La solitudine del conte di Eva Shepherd

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EVA SHEPHERD

La solitudine del conte


Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: Stranded with the Reclusive Earl Harlequin Mills & Boon Historical Romance © 2021 Eva Shepherd Traduzione di Federica Isola Pellegrini Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Books S.A. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. Harmony è un marchio registrato di proprietà HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved. © 2022 HarperCollins Italia S.p.A., Milano Prima edizione I Grandi Romanzi Storici gennaio 2022 Questo volume è stato stampato nel dicembre 2021 da CPI Black Print, Spagna, utilizzando elettricità rinnovabile al 100% I GRANDI ROMANZI STORICI ISSN 1122 - 5410 Periodico settimanale n. 1291 del 26/01/2022 Direttore responsabile: Sabrina Annoni Registrazione Tribunale di Milano n. 75 dello 01/02/1992 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distribuzione canale Edicole Italia: m-dis Distribuzione Media S.p.A. Via Carlo Cazzaniga, 19 - 20132 Milano HarperCollins Italia S.p.A. Viale Monte Nero 84 - 20135 Milano


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Cornovaglia, 1890 Lady Iris Springfeld costituiva un enigma. Dovunque andasse, i bisbigli che venivano scambiati dietro i ventagli e le mani inguantate non mutavano mai. Perché non si era ancora sposata? In fondo, era dotata di tutti i requisiti che un uomo cercava in una moglie. Era bella, aggraziata, di buon carattere e, correva voce, possedeva una dote più che cospicua. Durante la sua prima Stagione, quando lei aveva rifiutato diverse proposte di matrimonio, nessuno lo aveva trovato strano, dal momento che l'avvenente figlia di un conte aveva un'ampia possibilità di scelta. Tutti avevano dato per scontato che dovesse aspettare una proposta migliore. Al termine della sua seconda Stagione, quando uno sposalizio non si era ancora profilato all'orizzonte, alcune sopracciglia si erano inarcate, ma tutti si erano comunque aspettati che un matrimonio non avrebbe tardato a essere annunciato. Ora che aveva raggiunto la non più giovanissima età di ventitré anni ed era nel bel mezzo della sua quinta Stagione senza avere ancora un anello al dito, però, le 5


signore dell'alta società non facevano che parlare avidamente di quella curiosa situazione. Doveva esserci qualcosa che non andava in Iris Springfeld. Ciò che quelle pettegole ignoravano era che lei aveva un segreto che custodiva accuratamente, un segreto che non aveva confidato che alle sue due sorelle, Hazel e Daisy. A differenza della maggior parte dei membri della nobiltà inglese, Iris Springfeld era decisa a sposarsi per amore. Finché non avesse incontrato un uomo che avesse veramente amato e un uomo che l'avesse amata per quella che era in realtà, e non per il suo viso grazioso o la sua posizione sociale, sarebbe rimasta nubile. E quell'uomo non sarebbe stato certo Lord Pratley! Rabbrividendo, Iris si strinse più strettamente addosso la giacchetta per tentare di proteggersi dall'inclemenza del tempo. Lord Pratley aveva approfittato ampiamente della sua partecipazione alla riunione a casa di Lady Walberton per corteggiarla in modo incessante, talmente incessante da indurla a ricorrere all'estremo espediente di fingere un forte mal di testa e dire alla madre che aveva bisogno di coricarsi presto. Sebbene non le piacesse mentire, quale altra possibilità le era rimasta? Si trattava dell'unica assennata linea di condotta che avrebbe potuto adottare date le circostanze. Era stata certa che, se Lord Pratley le avesse fatto un altro complimento, avrebbe dimenticato tutte le lezioni che le erano state inculcate sul galateo e su come una giovane doveva comportarsi in società, e lo avrebbe rimesso al suo posto. Iris si spazzò via la goccia di pioggia che le colava dal naso. Se avesse potuto vederla in quel momento, dubitava che Lord Pratley avrebbe elogiato la sua bel6


lezza. Non quando quella folta chioma bionda che lui ammirava tanto non era più appuntata sul sommo del suo capo in un'elaborata acconciatura e le pendeva in una massa scarmigliata lungo la schiena. Senza dubbio non avrebbe definito le sue flosce ciocche come oro filato né come una serica luce solare. Quanto ai suoi occhi, che lui aveva affermato essere azzurri come fiordalisi, oltre che destinati a conquistare il cuore di un uomo, erano a malapena visibili adesso mentre lei li stringeva per sbirciare attraverso la pioggia sempre più intensa. E sarebbe equivalso a travisare la verità affermare che era aggraziata ed elegante, certo non nella situazione in cui si trovava. Con il cappello che le ricadeva attorno al viso come uno straccio bagnato, la gonna azzurra cosparsa di fango e gli stivaletti pieni d'acqua, assomigliava più a una vagabonda che a una giovane alla moda. Iris rise fra sé, desiderando che lui potesse vederla come appariva al momento. Ripensandoci, non dubitava che Lord Pratley sarebbe stato ancora in grado di coprirla di osservazioni lusinghiere, malgrado le sue pietose condizioni. La risata si trasformò in una smorfia allorché il fango liquido si riversò all'interno degli stivaletti che le arrivavano alle caviglie. Abbassando lo sguardo, scoprì di trovarsi al centro di una pozzanghera e che quelle che una volta erano state delle calzature di seta avorio avevano assunto un'orrida tonalità marrone. Affrettandosi a uscire dal fango che la stava risucchiando, si sforzò di non pensare ai danni che stava facendo. La sua cameriera personale non sarebbe stata affatto contenta quando lei fosse finalmente tornata a casa, e tutti quegli indumenti malconci avrebbero dovuto essere lavati e riparati. 7


Forse non era stata la cosa più ragionevole da fare, percorrere un sentiero melmoso con indosso degli abiti confezionati per trascorrere una piacevole serata in un confortevole salotto e degli stivaletti che non erano mai stati destinati ad affrontare le difficoltà dei viottoli di campagna. Addurre il pretesto di un mal di testa in modo da potersi ritirare nella sua stanza era parsa una buona idea sul momento. Come lo era sembrata l'intenzione di fuggire dalla villa per fare una tranquilla passeggiata. L'unica cosa che aveva desiderato era godersi il tramonto e alcuni minuti di pace il più lontano possibile dall'ossessivo corteggiamento di Lord Pratley. Come avrebbe potuto immaginare che il tempo in Cornovaglia fosse in grado di cambiare a una simile velocità? Se fosse stata superstiziosa, avrebbe considerato le sue deplorevoli condizioni come il prezzo che doveva pagare per avere mentito alla madre. Una piccola, innocente bugia riusciva davvero a indurre gli dei a fare ululare il vento, scrosciare la pioggia e trasformare quella che era stata una nuvolosa, ma peraltro gradevole serata, in una violenta tempesta solo per punirla? Come se gli dei le avessero letto nel pensiero, la pioggia cominciò a cadere sempre più forte. Iris si accostò ulteriormente il cappello alla testa. «Va bene, va bene» mormorò a quegli onnipotenti dei. «Avete dimostrato la vostra opinione. Non avrei dovuto mentire a mia madre.» E a peggiorare la situazione, sembrava che adesso si fosse completamente smarrita. Si fermò sul sentiero per guardarsi intorno. Dato che tutti quei campi apparivano identici, come le sarebbe stato possibile orientarsi? Ed era sicura di avere già oltrepassato quel fienile. O tutti i fienili della Cornovaglia si assomiglia8


vano come gocce d'acqua? Ciò che stava apparendo sempre più chiaro era che non aveva la più pallida idea di come tornare a casa e che aveva bisogno di aiuto. Anche se forse stare sotto la pioggia battente era meno sgradevole che trascorrere una serata con Lord Pratley, l'oscurità si stava intensificando e perfino la sua compagnia sarebbe stata preferibile all'essere intrappolata nella campagna nel cuore della notte durante un temporale. Portò lo sguardo davanti a sé, si voltò e si guardò indietro, stringendosi più strettamente la giacchetta attorno alle spalle. Ciascuna delle due direzioni avrebbe potuto essere quella che l'avrebbe ricondotta alla tenuta dei Walberton, e ciascuna delle due avrebbe potuto allontanarla ulteriormente dalla sua destinazione. Non c'era che una cosa fare. Dato che non aveva incontrato anima viva da quando era iniziato a piovere, era altamente improbabile che sarebbe apparso qualcuno capace di fornirle delle indicazioni. Evidentemente, gli assennati abitanti della Cornovaglia non uscivano durante i temporali, quindi non le restava che chiedere aiuto alla casa più vicina che fosse riuscita a trovare. Benché si trattasse di un comportamento inaccettabile per una gentildonna, bussare alla porta di una casa sconosciuta, da sola e senza essere stata invitata, quale altra possibilità le restava? Rimanere fuori tutta la notte con quel tempo costituiva la sua unica altra alternativa, e non era affatto un'alternativa. Senza dubbio, le regole del galateo potevano essere infrante in simili situazioni. Scoccò un'altra occhiata dietro di sé, si alzò il colletto della giacca e prese una decisione. Sarebbe stato inutile ripercorrere il sentiero in senso inverso. Le conveniva continuare a camminare e fermarsi alla ca9


sa più vicina, e se non fossero apparse delle case, si sarebbe rifugiata in uno di quei fienili. Se non altro, si trattava di un'avventura, tentò di consolarsi mentre camminava, o meglio arrancava lungo il melmoso sentiero, ma di un'avventura che avrebbe gradito vedere giungere al termine il più presto possibile. Superò l'angolo, portò lo sguardo in ogni direzione, ma le case sembravano brillare per la loro assenza. «D'accordo» gridò a chiunque la stesse ascoltando, compresi gli dei del tempo. «Sono stata punita a sufficienza.» Si posò una mano sul cuore. «Giuro solennemente che non mentirò mai più a mia madre. Se mi aiuterete a tornare sana e salva a casa di Lady Walberton, mi comporterò in modo esemplare per tutto il resto della riunione di ospiti. Sorriderò amabilmente, riderò delle battute di spirito degli uomini, ascolterò i pettegolezzi delle donne e vi contribuirò aggiungendovi io stessa alcune succose informazioni. E non dirò mai più una bugia.» Attese che la pioggia cessasse, che il vento si placasse e che apparisse un segno in grado di indicarle in quale direzione si trovava la tenuta dei Walberton. Poiché non accadde nessuna di quelle cose, proseguì lungo il sentiero, borbottando contrariata. Proprio quando cominciava a pensare che la Cornovaglia fosse una regione spopolata delle Isole Britanniche, una casa enorme si stagliò in lontananza. Premendo una mano contro il cappello per impedire al vento di strapparglielo dalla testa, inviò al cielo un muto ringraziamento. Sforzandosi di evitare quanto le fu possibile le pozzanghere, si diresse verso l'edificio e si fermò all'inizio del lungo viale di accesso. 10


«Ti prego, fa' che ci sia qualcuno in casa e fa' che sia gentile» mormorò mentre esaminava le ruvide pietre che rivestivano l'esterno della dimora. Degli spalti merlati correvano lungo la sommità dell'edificio e delle torri rotonde si innalzavano ai quattro angoli, il che dimostrava che era stato un castello prima di essere trasformato in una villa. L'esterno appariva un poco terrificante, un aspetto che in origine era stato destinato a respingere gli intrusi. Tuttavia, lei non si trovava nel Medioevo, ricordò a se stessa mentre saliva lungo il viale. Era il 1890, l'epoca dei treni a vapore, dei lampioni stradali elettrici, perfino delle ferrovie sotterranee, non i secoli bui, quando la casa di un uomo era stata davvero il suo castello e lui lo aveva difeso con tutti i mezzi che aveva avuto a disposizione. Iris si fermò e studiò l'edificio. No, non era il Medioevo, quando le fanciulle potevano essere tenute prigioniere in una torre. Ricacciò la trepidazione che l'aveva assalita. Non era il momento più opportuno per fantasticare e lasciarsi intimidire dall'aspetto di una dimora. Probabilmente, nelle giornate di sole appariva accogliente e ospitale. Non era che la tempesta a darle l'impressione che fosse uscita da uno dei romanzi gotici che le piaceva tanto leggere. E poi, quale altra scelta le restava? Non poteva certo aspettare di imbattersi in un cottage con delle rose che circondavano l'ingresso e uno zerbino con su scritto Benvenuto sul gradino della soglia. No, avrebbe dovuto accontentarsi di quel tetro castello. Si avvicinò all'edificio e alzò lo sguardo sulle finestre per vedere se qualcuna fosse illuminata. Erano tutte buie. Significava che non c'era nessuno in casa? La pioggia adesso scrosciava con maggiore violenza e 11


il vento stava diventando sempre più impetuoso. La tempesta non dava l'impressione di essere in procinto di calmarsi e l'ultima cosa che lei desiderava era vagare senza meta nella campagna. Per fortuna, la soglia era riparata dalle intemperie. Iris si tolse l'inutile cappello azzurro e lo strizzò per liberarlo dall'acqua. Quel cappello era stato l'ultimo grido della moda, ornato da piume di struzzo, gale di pizzo e fiocchi, ma non era servito a proteggerla dalla furia degli elementi, e adesso le pendeva dalla mano floscio e miserando. Si passò il palmo lungo la gonna per tentare di eliminare una parte del fango che ne incrostava il fondo e fece del suo meglio per sistemarsi i capelli. Se l'avesse vista in quel momento, sua madre sarebbe rimasta inorridita. Non solo stava facendo qualcosa di imperdonabile, avvicinandosi da sola alla porta di persone sconosciute, ma lo stava facendo in condizioni pietose. Fuggire dal ricevimento era stato un errore, un errore che non avrebbe mai dovuto ripetere, ricordò a se stessa. Alzò lo sguardo sul cielo, augurandosi che gli dei percepissero i suoi rimorsi e avessero pietà di quella povera creatura bagnata fradicia, accertandosi che i proprietari della casa le riservassero una calorosa accoglienza. Afferrò il batacchio di ottone inserito nella bocca di un leone dall'aria feroce e lo lasciò ricadere contro il massiccio battente di legno, sperando che venisse udito al di sopra del fragore del temporale. Poi aspettò. E aspettò. Bussò di nuovo, più forte, con maggiore disperazione. Sarebbe stata costretta a trascorrere la notte su quella soglia come una mendicante? Dei chiavistelli furono fatti scorrere. Delle serrature 12


sferragliarono mentre venivano girate delle chiavi. Iris fu tentata di fuggire da quel suono sinistro, poi si coprì la bocca per soffocare una risatina nervosa. Cosa si era aspettata? Che Frankenstein, il mostro, vivesse in Cornovaglia e fosse in procinto di aggredirla? Che un fantasma si materializzasse di fronte a lei? Doveva davvero smettere di leggere quei romanzi gotici. La porta si dischiuse e un cordiale, impeccabilmente vestito maggiordomo sbirciò al di là del battente, il mozzicone di una candela che guizzava nel candeliere di peltro che aveva in mano. «Buonasera» dichiarò Iris nel suo tono più affabile, come se presentarsi in casa di qualcuno senza essere stata invitata e con l'aspetto di un topo affogato fosse del tutto normale. «Vi spiacerebbe informare la padrona di casa che Lady Iris Springfeld desidera essere ricevuta?» Anche se il maggiordomo continuò a fissarla, la sua espressione era più sbalordita che minacciosa. «Temo di essermi smarrita» continuò Iris, questa volta per suscitare la sua compassione, «e come potete vedere, sono piuttosto bagnata. Sareste così gentile da comunicare alla padrona di casa che ho bisogno di aiuto?» Il maggiordomo si scostò per consentirle di varcare la soglia. «Non c'è una padrona di casa, ma informerò il padrone della situazione in cui vi trovate. Vi prego di accomodarvi.» Iris entrò nell'atrio, che era immerso nell'oscurità, fatta eccezione per il tenue chiarore proiettato dalla candela del maggiordomo e da alcune altre inserite nei supporti infissi nelle pareti. Stava veramente cominciando a credere di essere tornata indietro nel tempo. O non si trattava che del fatto che il padrone era tanto 13


avaro da rifiutarsi di spendere del denaro per illuminare la sua casa? «Aspettate qui, per favore.» Il maggiordomo scomparve lungo la fitta penombra dell'atrio. Iris tornò a calzarsi il cappello sulla testa e tentò di raddrizzarsi gli abiti, quindi abbassò lo sguardo sugli stivaletti infangati che stavano lasciando delle impronte bagnate sul tappeto orientale. Si affrettò a indietreggiare e a posare i piedi sulle pietre del pavimento. La vista nel frattempo le si era abituata alla semioscurità, consentendole di scorgere l'atrio. Quella parte della casa sembrava moderna, con un grande lucernario a forma di cupola che di certo lasciava filtrare la luce durante il giorno, eleganti colonne di marmo e un doppio scalone ricurvo sul fondo. Alzò lo sguardo sulle pareti, alle quali erano appesi diversi enormi ritratti che parvero fissarla con occhio torvo. «Sua Signoria vi riceverà subito.» Iris emise un piccolo grido. Era stata la voce del maggiordomo, quella che aveva udito, non quella di uno degli antenati dipinti che tutto a un tratto era tornato in vita. Per mascherare il suo imbarazzo, scoppiò in una risata nervosa. «Vi prego di seguirmi nel salotto» dichiarò il domestico, educatamente ignorando il suo strano comportamento. «Grazie» replicò lei, assumendo un'espressione impassibile, come se non avesse gridato né riso. La porta del salotto cigolò rumorosamente allorché il maggiordomo l'aprì. Quella dimora stava deliberatamente tentando di essere l'ambientazione ideale per un romanzo dell'orrore? Il padrone sarebbe stato uno spirito maligno o un essere depravato proveniente dall'inferno? Al momento, lei era talmente ansiosa di trovare 14


un asilo da essere disposta a correre il rischio di incontrare uno spirito maligno, purché le consentisse di stare al riparo dalla pioggia. Varcò la soglia e il padrone si mise in piedi, mentre il cane irlandese per la caccia al lupo che giaceva ai suoi piedi sollevava la testa e portava lo sguardo su di lei. No, quell'uomo non era uno spirito maligno. A meno che gli spiriti maligni non superassero i sei piedi di statura, avessero spalle larghe e lunghe gambe, e indossassero dei completi grigi confezionati su misura. «Buonasera» esordì lei nel suo tono più brillante mentre accennava una riverenza. «Sono Lady Iris Springfeld. Sono stata sorpresa dalla tempesta e la pioggia mi ha completamente inzuppata.» Aggrottò la fronte in un simulato cipiglio e indicò la gonna bagnata. Attese che lui dicesse qualcosa di rassicurante. Non ci fu risposta. «Temo di essere anche piuttosto infangata.» Iris abbassò lo sguardo sulla parte inferiore dell'abito e gli scoccò un'altra occhiata contrita. «Sono davvero desolata.» «Avvicinatevi al fuoco» le ordinò l'uomo. Benché la sua voce fosse tutt'altro che cordiale, non era nemmeno quella di una diabolica, depravata creatura. Non che lei avesse la più pallida idea di come si esprimevano le diaboliche, depravate creature, ma era certa che non possedessero una profonda voce maschile che era piacevole ascoltare. «Grazie.» Iris si avvicinò al fuoco, che forniva l'unica illuminazione della stanza, e si lasciò pervadere dal calore che emanava, ignorando al contempo il fatto che i suoi abiti stessero cominciando a fumare. 15


Volse lo sguardo attorno allo spazioso e più che spartanamente arredato salotto. Appariva chiaro che quell'uomo non riceveva spesso degli ospiti. Non solo lo indicavano i suoi modi quasi ostili, ma i mobili erano stati spinti alle estremità della stanza, non lasciando che un'unica poltrona di cuoio di fronte al caminetto. «Così va meglio» osservò. «Stare accanto a un fuoco è di gran lunga preferibile allo stare fuori con questo tempo.» Alzò lo sguardo e gli sorrise. Benché il suo viso fosse rivolto dall'altra parte, in quella fioca luce appariva molto più attraente di uno spirito maligno. Lei spostò lo sguardo sulla sua redingote, notando che una parte del bavero era piegata verso l'interno. Doveva averla indossata in fretta e furia quando lei era entrata nella stanza e Iris provò l'impulso di raddrizzargliela. Trattenendosi a stento, gli sorrise di nuovo e si augurò che lui ricambiasse il sorriso e le dimostrasse che era la benvenuta. «E a chi ho il piacere di rivolgermi?» domandò infine, quando fu chiaro che lui non aveva la benché minima intenzione di presentarsi. «Sono Theo Crighton, Conte di Greystone.» Iris si abbassò in un'altra riverenza e attese che lui dicesse qualcosa, qualsiasi altra cosa. Stava tentando di proposito di farla sentire a disagio? Se quella era la sua intenzione, ci stava riuscendo. «Suppongo che alla signora occorrano degli abiti di ricambio, milord» dichiarò il maggiordomo. «È bagnata fino alle ossa.» Iris avrebbe pensato che fosse evidente e non una cosa di cui Sua Signoria avrebbe dovuto essere informato, ma rimase in silenzio, limitandosi a un cenno di 16


ringraziamento in direzione del maggiordomo. «Occupatevene voi, Charles» replicò il taciturno conte. «E vi spiacerebbe avvicinare un'altra poltrona per la signora?» «È molto gentile da parte vostra ospitarmi» dichiarò Iris, tentando di imprimere alla propria voce un tono leggero e affabile mentre il maggiordomo trascinava un'identica poltrona di cuoio attraverso la stanza. Benché in realtà il conte non avesse una possibilità di scelta, le buone maniere esigevano che fingesse almeno di essere felice di aiutarla. E quello non era certo il modo in cui la trattava la maggior parte degli uomini. Se fosse capitata in casa di Lord Pratley in simili condizioni e avesse avuto bisogno di essere salvata da una tempesta, lui si sarebbe fatto in quattro per metterla a suo agio e si sarebbe comportato come se lei gli stesse facendo un grande onore permettendogli di aiutarla. Il maggiordomo sistemò le poltrone accanto al fuoco. «Ho spostato la vostra poltrona di due piedi verso destra, milord.» «Grazie, Charles. E vi spiacerebbe portare del tè per la signora e qualcosa da mangiare?» Il conte si volse verso il domestico, il lato del viso che fino ad allora era rimasto in ombra adesso illuminato dalla luce del fuoco. Iris si portò una mano alla bocca, e a un tratto si vergognò di se stessa e di tutto quello che aveva pensato su di lui. Ora appariva tutto così chiaro: la fioca luce, i mobili accostati alle pareti, perfino il fatto che non si comportasse come gli altri uomini con lei... Era cieco. Delle spaventose cicatrici gli coprivano la fronte e un occhio, e anche l'altro occhio sembrava spento, cosa che indicava che anche quello era privo della vista o ne possedeva una estre17


mamente limitata. Iris fu tentata di scusarsi, anche se non sapeva bene per cosa. Forse per i pensieri poco caritatevoli che aveva formulato sull'oscurità della casa, o per la propria indesiderata irruzione, o per qualunque altra cosa gli avesse sfigurato un viso peraltro attraente. Ed era un viso attraente. Folti capelli neri incorniciavano gli zigomi cesellati e la mascella forte, ombreggiata dalla ricrescita della barba. Mentre continuava a fissarlo, fu tentata di far scivolare un dito lungo la lieve fenditura al centro del suo mento. Continuò a coprirsi la bocca con la mano, quasi fosse stata sorpresa a fare qualcosa di scandaloso, e si affrettò a distogliere lo sguardo, meravigliandosi della propria audacia, sebbene non fosse stato che un pensiero. Il maggiordomo si inchinò e lasciò la stanza. Lei si lasciò cadere sul morbido cuoio della poltrona, sforzandosi di cancellarsi dalla mente ogni immagine di menti solcati da una fenditura, di mascelle forti e di zigomi alti. «Non desiderate sedervi?» domandò, indicando l'altra poltrona, prima di affrettarsi a ritirare la mano nel rendersi conto che si trattava di un gesto inutile se lui non era in grado di vederlo. Il conte allungò la mano dietro di sé e la posò sul bracciolo, poi si sedette e prelevò dal tavolo laterale il bicchiere del brandy. «Desiderate un brandy o preferite aspettare il tè?» «In realtà, un brandy sarebbe gradito» replicò lei con un sorriso educato. «Non fosse che per scaldarmi un poco.» Certo non per placare il mio nervosismo! Anche se il suono arcigno che emise lasciava capire 18


che non le credeva, lui attraversò il salotto, prelevò un bicchiere dalla credenza, poi vi versò del brandy dalla caraffa di cristallo intagliato e glielo porse. Allorché le loro mani si sfiorarono, una sensazione sconosciuta le percorse le dita, sfrecciandole lungo il braccio e nel petto, dove il cuore le fece un curioso tuffo. Era strano. Toccare la mano di un uomo non aveva mai esercitato quell'effetto su di lei. Dovevano essere le conseguenze di quella giornata sconcertante a indurre i suoi nervi a comportarsi in modo così insolito. Mandò giù un sorso di liquore e tossì quando le arrivò alla gola e le scese nello stomaco come una scia di fuoco. Oh, per l'amor del cielo, Iris, comportati bene! Hai toccato la mano di un uomo. Non è un motivo sufficiente per sentirti così agitata. Chiuse gli occhi e trasse un lento respiro per calmarsi, poi mandò giù un altro sorso e sorrise al proprio anfitrione. «Sono talmente lieta di essermi imbattuta nella vostra casa» dichiarò, continuando a imprimere alla sua voce quel tono affabile. «Altrimenti, è probabile che starei ancora aggirandomi nella campagna sotto questa tempesta. Non ho incontrato anima viva durante la mia passeggiata, perciò non ho potuto chiedere indicazioni per tornare alla tenuta di Lord e Lady Walberton.» Lui rimase in silenzio, limitandosi a sorseggiare il suo brandy e ad accarezzare la testa del cane. L'animale emise una sorta di brontolio soddisfatto, fissò Iris con i suoi liquidi occhi scuri e riprese a dormire. «È lì che alloggio. Nella tenuta dei Walberton. Per una riunione di ospiti. Insieme a mia madre. Vi soggiorneremo per tutta la settimana. Io, però, avevo de19


ciso di fare una passeggiata. Molto sciocco, in effetti.» Lui continuò a tacere. «Non immaginavo che il temporale sarebbe scoppiato così presto» continuò lei per colmare il silenzio. «Un minuto prima il cielo era sereno. Be', non esattamente. Era grigio e c'erano delle grosse nuvole scure all'orizzonte. Tuttavia, non avevo previsto che le sue cateratte si sarebbero aperte e avrebbero lasciato cadere un simile diluvio. Quanto al vento, mio Dio, è indubbiamente impetuoso qui, non è vero?» Benché il suo incessante chiacchiericcio la facesse sembrare una sciocca, quale altra alternativa le stava lasciando lui? Quell'imbarazzante silenzio doveva essere colmato e il conte non contribuiva minimamente ad aiutarla. Iris non era abituata a stare seduta in compagnia di un uomo senza che questo pronunciasse una parola. A casa, risuonavano sempre le voci di sua madre, di suo fratello Nathaniel e di sua sorella Daisy, oltre a quella di Hazel, la sorella maggiore già sposata, durante le sue frequenti visite. E quando partecipava a un ricevimento, tutti conversavano sempre con lei, soprattutto gli uomini. D'altro canto, quel Conte di Greystone dava l'impressione di essere avaro di parole quanto lo era di candele. «Voglio dire» proseguì dopo avergli lasciato dei minuti sufficienti per replicare, minuti che lui preferì non usare, «chi si sarebbe aspettato che il tempo cambiasse così in fretta?» «Chiunque abbia una sia pur minima dimestichezza con il clima inglese, suppongo.» Iris scoppiò in una risata, anche se dall'espressione del viso del conte appariva chiaro che la stava criticando, non canzonando. Il silenzio che tornò a calare fra loro fu interrotto 20


dalla ricomparsa del maggiordomo con una pila di indumenti fra le braccia. Iris gli sorrise, ringraziando il cielo per quella interruzione. L'uomo abbassò lo sguardo sugli indumenti e arrossì, il che era oltremodo insolito, dal momento che di solito ai domestici veniva insegnato a restare impassibili in qualsiasi situazione. «Temo che le domestiche siano tutte più basse di voi, milady, perciò i loro abiti apparirebbero oltremodo immodesti indosso a voi. Mi auguro che questi saranno sufficienti, milady.» Arrossì ancora di più. Iris prese gli abiti che lui le stava porgendo. «Sono certa che saranno perfetti» replicò per rassicurare l'impacciato domestico. Poi abbassò lo sguardo sul mucchio e si accigliò. Erano tutti indumenti maschili. «Mi dispiace, milady» si affrettò a scusarsi il maggiordomo. «Abbiamo l'abitudine di coricarci presto in questa casa e le domestiche sono già a letto, ma ne sveglierò una per chiederle di aiutarvi a cambiarvi.» «Oh, no. Vi ho già procurato abbastanza fastidi. Non vorrei mai arrecare un ulteriore disturbo.» Iris portò lo sguardo sul conte, aspettandosi che la contraddicesse, che affermasse che non si trattava di un fastidio, che la sua presenza non costituiva un disturbo. Dato che lui seguitò a tacere, continuò. «Grazie per gli abiti e sono certa che riuscirò a cavarmela da sola.» Sapeva che le domestiche avevano lavorato dalle prime ore del mattino e avrebbero dovuto alzarsi all'alba il giorno seguente, perciò non si era limitata a essere educata quando aveva chiesto di non disturbarle. E quanto avrebbe potuto essere difficile indossare da sola degli indumenti maschili? Benché lo ignorasse, era in procinto di scoprirlo. «Come desiderate, milady.» Il maggiordomo si inchinò. «E quando vi sarete cambiata, verrò a prelevare 21


i vostri abiti bagnati in modo che vengano puliti e fatti asciugare.» «Siete molto gentile.» Iris sorrise al domestico, che le sorrise a sua volta. Se non altro, una persona in quella casa si mostrava cordiale. Il maggiordomo si eclissò e il conte si alzò dalla poltrona. «Vi concederò una certa riservatezza e vi lascerò a cambiarvi accanto al fuoco» dichiarò, probabilmente la frase più lunga che avesse pronunciato da quando lei era arrivata. «Grazie, e spero che prenderete il tè insieme a me. Non vorrei mai estromettervi dalla vostra stanza.» Anche perché, con ogni probabilità, quello era l'unico fuoco acceso in quella tetra dimora, aggiunse lei mentalmente. Anziché rispondere, lui si inchinò e lasciò la stanza, seguito dal cane. Mentre si toglieva di dosso l'abito zuppo e la biancheria bagnata, Iris si sforzò di contare le sue benedizioni. Era al riparo dalla tempesta. Aveva un fuoco per scaldarsi. Aveva degli abiti asciutti e puliti da indossare, e non si trovava in compagnia di uno spirito maligno né di una diabolica creatura. Sorrise mentre si slacciava il corsetto. Anche se forse finire nelle grinfie di uno spirito maligno non sarebbe stata una sorte così catastrofica. Era assai probabile che un perverso demonio sarebbe stato un conversatore più loquace dell'imbronciato Conte di Greystone.

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