Stefania Serio
La voce del silenzio
La voce del silenzio © 2017 Stefania Serio Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. Harmony è un marchio registrato di proprietà HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved. © 2017 HarperCollins Italia S.p.A., Milano Prima edizione digitale eLit Romance gennaio 2017 Seconda edizione eLit Harmony marzo 2018 Questo volume è stato stampato nel febbraio 2018 da CPI, Barcelona ELIT HARMONY ISSN 2532 - 8204 Periodico mensile n. 6 del 21/03/2018 Direttore responsabile: Chiara Scaglioni Registrazione Tribunale di Milano n. 244 del 26/07/2017 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - Via Mondadori, 1 - 20090 Segrate (MI) Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 045.8884400 HarperCollins Italia S.p.A. Viale Monte Nero 84 - 20135 Milano
Prologo Aprile 2012 Salvare le modifiche al documento? Non salvare. Non avevo proprio niente da salvare, a meno che non archiviassi un documento vuoto e, con un gesto di stupida rabbia, chiusi il pc. Fu terribile; la mano era immobile, il foglio restava bianco e le idee non c'erano più, come se si fosse formato un vuoto. Proprio nel momento in cui avevo bisogno di scrivere. Pensai che fosse quello il problema: non potevo dare corpo alla mia creatività solo perché così era previsto in un contratto, infatti di lì a tra tre mesi era atteso il lancio del mio nuovo romanzo e non avevo scritto neanche una parola. Sapevo bene che quasi tutti gli autori prima o poi cadono vittime di quello che viene definito il blocco dello scrittore, ma fino a poco tempo prima ero convinta di esserne immune, pensavo che a me non sarebbe successo. Inve5
ce all'improvviso ne stavo sperimentando tutti i sintomi: i processi mentali fermi, la mancanza di concentrazione e soprattutto il vuoto su cosa scrivere. E quel maledetto telefono che continuava a squillare... «Eh no, mica rispondo!» mi dissi. Tanto sapevo bene chi mi stesse cercando: proprio lui, il mio carnefice, il mio tormentatore... il mio editore. Ricordavo ancora bene che solo qualche anno prima ero vissuta attaccata all'apparecchio con la speranza di ricevere quella telefonata che avrebbe potuto cambiare la mia esistenza. Infine era arrivata e per poco non ero svenuta quando una voce, dal chiaro accento settentrionale, mi aveva detto: «La signora Lorena Sperti? Sono la segretaria personale del dottor Garimberti, della Casa Editrice Carpediem, è un problema per lei venire a Milano per un colloquio?». Quella stessa sera avevo preso un aereo e il giorno successivo ricevevo i complimenti da uno dei massimi esponenti dell'editoria italiana. Il mio libro da esordiente aveva poi venduto trentamila copie ed ero diventata il suo fiore all'occhiello. Dopo il mio secondo romanzo, un ulteriore successo che vantava quasi cinquantamila copie vendute, avevo firmato un contratto di prelazione che mi impegnava per altri cinque anni con la stessa casa editrice e che fissava però delle condizioni: l'obbligo di consegnare altri due romanzi in quel lasso di tempo. 6
Il terzo romanzo lo avevo scritto di getto; le idee, le parole erano già tutte pronte, dovevo solo trascriverle e le mie dita, come se avessero vita autonoma, correvano veloci sulla tastiera. Poi il buio. Che sciocca e presuntuosa ero stata a firmare quel contratto! Ma io che cosa potevo saperne che dopo i primi successi mi sarei ammalata? Lorena Sperti è una scrittrice apprezzata in Italia e all'estero, in particolare in America, dove i suoi romanzi hanno trovato il favore del pubblico, e ha raccolto critiche più che positive da giornali prestigiosi, era stato il lusinghiero commento apparso su una nota rivista che ho tenuto per lungo tempo posata in bella vista sul tavolino del soggiorno. Con la mia foto in copertina. Era al centro di un ventaglio formato da altre riviste, falsamente appoggiata lì come per caso ma in modo tale che chiunque capitasse in quella stanza non potesse non vederla. «Nooo! Ma sei proprio tu? Ti hanno dedicato addirittura una copertina! Complimenti, mia cara.» Il mio ego si era alimentato così tanto a quelle parole pronunciate da amiche e false amiche (non era importante allora), che avevano oscurato ciò che poi sarebbe accaduto, ma che già covava in me. E a distanza di così poco tempo, se avessero saputo del mio blocco, cosa sarebbe stato scritto sui giornali?, mi chiedevo spesso. 7
Immaginavo di leggere: Ci dispiace, ci siamo sbagliati; quella che credevamo fosse una nuova stella nel firmamento della letteratura si è rivelata solo una meteora. È infatti già scomparsa. Per non parlare poi delle amiche e false amiche! Le seconde avrebbero assunto la loro decisiva importanza, sarebbero state quelle che a macchia d'olio avrebbero fatto sapere ai più che ero stata solo un bluff e avrebbero affondato le loro affilate unghie nelle piaghe della mia esistenza. Mi sembrava addirittura di sentirle... «Ma avete notato come sembra all'improvviso invecchiata? E pensare che su quella copertina sembra una ragazzina. Meno male che esiste photoshop...» Basta!, pensai tra me, questi pensieri non mi aiutano di certo, come non serve a nulla fissare la pagina bianca di word. Andai comunque davanti allo specchio e osservai il mio viso per vedere se realmente da quel momento in poi avrei avuto bisogno di photoshop. Fortunatamente constatai di non essere cambiata, ero la stessa di sempre: capelli rossi arruffati, un viso pieno di lentiggini che mi donavano l'aspetto di una ragazzina, anche se ero vicina a compiere trentacinque anni. Sorrisi in maniera un po' idiota alla mia immagine riflessa, mentre dalla finestra aperta mi arrivarono le voci della strada. Abito in una palazzina nel centro storico di 8
Bari e ho sempre l'impressione di stare in una grande famiglia. La scelta di vivere a Bari vecchia include anche questo, e l'ho scoperto solo dopo essermi trasferita. Acquistai la casa con i primi introiti derivanti dalla vendita dei miei libri; era poco più di un rudere ma avevo le idee ben chiare di come avrei potuto ristrutturarla e comunque costava davvero poco. Mia madre, che mi aveva accompagnato quando l'avevo vista la prima volta, aveva tentato in mille modi di farmi cambiare idea. Aveva iniziato con lo sciorinarmi tutti gli inconvenienti che ne sarebbero derivati ma, conoscendola, non mi era sfuggito ciò che a lei più interessava: la mescolanza con gli abitanti del quartiere. «Lorena, se è una questione di soldi posso farti io un prestito. Non essere precipitosa! Hai visto sulla Muraglia che begli appartamenti ci sono? Anche Dino, il figlio dei Cognetti, vi si è trasferito.» Quel riferimento mi aveva fatto sorridere e in quel momento avevo capito. Dino era il figlio di vecchi conoscenti dei miei genitori e, particolare non proprio secondario, mio ex fidanzato, appartenente, come gran parte dei loro amici, alla cosiddetta Bari-bene che aveva colonizzato, solo perché di tendenza, quella parte della città vecchia che va da Piazza del Ferrarese alla Muraglia. Era proprio da quell'ambiente che volevo fuggire, ma sapevo anche che era inutile dirlo a mia madre. 9
«No, questa casa sarà perfetta!» avevo replicato e bloccato così qualsiasi sua rimostranza. I lavori di ristrutturazione erano iniziati un mese dopo, prosciugando totalmente il mio conto in banca, e dopo un anno mi ero trasferita finalmente nella mia adorata casa dove, già dalla prima sera, avevo capito che non sarei mai stata sola e che il quartiere faceva parte degli annessi così come normalmente ne fanno parte i mobili o gli elettrodomestici. «Ma come ti ha venute n' gape di pigliare questa casa? Mo' tu che c'entri jìnde a cus quartiere?» mi chiese in un italiano misto a dialetto un giovanotto tatuato dalla testa ai piedi quando scesi per depositare nel cassonetto la spazzatura. Pur avendo capito bene cosa mi aveva detto, risposi stupidamente: «Come, prego?». «In questo posto non ci abitano quelle come a te!» mi ribadì il concetto spiegandosi in un italiano stentato. «Perché io come sono?» «Tu si scem! C' càzz stai a fare a Bari vecchia! Ma vedi a questa fanatica!» Non capivo se voleva spaventarmi, minacciarmi o altro e, accelerando il passo, cercai di infilarmi in fretta nel mio portoncino. La sua voce mi bloccò sull'uscio proprio quando pensavo di essere in salvo. «Me, visto che ormai vivi do', bevimce na birre.» Accettai la sua birra e bevemmo in silenzio 10
mentre intorno a noi si era formato un capannello di gente incuriosita da ciò che stava succedendo. Quando Nicola, nel frattempo ci eravamo presentati, finì si abbandonò a un rumoroso rutto e, non so perché, lo feci anche io. Quel gesto suggellò la tregua. Ormai sono diventata cittadina onoraria del quartiere e ne conosco bene la storia. Piazza del Ferrarese è la piazza adiacente al quartiere murattiano, l'elegante centro cittadino, ed è stata oggetto di un restayling, mentre il resto del quartiere, nonostante sia più ricco di vita comune, di cultura, di tradizioni e di bellezze artistiche, pare non essere stato mai considerato da nessuna delle amministrazioni che si sono succedute negli ultimi anni. L'iniziativa Urban, voluta dalla Commissione Europea per la ricostituzione dei quartieri in crisi, avrebbe dovuto affrontare problemi legati a situazioni di isolamento, povertà ed esclusione, e prevedere un pacchetto di progetti che avrebbero integrato la riqualificazione di infrastrutture obsolete. In teoria... In pratica si è rivelato un fallimento; infatti, inoltrandosi nei meandri delle stradine, si possono ancora notare moltissime abitazioni mantenute stabili da provvisorie travi in legno e in metallo, che ormai di provvisorio non hanno più nulla essendo state montate almeno vent'anni fa. Partendo da via Vallisa e arrivando in strada Gironda, sono almeno nove i civici con 11
le porte d'ingresso murate e con i cartelli che segnalano lavori in corso. Non ho mai visto un solo operaio. Anche luoghi storici come l'Arco delle Meraviglie e l'Arco Vanese si stanno frantumando; dall'Arco Alto di piazza Castello cadono calcinacci mentre i ragazzini continuano a giocare ignorando completamente il pericolo. E io abito proprio lì e divido con la gente del quartiere gioie e dolori, e a distanza di anni posso dire che le gioie superano di gran lunga i dolori, anche se l'inserimento non è stato certo facile. Era aprile, sapevo che la strada pian piano sarebbe divenuta il salotto e la cucina dei miei vicini e, ahimè, qualche volta anche il bagno per i loro bambini che, tutti presi dai giochi per la strada, trovavano più comodo farla in un angolino. Davanti alle porte delle loro case, in prevalenza a livello della strada, iniziavano a spuntare le prime sedie e, man mano che l'aria sarebbe diventata più calda, avrebbero fatto la loro comparsa anche un tavolino, un ombrellone e soprattutto una cucina da campo pronta a friggere le popizze, frittelline sferiche di farina bianca, il cui odore avrebbe attirato come mosche coloro che passeggiavano nella città vecchia. È davvero impossibile resistere a certe ghiottonerie. Inutile dire che nessuna di queste friggitorie a cielo aperto possiede un regolare permesso di vendita e tanto meno una certifica12
zione igienico-sanitaria. Ma che importa! Se fosse tutto regolare, il sapore delle frittelle (e in inverno si aggiungono anche le sgagliozze, triangoli di polenta sempre rigorosamente fritti) non sarebbe più lo stesso. «Lorellaaaa!» La voce di Maria, la donna che abita nell'abitazione attigua alla mia, interruppe i miei pensieri. Avevo già da tempo abbandonato l'idea di farle pronunciare il mio nome in maniera corretta; per lei mi chiamavo Lorella (come la Cuccarini), e non c'era verso di farle cambiare idea. «Maria, che c'è?» le risposi affacciandomi al balconcino. «Sono calde calde. Mangiatele subito.» Le calai il cestino legato a una cordicella, altra consuetudine dalle nostre parti, e le popizze dopo un po' erano sulla mia tavola, mi sedetti e aspettai: erano roventi. Dopo numerose ustioni al palato avevo imparato l'arte dell'attesa. Addentarle per la prima volta è un rito d'iniziazione a cui nessuno può sottrarsi e meno male che quando toccò a me Nicola, ridendo, mi passò subito la sua birra, sempre a portata di mano per lui, evitando così che, oltre al palato, mi ustionassi anche l'intero esofago. Maria in un certo senso mi aveva adottata, non faceva che rimproverarmi per la mia eccessiva magrezza o perché ero troppo pallida e non passava giorno senza che, con fare di13
screto, mi passasse qualcosa dalla sua cucina. La cosa inizialmente mi imbarazzava, ma quei tempi erano ormai lontani e accettavo di buon grado le sue, se pur semplici, leccornie. Io in cambio, dopo numerose contrattazioni, davo lezioni private di italiano a sua figlia Giusy che, a differenza degli altri suoi cinque figli (uno di questi è Nicola), mi sembrava avesse una certa volontà a seguire gli studi. Non mi era chiaro se sua madre fosse contenta oppure no di questa propensione, Giusy è una ragazzina intelligente e veloce nell'apprendere, anche se poi si deve scontrare con la realtà della sua vita non certo facile. Io cercavo di incitarla ogni qualvolta veniva per le sue lezioni e lei mi guardava grata per la considerazione che le mostravo; probabilmente ero l'unica. Gli altri figli di Maria sono Rosa, poco più grande di Giusy, e poi le due pesti più piccole, i due gemelli Donato e Aldo, di appena otto anni, che credo abbiano raggiunto un esclusivo record: essere bocciati due volte di seguito in terza elementare. Anche la storia di Rosa è piuttosto particolare, pur non singolare da queste parti. La ragazza, appena diciottenne, ha già un figlio di tre anni frutto di una fuitina con un suo coetaneo, che però non ha voluto sposarla (stiamo parlando di un quindicenne) e l'ha lasciata sola con il suo bambino fuggendo in Belgio dove risiedono alcuni suoi parenti. È stata Maria a raccontarmi la storia, con14
dendo l'esposizione dei fatti con epiteti del tipo... «Quello è un pieno di corna! Lui e tutta la razza sua, se venene a Bare mio marito e Nicol u fascene gnòre! Stesse sembe o Belge, cudde chernute!» Inutile dire che, quando raccontai dei miei vicini a mia madre, rimase allibita e l'unica cosa che mi disse fu: «Assoluto degrado! Ora dimmi la verità, Lorena: lo scopo di tutto questo qual è? Lo stai facendo per immedesimarti in qualche personaggio di un tuo nuovo libro? Quanto durerà ancora?» In quell'occasione le sorrisi sorniona e probabilmente lei lo intese come un'affermazione, infatti andò via più serena. Ero contenta di aver creato, pur non volendo, un presupposto per essere lasciata in pace almeno per qualche tempo. Avrebbe mai capito che io invece stavo bene in quel posto, circondata proprio da quella gente con cui si era creato un rapporto di affetto e rispetto? Il mio stomaco vuoto brontolò sollecitato dal profumo delle frittelle, ne presi una e affondai i denti con voracità. Era pomeriggio e non avevo mangiato nulla dalla mattina. Quella calda fragranza riuscì a incutermi un po' di buon umore e, forse perché la maniera di cucinare di Maria mi ricordava quella della nonna Agata, mi tornarono in mente i cari visi dei miei nonni. Nonna Agata, nonno Giulio... Era da settembre che non li vedevo e tutto 15
per colpa del mio non-romanzo. E pensare che avevo passato nella loro masseria gran parte della mia infanzia e ora a mala pena riuscivo a fare una veloce capatina una volta all'anno. Il posto che amavo piĂš di tutti era il mio albero, un gelso rosso. Adoravo aggrapparmi ai suoi rami, sentire la superficie ruvida della corteccia sotto i polpastrelli e, una volta in cima, sedermi a cavalcioni a osservare il mondo. Mi sentivo vicina al volo degli uccelli, piĂš vicina al sole, a quello spazio infinito e azzurro pieno di nuvolette bianco panna. Era il mio rifugio, la mia casa. Vi salivo dopo aver combinato qualche disastro, quando non avevo voglia di fare i compiti, quando, per prematura consapevolezza, mi sentivo soffocare dalla vita troppo stretta, da gente che non mi capiva, da quel mondo che in futuro mi avrebbe tanto dato e poi, come stava succedendo in quel periodo, tolto. Quando tornavo in cittĂ alla fine delle vacanze, mi mancava quell'albero, come un amico caro con cui hai passato momenti magici, con cui hai condiviso segreti. Un amico che mi aveva sempre protetta e nascosta, mi aveva ascoltata anche quando non avevo nulla da dire. Ma si cresce e si dimentica, e un albero infine diventa solo un albero.
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Questo mese Miss Disaster di Ellie Clivens
Inghilterra - Scozia, 1812. Che succede quando un duca arrogante e tenebroso incontra l’Originale della Stagione? Ebbene, può capitargli di essere interrotto durante un tête-à-tête. E se la fanciulla è la famigerata Miss Disaster? Allora Sua Grazia non ha scampo: prima viene assalito da due sicari, poi è costretto a fuggire portandosi dietro quella calamita per i guai. Che sia bellissima è irrilevante; lui ha ben altro a cui pensare!
La voce del silenzio di Stefania Serio
Alle prese con il blocco dello scrittore, Lorena fugge nella masseria dei nonni, con il progetto di tornare a casa solo con un manoscritto pronto. Ma anche in quella casa protetta da un imponente gelso rosso, Lorena non riesce a trovare l'ispirazione, finché, in un pomeriggio assolato, una singola folata di vento scompiglia le pagine di un libro e apre davanti ai suoi occhi le memorie di Clelia, la stravagante zia istruita di sua madre.
Il prossimo appuntamento Non perdete i due romanzi che vi aspettano in edicola a partire dal 22 maggio. In Lady Dreams di Ellie Clivens conoscerete Lady Evelynn Carrington, giovane ma determinata fanciulla, decisissima a sposare il possente pirata raffigurato sulla copertina del libro Oceani infuocati. Quando lo incontra dopo lunghe ricerche, si scontra però con la deprecabile carenza di loquacità del soggetto. Ma poco importa; certi sguardi contano più di mille parole. O no? Se quel giorno a New York... di Aliénor J. O’Hara vi catapulterà nella vita perfetta di Isabelle, almeno fino al suo incontro con Rick che, bellissimo e sexy, sembra la giusta distrazione per staccare un po' dal lavoro. Finché lei non scopre che Rick in realtà è Riccardo, l'odioso individuo che l'anno prima, a New York, le ha dato buca senza una ragione. E così, di colpo, tutto si complica... Buona lettura!
Biografia Nata a Bari, Stefania Serio ha già all'attivo diverse pubblicazioni. Ha frequentato il corso della Scuola Holden Scrivere una sceneggiatura e collabora come scrittrice con la rivista settimanale Intimità (casa editrice Quadratum). Negli ultimi anni ha partecipato anche a diversi concorsi letterari: nel 2014 le è stato attribuito il riconoscimento di primo classificato dalla giuria popolare dell'Alexandria Scriptori Festival; nel 2015 e 2016 si è classificata finalista al concorso per sceneggiature Amarcort Film Festival; nel 2016 e 2017 ha vinto il concorso per sceneggiature Roma FilmCorto. Sempre nel 2017 si è classificata finalista al concorso del Festival Internazionale del Cinema Povero, e terza al concorso per sceneggiature Terra di Guido Cavani. Un suo progetto è stato selezionato all'Authors Day nell'ambito del concorso Montecatini Film Festival. Potete scriverle agli indirizzi e-mail: leon_28@live.it stefaniaserio63@gmail.com