La solitudine del visconte

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1009 - Incontro di primavera - A. Gracie 1010 - La sposa guerriera - M. Styles 1011 - Le fantasie di una giovane inglese - B. Scott 1012 - Passione tra le dune - L. Martin 1013 - Il principe e la ladra - K. Hawkins 1014 - Equivoci d'amore - E. Boyle 1015 - Faida scozzese - T. Brisbin 1016 - Amore, scandali e merletti - C. Linden 1017 - La scoperta della baronessa - L. Carlyle 1018 - Il rapimento di Lady Rowena - C. Townend 1019 - La musa segreta - E. Redgold 1020 - Un'americana a Londra - J. MacLean 1021 - L'uomo del destino - E. Boyle 1022 - Il guerriero di fuoco - M. Willingham 1023 - La sposa dello scandalo - D. Gaston 1024 - Il ballo dello scandalo - J. MacLean 1025 - Gioco d'inganni - L. Ashford 1026 - La promessa del cavaliere - N. Locke 1027 - Scandali, inganni e veritĂ - C. Linden 1028 - Un barone per l'ereditiera - J. MacLean 1029 - La solitudine del visconte - E. Boyle 1030 - I segreti di Wiscombe Chase - C. Merrill 1031 - Un bacio per scommessa - E. Hobbes


ELIZABETH BOYLE

La solitudine del visconte


Immagine di copertina: Jon Paul Studios Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: The Viscount Who Lived Down the Lane Avon Books An imprint of HarperCollins Publishers © 2014 Elizabeth Boyle Traduzione di Graziella Reggio Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con HarperCollins Publishers, LLC, New York, U.S.A. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. © 2016 HarperCollins Italia S.p.A., Milano Prima edizione I Grandi Romanzi Storici agosto 2016 Questo volume è stato stampato nel luglio 2016 da CPI, Barcelona I GRANDI ROMANZI STORICI ISSN 1122 - 5410 Periodico settimanale n. 1029 del 10/08/2016 Direttore responsabile: Chiara Scaglioni Registrazione Tribunale di Milano n. 75 dello 01/02/1992 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - Via Mondadori, 1 - 20090 Segrate (MI) Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 045.8884400 HarperCollins Italia S.p.A. Viale Monte Nero 84 - 20135 Milano


Prologo

Londra, Hanover Square, novembre 1810 «Che cosa c'è, Haley?» chiese Lord Charleton lanciando un'occhiata all'ingresso della saletta della colazione, dove il segretario indugiava come un passero nervoso. «Rowland? Non ditemi che è di nuovo nei guai.» «No, milord.» «Non può trattarsi di Wakefield.» Il gentiluomo corrugò la fronte. «Certo che no, milord.» Il barone alzò lo sguardo. «Non mi dispiacerebbe. È un peccato che se ne stia sempre chiuso in casa, solo e abbattuto.» «In effetti...» confermò il segretario, poi mosse la mascella avanti e indietro, come incapace di proseguire. «Ebbene?» lo spronò lui. «Sputate il rospo, prima che si raffreddino le aringhe.» Spinse avanti il piatto e ripose il giornale. Haley si schiarì la gola e gli porse una lettera. «Ho trovato un debito che aveva vostra moglie...» 5


Charleton avvertì il gelo che sempre lo pervadeva quando qualcuno si azzardava a rammentare Isobel. Quanto avrebbe voluto dimenticare la sua morte per liberarsi dal dolore straziante al cuore! E invece, a più di un anno di distanza, si coricava ogni sera e si svegliava ogni mattina con una fitta al petto. Al momento era Haley a parlare di lei, malgrado il divieto. «Pagatelo» tagliò corto. «Ma, milord...» tergiversò lui. Il barone si levò gli occhiali e li pulì lentamente. Poi se li rimise e lo fissò con freddezza. Era un brav'uomo e un ottimo segretario, ma per quale motivo si ostinava a riportare il discorso su Lady Charleton? Scandendo bene ogni parola, dichiarò: «Sapete cosa fare. Occupatevene e lasciatemi in pace». «Come desiderate, milord...» Haley lasciò in sospeso la frase nell'estremo tentativo di incuriosirlo. Intendeva davvero insistere? Se non fosse stato il dipendente più onesto e affidabile che lui avesse mai assunto... In realtà era stata Isobel a trovarlo, ma non era quello il punto. Negli ultimi tempi era diventato piuttosto insolente e gli faceva venire voglia di licenziarlo in tronco. Tuttavia l'amata consorte non lo avrebbe approvato, quindi Charleton frenò la collera e rispose in tono definitivo: «Provvedete come avrebbe gradito Sua Signoria». Riprese quindi a leggere il giornale ignorando il segretario, che si trattenne ancora per qualche istante nel vano della porta. E se il barone avesse alzato gli occhi, avrebbe forse notato il sorrisino ironico e astuto che aveva persuaso Lady Charleton a raccomandarlo.

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Londra, sei mesi dopo Areowwww! Il lamento straziante echeggiò nell'abitacolo della carrozza. «Avreste dovuto lasciare a Kempton quella bestiaccia, Miss Tempest» si lagnò di nuovo Mrs. Bagley-Butterton. Pareggiando il numero di volte in cui Hannibal aveva emesso quel verso lacerante, nel cesto che lo imprigionava. «Non gli piace stare rinchiuso» dichiarò Miss Louisa Tempest per giustificarlo. «E non lo potevo abbandonare.» Accanto a lei si levò un sospiro rassegnato. Lavinia, la sua gemella, guardò con ostentazione fuori dal finestrino. Non intendeva certo difendere Hannibal. Né allora né mai. Louisa sospettava che, esasperata quanto Mrs. Bagley-Butterton, condividesse la sua opinione. «Spero che la vostra madrina sia comprensiva» affermò la matrona, occhieggiando il canestro sulle sue ginocchia. Aveva protestato con veemenza contro l'idea di portare il gatto, ma le era stato impossibile im7


pedirlo, poiché la carrozza che le conduceva a Londra apparteneva a Sir Ambrose Tempest, il padre delle ragazze. «Di sicuro non lo vorrei a casa mia» concluse sdegnata. «Allora è una fortuna che alloggeremo presso Lady Charleton» replicò Louisa. «È tanto gentile e generosa» commentò quindi con un sorriso. Lavinia tenne lo sguardo puntato fuori, ma il tremito delle spalle rivelava che stava trattenendo a stento una risata. Mrs. Bagley-Butterton ignorò la punzecchiatura. «Sì, in effetti. È molto cortese a offrirsi di scortarvi, malgrado...» Non osò dichiarare quello che pensava. Cos'è saltato in mente a questa Lady Charleton di presentare in società due giovani sconosciute di dubbio lignaggio? Tuttavia Louisa aveva udito il discorsetto fatto in disparte con la governante, prima della partenza. Lady Charleton lo sa?, aveva chiesto la signora. Apprenderà presto la verità, milady, aveva risposto Mrs. Thompson. Così come tutta Londra, povere care. I segreti trovano sempre il modo di venire a galla. Già, l'orribile segreto. Serrando le labbra, Louisa spiò dal finestrino mentre si profilavano i primi edifici di pietra e mattoni della città. Forse, solo forse, con l'aiuto della sorte, la verità non sarebbe venuta a galla, come aveva detto la governante, e Lavinia si sarebbe goduta la Stagione che aveva sempre sognato. Almeno questo sperava Louisa, osservando i muri grigi e minacciosi che le attorniavano. Non era certo Kempton, con le sue colline verdi e le sue querce secolari. Quanto avrebbe desiderato essere ancora nell'amato paesino! Non ci era rimasta solo per due motivi: le 8


recenti nozze di tre zitelle del villaggio, prima maledetto, e l'invito della madrina a trascorrere a Londra il resto della Stagione. Il mondo era impazzito? Di norma, le ragazze di Kempton non si sposavano se non volevano esporsi al rischio di ammattire o, peggio ancora, assistere alla tragica fine dello sposo. E le madrine non rammentavano di colpo vecchie promesse. Invece eccole là, tutte e due, in arrivo a Londra per partecipare alle feste, e se Lavinia avesse avuto fortuna – o forse sfortuna – avrebbe trovato un giovanotto pronto a rischiare la vita, o un arto, per prenderla in moglie. Se solo Louisa fosse riuscita a spiegarle perché non si volesse accasare! Ma questo avrebbe significato rivelarle quanto aveva scoperto di recente. Persino papà non aveva dato ascolto alle sue apprensioni, accantonandole con uno sbrigativo: Queste vecchie storie non interessano più alle malelingue di Londra. Dunque lei manteneva il silenzio e abbracciava stretto il cesto di Hannibal, contenta di averlo con sé. Negli ultimi tempi, il malconcio soriano con un occhio solo e un orecchio tagliato sembrava l'unico a darle ascolto. Con tempismo perfetto, il gatto emise un altro lungo gemito. «Molto gentile da parte vostra accompagnarci a Londra, mentre a papà era impossibile» intervenne subito Lavinia, tentando di prevenire le lagne di Mrs. Bagley-Butterton. «Devo ringraziare la mia buona stella» dichiarò la signora. «L'incidente di vostro padre ha rappresentato una fortuna per me. Sarò in città per l'arrivo del mio primo nipotino, com'è giusto. Le levatrici londinesi farebbero un gran pasticcio. E dubito che lì abbiano 9


uova fresche come queste.» Indicò con un cenno la cesta di provviste che occupava gran parte del sedile accanto a lei. «Le preparerò per mia nuora, dopo il parto. È una ragazza di città» soggiunse con disdegno. «Sì, proprio così, la frattura alla gamba di vostro padre è stata assai propizia. Se non fosse caduto da quella scala a pioli, io non sarei arrivata in tempo.» Louisa non era affatto sicura che il figlio e la nuora condividessero il suo entusiasmo, ma tenne quell'opinione per sé. Benché odiasse ammetterlo, aveva avuto una reazione altrettanto impietosa quando il lacchè, pochi giorni prima, aveva portato a casa il padre infortunato. Ottimo! Così non sarebbero partite da Kempton. Tuttavia aveva sottovalutato la determinazione di Lavinia. Non andare a Londra? La gemella era inorridita. Erano già in ritardo, ma aspettare un altro anno? Forse a quel punto Lady Charleton non si sarebbe sentita di portare con sé due attempate zitelle, aveva dichiarato. Le obiezioni di Louisa − ossia che il caro papà avrebbe avuto bisogno di assistenza− non avevano trovato ascolto. L'Associazione per la temperanza e il miglioramento di Kempton era senz'altro pronta ad aiutare Sir Ambrose in caso di bisogno, aveva ribattuto la sorella. Senza dubbio. Tutte le socie di una certa età sarebbero state felici di offrirgli assistenza. Dare una mano al povero vedovo mentre le figlie erano a Londra? Ci sarebbe stato un assalto di signore, cestini sottobraccio, desiderose di dedicare tempo allo studioso infermo... nonché ottimo partito. A quanto sembrava, Louisa era l'unica zitella di Kempton a non sognare un marito. 10


Se però avesse svelato alla gemella l'orrendo segreto che lei stessa avrebbe dovuto ignorare, le avrebbe spezzato il cuore. Quindi aveva tentato un'altra tattica. Lavinia, sai che non ci possiamo presentare in società, aveva osservato la mattina della partenza. Nessuna di noi due è capace di muovere un passo di danza senza sbagliare. Impareremo, le aveva risposto la gemella con la sua tipica ostinazione. Non temere, ci sono di certo due gentiluomini a Londra, o altrove, che non si curano delle nostre... imperfezioni. A quel punto si era interrotta. Louisa era stata tentata di chiederle se conoscesse la verità, ma la semplice domanda l'avrebbe costretta a svelargliela. Una maledizione che colpiva soltanto loro. Anche se, considerato lo scambio tra Mrs. BagleyButterton e la governante, lo scandalo pareva ben noto a Kempton. Del resto, in un villaggio così piccolo non c'erano misteri. A Londra non ci conosce nessuno e, senza dubbio, tante ragazze arrivano senza sapere come si balli la quadriglia, aveva aggiunto Lavinia. Se Tabitha Timmons ha sposato un duca, Daphne Dale un Seldon e Harriet Hathaway un conte, magari anche noi troveremo due gentiluomini comprensivi. Senza pretendere troppo, basterebbero un visconte e un barone. Già, un visconte! Per nessun visconte d'Inghilterra Louisa avrebbe messo piede in società se avesse significato... Ma ormai era troppo tardi. La carrozza, infatti, rallentò, girò un angolo e infine si fermò davanti a un palazzo signorile. «Dev'essere Hanover Square!» esclamò Lavinia, lanciandosi quasi fuori per la fretta di iniziare la loro 11


grande avventura, come la definiva. Avrebbe affrontato una battaglia – del resto tre giorni in compagnia di Mrs. Bagley-Butterton erano poco meno – pur di arrivare a casa di Lady Charleton e venire introdotta nel bel mondo. Appena sentì la portiera aprirsi, Hannibal, forse temendo di venire lasciato a bordo, lanciò un altro terrificante miagolio. Louisa lo guardò e fremette, prevedendo la sua ferocia al momento dell'agognata liberazione. Guardando l'elegante dimora di pietra bianca, si augurò che Lady Charleton avesse un vecchio sofà da maltrattare. O magari un tappeto liso, da rimpiazzare presto. «Mi sembra un indirizzo rispettabile» commentò Mrs. Bagley-Butterton osservando il lussuoso edificio che occupava un angolo della piazza. «Avranno di sicuro posto per voi e anche per la bestia, se Sua Signoria non la rispedisce subito a Kempton.» La smorfia lasciava intendere come avrebbe voluto terminare la frase. Oppure non la getta nel Tamigi, come dovrebbe. «E adesso cosa facciamo?» chiese Lavinia alla sorella mentre il cocchiere e il suo aiutante scaricavano borse e bauli, occupando il marciapiede e suscitando occhiatacce da parte dei passanti. «Bussiamo, direi» dichiarò Louisa. Salì i gradini a passo di marcia e tirò con forza il campanello, raccomandando a se stessa di mostrarsi contenta, benché avesse solo voglia di afferrare la cesta del gatto, caricare Lavinia in carrozza e ordinare a John di riportarle di volata a Kempton. Ma, qualunque cosa intendesse dire o fare, venne interrotta da un altro lamento straziante di Hannibal. Sembrava che venisse spellato vivo. Il suo grido orripilante fece sobbalzare un vecchio 12


cavallo da tiro e spaventare una bambinaia, che si strinse al petto i pargoli e ripartì nella direzione opposta. «Silenzio!» intimò Mrs. Bagley-Butterton e assestò un calcio al canestro. Questo si capovolse e il prigioniero balzò fuori. «No!» gridò con orrore Louisa. Inutile dirlo, il felino non gradì l'ambiente estraneo e proruppe in una lagna assordante. A quel punto, nelle case vicine, si schiusero porte e vennero scostate tende. Non che Louisa avesse il tempo di notarlo, poiché si doveva sbrigare a catturare il gatto ribelle prima che si lanciasse in una folle fuga. Scese di corsa gli scalini, ma troppo tardi. Ormai Hannibal aveva visto la luce del giorno e non intendeva rinunciare alla libertà. Non subito. Saettò in mezzo alla strada e passò tra le zampe di un cavallo al traino di un elegante calesse. Il conducente imprecò, sforzandosi di controllare l'animale impaurito. Lei fu sul punto di seguirlo in mezzo al traffico, ma per fortuna Hannibal tornò indietro, la oltrepassò di corsa e salì i gradini d'ingresso. Purtroppo, non della casa giusta. Proprio allora la porta si aprì e il gatto passò come un lampo accanto all'imperioso maggiordomo. «Oh, no!» esclamò Louisa, seguendolo a tutta velocità. «Louisa Tempest!» gridò la gemella. «Non permettergli di rovinare tutto.» È meglio che Hannibal ci riconduca a Kempton piene di vergogna, piuttosto che il mondo scopra l'orrenda verità... In cima alla breve scala, si scontrò con l'anziano domestico e si soffermò solo un attimo per dirgli: 13


«Scusatemi!». Non tanto per l'invasione della dimora, ma in previsione di ciò sarebbe accaduto. Mentre Louisa era nell'atrio, al piano di sopra echeggiò uno schianto, seguito da un trionfale urlo di conquista. Fedele al proprio nome, Hannibal si apprestava al saccheggio. Crash! Pierson Stratton, Visconte Wakefield, aprì un occhio e sussultò. Se quel fracasso infernale era indicativo, Napoleone aveva di sicuro attraversato la Manica e al momento assediava Mayfair. Oppure il suo cuoco francese stava spellando vivo un gatto per servirglielo a colazione. Bruciato o cotto a metà, come tutto ciò che preparava. Anche in corridoio, fuori dalla camera buia, echeggiava una cacofonia di urla e schianti. Pierson si sollevò un poco e si rannicchiò impaurito. Con la testa che gli doleva per il risveglio prematuro, sentì il frastuono avvicinarsi: passi che salivano le scale, un miagolio selvaggio e le grida di una voce ignota. «Hannibal! Torna subito qui, gattaccio.» Dio del cielo! Chi c'era in casa? Poiché i suoi parenti non osavano varcarne la soglia e Tiploft non si azzardava ad ammettere nessuno, erano di sicuro i ladri, oppure i francesi. Tuttavia, chiunque fosse, non avrebbe ripetuto mai più un simile affronto. Alzandosi a fatica, Pierson ignorò il mal di testa, storse le labbra per la solita fitta alla gamba e s'infilò la vestaglia, annodando in malo modo la cintura. Intanto fuori risuonò un altro grido lacerante. 14


E dire che teneva un numero limitato di domestici proprio per stare in pace! Afferrò il bastone da passeggio e prese la pistola da un cassetto, quindi attraversò il locale più in fretta che poté e spalancò la porta puntando l'arma. Con la vista annebbiata, scorse una figura che si avvicinava. «Fermatevi» intimò. «Nemmeno un passo in più, altrimenti sarà l'ultimo.» Solo allora aprì davvero gli occhi. Grazie al cielo prima di sparare. Poiché davanti a lui c'era una fanciulla dagli occhi da cerbiatta, con il cappellino di traverso e una massa scompigliata di capelli castani. Anzi, color mogano, a guardare meglio. Cosa che lui fece, malgrado gli occhi velati. Sì, di sicuro mogano. Ed era senza dubbio una ragazza, come confermavano le curve morbide. In casa sua! Il visconte strappò lo sguardo dalla sconosciuta. «Tiploft! Cosa significa tutto questo?» Il maggiordomo, che inseguiva la signorina, puntò con orrore gli occhi ai suoi piedi. Pierson lo imitò. E a quel punto comprese di essere ancora sbronzo. Che razza di bestiaccia era quella? La palla di pelo malconcio emise una sorta di miagolio gutturale, una specie di rrooowww, come se fosse stata avvezza a troppi sigari e al brandy da quattro soldi. Pierson ne sapeva qualcosa. Ma non riguardo al brandy da poco prezzo, poiché non lo tollerava. Per fortuna era abbastanza ricco da potersi permettere di avere una cantina decente. 15


L'animale ripeté il versaccio, adocchiandolo come per valutarlo, da bestia a bestia. Pierson non era nemmeno sicuro che fosse un gatto, poiché gli mancavano un occhio, quasi l'intera coda e buona parte di un orecchio. Somigliava un po' al suo ex attendente, Russel, un pugile piuttosto noto, focoso e irascibile. Andava molto d'accordo con lui. Finché, come tanti altri, non era caduto a La Coruña durante la ritirata. Il povero Russel era spirato imprecando, in preda ai tormenti di un'infezione. Il visconte abbassò le palpebre per scacciare il ricordo e provò l'impulso di cercare la bottiglia di brandy, quella che lo aiutava a tenere a bada tali memorie. Tuttavia era impossibile, poiché mezza Londra sembrava aver fatto irruzione in casa sua. Questo lo spronò a riaprire gli occhi. «Cosa diavolo...» borbottò mentre l'animale, ancora indefinibile come gatto, iniziava a girargli attorno, sfiorandolo con la pelliccia sbrindellata. Poi ebbe l'ardire di rotolarsi sul dorso, come se lui avesse avuto il dovere di coccolarlo. «Vi conviene accarezzarlo» gli raccomandò la sconosciuta indicando la bestiola, che pareva capace di strappargli un paio di dita della mano. «No» dichiarò lui alla piccola belva. Questa non gli diede ascolto, poiché s'insinuò sotto la vestaglia, sfregandosi contro le sue gambe, e poi ne spuntò fuori tossendo. «Oh, no!» sussultò la ragazza. E Pierson comprese perché. Il felino, infatti, vomitò proprio davanti ai suoi piedi nudi. «Vi avevo avvisato» affermò lei, senza scusarsi per la schifezza sul pavimento. 16


Lo aveva avvisato? Che impudenza! Lui, per giunta, aveva una certa nausea e la scena non lo aiutava. Chi avrebbe immaginato che le viscere di un gatto contenessero tanto? «Credo che il peggio sia passato» commentò rassegnata la giovane donna, come se l'aver invaso una dimora altrui e permesso a quella bestia di... Per tutti i diavoli, Pierson non poteva− non voleva − guardare giù. Senza aspettare oltre, lei si chinò per ghermire il gatto, ma questo, anticipando la mossa, la schivò e si infilò di nuovo sotto l'orlo della veste da camera di Pierson. Per la fanciulla non fu un deterrente. A rischio di scontrarsi con il visconte, allungò le mani e infine prese in braccio l'indomito animale, balbettando una giustificazione. «È rimasto rinchiuso in un canestro per l'intero tragitto da Kempton e non ne può più. Se solo mi concedeste...» S'immobilizzò un istante davanti a lui e alla sua vestaglia semiaperta. Quindi prese fiato e si rialzò con le gote arrossate. A quanto pareva, Pierson avrebbe dovuto annodare meglio la cintura. Se però sperava che la tenuta discinta la mettesse in fuga, rimase deluso. La signorina dalla splendida chioma color mogano − che gli richiamò alla mente la domanda: da quanto tempo non stava con una donna?− non aveva ancora finito. «Come dicevo, scusatemi per Hannibal. È imprevedibile con gli estranei.» Non era una spiegazione e nemmeno una vera ammenda. Anzi, sembrava quasi un rimprovero. 17


«Anche con le case che non conosce, a quanto pare» brontolò Tiploft, guardando dietro di sé i frammenti di un vaso. «Le mie scuse più sentite» replicò lei, come se il vaso fosse stato suo, «e anche per l'altra cosa...» «La statua italiana, signorina» la informò il maggiordomo. «Davvero? Proveniva dall'Italia? Oh, spero che non fosse troppo preziosa. Comunque la colpa non è di Hannibal, ma mia.» Fissò accigliata il gatto, mordicchiandosi un labbro. «Ho tentato di afferrarlo e...» Guardò prima Tiploft e poi Pierson, ma subito riportò gli occhi sul maggiordomo. «Immagino che a questo punto i particolari non contino.» Serrò le labbra e, spiando dietro di sé, osservò la devastazione. Pierson la fissò sbalordito. «Da dove diavolo arrivate?» Lei si girò a guardarlo e sbatté le palpebre, come se si fosse dimenticata della sua presenza. «Da Kempton.» Il tono sicuro suggeriva che la risposta avrebbe dovuto essere ovvia. Persino a lui. «Lo dovrei conoscere?» chiese a Tiploft. Sospettava quasi di essere ancora sotto l'effetto del vino e che la strana scena fosse frutto della sua fantasia. Il maggiordomo tossicchiò. «Dubito che sia rilevante, milord.» «Lo è, invece» lo smentì acida lei, spostando la bestiola da un fianco all'altro. Al sicuro tra le braccia della padrona, il gatto non sembrava così infernale. Pierson aveva quasi l'impressione che si compiacesse della posizione privilegiata contro il suo seno. Forse era ancora un po' brillo, ma non tanto da non riconoscere un corpo femminile seducente, anche se 18


nascosto dall'abito modesto. Sarebbe sembrata una signorina perbene, non fosse stato per lo sconquasso alle sue spalle. Il che rivelava una natura impulsiva e appassionata, pericolosa in una fanciulla che meritava di scatenarsi nel letto di un uomo. Il gatto sibilò minaccioso, quasi avesse intuito il corso dei suoi pensieri. Da maschio a maschio. «Hannibal non ha cattive intenzioni» dichiarò lei, coprendogli il muso con una mano. Azzardò un'occhiata a Pierson, puntò gli occhi sulla vestaglia aperta, poi arrossì e distolse lo sguardo. In quel momento d'imbarazzo lui si rese conto che, se fosse stato un tipo decente, si sarebbe sistemato l'indumento. Tuttavia era stata lei a invadere casa sua. E Pierson non gradiva visite. Tiploft si schiarì la gola e lanciò uno sguardo significativo al vaso. La ragazza si mordicchiò ancora il labbro, valutando i danni. «Immagino sia mio dovere ripararlo... milord» aggiunse in ritardo, come dubitando della sua appartenenza alla nobiltà. Del resto era in buona compagnia, poiché gran parte di Londra lo guardava di traverso. Tuttavia lo irritava l'idea che quell'intrusa lo giudicasse privo di prestigio. In effetti lo era, ma al momento non contava. Pierson distolse lo sguardo dall'incantevole chioma e dal grazioso rossore delle gote e osservò i frammenti di quello che prima era il vaso preferito della madre. Quella marmocchia sperava forse di aggiustarlo? Era irreparabile, distrutto. 19


Proprio come la sua esistenza, devastata dalla pallottola francese che gli aveva rovinato la gamba e dalle giovani vite perdute− annientate dai tiratori scelti sotto i suoi occhi − lungo l 'interminabile strada verso il porto di La Coruña. «Se avete un po' di colla...» stava dicendo lei. Pierson aveva già sentito abbastanza. Era impossibile sistemare quel vaso, così come la sua vita. «Fuori!» le intimò agitando, senza accorgersene, la pistola in direzione delle scale. «Ma insomma!» esclamò offesa la ragazza e rimase dov'era. «Tentavo solo di comportarmi da buona vicina. Se non avete un po' di colla, posso tornare dopo essermi sistemata e vedere di aggiustare tutto quanto...» Lui non poteva aver inteso bene. Tornare? Solo il cielo sapeva quali catastrofi avrebbero scatenato lei e la sua bestiaccia. La soluzione migliore sarebbe stata di ritirarsi in camera e affidare il problema alle capaci mani di Tiploft. Tuttavia qualcosa in lei lo disorientava. E lo rendeva furibondo. La marmocchia dai capelli color mogano e dall'espressione indignata gli rammentava che avrebbe trascorso il resto dei suoi giorni come da quando era tornato dalla Spagna. Cioè solo, amareggiato, nascosto tra le bottiglie, a pezzi come il vaso sul pavimento, ripugnante come il vomito del gatto. Impossibile da aggiustare − come si era offerta lei − con un vasetto di colla e l'ottimismo che sembrava caratterizzarla. Quella fanciulla gli mostrava uno specchio che lui preferiva non vedere. E lo terrorizzava più dell'incubo che assillava le sue notti. 20


«Fuori da casa mia!» tuonò infine, adirato. «Andatevene all'istante» le ordinò, puntando di nuovo la pistola verso lo scalone. Sbarrando gli occhi azzurri, lei ruotò su se stessa e corse via. Giunta in cima alle scale, azzardò un'altra occhiata nella sua direzione. Sarebbe stata più gentile se lo avesse evitato. Poiché le lacrime che le stavano spuntando non esprimevano paura, ma pietà. Secondo Pierson, una pallottola sarebbe stata più cortese.

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Un barone per l'ereditiera JULIANNE MACLEAN INGHILTERRA, 1884 - L'americana Adele viene salvata dal misterioso Barone di Alcester. Damien rappresenta tutto ciò che lei rifugge, eppure fa vibrare corde sconosciute nel suo cuore.

La solitudine del visconte ELIZABETH BOYLE LONDRA, 1811 - Il Visconte Wakefield torna in patria ferito nell'animo e nel corpo. Finché Louisa lo travolge con la propria esuberanza, riportando nel suo mondo la luce... e forse l'amore.

I segreti di Wiscombe Chase CHRISTINE MERRILL INGHILTERRA, 1815 - Dopo tanti anni di guerra, Gerald Wiscombe trova la propria casa trasformata in bisca, un figlio e una bellissima truffatrice come moglie. Ma non tutto è come sembra...

Un bacio per scommessa ELISABETH HOBBES INGHILTERRA, XIII SEC. - Quando la giovanissima vedova Lady Eleanor conosce William Rudhale, le sue convinzioni sui vantaggi della libertà vacillano. Lui è innamorato... o è solo una scommessa?


Un amore in sospeso ANNE HERRIES LONDRA, 1818 - Harry Brockley ha rinunciato al matrimonio quando si è innamorato di Samantha, moglie del suo colonnello. Anni dopo, chiede aiuto proprio a Sam e...

La sposa sbagliata GAYLE CALLEN INGHILTERRA - SCOZIA, 1727 - Riona viene rapita nel cuore della notte da Hugh McCallum, convinto che sia la sua promessa sposa. Ma la giovane è la Catriona Duff sbagliata.

Il nemico scozzese NICOLE LOCKE SCOZIA, 1296 - Costretta a partire con il nemico Caird alla ricerca della verità, Mairead affronta un viaggio pieno di pericoli e insidie per la sua vita, ma soprattutto per il suo cuore...

Passione, scandali e segreti CAROLINE LINDEN LONDRA, 1822 - Penelope considera il Visconte Atherton un rampollo viziato. Quando si ritrova in una situazione scandalosa, è però lui a correre in suo aiuto offrendosi di sposarla. Dall'1 settembre


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