rigida, come se fosse a disagio. Aveva schivato tutte le domande, a parte quelle più elementari, come se non volesse parlare della sua vita privata. Dylan si sentiva osservato dagli altri clienti. La città era abbastanza piccola perché tutti si conoscessero, se non per nome, almeno di vista. Lui non portava molte donne in quel locale, e comunque non somigliavano in nulla a Molly. Aveva un tipo preciso... bruna, gambe lunghe. Aveva sviluppato una predilezione per quel tipo quando usciva con la sorella di Molly, Janet. «So che cosa stai pensando» affermò Molly. Dylan scosse la testa. «Ne dubito.» «Ti chiedi perché sono qui. Voglio dire, sono sicura che ti fa piacere vedermi, ma... che cosa voglio?» Aveva visto giusto. Diverse possibilità gli attraversarono la mente. Denaro? Un lavoro? Sperma? Quell'ultimo pensiero lo fece sorridere. Non importava quanti anni erano passati, non poteva in alcun modo immaginare la piccola Molly che chiedeva dello sperma a qualcuno. «In effetti, voglio qualcosa» ammise lei, afferrando la borsa. Frugò all'interno e tirò fuori qualcosa, che poi gettò sul tavolo. «In un certo senso.» Dylan non sapeva che cosa aspettarsi, e rimase sbalordito quando vide una fede d'oro posata sul legno scuro. «È tutto così improvviso» disse, affidandosi a una battuta perché non sapeva bene che cosa dire. «Non è quello che pensi» lo rassicurò Molly. «Bene, perché non so che cosa pensare.» «Ricordi l'anello?» Lui lo raccolse. «Certo.» Aveva comprato una sola fede in 22


vita sua. Era destinata a Janet, al tempo in cui pensava che se avesse dovuto tirare avanti senza di lei sarebbe morto. Ovviamente sbagliava. Il tempo era una grande medicina. E così pure le lezioni della vita. «L'ho comprato per tua sorella.» «Poi l'hai dato a me, il giorno in cui si è sposata.» Dylan annuì. Era andato in chiesa, pensando che vedere almeno parte della cerimonia avrebbe sanato le sue ultime ferite. Molly era uscita a salutarlo. Ricordava di averle dato l'anello, ma non riusciva a ricordare il perché. Lei respirò a fondo. «Non volevo che andassi via... per molte ragioni, ma la sola che ero disposta a rivelarti era che mi avevi promesso un'avventura, quando fossi cresciuta. Perciò mi hai dato l'anello e hai detto che, quando fossi stata pronta per quell'avventura, avrei dovuto portartelo.» Si schiarì la gola, poi arrossendo chinò la testa e fissò il tavolo. «Be', io sono pronta, se tu sei ancora disposto.»

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