La sposa in premio di Jenni Fletcher

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JENNI FLETCHER

La sposa in premio


Immagine di copertina: LightFieldStudios/iStock/Getty Images Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: The Warrior's Bride Prize Harlequin Historical © 2018 Jenni Fletcher Traduzione di Giuliano Acunzoli Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Books S.A. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. Harmony è un marchio registrato di proprietà HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved. © 2022 HarperCollins Italia S.p.A., Milano Prima edizione I Grandi Romanzi Storici marzo 2022 Questo volume è stato stampato nel febbraio 2022 da CPI Black Print, Spagna, utilizzando elettricità rinnovabile al 100% I GRANDI ROMANZI STORICI ISSN 1122 - 5410 Periodico settimanale n. 1299 del 24/03/2022 Direttore responsabile: Sabrina Annoni Registrazione Tribunale di Milano n. 75 dello 01/02/1992 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distribuzione canale Edicole Italia: m-dis Distribuzione Media S.p.A. Via Carlo Cazzaniga, 19 - 20132 Milano HarperCollins Italia S.p.A. Viale Monte Nero 84 - 20135 Milano


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Britannia settentrionale, 197 d.C. «Ferma!» Livia si svegliò con un sussulto, richiamata alla realtà da quel grido. Il carro si fermò bruscamente, sbalzandola in avanti sulla panca mentre sentiva il sordo clangore delle corazze e un pesante rumore di passi, come se decine di uomini battessero i piedi tutti insieme. Si raddrizzò in fretta, stringendo tra le braccia la bambina di quattro anni che dormiva sulle sue gambe. Con un certo stupore constatò che non si era neppure mossa, a quella fermata improvvisa, ma temeva proprio che qualcuno l'avrebbe svegliata molto presto. «Che succede, domina? Siamo sotto attacco?» Porcia, la sua giovane e fedele liberta seduta di fronte a lei, sembrava prossima a una crisi di nervi. Nonostante la presenza di una scorta armata, era un ammasso di nervi fin da quando avevano lasciato Lindum, un mese prima. E forse non aveva torto, si disse Livia cupamente. Anche la sua ansia acquisiva forza a mano a mano che si avvicinavano a Coria, anche se 5


per motivi molto diversi. E adesso questo... qualunque cosa fosse. Un brivido di paura l'attraversò, come se un gelido artiglio fosse penetrato dentro di lei per stringerle il cuore, facendola tremare di freddo da capo a piedi. «Non credo.» Livia si chinò in avanti per guardar fuori del finestrino ma, qualunque cosa fosse, stava succedendo alla testa della loro piccola processione. «Non sento il frastuono di uno scontro.» «E se fossero i Caledoni?» «Vivono dall'altra parte del Vallo. Qui vige la Pax romana, ricordi?» «A fatica.» Il labbro inferiore di Porcia tremava. «Dicono che solo i selvaggi vivono così a nord.» «E chi lo dice?» «La gente civilizzata. Romani... come noi.» «Come noi» ripeté Livia con scetticismo. «Be', in tal caso dev'essere vero.» Non che fosse il momento di discutere dei meriti della società romana con la sua liberta, rifletté, anche se quelle parole le infusero forza, inducendo l'artiglio ad allentare un po' la presa. Se la civile società romana era convinta che lei dovesse temere qualcosa, allora era più che lieta di dimostrare che la civiltà sbagliava. In ogni caso, ancora non sentiva le grida e il clangore delle spade che annunciavano uno scontro. Se fossero stati attaccati dai Caledoni, o da una banda di briganti, di certo l'avrebbero saputo, ormai. «Resta qui, mentre vado a vedere cosa succede» ordinò a Porcia, passandole cautamente la bambina addormentata. «Prenditi cura di Julia finché non torno.» «Devo svegliarla, casomai...» «No.» Livia scosse il capo con enfasi, poi si chinò per apporre un bacio sui folti ricci della bambina. Erano sel6


vaggi e indomabili come i suoi, e avevano la stessa fiammeggiante sfumatura rosso rame, un lascito di sua madre, che desiderava tanto non averle trasmesso. Se solo la sua bambina fosse nata con i capelli scuri di Julius, pensò con rammarico. Se solo fosse stata simile a lui, in qualche modo, non si sarebbero ritrovate insieme in quella pericolosa situazione. Julia avrebbe potuto essere una ricca erede e lei una vedova indipendente, al sicuro da suo fratello – no, dal suo fratellastro, si corresse – Tarquinius, e dagli intrighi che tesseva di continuo. Era strano quanta differenza potesse fare una cosa così banale come il colore dei capelli, per la vita di una persona. Si raddrizzò di nuovo, liquidando quel pensiero come inutile. Non era il momento dei rimpianti, aveva problemi molto più seri di cui preoccuparsi e doveva mostrarsi coraggiosa sia per sua figlia che per la sua liberta terrorizzata. «Non c'è niente di cui preoccuparsi, ne sono certa» affermò quindi. Strinse le dita a Porcia per rassicurarla e scese dal carro coperto, felice di aver lasciato quello spazio soffocante anche solo per un po', a prescindere dalle circostanze. Era più comodo che cavalcare, una soluzione migliore anche per Julia, ma aveva i muscoli rigidi e intorpiditi per la lunga inattività. Cautamente si guardò intorno, cercando qualche segno di un attacco nemico, ma non ne vide alcuno. Al contrario, era difficile immaginare una scena più tranquilla e primaverile di quella che aveva davanti. Il sole splendeva alto nel cielo sereno per la prima volta dopo giorni, scaldando l'aria e conferendo alla strada circondata dai boschi che stavano percorrendo un aspetto fresco e quasi scintillante. Gli alberi cominciavano a riempirsi di gemme, se non a fiorire, e gli uccellini cinguettavano sonoramente come per festeggiare il 7


fatto che il lungo e duro inverno stesse finalmente giungendo alla fine. Era un mondo del tutto diverso dall'accampamento improvvisato che avevano lasciato quella mattina tremando di freddo, come se un incantesimo avesse avvolto il loro carro, durante il suo breve pisolino, mutando le ore in settimane. D'altro canto, aveva avuto l'impressione che il tempo scorresse in modo diverso, durante gli interminabili giorni del loro viaggio verso nord. E non c'era da sorprendersi, visto che si stavano allontanando da Roma fin dove era possibile arrivare, seguendo la strada che partiva da Eboracum fino ai limiti dell'Impero, ovvero il grande Vallo eretto meno di un secolo prima dall'imperatore Adriano, una massiccia muraglia lunga ottanta miglia che si estendeva da un lato all'altro della Britannia settentrionale. Nonostante la loro implacabile avanzata, c'erano giorni in cui Livia aveva la sgradevole sensazione che quel viaggio sarebbe durato per sempre, come se fossero intrappolati in un cerchio senza fine. Altre volte si augurava di non arrivare mai a Coria, uno degli insediamenti di frontiera più settentrionali. Essere mandata a sposare uno sconosciuto scelto dal suo fratellastro non era affatto un'esperienza piacevole. Le era già capitato, e non avrebbe voluto ripetere l'esperienza. Tuttavia stava accadendo di nuovo dopo soli due mesi dal funerale di Julius, come se il passato si stesse ripetendo e lei non avesse alcun potere per cambiarlo. Quante volte ancora Tarquinius l'avrebbe usata come merce di scambio? Quante volte ancora doveva venire umiliata?, si domandò. Il fatto che lui avesse così tanto potere sulla sua vita era già terribile, ma ora stava controllando anche quella di Julia. La sua unica speranza era che il marito scelto per lei si dimostrasse un uomo diverso da Julius. In caso contrario, era solo 8


questione di tempo prima che il suo secondo matrimonio diventasse intollerabile come il primo. Se fosse stato diverso, comunque, ci sarebbe stata una possibilità. Se si fosse rivelato un uomo degno e onorevole, allora forse avrebbe potuto parlargli. E magari confessargli la verità su di sé, prima che Tarquinius avesse la possibilità di interferire. Il che, naturalmente, dando per scontato che sopravvivessero ai pericoli del viaggio e raggiungessero Coria incolumi. Non che l'attuale situazione sembrasse granché pericolosa, si rassicurò, aggirando il carro in cerca di Tullus, il comandante del piccolo drappello che doveva consegnarla in tutta sicurezza al suo nuovo marito. Lo sentiva parlare davanti alla scorta con tono tranquillo – in latino, tra l'altro, il che era un buon segno – anche se, stranamente, senza la consueta spavalderia. Alla fine lo vide voltato di schiena e si fermò, paralizzata dalla sorpresa per la scena che aveva davanti. La strada era bloccata da decine e decine di legionari, un'intera centuria, a quanto pareva, tutti in formazione sull'attenti e con le insegne bene in vista, oltre agli scudi e ai giavellotti, come se stessero marciando verso una battaglia. Sembravano ancor più impressionanti e imponenti dei legionari che aveva visto in parata a Lindum, l'armatura a piastre brunita e gli elmi lucidati che splendevano come oro fuso al sole primaverile. E davanti a tutti, con l'elmo a cresta traversale che lo indicava come un centurione, c'era il loro comandante, l'uomo che – di certo doveva essere lui – Livia doveva sposare. «Oh!» L'esclamazione le sfuggì, risuonando troppo alta nel silenzio che aveva accolto il suo arrivo. Lo sguardo del centurione si posò su di lei, scivolando brevemen9


te sulle lunghe pieghe della sua stola, prima di incrociare il suo sguardo e incatenarlo. Poi chinò la testa in un gesto di cortesia, anche se non smise mai di guardarla. Aveva occhi scuri come due pozze di catrame, notò lei, profondi, misteriosi e attraenti, anche se l'espressione sembrava stranamente perplessa. «Livia Valeria?» le domandò, rompendo il silenzio. «Sì.» Stavolta la sua voce suonò troppo dimessa, mentre si costringeva ad avanzare, ma Livia non riusciva a pensare a qualcos'altro da dirgli. Come avrebbe dovuto salutare l'uomo con il quale avrebbe trascorso il resto della propria vita? Un semplice Ave sembrava insufficiente. «Confido abbiate fatto un buon viaggio, domina.» «Sì» confermò di nuovo lei. «Almeno, il viaggio migliore che potevamo augurarci in primavera.» Il centurione levò lo sguardo verso il cielo limpido. «Il tempo è stato più clemente del solito.» «Sì... è vero.» Livia si corresse giusto in tempo, sistemandosi consapevolmente i ricci rossi dietro l'orecchio. Nella fretta di scoprire cosa stava accadendo, aveva lasciato la sua palla nel carro e adesso aveva i capelli scoperti. Si sentiva esposta e a disagio, e si rammaricò di non aver preso un mantello per coprire anche la stola. Il tessuto di seta sembrava troppo leggero ed evanescente, davanti a tanti uomini, ma si era vestita per impressionare suo marito, proprio come le aveva ordinato Tarquinius. Per quanto impacciato si stesse rivelando il loro primo incontro, almeno terminò quasi subito. Non era proprio il luogo in cui avrebbe pensato di conoscerlo, in mezzo al niente su una strada che attraversava le foreste, ma forse andava bene come qualsiasi altro po10


sto. Il giorno prima aveva mandato un cavaliere con la notizia del loro imminente arrivo, sebbene non si aspettasse alcuna risposta. Dato che non l'aveva mai conosciuto prima, poiché suo fratellastro non aveva ritenuto necessario un incontro, prima del matrimonio, Livia non aveva idea di cosa pensasse della loro unione, ma il fatto che le fosse andato incontro con una guardia d'onore composta da legionari doveva certamente essere un buon segno. «Siamo vicini al Vallo?» gli chiese, la prima domanda che le venne in mente. «Sì, è a circa dieci miglia.» «Così vicini? Allora arriveremo sul far della sera.» «Anche prima. Da qui, occorre meno di mezza giornata di marcia. Lo raggiungerete in tempo per la cena.» «Vi ringrazio.» Livia gli rivolse un nervoso sorriso, e lui si tolse l'elmo, rivelando capelli castano chiaro tagliati corti come la maggior parte dei legionari. Il volto era aspro e bello, con zigomi pronunciati, naso leggermente storto, come se l'avesse fratturato, e mascella risoluta. A giudicare dalle profonde rughe tra le sopracciglia non doveva ridere spesso, ma nel complesso aveva un'espressione austera, non crudele, come se qualunque peso portasse sulle spalle – e Livia ebbe l'improvvisa certezza che qualcosa lo opprimesse – appartenesse solo a lui. Non era neppure giovane come aveva temuto. Tarquinius le aveva detto che non si era arruolato da molto, ma l'uomo che aveva davanti pareva più esperto e anziano di quanto avesse immaginato, molto più vicino ai suoi ventiquattro anni di età di un'imberbe recluta. Rendersene conto era sia un sollievo sia una nuova fonte di ansia. Dopo aver sposato un uomo più vecchio di lei di circa quarant'anni, l'ultima cosa che vo11


leva era passare da un estremo all'altro e unirsi a un ragazzo – se di certo quel centurione non lo era – anche se c'era qualcosa di sconcertante in lui. Anzitutto la possente corporatura, visto che anche senza l'elmo spiccava per la propria statura. Aveva spalle larghe e, non poté fare a meno di notare, un torace altrettanto ampio. Poi c'era il suo aspetto chiaramente militaresco. Il lungo mantello blu, decorato con una banda gialla e chiuso sul davanti con una fibula di bronzo, era gettato sulla spalla, rivelando i contorni della piastra anteriore della corazza e gambiere di metallo su braccae attillate che enfatizzavano le cosce muscolose. Aveva posato di lato lo scudo, ma continuava a tenere il giavellotto, il che le permise di notare il robusto avambraccio su cui spiccavano attestati al valore, le armillae di bronzo, oltre a un fodero d'argento dalle intricate decorazioni dal quale spuntava un minaccioso gladio sulla sinistra e tre lunghe e nodose aste di legno per punire i legionari, le vitis, sulla destra. Livia chiuse le mani a pugno, travolta da una confusa miscela di emozioni. Ironicamente, ora che aveva scoperto che non correvano alcun pericolo, si sentiva vittima di un attacco ben diverso. Aveva le gambe deboli e tremanti come dopo una lunga corsa, e un caldo soffocante che ricordava la canicola estiva, piuttosto che una tiepida giornata di primavera. Julius non l'aveva fatta sentire così neppure nei primi tempi del loro matrimonio, come se avesse lo stomaco pieno di piccole farfalle che battevano le ali tutte insieme. Non era mai stata così fisicamente attratta da un uomo. Ma quel centurione se n'era accorto? La sua reazione era così evidente? A lei sembrava più che evidente, come se le impudiche reazioni del suo corpo fossero scritte con chia12


rezza sul suo volto, e tutti potessero vederle. Almeno, però, il centurione era l'uomo che doveva sposare. Era quella la sua unica consolazione. Se fosse stato chiunque altro, sarebbe morta di vergogna in quel momento stesso. «Sono onorata di conoscervi, Lucius Scevola» pronunciò quindi, chiamandolo finalmente per nome. «E tutti noi vi siamo grati per la vostra scorta.»

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