La sinfonia dei ricordi

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Linda Goodnight

La sinfonia dei ricordi


Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: The Innkeeper's Sister HQN Books © 2017 Linda Goodnight Traduzione di Francesca Campisi Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Books S.A. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. Harmony è un marchio registrato di proprietà HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved. © 2018 HarperCollins Italia S.p.A., Milano Prima edizione Harmony Romance febbraio 2018 HARMONY ROMANCE ISSN 1970 - 9943 Periodico mensile n. 196 del 24/02/2018 Direttore responsabile: Chiara Scaglioni Registrazione Tribunale di Milano n. 72 dello 06/02/2007 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - Via Mondadori, 1 - 20090 Segrate (MI) Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 045.8884400 HarperCollins Italia S.p.A. Viale Monte Nero 84 - 20135 Milano


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Honey Ridge, Tennessee, oggi I segreti sono come i foruncoli. Si infettano e danno fastidio, ma non può esserci sollievo finchÊ non si espelle il nucleo profondo della verità . Valery Carter viveva giorno dopo giorno con quel foruncolo infetto e fastidioso. Con la paletta da giardinaggio in pugno, rimuoveva le erbacce che spuntavano tra le lapidi storte e segnate dal tempo. Da secoli il cimitero della famiglia Portland non veniva usato come luogo di sepoltura, ma c'era qualcosa in quella dignitosa quiete, nel modo in cui aveva custodito i defunti per quasi duecento anni, che spingeva Valery a prendersi cura di quel piccolo pezzo di terra. Nascoste in una conca tranquilla e ombreggiata, a sud della Peach Orchard Inn, le pietre sepolcrali si erano sbiadite al punto da apparire a malapena leggibili, quasi impossibili da decifrare. Quattro tombe in particolare ossessionavano Valery. Non poteva lasciarle in quello stato di abbandono: appartenevano a dei bambini. Charlotte Portland Gadsden, vissuta negli anni della Guerra Civile aggrappandosi con le delicate dita britanniche a quella terra e alla magione che ora ospitava la Peach Orchard Inn, aveva perso quattro figli, li aveva sepolti in quel cimitero e aveva segnato le loro piccole tombe con lapidi, ora ingrigite, che 5


riportavano le rispettive date di nascita. Solo una dei quattro era vissuta più di qualche ora. Anna Cornelia aveva respirato per cinque giorni prima che gli angeli la portassero in cielo. Piccola creatura, rosea, graziosa e inerme. Cinque giorni non potevano esserle bastati a comprendere l'amore profondo e disperato della madre. Con la mano protetta dal guanto, Valery sfregò la stele di Anna, per ripulirla dai licheni e dagli escrementi degli uccelli, e percorse con un dito l'incisione del nome. Poi aggiunse della terra fresca per sostenere la lapide inclinata e rimosse ogni filo di erbaccia che minacciava di oscurare la memoria di quella breve vita. Le rose che aveva piantato l'anno precedente sembravano morte, ma Valery non abbandonava la speranza, come l'uccellino azzurro che svolazzava di ramo in ramo in cerca di un luogo adatto per fare il proprio nido. I bambini meritavano narcisi luminosi e delicate rose rosa. Valery avvertiva un legame con quei neonati e con la madre che li aveva perduti e che, senza dubbio, si era inginocchiata in quello stesso punto a piangere in cerca di risposte. Le lacrime le offuscarono la vista. Anche lei ne sapeva qualcosa di pianti e vani interrogativi, della necessità di tollerare l'inevitabile. Si spiegavano così, forse, la sua attrazione per quel cimitero e il bisogno di disperdere i ricordi. Era consapevole di avere un problema. Ma non sapeva come risolverlo. Julia e la mamma la scrutavano con disapprovazione, ma figurarsi se una delle due era disposta ad affrontare la questione. La mamma insisteva che Valery sarebbe stata più felice frequentando la chiesa più spesso, ma per il resto si limitava a ignorare il problema come se lei non ne fosse affatto responsabile. Julia fingeva semplicemente che non esistesse. Un grosso scheletro ingombrava l'armadio dei Carter e tutte ne erano con6


sapevoli. Le donne della famiglia tenevano per sé i segreti, perfino quelli che non conoscevano. Tra i rami alti degli alberi soffiava un vento capriccioso, e li faceva sfregare gli uni contro gli altri come ossa rinsecchite. Valery rabbrividì, ma non per paura. Per lei il cimitero rappresentava un luogo di pace e riposo come lo era stato per le generazioni dei Portland e per quel pugno di soldati della Guerra Civile, che erano morti nell'allora fiorente tenuta di Peach Orchard. Fatta eccezione per quel foruncolo infetto che le doleva di continuo, anche Valery si sentiva morta come loro. Un tempo era stata viva, ma quella sensazione apparteneva al passato. All'interno del giaccone di lana ben chiuso, le vibrò il cellulare. Valery si appoggiò sui talloni, tolse un guanto e recuperò il telefono dalla tasca. Gli ospiti arrivano alle quattro, diceva il messaggio, non dimenticartelo. Quel giorno toccava a lei fare da padrona di casa al bed and breakfast, e la sorella Julia, che si trovava a Knoxville con il neomarito e il figlio di lui, temeva che potesse deluderla. Triste ma vero. Valery aveva deluso tutti un sacco di volte, soprattutto se stessa, ma si aggrappava alla nuova felicità coniugale della sorella come prova tangibile della propria capacità di combinare anche qualcosa di buono. In fondo non era stata lei a scagionare Eli, il marito di Julia, impedendogli di tornare in cella? Sospirò a fondo. Non aveva importanza: per loro rimaneva sempre la stessa. Mancavano diverse ore alle quattro e all'arrivo degli ospiti. L'assenza di fiducia di Julia appariva sin troppo evidente. Valery rispose al messaggio. Tutto sotto controllo. Infilò il cellulare in tasca, si alzò in piedi, accarezzò le 7


piccole lapidi a una a una sussurrando ai piccoli dolci parole di conforto, prima di fare ritorno alla Peach Orchard Inn, la casa in cui tutti e quattro erano nati e tutti e quattro erano morti. «Questo posto è un vero disastro.» Grayson Blake scrutò perplesso prima il fratello poi il vecchio mulino, un rudere dei tempi andati − molto, ma molto andati − alla periferia di Honey Ridge. Le piante e le erbacce soffocavano l'ingresso, il tetto stava cedendo e la ruota del mulino era un ammasso di muschio e ruggine. E per l'amor del cielo! Non era un serpente quello che si crogiolava al sole sul sentiero di ghiaia? «Sogno questo posto da quando ero bambino.» Suo fratello Devlin si protese in avanti sul sedile della jeep, negli occhi lo stesso entusiasmo di vent'anni prima, quando trascorrevano l'estate dai nonni a Honey Ridge. «È perfetto per farci un ristorante. È storico, pittoresco, magico...» «Pericolante» borbottò Grayson. «Dettaglio trascurabile. Guarda invece la struttura e lo scenario incredibile». Devlin accompagnò le proprie parole con gesti enfatici. «Proprio di fronte alla Peach Orchard Inn, vicino al fiume e al paese. La gente dovrà mangiare oltre che dormire, no? E gli studi di fattibilità promettono bene. Immagina le prospettive, scettico che non sei altro.» Quando Devlin si metteva in testa qualcosa, Grayson sapeva che era meglio non discutere e lasciarlo correre finché non avesse esaurito la benzina. Dei due lui era il maggiore e il più razionale. Devlin... be'... era un pazzo furioso. «Dobbiamo pensarci con calma» commentò, e il suo unico pensiero fu di rimettersi in strada e filarsela il più lontano possibile, prima che il fratello lo trascinasse in 8


un altro dispendioso baratro, che gli avrebbe provocato l'ulcera e intere notti insonni trascorse a fare conti. «Ricordi la camera mortuaria?» chiese Devlin, inarcando un sopracciglio nero come il peccato e altrettanto diabolico. Grayson sbuffò. Devlin era bravo a snocciolare successi come se lanciasse caramelle da un carro di carnevale. Un po' qua e un po' là per suscitare entusiasmo. «Me la ricordo.» «E la prigione... e il vagone arrugginito del treno, e poi la banca con la saletta privata ricavata nel vecchio caveau?» Grayson alzò le mani in segno di resa. Il suo orologio di platino scintillò alla luce del sole. Guardò le lancette. Il tempo era denaro, e avevano già trascorso un paio d'ore nella piccola città rurale di Honey Ridge senza avere concluso granché. Sospirò. «Devo ammetterlo?» «Un pizzico di umiltà ti farà solo bene» rispose Devlin, incrociando le braccia sopra la giacca e la cravatta che indossava solo quando il fratello lo avvertiva di possibili confronti con la gente del posto, contraria all'afflusso di forestieri in quelle campagne tranquille. La giusta immagine, agli occhi di Grayson, era indice di potere. Il fratello maggiore emise uno sbuffo sonoro. «Avevi ragione» ammise suo malgrado. La società dei Fratelli Blake aveva trasformato in ristoranti di successo i locali più tristi, fatiscenti e improbabili. La gente rispondeva a frotte alla chiamata dell'insolito. «E avrò ragione anche stavolta. Vedrai.» La collaborazione negli affari era nata ai tempi dell'università quando i due si erano lanciati nella compravendita di immobili per pagarsi gli studi e le serate a base di pizza e birra. Aprire ristoranti era stata una sorta di evoluzione naturale. Grayson e Devlin Blake, il secchione e 9


l'avventuriero. Erano agli antipodi, come la marmellata e il burro di arachidi, eppure la loro coalizione funzionava alla perfezione. «Vuoi dare un'occhiata?» Devlin aprì la portiera. «Lo sto già facendo.» «Intendo da vicino. Dall'interno. Dai, entriamo a vedere.» Dal momento che Devlin era già sceso dalla jeep e si stava facendo strada tra rampicanti morti ed erbacce affilate come pugnali, Grayson dovette seguirlo. Tanto ormai era lì. E il fratello avanzava imperterrito, incurante del pericolo o della mancanza di autorizzazione. «Potrebbero arrestarci» gli gridò dietro. Dev agitò una mano, ma non si voltò. «Non sarebbe la prima volta.» «Non per te, forse» sbottò Grayson. La prima volta di Devlin era stata proprio a Honey Ridge, quando lo avevano beccato per violazione di proprietà alla veneranda età di nove anni. Aveva scavalcato la recinzione dell'anziana signora Pennington per liberare una cucciolata di cani di razza. «Non potevo certo lasciarli soffrire, no?» Se all'epoca avesse ritenuto i cagnolini in pericolo, Grayson si sarebbe unito all'avventato tentativo di salvataggio del fratello. «Non stavano soffrendo.» «Io ero convinto di sì.» Vero. Devlin era fatto così. Se credeva di assistere a un'ingiustizia, si gettava a capofitto nella mischia, solitamente a danno suo e del fratello. Nel caso dei cuccioli, Grayson lo aveva avvertito che non esisteva alcuna macina trita cani nella tenuta di Marybelle Pennington, ma il fratellino dal cuore tenero aveva visto in TV un servizio sui diritti degli animali e non si era lasciato dissuadere. Che i due ragazzi avessero appena nove e undici anni poteva forse giustificarne l'ingenuo entusiasmo. Grayson, come diceva sempre il nonno, era nato vecchio e 10


saggio al preciso scopo di sorvegliare l'impetuoso fratello minore. Vecchio e saggio, ovvero serio e barboso. Davanti a lui, Devlin procedeva deciso, scostando i rami bassi degli arbusti e schivando rampicanti pungenti. Grayson non ebbe la stessa fortuna. Un fusto spinoso gli sferzò la guancia, lacerandola con un graffio profondo. La toccò e scoprì che sanguinava. «Sono ferito. Abbandoniamo l'impresa.» «Non fare la lagna. La meta è vicina.» Grayson sorrise, divertito, come sempre, dalle loro opposte personalità. Erano proprio come lo yin e yang, la notte e il giorno. «Ehi!» Devlin si fermò di colpo. «Cosa c'è?» Grayson affrettò il passo per raggiungerlo, sforzandosi di non pensare che come minimo avrebbe passato tutta la notte in preda al prurito. «Mi è sembrato di vedere qualcuno alla finestra.» Grayson alzò lo sguardo verso uno dei vetri sporchi al piano superiore. «Io non vedo nessuno. Sarà stato un gioco di luci.» «Sarà» ammise Devlin poco convinto. «La donna del tribunale ha detto che il posto è infestato.» Puntò il dito. «A quanto pare qualcuno ci crede. C'è un albero di bottiglie per catturare i fantasmi.» Grayson osservò la strana creazione, una serie di bottiglie color blu cobalto infilate ai rami di un albero morente. «Superstizioni.» «Oppure qualcuno non vuole intrusi tra i piedi e l'albero è una sorta di avvertimento per spaventare la gente.» «In tal caso, non dovremmo trattenerci.» «Certo che sì. Dai, vieni.» Devlin spinse una coppia di grandi e pesanti porte ingrigite che cigolarono sui cardini arrugginiti, rivelando l'interno cupo e umido. «Inquietante» dichiarò sfoderando un sorrisino. «Come piace a te.» 11


«Esatto. Ti ricordi quando venivamo a esplorarlo da ragazzini? Me la facevo sotto dalla paura.» «Ma non bastava a frenarti.» Né a frenare lui, del resto. Quando Devlin partiva, Grayson si sentiva in dovere di seguirlo e più di una volta si erano ritrovati in acque pericolose. «La paura mi eccita.» Grayson scoppiò in una risata secca, che riecheggiò sinistra nell'ambiente cupo. «Non mi convince, Dev.» Pestò un piede con cautela sul pavimento per saggiarne la tenuta. «Il mulino versa in condizioni peggiori di quando eravamo ragazzi. Potrebbe essere rischioso.» Come suo solito, Devlin era partito in quarta e perlustrava l'interno dell'edificio con l'espressione rapita di uno che già si figurava il risultato finale. Aveva un vero talento in tal senso e il fratello maggiore aveva imparato a lasciarsi guidare dal suo istinto creativo. Grayson tastò le pareti, sfiorando con la mano il legno antico. «Quercia invecchiata, dura come la roccia. Potremmo recuperarne a sufficienza per conferire un tocco di carattere e antichità.» Devlin si voltò con una piroetta. «Allora ci stai?» «Diciamo che mi sto abituando all'idea.» Il fratello sfoderò un sorriso a trentadue denti. «Diamo un'occhiata al piano superiore e al seminterrato?» «Se proprio dobbiamo farci arrestare, che almeno il gioco valga la candela.» «Non ci faremo arrestare. Stai prendendo appunti?» Grayson gli lanciò un'occhiata che parlava da sé. Non usciva mai di casa senza il suo armamentario tecnologico. Il tablet era rimasto sulla jeep, ma lo smartphone sarebbe bastato. «Serve forse chiedere?» Brandendo una torcia a penna, Devlin salì le scale a balzi, come se non fossero state traballanti e vecchie di duecento anni. «Guarda un po' qui.» 12


Grayson lo raggiunse. «Il tuo fantasma dorme in un sacco a pelo.» L'ampio locale era per lo più sgombro, svuotato di qualunque antico attrezzo da mugnai, a parte un conglomerato arrugginito di carrucole sospese al soffitto. In un angolo del pavimento, accanto a una finestra incrostata di sporcizia, giacevano un sacco a pelo consunto, una tinozza d'acqua e un assortimento di contenitori di plastica vuoti. «Inquilini abusivi?» «Forse ragazzini che dormono qui in cerca del brivido» suggerì Grayson. «Come facevamo noi, ricordi?» «No, noi no. Io volevo, ma tu mi hai piantato in asso. Avevi una cotta per una certa ragazza e le facevi la posta al Dairy Queen sperando di incontrarla.» Grayson scosse il capo. «Quello eri tu, Romeo.» «Oh, no. Me lo ricordo benissimo. È successo l'estate prima che...» Devlin si interruppe con una smorfia. «Hai capito.» «Certo.» A Grayson non piaceva parlare di quel periodo o del difficile anno seguente, quando Dev era tornato a Honey Ridge senza di lui. «Comunque, avevo appena undici anni e non me ne fregava un accidente delle ragazze.» Devlin si diede una pacca sulla fronte con il palmo della mano. «Dovevo avere seri problemi!» Grayson scoppiò a ridere. «Quando gli ormoni maschili si sono finalmente risvegliati − attorno ai tredici anni, se ricordo bene − non ti sei più fermato.» «Vero. Non c'è niente di più meraviglioso al mondo del genere femminile. Dio sapeva il fatto suo.» «Comunque, niente di tutto ciò spiega la presenza del sacco a pelo. Propendo a credere che qualcuno si sia accampato qui. Non vedi che l'ambiente è vuoto, come se l'avessero liberato di ciò che conteneva e ripulito?» «Hai ragione. Non è rimasto quasi niente.» 13


«Un cantiere non è un luogo adatto agli intrusi, bambini o altro. Dobbiamo immediatamente provvedere alla segnaletica.» Il viso di Devlin si illuminò. «Allora variamo il nuovo progetto?» «Prima voglio fare due conti e mettere sulla bilancia costi e profitti.» Devlin spostò il peso da un piede all'altro, infilò le mani in tasca e poi le tirò subito fuori. Infine si avvicinò alla finestra sporca. «Guarda che vista. Potremmo riservare il piano superiore agli eventi speciali, feste con catering, cene prenuziali e cose del genere. Magari creare qui una grande vetrata.» La vista sottostante spaziava dalla ruota del mulino alle cascatelle che si tuffavano nel limpido ruscello dal fondo sassoso. Tutt'intorno, fin dove arrivava lo sguardo, era una distesa di boschi e natura. «La vista ha davvero del potenziale. La gente sarà invogliata a fare due passi qui attorno.» «L'effetto naturale mi piace, ma farei un po' di restyling del paesaggio, per aumentare l'aspetto romantico, aggiungendo qualche panchina e delle aiuole.» «Si dovrà ricavare un'area per il parcheggio.» Grayson fece per voltarsi, ormai impaziente di mettere il progetto nero su bianco per valutare la fattibilità del nuovo ristorante. Ma qualcosa tra i cespugli attirò la sua attenzione. Aguzzò la vista. «Che cos'era?» «Dove?» Indicò fuori dalla finestra. «Laggiù, nel fitto intrico di rampicanti a monte del ruscello.» Devlin corrugò la fronte, scrutando attentamente il punto indicato. «Non vedo...» «Non c'è più.» Grayson girò sui tacchi, la mente già pervasa da grafici, numeri e contatti di varie imprese edili. «Ma cos'era?» 14


«Forse un animale selvatico. Magari un coyote. O un orso.» «O il nostro inquilino abusivo?» «Può darsi.» L'intruso era l'ultima preoccupazione di Grayson. Chiunque fosse, doveva trovarsi un altro posto in cui giocare. Guardò l'orologio. «Il check-in alla locanda è alle quattro. Sarà meglio andare.» «La Peach Orchard Inn è dall'altra parte della strada, Grayson. Non faremo tardi.» «Non mi piace farmi aspettare.» Il fratello alzò gli occhi al soffitto e scosse il capo. «Se non fossi un vero genio con numeri e grafici Excel...» «Stai forse riconoscendo la mia intelligenza?» Grayson sentì germogliare un sospetto che si radicò più in fretta di una gramigna. Si bloccò in cima alle scale e guardò il fratello in tralice. «Succede solo quando devi dirmi qualcosa che non mi piacerà. Di che cosa si tratta?» Devlin si piazzò le mani sui fianchi, i lati della giacca spostati indietro. «Allora, che ne pensi? Non diventerà un altro favoloso ristorante dei Fratelli Blake?» «Forse. Dopo il check-in al bed and breakfast chiamerò il proprietario e discuteremo la cifra.» «Ehm... Grayson, credo di averlo già fatto.» Grayson strabuzzò gli occhi. «Tu?» «Sì, sì, lo so, le trattative sono compito tuo, ma mi era giunta voce di un possibile concorrente. E sai come divento sentimentale quando si tratta di cose che riguardano i nonni. Io voglio questo posto. Non potevo farmelo soffiare.» Anche Grayson era legato a Honey Ridge, però gli affari erano affari. «Non mi piace questa storia.» «Sapevo che alla fine il mulino ti sarebbe piaciuto. Ma ti concentri troppo sui dettagli. Sai come si dice, chi prima arriva meglio alloggia...» 15


Grayson fissò il fratello con sguardo incredulo, mentre il senso di premonizione gli solleticava le terminazioni nervose come una scossa elettrica. «Si può sapere che cosa hai combinato?» «Abbiamo. Io e te.» Devlin arricciò il naso. «L'abbiamo comprato.»

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La sinfonia dei ricordi di Linda Goodnight Grayson Blake ama ristrutturare immobili, ridare vita al passato sfruttando le sue capacità manuali. È un uomo che sa di non voler perdere tempo. La vita, con le sue dure prove, lo ha convinto che ogni momento potrebbe essere l'ultimo e per questo non si concede il lusso né di fermarsi né di legarsi a qualcuno. Ora, tornato a casa a Honey Ridge, Tennessee, ha messo gli occhi sul vecchio mulino all'interno della proprietà del Peach Orchard Inn, che vorrebbe trasformare in un ristorante, ma suoi piani si sgretolano quando, durante lo scavo, ritrova uno scheletro risalente alla Guerra Civile. Trattandosi di un avo dei proprietari, decide di confrontarsi con loro. Si ritrova di fronte l'ex ballerina Valery Carter, una donna che dietro a...


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