LENORA BELL
La vendetta del duca
Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: If I Only Had a Duke AVON BOOKS An Imprint of HarperCollins Publishers © 2016 Lenora Bell Traduzione di Maria Grazia Bassissi Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. © 2017 HarperCollins Italia S.p.A., Milano Prima edizione I Grandi Storici Seduction dicembre 2017 Questo volume è stato stampato nel novembre 2017 da CPI, Barcelona I GRANDI STORICI SEDUCTION ISSN 2240 - 1644 Periodico mensile n. 71 dello 06/12/2017 Direttore responsabile: Chiara Scaglioni Registrazione Tribunale di Milano n. 556 del 18/11/2011 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - Via Mondadori, 1 - 20090 Segrate (MI) Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 045.8884400 HarperCollins Italia S.p.A. Viale Monte Nero 84 - 20135 Milano
Prologo
Contea di Cork, Irlanda, 1818 Caro Duca di Osborne, spero mi perdonerete se ho l'impertinenza di scrivervi pur non essendo stati presentati ufficialmente. Sono temporaneamente vostra vicina di casa. Ballybrack Cottage, la dimora di mia zia, confina col parco di Balfry House e ieri la vostra governante mi ha gentilmente fatto visitare la casa. Quale meravigliosa raccolta di capolavori possedete! Non vedevo niente di simile da quando ho visitato i musei italiani. I miei studi artistici mi hanno permesso di riconoscere tra gli altri Caravaggio, Raffaello e Tiziano. La vostra governante dice che non venite in Irlanda da moltissimi anni. Mi chiedo se vi rendiate conto di cosa comporti questo per la vostra ancestrale raccolta. Curiosamente vostra. Lady Dorothea Beaumont Londra Cara Lady Dorothea Beaumont, possibile che esistano due Lady Dorothea Beaumont? Trovo difficile credere che la dama che io associo a questo nome mi scriverebbe, visto il suo coinvolgimento nelle bizzarre e 5
scandalose circostanze del matrimonio del mio amico, il Duca di Harland, lo scorso autunno. Dubbiosamente vostro. il Duca di Osborne Contea di Cork, Irlanda Caro Duca di Osborne, temo di esserci soltanto io con questo nome. Gli eventi ai quali alludete sono il motivo per cui sono stata esiliata nella campagna irlandese, come i vostri antichi capolavori. Confesso che ho proseguito il giro di Balfry House, scoprendo una soffitta gremita di misteriosi pacchi, le cui dimensioni fanno pensare a dei dipinti. Morivo dalla voglia di aprirli. Vorreste per caso far catalogare la vostra collezione? Vi renderei con molto piacere questo servigio. Lady Dorothea Beaumont Londra Cara Lady Dorothea Beaumont, Sua Grazia ci ha inoltrato la vostra richiesta relativa alla collezione d'arte conservata a Balfry House. Alla pratica è stato assegnato il numero MCCCXXVIII che d'ora innanzi sarà usato in ogni comunicazione. Sebbene Sua Grazia faccia il possibile per rispondere sollecitamente a simili richieste, spesso l'attesa può essere non solo inevitabile ma anche prolungata. I vostri umili servitori. Stallwell & Bafflemore, Avvocati Contea di Cork, Irlanda Gentili signori Stallwell e Bafflemore, vi prego di informare Sua Grazia che non mi lascio dissuadere facilmente. Per puro caso, ho scoperto una piccola porzione di uno dei dipinti, constatando con meraviglia che si tratta di un'importante opera perduta di Artemisia Gentileschi, una pittrice del 6
tardo Rinascimento italiano alla quale mi interesso molto. La sua Venere dormiente riposa sul velluto turchese mentre Cupido le fa vento con delle piume di pavone. Anche se forse è un po' troppo anziana per i gusti del duca (ha quasi duecento anni) è una perla rara e merita di essere ammirata da un pubblico in estasi. Supplico Sua Grazia di dare la disponibilità a esporre la sua collezione. Lady Dorothea Beaumont Cara Sheherazade, niente mostre. Il collezionista d'arte era il mio defunto genitore, non io. I vecchi dipinti polverosi mi lasciano indifferente. Io mi limito a essere un intenditore delle Veneri calde e viventi. Lasciate che vi assicuri che Balfry House, con tutto il suo contenuto, è chiusa per validi motivi, e tale resterà. Con determinazione. Il Duca di Osborne Contea di Cork, Irlanda Caro Duca, non potete essere così duro di cuore da impedire la diffusione di quella che è forse la più preziosa raccolta esistente dei dipinti di una pittrice tardo rinascimentale (ebbene sì, ci sono altre opere perdute di Artemisia nella collezione di vostro padre!). Voi negate al pubblico, e a una studentessa d'arte, grande piacere e occasioni edificanti. Se solo veniste di persona a vedere i dipinti, il vostro cuore non rimarrebbe insensibile. L'imperterrita Lady Dorothea Londra, autunno 1818 Cara Lady Imperterrita, pare che trascorriate parecchio tempo a casa mia. Devo 7
farvi pagare un affitto? Mi auguro che abbiate altri interessi. Pascoli per bovini nei quali saltellare... gentiluomini di campagna da ammaliare. Vogliate perdonarmi, importanti e urgenti affari mi reclamano. Il duro di cuore Duca di Osborne Contea di Cork, Irlanda, Autunno 1818 Caro Duca, se con importanti e urgenti affari vi riferite al saltare dal balcone di Mrs. Renwick per poi essere visto la stessa sera arrampicarvi sul traliccio di rose rampicanti di Mrs. Beckham-Cross (ho letto questo esaltante resoconto in un giornale), viene da domandarsi se tanta agitazione si confaccia alla salute di un gentiluomo. Consentitemi di prescrivervi un periodo di riposo nella campagna irlandese e la calma contemplazione di opere d'arte del diciassettesimo secolo. L'agreste Lady Dorothea Londra Cara Lady Agreste, non datevi pena. Sono nel pieno del vigore, della virilità e della salute. Potete chiedere a Mrs. Renwick. L'animale di città Duca di Osborne E a questo cos'avrebbe dovuto rispondere? Thea intinse la penna nell'inchiostro. Caro Duca, cominciò. Ma in realtà non era caro. Era un mascalzone arrogante che ignorava l'appassionata richiesta di una gentildonna. Appallottolò il foglio e ne distese un altro pulito sul piano inclinato dello scrittoio. 8
Caro animalesco Duca. Appagante, ma probabilmente inopportuno. I gentiluomini adorano essere adulati. Di nuovo la voce di sua madre. Un anno di esilio in Irlanda non era bastato per cancellare quell'imperioso monologo interiore e le sue costanti raccomandazioni. Trova qualcosa da lodare. Qualsiasi cosa. Magnifica la lucentezza dei suoi stivali. Elogia la genealogia dei suoi purosangue. E ponigli delle domande riguardo alla sua persona. I gentiluomini non si stancano mai di parlare di loro stessi. D'accordo. Adulare. Porre domande. Caro virile Duca, come fate a soddisfare così tante vedove in una giornata di sole ventiquattro ore? L'ennesimo foglio finì nel cestino accanto ai suoi piedi. Thea appoggiò i gomiti sullo scrittoio e guardò fuori dalla finestra. Ecco zia Emma, una figura rotondetta sormontata da un cappellino con veletta bianca, che si occupava dei suoi amati alveari di giunchi intrecciati. Dietro di lei, le acque verdi della baia di Balfry luccicavano, accarezzando le scogliere rocciose e le spiagge disseminate di alghe fossili dal colore rosato, chiamate maërl, che i contadini locali lasciavano seccare e poi riducevano in polvere per spargerle nei campi come fertilizzante. Nel giro di qualche secolo, gli archeologi avrebbero trovato Thea sepolta sotto un tumulo di fogli accartocciati. Una lenta morte per incapacità di trovare le parole. Il suo peggior difetto. Bastava chiedere a sua madre, la Contessa di Desmond. Povera contessa. Aveva avuto tanti progetti per la figlia. Thea non ricordava un momento in cui non avesse saputo che era destinata a Grandi Cose: un trionfante debutto, a seguire una dozzina di proposte di matrimonio, una selezione 9
dei duchi più idonei, e un lungo, incontrastato primato quale duchessa più invidiata dell'Inghilterra. Quel piano avrebbe previsto perfino un motto: Prestigio. Eleganza. Raffinatezza. Un codice di comportamento costituito dalle prime tre lettere della parola perfetto, poiché la contessa non si sarebbe accontentata di niente di meno. A undici anni Thea era in grado di conversare in italiano e in francese. A dodici leggeva gli epigrammi di Ovidio in latino. A tredici sapeva suonare tutti i concerti di Mozart al pianoforte. Danzava leggera come una piuma, i suoi acquerelli erano estremamente graziosi, la sua postura impeccabile. Mr. Debrett avrebbe potuto consultare lei per correggere il suo almanacco della nobiltà, giacché Thea conosceva passato e presente di ciascun Pari, meglio degli interessati stessi. Mentre lei si esercitava sul modo migliore di versare dell'autentico tè da un'autentica teiera Wedgwood, fingendo di stare accanto al suo futuro duca, gli altri bambini giocavano rumorosamente nella piazza davanti alla residenza dei Beaumont, in St. James. Ma Thea era destinata a Grandi Cose. Non a macchiarsi d'erba gli immacolati vestitini. Le sue sole avventure si svolgevano entro i confini dei dipinti a soggetto mitologico appesi alle pareti dell'aula di studio. In quelle foreste verdeggianti e nebbiose punteggiate di laghetti argentei, lei passeggiava, ridente ninfa silvana, spassandosela con le sue amiche, ninfe come lei, per conquistare infine il cuore di un affascinante Apollo che non l'avrebbe mai rimproverata se una goccia di tè fosse schizzata fuori dalla tazza. Naturalmente, le fanciulle istruite ed eleganti non passeggiavano per i boschi e non combinavano appuntamenti segreti con divinità di bell'aspetto. In realtà, non uscivano mai di casa se non accompagnate da una cameriera, due valletti e una madre dagli occhi acuti. 10
Ed era stato così che, al compimento dei suoi diciassette anni, la contessa aveva ritenuto che la sua elegante e raffinata figliola fosse finalmente pronta per lanciarsi alla conquista della Società. La contessa aveva commesso soltanto un piccolo errore di calcolo. Thea aveva vissuto così isolata, protetta e silenziosa, e non aveva mai conversato con un gentiluomo vivo e reale, men che meno un duca. I suoi rapporti con i maschi della specie erano stati limitati a brevi incontri coi suoi due fratelli, di diversi anni più grandi di lei, che erano già in collegio quando lei era bambina. Suo padre raramente era a casa invece che in giro con le sue amanti, e quando succedeva la sua conversazione consisteva in qualche grugnito e nella lettura ad alta voce di qualche riga della pagina economica del giornale. E il finto duca al quale Thea aveva servito il tè era sempre stato impersonato da una vecchia bambola di stracci con gli occhi disegnati. Non particolarmente minaccioso, il Duca di Stracci. D'altronde non aveva mai pronunciato una sola parola che l'avesse messa in agitazione né aveva fatto dei commenti tanto stupidi da rendere la sua estesa istruzione il presupposto di una colossale burla. La sera del suo debutto, quando si era trovata davanti un duca anziano e ottuso quanto la vecchia bambola, con le guance rigate da venuzze violacee e del tutto privo di mento, Thea aveva aperto la bocca per proferire una risposta elegante e sofisticata... ma non ne era uscito niente. Era terrorizzata all'idea di parlare perché avrebbe potuto dire qualcosa di sbagliato. E se avesse detto qualcosa di sbagliato, non sarebbe stata perfetta. Se non fosse stata perfetta... tutta la vita che aveva condotto fino ad allora avrebbe perso di significato. In certi momenti, durante quell'interminabile serata, Thea 11
era riuscita a replicare con qualche monosillabo. Oppure con una risatina stridula. La risatina era stata la cosa peggiore in assoluto. Erompeva come lava dal vulcano dell'autodistruzione che le ribolliva dentro. Per bloccare quel risolino imprevedibile, Thea aveva trangugiato con disperazione diversi bicchieri di punch dolce al ratafiĂ , il quale, purtroppo, aveva anch'esso provocato un'eruzione... sul vestito di un'inorridita baronessa, nel salotto delle signore. Naturalmente, dopo un simile inizio, nient'altro era andato secondo i piani. Dopo due disastrose Stagioni guastate da relazioni sociali dolorosamente imbarazzanti, Thea era stata mandata all'estero con la nonna, la formidabile Contessa vedova di Desmond. Un'estate trascorsa in mezzo ai dignitosi nobili inglesi residenti a Roma e a Firenze avrebbero dovuto lustrare il contegno di Thea, emendando per sempre quelle sciocche risatine che le uscivano. Ma per qualche strano motivo, i piani accuratamente formulati di sua madre non funzionavano mai. Il solo lustro che Thea aveva acquisito in Italia era quello dei pavimenti incerati di tutti i musei e le gallerie d'arte nei quali era riuscita a trascinare la nonna. L'arte italiana era stata una rivelazione. Le aveva permesso di fuggire in mondi sconosciuti, senza la costante ingerenza della madre. Aveva scoperto le pittrici del tardo Rinascimento e si era innamorata della loro audacia. Per un'ora buona era rimasta in contemplazione davanti alla Giuditta che decapita Oloferne di Artemisia Gentileschi, sbalordita dal talento luminoso e dalla spietata nitidezza di quella scena cruenta. Una donna ha dipinto questa scena. Non avrebbe saputo spiegare perchĂŠ, ma il dipinto aveva evocato in lei una profonda emozione. Era andata a cercare 12
nei libri di storia dell'arte il nome di Artemisia, ma non aveva trovato altro che poche righe con suggestivi dettagli sulla sua vita personale e brevi riferimenti al suo talento e alle sue opere. Thea ne aveva dedotto che questa pittrice potente e talentuosa era stata ignorata o soltanto sfiorata dagli studiosi semplicemente in quanto donna. I suoi meriti erano stati messi in ombra dallo scandalo. Per qualche inspiegabile motivo, la scoperta aveva innescato un moto di ribellione nella mente di Thea. Forse non voleva affatto sposare un duca e mettere subito al mondo la sua progenie dal mento sfuggente, per poi essere relegata a un ruolo decorativo di giumenta da riproduzione. Forse avrebbe potuto mettere tutta la sua istruzione al servizio di qualcosa di più notevole che accaparrarsi un marito all'altezza delle aspettative... uno che si sarebbe aspettato che se ne stesse buona buona mentre lui la tradiva con tutte le cortigiane di Londra. Suo padre le aveva mostrato che questo era ciò che un nobile inglese cercava in una moglie. Aveva cominciato a fare dei piani che non includevano prestigio, eleganza e raffinatezza. Tuttavia, appena tornata a Londra, aveva scoperto che la scelta era già stata fatta al posto suo. C'era un matrimonio da organizzare in tutta fretta. Il suo matrimonio. Con un duca che non aveva mai conosciuto. Peggio ancora, la proposta di matrimonio se l'era procurata la sua sorellastra Charlene, che le assomigliava come una goccia d'acqua, una dei tanti figli che il conte non aveva riconosciuto. Il che aveva perfettamente senso, da un certo punto di vista, giacché Thea non sarebbe mai riuscita a conquistare un duca, sua madre aveva deciso di risolvere la faccenda a modo suo. Lei nel suo profondo era consapevole che non sarebbe dovuta andare in chiesa quel giorno né avrebbe dovuto accettare di sposare uno sconosciuto. 13
Ma l'abitudine all'obbedienza filiale l'aveva travolta come un'onda. L'aveva trascinata in chiesa, depositandola al fianco dell'alto, attraente e minaccioso Duca di Harland. Per fortuna, a metà della cerimonia aveva finalmente trovato il coraggio. Aveva spedito il duca a cercare il suo vero amore, Charlene, la donna che gli aveva rubato il cuore. Come ricompensa per quell'atto di onestà era stata mandata in esilio presso l'eccentrica zia Emma, in un rustico cottage nel sud dell'Irlanda, a meditare sui suoi errori, pentirsi per essersi ribellata e ritrovare il buonsenso. Solo che quello che avrebbe dovuto essere un castigo era ben presto diventato il suo primo vero assaggio di libertà. Grazie alle amorevoli premure della zia, Thea era rifiorita, sentendosi utile e intensamente felice mentre la aiutava a ricercare e applicare nuove tecniche di apicoltura, più attente e moderne. Grazie a esse, invece di affumicare le api per farle uscire dall'alveare, il miele poteva essere rimosso lasciando intatta la maggior parte della colonia. Quando poi aveva trovato il dipinto di Artemisia Gentileschi nella soffitta del Duca di Osborne, Thea aveva compreso che era arrivata in quel luogo con lo scopo di studiare i dipinti perduti dell'artista italiana e mostrare al mondo la portata del suo genio e del suo talento. Ma il duca le aveva ostinatamente rifiutato la possibilità di scoprire altri dipinti. La faceva impazzire il pensiero che potesse esserci addirittura un autoritratto dell'artista che marciva nella soffitta, avvolto in un telo e dimenticato dal mondo. Che male poteva esserci ad autorizzarla a togliere tutti i teli per vedere quali opere d'arte vi si nascondessero sotto? Thea tuffò di nuovo la penna nel calamaio, decisa a trovare le parole giuste. Caro Duca, sono stata richiamata a Londra per un'altra Stagione, senza 14
dubbio fallimentare. Anche se non riuscirò mai a soddisfare le aspettative della mia famiglia, ho tutte le intenzioni di vincere la mia campagna per salvare i dipinti di Artemisia dalla vostra soffitta. Sarebbe una grave perdita per il mondo, e in particolare per i responsabili del British Institution, se simili capolavori restassero nascosti e ignorati. Sinceramente vostra, Lady Dorothea Thea prese della sabbia dalla scatola di metallo sullo scrittoio e la sparse sul foglio per asciugare l'inchiostro prima di ripiegare la lettera. L'estate successiva sarebbe stata ancora nubile. Non doveva far altro che sopravvivere a una nuova, disastrosa Stagione e assicurarsi il permesso del duca per studiare la sua collezione d'arte. Presto sarebbe tornata al caro, vecchio Ballybrack Cottage e dalla cara, vecchia zia Emma con le sue api. Il suo posto. Lontano dalle luccicanti sale da ballo. E lontano dai duchi arroganti.
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Londra, primavera 1819 Thea aveva commesso uno sbaglio colossale. Uno sbaglio alto, con le spalle larghe, delle dimensioni di un duca. Alla distanza di sicurezza garantita da carta e penna, il suo coraggio era stato leonino. Aveva programmato di avvicinarsi al Duca di Osborne al primo ballo della Stagione, disperdere la sua corte di femmine palpitanti con un solo sguardo fermo, e pronunciare un breve discorso brillante, convincente e professionale. Qualcosa come: Vostra Grazia, nascondere le opere perdute di Artemisia nella vostra soffitta equivale al Generale Hutchinson che lascia la Stele di Rosetta alle forze napoleoniche in Egitto. Be', forse questo sarebbe stato un tantino drammatico, ma avrebbe reso l'idea. Rovescia la prima tessera del domino e il resto viene da sĂŠ. In un battibaleno si sarebbe ritrovata in Irlanda, finalmente libera di essere imperfetta. Ma quella prima tessera... Durante le altre due Stagioni, naturalmente, Thea aveva notato Osborne, allora Marchese di Dalton. Ma quella sera era diverso. 16
Ora aveva bisogno di qualcosa da lui. E Osborne era enorme. Possente e virile. Una donna riusciva a percepire tutta quella mascolinità da un'estremità all'altra di una sterminata sala da ballo. Lui non camminava, incedeva. Non cavalcava, galoppava. E quando voleva qualcosa... se lo prendeva. Farlo capitolare non sarebbe stato facile. Perfino la sua cravatta aveva un'aria scanzonata, che faceva apparire tutti gli altri gentiluomini strangolati dalle lunghe strisce di lino inamidato, mentre lui si aggirava libero. Le centinaia di candele accese sibilavano. L'aroma di mandorle dolci del punch al ratafià le innescò il moto del vecchio, familiare panico nel ventre, mentre il peso delle perle, che la cameriera le aveva intrecciato nei capelli raccolti in cima alla testa, minacciava già di farle venire il mal di capo. «Lady Dorothea.» Lady Desmond aprì di scatto il ventaglio davanti al naso della figlia. Thea batté le palpebre. «Sì, mamma?» «Sognare continuamente a occhi aperti non va bene. Cercate almeno di apparire sufficientemente trasformata. Devo ricordarvi che questa è l'ultima occasione che avete di fare una buona impressione?» In realtà non esisteva alcuna occasione. Nella mente collettiva del ton, lei era già saldamente catalogata come la Disastrosa Dorothea. Molto opportuno, se si desiderava restare invisibili per poter sconfinare furtivamente nello zitellaggio. «Mi state ascoltando?» Lady Desmond socchiuse i pallidi occhi azzurri. «Sì, mamma.» «Adesso vi lascio sola, così i gentiluomini non si sentiranno... dissuasi dall'invitarvi a ballare.» Terrorizzati era una definizione più realistica. Se Thea aveva una cattiva reputazione, quella di sua madre era addirittura terribile, dato che almeno metà del ton sospettava l'inganno al quale si era abbassata, nello sciagurato 17
tentativo di procurarsi un duca come genero. Anche se nulla era mai stato dimostrato. «Cercate di sorridere quando un gentiluomo si avvicina» la spronò Lady Desmond. «Sembra che siate a un funerale.» In effetti era così. Quella era la veglia funebre dei sogni di sua madre... e delle prospettive matrimoniali di Thea. Si stampò in faccia un sorriso brillante, per accelerare la partenza della contessa. Se avesse allargato ancora un po' il sorriso, le si sarebbe spaccata la testa in due. «E niente risatine, stasera, mi avete sentito? Neanche uno sbuffo.» «Sì, mamma.» La frustrazione ribolliva sotto la superficie, ma Thea riuscì a trattenere una risposta brusca. Aveva bisogno che la madre si allontanasse per poter stringere in un angolo il duca. «Certo che vi ho sentito. Siete proprio qui accanto.» Lady Desmond sbuffò. «E smettetela di fissare il Duca di Osborne. È molto disdicevole.» Thea sussultò. «Non lo sto fissando.» «State praticamente sbavando.» Lady Desmond si diede dei colpetti sul palmo col ventaglio. «Lo so che è molto attraente, ma non è il nostro obiettivo. Io dico che Foxford andrà benissimo.» Si guardò attorno. «Non è ancora arrivato.» Thea trattenne un brivido. Foxford non andava affatto bene. Né ora né tra un milione di anni. Per tutta la vita lei era stata rispettosa e obbediente. Con una sola eccezione. Quel giorno in chiesa. Ma non aveva nessuna intenzione di sposare un uomo scelto da sua madre. In quel momento il Duca di Osborne dominava il centro del salone da ballo di Lady Thistlethwaite, le lunghe gambe ancorate al pavimento di marmo, del tutto simile all'albero maestro di una nave. Le vedove in abiti di raso esageratamente scollati gli vorticavano attorno come onde spumeggianti, e le debuttanti 18
splendenti di giovinezza e ottimismo lo occhieggiavano arrossendo, mentre le loro ambiziose genitrici tramavano per convincere il duca a dimenticare la sua avversione per il matrimonio. Cosa le era venuto in mente? Non poteva attraversare come niente fosse il salone e avvicinarsi a quel famigerato libertino. Tutti gli sguardi erano puntati su di lui. Avrebbe dovuto scrivergli un'altra lettera. Ecco, era proprio quello che avrebbe fatto. Una bella, sicura lettera, seduta al suo scrittoio. Vediamo... Caro monumentale Duca, questa sera non ho parlato con voi perché... «Oh, ecco Lady Gloucester.» La contessa aveva adocchiato la sua prossima preda. «Devo farmi raccontare tutto del matrimonio di Lady Augusta. Un semplice ufficiale. Povero in canna. Pensate un po'. Ho sempre saputo che avrebbe sposato un uomo inferiore a lei.» La madre si allontanò, a caccia di pettegolezzi. Un gruppo di giovani debuttanti infiocchettate fissò Thea, ridacchiando e sussurrando dietro i ventagli d'avorio. Non era difficile immaginare i commenti che facevano. L'avete vista. Quella è la Disastrosa Dorothea. Tornata dall'esilio. Davvero? Voglio darle un'occhiata. Perché è così disastrosa? Ma come? Non avete sentito dire che è stata abbandonata all'altare? Thea rilassò le dita e fissò una copia del Perseo e Andromeda di Tiziano, nella sua cornice dorata, tutto grigio tempestoso e fluttuante scarlatto. Se solo un fiero semidio fosse planato per salvare lei dal mostro marino del bel mondo cortese... Cortese? Per niente. Solo una sottile patina di civiltà mascherava i sussurri maligni e gli sguardi giudicanti. Neanche dieci anni in Irlanda avrebbero potuto far dimenticare la sua vicenda. 19
Thea vide il duca scomparire al di là delle portefinestre che portavano alla terrazza, con Mrs. Renwick appesa al braccio, senza dubbio diretti verso un intimo tête-à-tête. Ecco l'occasione che aspettava per avvicinarlo senza troppi occhi curiosi nei paraggi. Cos'era il peggio che poteva succedere? Sua Grazia avrebbe potuto riderle in faccia. Qualcuno avrebbe potuto assistere alla sua ennesima umiliazione. Hanno già riso. Ti hanno già umiliata. Le scarpette bianche di Thea ticchettarono sul pavimento di marmo intarsiato rosa e grigio, prima che lei si concedesse il tempo di cambiare idea. Le conversazioni fluivano tutt'attorno a lei. Tenne la testa china, concentrata sul raso bianco che vorticava intorno ai suoi piedi. Quando fu assolutamente inevitabile, quando vide i tacchi delle scarpe da sera nere del duca, solo allora Thea alzò gli occhi. Lui le dava le spalle. Si stava chinando a sussurrare qualcosa all'orecchio ben modellato di Mrs. Renwick. Santo cielo. Dall'altra parte della sala le era parso un po' più... gestibile. Da vicino era molto, molto più grosso. Monumentale. Irremovibile. Non avrebbe mai funzionato. Ma ora era troppo tardi per tornare indietro. Le spalle del duca si estendevano molto più in alto della sua testa, larghe e alte come il patibolo del boia. «Ehm.» Thea si schiarì la gola in modo molto poco signorile. Il duca non se ne accorse. Si sollevò sulle punte dei piedi, poi ancora più su, e gli batté sulla spalla. Per l'attenzione che questo le attirò, avrebbe potuto essere una mosca che ronzava intorno a un toro. 20
Mrs. Renwick rise e gli diede un colpetto sul risvolto della marsina col ventaglio di seta rossa. «Siete incorreggibile» la sentì dire Thea. Stavolta si schiarì la gola più rumorosamente. «Vostra Grazia.» Con sua grande mortificazione, le parole uscirono sotto forma di uno stridulo squittio. Lui si voltò. Per tutti i santi. Aveva gli occhi blu. Non di uno sbiadito azzurro grigio come i propri, bensì di un blu notte deciso e spietato. Quello sguardo potente la pietrificò, inchiodandola al pavimento della terrazza. Ondate di nausea le sciabordavano nel ventre. Il duca aveva sempre avuto quella mandibola intagliata nella pietra? E la fossetta al centro del mento era sempre stata così pronunciata? Le sopracciglia scure si inarcarono. Thea aveva i palmi umidi e il cuore che galoppava. «Ah, eccovi qui, Sheherazade» l'accolse il duca con l'ombra di un sorriso. «Mi chiedevo quando avreste messo in pratica la vostra minaccia.» E niente risatine, stasera. Thea risentì la voce di sua madre. Si asciugò di nascosto i palmi sulle gonne. «Eccomi qui, Vostra Grazia» disse in tono vivace. «Ed eccovi qui. Io sono qui... e voi... be', voi siete... lì.» Stava blaterando. Certo che stava blaterando. Non era mai riuscita a parlare con un gentiluomo senza trasformarsi in un'idiota totale. Mrs. Renwick socchiuse gli occhi viola. «Quale minaccia?» «Lady Dorothea vuole andare a rovistare in una delle mie soffitte.» Il duca non sembrava affatto compiaciuto. Mrs. Renwick chiuse il ventaglio con uno scatto che esprimeva la sua disapprovazione. «E a quale scopo?» «Per scoprire dei dipinti perduti» spiegò Osborne. 21
Thea deglutì. D'accordo. Poteva farcela. «Non è mai stata mia intenzione immischiarmi nei vostri affari, Vostra Grazia» si affrettò a dire, cercando di spiegarsi prima che il nervosismo la ammutolisse. «Ma quando ho scoperto la Venere dormiente proprio nella vostra soffitta, non sono riuscita a soprassedere. Gli strati di lapislazzuli che Artemisia ha utilizzato per creare quella particolare sfumatura di turchese devono essere costati un patrimonio. Probabilmente il dipinto è stato commissionato da un augusto personaggio ed è proprio un raro esempio di...» «Dee.» Un sorriso lento e pigro sollevò un angolo del sensuale labbro superiore del duca. «Io sono un ammiratore delle dee.» Mrs. Renwick mise il broncio. Il duca non stava dedicando abbastanza attenzioni ai suoi divini attributi. Gli diede un altro colpetto col ventaglio. «Oh, i vostri commenti sono sempre così oltraggiosi, Osborne.» L'enfasi che mise nell'usare l'appellativo familiare del duca era un monito rivolto a Thea: riserva di caccia, chiaro? Non doveva preoccuparsi. Da quel punto di vista non c'era alcuna minaccia. Il duca tese la mano guantata. «Perché non mi raccontate tutto di questa Venere mentre balliamo il valzer, Lady Dorothea?» Cosa? Lei non aveva parlato di valzer. Lo sguardo di Mrs. Renwick si caricò di veleno. E la mano di Thea fece una cosa inaspettata. Si annidò nel palmo di quella che il duca le tendeva. Perché quegli occhi del colore della notte la ammaliavano. Perché quel sorriso seducente era un'arma formidabile e a lei era stato chiesto di difendere Roma dai Visigoti, armata soltanto di una spada giocattolo. Perché la sensazione della grande mano che stringeva la sua era più potente dei suoi nervi scossi. E poi, improvvisamente, si ritrovarono al centro della sala da ballo. 22
Lui le catturò la vita, le dita allargate, mentre con l'altra mano continuava a stringere la sua. Un rapido cenno all'orchestra e le prime note di un valzer presero vita. La fece volteggiare fin quando le altre coppie divennero indistinte, come stelle pulsanti in un cielo di Michelangelo. Era come danzare nella tempesta. I violini accelerarono, costretti a passare direttamente alla pirouette e poi a correre alla vigorosa sauteuse nel tentativo di tenere il ritmo imposto dal duca. L'orchestra obbediva a lui. Tutto il mondo danzava ai suoi ordini. Un fatto estremamente irritante. «Non vi lasciate dissuadere facilmente, vero, Lady Dorothea?» «Non riesco a... parlare... se mi fate girare così velocemente» sbuffò lei. Il che era vero, sebbene Thea avesse bisogno di tempo anche per rimettere ordine nei suoi pensieri. Non si era aspettata di dover esporre la propria richiesta mentre si trovava stretta tra le forti braccia di lui. Il duca rallentò e i musicisti tirarono un sospiro di sollievo. Thea si riempì i polmoni d'aria. Non era ancora annegata. «Riguardo a quei dipinti, Vostra Grazia...» «Sì, ditemi di più. Questa Venere... è...» Le palpebre calarono sugli occhi scuri. «... nuda?» Thea batté le palpebre. «Uh... è in parte coperta da un velo diafano.» «Diafano.» Gli occhi dalle palpebre pesanti scesero lungo il corpo di lei, indugiando sul corpetto. «Diafano... mi piace.» La mano del duca strinse più forte la sua, spingendole indietro le spalle fino a quando il suo seno toccò quasi il nobile petto. Quella prossimità le scatenò dentro una consapevolezza formicolante. Il sorriso da lupo del duca le disse che sapeva esattamente quale effetto aveva su di lei. Danzava così bene, con tanta autorevolezza. Lei non do23
veva preoccuparsi di combinare un disastro. Osborne non le avrebbe mai permesso di inciampare nell'orlo del vestito. Thea rabbrividì, a disagio. Chiaramente lui voleva farle sapere che aveva il totale controllo della situazione. E dentro di lei tutto le diceva di arrendersi. All'improvviso desiderò disperatamente la distanza epistolare. Avrebbe voluto avere delle ore a disposizione per comporre la risposta arguta e perfetta alle scandalose allusioni di lui. E soprattutto avrebbe voluto che non la guardasse in quel modo. Come se fosse l'unica donna presente. Non doveva permettergli di distrarla. «Volete essere serio per un istante, Vostra Grazia? Credo che nella vostra soffitta possa esserci nascosto un quadro di grande importanza.» «Oh, andiamo, non mi interessa l'arte. Siamo sinceri, volete?» «Io sono assolutamente sincera. Perché sarei venuta a cercarvi, sennò?» «Già. Perché?» Il tono sarcastico della domanda catturò l'attenzione di lei. Cosa voleva dire? Finalmente la verità si fece strada. Ovvio. Che sciocca. Lui credeva che fosse l'ennesima manovra matrimoniale. Thea raddrizzò la schiena, risentita. «Vi assicuro, Vostra Grazia, che il matrimonio è davvero l'ultimo dei miei pensieri.» I capelli bruniti scintillavano alla luce delle candele. Il duca chinò il capo fino a sfiorarle la guancia col naso. Per un folle attimo lei pensò che l'avrebbe baciata, ma poi Osborne cambiò direzione e le sue labbra le sfiorarono l'orecchio. «Ma davvero» le sussurrò, roco. «Assolutamente sì.» Thea annuì, seria. «Credo davvero che se andrete a Balfry House e vedrete i dipinti coi vostri occhi, vi renderete conto dell'importanza della vostra collezione.» Un'ombra passò fugace sul viso di lui, cancellando la luce 24
dai suoi occhi e la piega sorridente dalle sue labbra. «Non rivedrò mai più Balfry House, toglietevelo da questa graziosa testolina.» Sul serio la trovava graziosa? Il sangue le affluì al viso. «Siete veramente fissata con gli antichi maestri? Prima mi sono accorto che stavate osservando quel Tiziano.» Il duca accennò con lo sguardo alla parete. «Non l'ho mai considerato granché. Il mostro marino non è spaventoso come dovrebbe. Assomiglia troppo a un roditore.» Thea si sforzò di non sorridere. «Non è il suo lavoro migliore. Ma io pensavo al corallo sul quale si trova Andromeda. Al suo significato.» Lo sguardo interrogativo di lui le fece aggiungere: «La testa tagliata di Medusa conserva la capacità di trasformare le piante viventi in coralli. Povera Medusa. Mi ha sempre fatto pena. Che terribile reputazione». «Trasformare gli uomini in pietra rende una donna alquanto impopolare» scherzò lui. «Naturalmente, anche scoprire che avete letto Ovidio può avere un effetto analogo.» «Ah! Non c'è niente di sbagliato in Ovidio.» «Non ho detto questo. Certi uomini trovano molto... stimolanti le donne intelligenti.» Il modo in cui sosteneva il suo sguardo la riscaldò nel profondo e la fece sciogliere esternamente come una candela. Col pollice, il duca le tracciava piccoli cerchi sulle reni. Per un istante lei dimenticò la propria missione. Dimenticò tutti gli altri balli ai quali aveva preso parte. L'umiliazione. I disastri. Esisteva quell'unico valzer. Un valzer perfetto. Tra le braccia dell'uomo più attraente tra tutti i presenti. E fu allora che Thea commise il secondo errore colossale della serata. Chiuse gli occhi... e si arrese al momento. Un agnellino così innocente. Ma Dalton non si sarebbe lasciato ingannare. 25
Sapeva che lei aveva cercato di indurre il suo migliore amico James, il Duca di Harland, a sposarla, usando la sorellastra Charlene come esca. Lady Dorothea assomigliava come una goccia d'acqua a Charlene, la figlia che il Conte di Desmond aveva avuto da una cortigiana, e che aveva sposato James, trasformandolo da bruto barbuto in un membro del Parlamento quasi rispettabile, oltre che in marito e padre amorevole. Le due donne avevano la stessa carnagione lattea sfumata di rosa e gli stessi capelli biondi. Anche se, da vicino, la folta chioma di Lady Dorothea era più ramata. Marmellata d'arance su uno scone caldo imburrato. Gli occhi erano leggermente più azzurri che grigi, distanti come quelli della sorella, e spiccavano sul viso ovale dal mento appuntito. Anche lei era piuttosto bassa, con la testa che arrivava ben sotto il mento di Dalton. Lo faceva sentire gargantuesco e sgraziato, come se da un momento all'altro potesse frantumare le sue fragili dita nelle proprie zampacce. Passò il pollice sulla pelle che appariva liscia come raso anche attraverso il guanto, e un intenso rossore le risalì dalla gola alle guance, addensandosi in due chiazze rosee e rotonde sugli zigomi. Dalton non ricordava che la sua sorellastra fosse mai arrossita, ma riconobbe in quel rossore verginale e nei riccioli spettinati ad arte una maschera accuratamente costruita. Evidentemente, lei e la sua intrigante madre avevano deciso che Dalton sarebbe stato il premio di consolazione per aver perduto James. Tutte quelle lettere riguardo ai dipinti di suo padre. Lady Dorothea pensava davvero che lui ci sarebbe cascato? Stava solo tramando per catturare e domare un duca e averlo tutto per sé. Ma non sarebbe successo. Dalton non danzava mai con le giovani donne nubili e ari26
stocratiche per non infondere false speranze nelle loro genitrici, e poi lui era una causa persa. Il matrimonio non era nel suo destino. Quella sera aveva uno scopo. Si era costruito una facciata altrettanto artificiosa per distogliere l'attenzione dalla sua vera attività. Non poteva permettere che delle fastidiose debuttanti senza prospettive lo inseguissero per tutta Londra, scavando nel passato che lui aveva seppellito. Per quel motivo, solo per questa sera, avrebbe fatto un'eccezione. Si sarebbe difeso attaccando per primo. Danza con lei. Rendila popolare. E poi siediti in disparte a goderti i fuochi artificiali, prendendo due piccioni con una fava. Quando fosse stata assediata dai corteggiatori, lei non avrebbe più avuto tempo per tormentarlo. E il ton sarebbe stato troppo occupato a spettegolare sul valzer e sulle sue conseguenze per curarsi di dove lui avrebbe concluso la serata. Lady Dorothea gli si strinse contro, solleticandogli il mento coi suoi riccioli di seta. Così, agnellino, ondeggiate tra le mie braccia. Aveva un profumo di rose selvatiche, femminile e sensuale. Se le avesse leccato il collo, probabilmente avrebbe assaporato un gusto cremoso, come la vaniglia del Madagascar. Lei lasciò uscire un piccolo respiro ansimante che lo colpì dritto all'inguine. Oh, brava davvero. Ma lui lo era di più. «La nostra danza è quasi al termine, sola e unica Lady Dorothea» le sussurrò. Le ciglia folte e scure fremettero sul vasto mare degli occhi. «Così presto?» «Ahimè, tutte le cose belle finiscono.» 27
Un sorriso balenò sulle labbra dolcemente incurvate di lei. «È proprio necessario?» «Temo di sì.» Parlò a bassa voce, con un sorriso provocante sulle labbra. Voleva che gli altri ospiti si chiedessero quali dolci parole le stesse sussurrando all'orecchio. «Permettetemi di mettere in chiaro una cosa prima che il valzer finisca, signora.» Ora lo sguardo di lei era diffidente. Le spalle esili si erano un poco irrigidite. «Cosa, Vostra Grazia?» «Non andrete più in giro per la mia proprietà né a caccia di tesori nelle mie soffitte. Ho capito il vostro gioco e so che non siete alla ricerca di antiche dee. In realtà voi perseguite un duca molto moderno.» Lady Dorothea trasalì. «Vi sbagliate di...» «Ma non sarò io.» Dalton interruppe bruscamente la sua protesta. «Non sarò io... ma voi potrete scegliere tra un nutrito numero di nobili altrettanto qualificati.» «Cosa... cosa intendete dire?» Scrutò il viso di lui con un'espressione molto simile al panico. «Guardatevi attorno. Tutti gli occhi sono puntati su di noi. Il primo valzer della Stagione, e ho scelto voi.» Lei dardeggiò un'occhiata tutt'intorno. «No, no. Non è affatto quello che volevo.» Scosse il capo e i capelli di seta gli accarezzarono di nuovo la guancia. La musica tacque. Lui fece un passo indietro. Lady Dorothea si strinse le braccia al petto, gli occhi opachi come vetro satinato. Il duca provò qualcosa di simile al rimorso. La figlia di Desmond era un'attrice di talento. «Vi ho reso popolare.» Si inchinò. «Eccovi servita.» Un'espressione gelida apparve sul viso di lei. «Niente può rendermi popolare, Vostra Grazia. Neanche voi.» «Volete scommettere?» Dalton era famoso per le sue bizzarre puntate. Il diversivo dell'inattesa popolarità di Lady Dorothea avrebbe alimentato i registri delle scommesse nei club di Londra. 28
Avrebbe intrattenuto tutti quegli indolenti nobili. Avrebbe impedito loro di sospettare che il Duca di Osborne non fosse l'ennesimo libertino con troppo tempo libero e una propensione per gli scandali. Dalton riaccompagnò Lady Dorothea da sua madre, Lady Desmond, in compagnia della quale aveva avuto il dispiacere di trascorrere qualche giorno durante la caccia alla moglie di Harland, l'estate precedente. La contessa era una delle donne più fredde e calcolatrici che avesse mai conosciuto. «Credetemi, Vostra Grazia, non sono in cerca di corteggiatori» gli sussurrò Lady Dorothea con urgenza, cercando di rallentarlo. «Volevo soltanto convincervi a darmi il permesso di studiare i dipinti di Artemisia.» Le dame sussurravano tra di loro, a gruppetti, gli uomini giravano loro intorno come squali attratti dall'odore di sangue fresco e le debuttanti li guardavano invidiose. «Così rovinerete tutto.» Lei gli strinse più forte il braccio. «Questa... Questa è la mia idea dell'inferno. Dovete fare qualcosa per far capire che stavate solo giocando con me. Dite ai vostri amici che lo avete fatto per scommessa.» Gli occhi azzurri di Lady Desmond luccicavano, trionfanti. «Vostra Grazia.» Inclinò il capo con un cenno regale. Dalton le fece un inchino imperioso. Poi si chinò su Lady Dorothea, preparandosi all'assalto di quel seducente profumo agrodolce di rose selvatiche. «Benvenuta all'inferno» mormorò.
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La vendetta del duca LENORA BELL INGHILTERRA - IRLANDA, 1819 - Dopo diverse e fallimentari Stagioni, Lady Dorothea non ne può più dei piani della sua famiglia per trovarle un marito all'altezza. Tutto ciò che desidera è la libertà, finché Dalton, il Duca di Osborne, non interferisce nelle sue aspirazioni. Il duca, però, non ha tempo per corteggiamenti o matrimoni e ha un unico obiettivo: trovare l'uomo che ha rovinato la sua famiglia. Quando tuttavia accetta di aiutare Thea e di darle un passaggio verso l'Irlanda, anche i suoi piani rischiano di andare a rotoli. La strada per l'isola è costellata di difficoltà, ma il rischio più grande lo corre il suo cuore...
Un'offerta scandalosa HARPER ST GEORGE INGHILTERRA, IX SEC. - Magnus si risveglia privo di memoria, nudo e su una pila di corpi da bruciare. È un guerriero che ha partecipato a una battaglia, ma non sa se dalla parte dei vichinghi o dei sassoni. Il ritorno alla vita coincide con l'incontro con Aisly, resa vedova dagli odiati vichinghi e assoggettata alla volontà del suocero. Quando Magnus la salva da un aggressore, lei non può esimersi dal prendersi cura di quello sconosciuto che risveglia nel suo cuore forti e nuove pulsioni. Davanti alla scandalosa offerta che Magnus le fa, il tumulto interiore della donna si trasforma in travolgente desiderio.
Passione e inganno EVA LEIGH LONDRA, 1818 - Alexander Lewis, Duca di Greyland, non riesce a dimenticare l'affascinante vedova Cassandra Blake che, dopo una notte d'amore e una consistente somma di denaro in prestito, è svanita nel nulla. Anni dopo, quando il duca si ritrova faccia a faccia con lei in una sala da gioco, scopre che l'amore che ha coltivato per tutto quel tempo si fonda su una bugia. Tuttavia quella donna, verso cui il destino non è stato magnanimo, ha bisogno di lui. Il duca accetta di aiutarla e con lei si addentra nei segreti più oscuri e torbidi di Londra. Ma i rischi sono alti, soprattutto se tra i due riesplode la passione.
Un corteggiamento pericoloso MADELINE HUNTER INGHILTERRA, 1822 - Adam Penrose, Duca di Stratton, ha la fama di essere un uomo pericoloso guidato da un cocente desiderio di vendetta. Quando incontra Clara Cheswick perde la testa per lei. Clara, però, è una donna indipendente ed è impegnata nel giornale femminile che ha fondato: il matrimonio non è nei suoi progetti. Tuttavia, il suo istinto giornalistico la porta a decidere di aiutare il duca a far luce sul mistero che riguarda la tragica e infamante fine del padre. Tra colpi di scena e scoperte, corteggiamenti serrati e scandali, la passione prende il sopravvento... Dal 21 febbraio
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La vita scandalosa di una lady
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Inghilterra, 1815 Lontana dal ton londinese, Eleanor Hancourt è costretta a vivere sotto la falsa identità della governante Nell Court per sfuggire agli scandali che hanno travolto la sua famiglia. Tutto cambia però quando alla tenuta si presenta il Conte di Barberry.
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