S. Craven - C. Williams - C. Shaw
LA VOLONTÀ DEL MILIONARIO
Titoli originali delle edizioni in lingua inglese: His Untamed Innocent A Tempestuous Temptation Captive in His Castle Harlequin Mills & Boon Modern Romance © 2010 Sara Craven © 2012 Cathy Williams © 2013 Chantelle Shaw Traduzioni di Maria Elena Vaccarini, Carla Maria De Bello e Carla Ferrario Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Books S.A. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. Harmony è un marchio registrato di proprietà HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved. © 2011 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prime edizioni Collezione Harmony maggio 2011; dicembre 2013; maggio 2014 Questa edizione Harmony Premium gennaio 2018 HARMONY PREMIUM ISSN 1724 - 5346 Periodico mensile n. 157 dello 04/01/2018 Direttore responsabile: Chiara Scaglioni Registrazione Tribunale di Milano n. 804 del 29/12/2003 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - Via Mondadori, 1 - 20090 Segrate (MI) HarperCollins Italia S.p.A. Viale Monte Nero 84 - 20135 Milano
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Tentazioni nella tormenta Pagina 317
Inganno a lieto fine
La sconosciuta e il milionario
1 Soltanto due cose sono certe nella vita: la morte e le tasse, pensò Marin Wade, strizzando la spugna e facendo ricadere l'acqua deliziosamente calda e profumata sulle spalle e sul seno. Ma ce n'era una terza: basta immergersi in un agognato bagno caldo, perché il telefono squilli. Proprio come in quel momento. Una volta tanto, però, Marin non si sarebbe precipitata fuori dalla vasca, imprecando e afferrando un asciugamano per correre a rispondere perché... oh, che gioia... non era il suo telefono. Chiunque fosse all'altro capo del filo, poteva usare la segreteria telefonica. Certo, forse era Lynne che chiamava per assicurarsi che si fosse sistemata e stesse bene, ma anche lei avrebbe lasciato un messaggio. E più tardi, dopo aver fatto il bagno e aver mangiato, Marin avrebbe richiamato, ringraziando di nuovo la sorellastra per averle offerto quel rifugio temporaneo senza fare troppe domande. Fino a quel momento, almeno, pensò ironicamente. Lynne aveva tre anni più di lei e, da quando i genitori si erano ritirati in una villa vicina a un campo da golf in Portogallo, aveva preso molto seriamente il 9
ruolo di sorella maggiore. Così domenica, al suo ritorno, avrebbe voluto sapere perché il lavoro da sogno di Marin era svanito prima del tempo. A quel punto, forse, avrebbe cominciato ad accettare la cosa, e sarebbe stato bello avere qualcuno a cui confidare tutto quel brutto pasticcio. Una volta superate la stanchezza e la confusione delle ultime ventiquattr'ore, sarebbe riuscita a ragionare. Aveva l'intero fine settimana per cominciare a fare progetti e vedere la vita sotto una nuova luce, invece di avere solo voglia di urlare. Certo, avrebbe dovuto aspettare lunedì per scoprire se aveva ancora un lavoro in agenzia, o se la minaccia di licenziamento fatta dalla sua precedente datrice di lavoro si era concretizzata, pensò malinconica. Ma almeno poteva cominciare a cercare un posto dove vivere, in attesa che il suo appartamento fosse di nuovo disponibile. Non che lì non stesse bene. Lynne le aveva detto che poteva restare quanto voleva, ma doveva cavarsela con le proprie forze il più in fretta possibile. Marin si guardò intorno quasi con soggezione. Quella stanza da bagno era un sogno, con le piastrelle acquamarina che davano a chiunque entrasse l'impressione di galleggiare in un caldo mare tropicale. Per non parlare del vasto soggiorno con la zona pranzo rialzata, della cucina ultramoderna e delle due eleganti camere da letto. Quello che non riusciva a capire era come Lynne potesse permettersi un ambiente così sfarzoso. D'accordo, la sorellastra era l'assistente personale di Jake Radley-Smith, capo di una delle più importanti società di pubbliche relazioni finanziarie del Regno Unito, ma per pagare l'affitto di un posto simile ci vo10
leva ben più di uno stipendio da segretaria. Marin provò un vago senso di disagio, ricordando quanto banale fosse stato il precedente appartamento di Lynne. Se non avesse saputo che era innamorata di Mike e in quel momento era diretta nel Kent con lui per conoscere i suoi genitori, forse si sarebbe chiesta che genere di assistenza personale fornisse in realtà al suo eccentrico capo e se quell'appartamento non fosse un pagamento per i servizi resi. Marin si abbandonò contro il poggiatesta imbottito, pensando alla piega disastrosa che aveva preso la sua vita. Il peggio era che non si era accorta di niente. Doveva essere la più grande ingenua sulla faccia della terra. Era stata stupida a dare temporaneamente in affitto l'appartamento durante la sua assenza, ma chi poteva prevedere il futuro? Il posto che le era stato offerto per lavorare al fianco di Adela Mason, scrittrice di best seller rosa, era garantito per un minimo di sei mesi, così al momento era sembrata una cosa abbastanza sicura. «La sua segretaria abituale si prenderà un periodo di congedo: l'anziana madre deve subire una delicata operazione e dopo l'intervento avrà bisogno di assistenza» le aveva spiegato Wendy Ingram, la sua datrice di lavoro. «La signora Mason svolge le sue ricerche a Londra, poi si trasferisce nella casa nel sud-ovest della Francia per scrivere, e avrà bisogno di qualcuno che la segua nei suoi spostamenti.» Aveva storto le labbra. «A quanto pare, le è stata raccomandata la nostra agenzia, ma non è una donna facile da soddisfare.» «Adela Mason» aveva ripetuto Marin, gli occhi 11
nocciola scintillanti. «Non ci posso credere! È una scrittrice straordinaria. Io sono una sua ammiratrice.» «Proprio per questo ho proposto te, anche se sei un po' troppo giovane, temo. Ma ha già rifiutato Naomi e Lorna, e sostiene di volere qualcuno di simpatico.» Wendy aveva sbuffato. «Attenta a non lasciarti trascinare dall'entusiasmo per le sue qualità di scrittrice» aveva aggiunto severa. «Potresti avere la nausea del nuovo libro ancora prima che sia finito. Ho cercato un po' di informazioni su di lei e in un'intervista ho letto che scrive a mano su carta speciale con una penna speciale. Tu dovrai copiare le bozze sul computer perché lei le corregga... e potrebbero essercene a bizzeffe.» Esitò. «Dovrai anche sottostare a ogni suo capriccio, poiché il lavoro di segretaria è solo una parte. Quello che lei cerca è un tuttofare, e tu ti guadagnerai ogni centesimo del tuo stipendio. Ma visto che si è appena risposata, forse almeno ti sarà risparmiato il compito di portarle la tazza di cioccolata calda che ama prima di andare a letto.» «Pur di lavorare con Adela Mason, andrei perfino a raccogliere le fave di cacao per preparare quella cioccolata» l'aveva rassicurata Marin. «Non è un problema.» «Ma forse lo sarà superare il colloquio» l'aveva avvertita Wendy. Quella sera Adela Mason aveva preso parte a un talk show in TV, i capelli scuri dal taglio maschile e un abito cremisi che esaltava una figura invidiabile. Vivace e brillante, si era imposta facilmente, accettando con apparente modestia gli elogi degli altri partecipanti. Tuttavia, qualcosa nel sorriso e nell'inclinazione del 12
capo tendeva a ricordare a tutti che era lei quella che guadagnava di più. Perché dovrebbe preoccuparmi?, si era chiesta Marin. Non sarò una sua rivale, solo una dipendente... sempre che superi il colloquio. In qualche modo, c'era riuscita. «Sembri avere qualcosa in più delle altre candidate» aveva commentato la signora Mason, giocherellando con il grosso brillante all'anulare. «Una di loro mi ha dato l'impressione di non aver mai letto un libro in vita sua e l'altra era... inadeguata.» Poi aveva osservato Marin, notando la corporatura esile, i capelli castani legati con un nastro sulla nuca, la carnagione chiara, l'aspetto poco notevole, e aveva annuito. «Sì, se la tua capacità di scrivere al computer è all'altezza, credo che andrai benissimo.» Aveva esitato. «Conto di trasferirmi a Evrier sur Tarn la settimana prossima. Dovrai essere disponibile a viaggiare con me. Betsy ha organizzato tutte le tappe prima di andare a fare la crocerossina, ma se dovessero insorgere delle difficoltà, ovviamente mi aspetto che tu le risolva.» Seppure colpita da quell'insensibilità nei confronti della sua assistente, Marin aveva sorriso, convenendo che risolvere problemi rientrava fra le sue competenze. Soltanto un mese più tardi, purtroppo, si era resa conto che il vero problema da risolvere era il suo immediato futuro. Ed ecco di nuovo quel dannato telefono, pensò con un po' di fastidio. «Tutti sanno che sono via» l'aveva rassicurata Lynne prima di partire. «E ho lasciato un promemoria anche a Rad, così non dovrebbe disturbarti nessuno.» Solo che non sembrava andare così. «Lasciate un messaggio dopo il bip» suggerì Marin 13
in tono cantilenante allo sconosciuto interlocutore, prima di aggiungere altra acqua calda e olio profumato, e lasciarsi scivolare più giù nella vasca. Deve essere bello, pensò rattristata, avere tanti amici che ti chiamano di continuo per invitarti al cinema, a cena, o anche solo a bere qualcosa. E avere qualcuno come Mike... Soprattutto quello, riconobbe. Perché, a vent'anni, lei non aveva ancora avuto niente che assomigliasse a una relazione seria con un uomo. E sembrava destinata a restare sola. Ovviamente, da quando era a Londra aveva accettato diversi appuntamenti, di solito a quattro con le colleghe dell'agenzia. Qualche volte il compagno della serata le aveva pure chiesto di rivederla. Qualche volta. In tutta onestà, però, non le era mai importato granché se non si faceva più sentire. Era la prima a riconoscere di essere timida e poco di compagnia, di non sapere flirtare, né partecipare alle conversazioni ironiche giocate sui doppi sensi. Non riusciva a immaginare di lasciarsi trascinare in quel genere di disinvolta intimità che ormai sembrava essere la norma. Non che disapprovasse quel comportamento. Dopotutto, non erano affari suoi. Solo che non faceva per lei. Sapeva che non si sarebbe potuta liberare tanto facilmente delle proprie inibizioni e, probabilmente, lo capivano anche gli uomini che incontrava, così decidevano di correre dietro a ragazze con meno fissazioni. «Pensi che io sia un po' strana?» aveva chiesto preoccupata a Lynne una volta, ma la sorellastra si era limitata a ridere. «No, tesoro. Credo solo che tu abbia dei principi e 14
che dovrai aspettare di innamorarti davvero prima di essere tentata di abbandonarli. Non c'è niente di strano, quindi smettila di affliggerti.» Marin sorrise a quel ricordo. Lynne era così buona con lei. Calorosa ed espansiva come il padre, Derek Fanshawe, che aveva conosciuto sua madre sei anni prima e se ne era innamorato. Molto diverso dal proprio padre, pensò Marin, che era stato un uomo tranquillo e tenero. La sua infanzia era stata sicura e confortevole al riparo del matrimonio felice dei genitori. Clive Wade era stato un avvocato divorzista di successo, a cui piaceva raccontare che ogni caso sulla sua scrivania era un promemoria di quanto fosse fortunato. E gli anni erano trascorsi felici, fino al giorno in cui era crollato di fronte al tribunale, stroncato da un improvviso attacco di cuore. Il lutto aveva reso la madre di Marin, una signora sempre sorridente e con lo sguardo radioso, più simile a un fantasma dal volto terreo, incapace di accettare una perdita così devastante. Tutti le dicevano che almeno non aveva preoccupazioni finanziarie, che Clive aveva guadagnato parecchio e aveva investito in modo avveduto. E che avrebbe dovuto vendere la casa con tutti i suoi ricordi per andare avanti. C'erano voluti tre anni, ma alla fine un'amica di Barbara Wade, che con lei lavorava per l'associazione benefica nella quale trascorreva gran parte del tempo, l'aveva convinta ad accompagnarla in una crociera di lusso nei fiordi norvegesi. Derek Fanshawe, un uomo grande e grosso dal sorriso pronto, era stato assegnato al loro tavolo la prima sera e, alla fine della crociera, Barbara aveva scoperto con grande sorpresa di non 15
sentirsi più in colpa se gradiva il suo fascino e la sua esuberante gentilezza. In realtà, si era resa conto che lui le sarebbe mancato. Derek, dal canto suo, non si era lasciato mettere da parte con un sorriso. Vedovo e con un'unica figlia, aveva insistito per rivedere Barbara e, alla fine, le aveva proposto di rifarsi una vita insieme. Dapprima Marin si era rifiutata di provare simpatia per Derek, perché la nuova relazione della madre le sembrava un'offesa alla memoria del padre. Ma lui aveva accettato il suo dilemma con una comprensione e una sensibilità tali che le era stato impossibile non raggiungere un compromesso. E vedendo rifiorire la madre, ben presto aveva imparato a volergli bene e ad accettare con gioia il loro matrimonio. In Lynne non aveva trovato solo una sorella, ma anche un'amica. Così, nonostante gli avvenimenti recenti, poteva considerarsi fortunata. Il telefono ricominciò a squillare. Con un gemito, Marin si protese in avanti per togliere il tappo della vasca, poi uscì agilmente dall'acqua e afferrò un morbido telo da bagno bianco, avvolgendoselo intorno al corpo come un pareo e annodando le estremità sopra il seno. Scosse i capelli, ravviando con le dita le punte bagnate, e si diresse a piedi nudi verso il soggiorno. Si avvicinò al tavolino del telefono e premette il tasto play sulla segreteria. Una voce maschile, che non era quella di Mike, ordinò brusca: Lynne, rispondi. È urgente. Il secondo messaggio era soltanto un sospiro che esprimeva impazienza ed esasperazione in uguale misura, mentre il terzo era il rumore di una cornetta che veniva riagganciata, non appena era partito il nastro registrato. 16
Forse quell'uomo aveva deciso che, dopotutto, era ora di accettare un no come risposta, pensò Marin, allontanandosi. Ma subito restò impietrita, quando sentì girare la chiave nella serratura, la porta d'ingresso che si apriva e si richiudeva di colpo, rapidi passi maschili che si avvicinavano lungo il corridoio. Terrorizzata, si guardò intorno in cerca di qualcosa, qualunque cosa con cui difendersi da quell'intruso. Ma lui era già sulla soglia. «Per amor del cielo, Lynne, sei diventata sorda all'improvviso?» esordì il nuovo venuto in tono aspro e irritato. Poi s'interruppe e inspirò bruscamente alla vista di lei. Marin si ritrovò esaminata da capo a piedi da un paio di gelidi occhi azzurri. Quando l'uomo parlò di nuovo, la sua voce era minacciosamente pacata. «Si può sapere chi diavolo è lei, e che cosa ci fa qui?» D'istinto, Marin si assicurò che i lembi dell'asciugamano fossero ben chiusi. «Potrei fare la stessa domanda» ribatté con la voce che le tremava, perché conosceva già la risposta: quel visitatore inaspettato – e del tutto indesiderato – che la scrutava seminuda e imbarazzata era il capo di Lynne, Jake Radley-Smith. «Lascia perdere i giochetti, dolcezza» le ordinò lui con la voce gelida come lo sguardo. «Rispondi alle mie domande prima che chiami la polizia. Come sei entrata qui?» «Sto da mia sorella.» «Sorella?» ripeté lui, come se la parola fosse in una lingua straniera. «Ma Lynne è figlia unica.» «Sorellastra, allora. Suo padre ha sposato mia madre qualche anno fa.» «Ah, sì. L'avevo dimenticato. Questo, però, non spiega perché ti abbia lasciata stare qui. Ma ne riparleremo un'altra volta.» Si guardò in giro, passandosi una 17
mano fra i capelli scuri, portati un po' più lunghi di quanto dettasse la moda. «Allora, dov'è Lynne? Ho bisogno di parlarle con urgenza.» «Non c'è. È andata nel Kent per il fine settimana. Ha detto che l'aveva informata.» Il volto abbronzato dell'uomo divenne ancora più torvo, se possibile. «Credevo di riuscire a trovarla prima che partisse.» Era esattamente il motivo per cui Lynne era partita così in fretta, pensò Marin. «Non mi lascio sfuggire di nuovo l'occasione» aveva dichiarato risoluta la sorellastra, chiudendo la borsa da viaggio. «Me ne vado prima che quello stacanovista di Rad trovi un altro impegno urgente per costringermi a restare a Londra, come ha fatto l'ultima volta che avevo progettato di andare nel Kent. Può darsi pure che lui sia disposto a lavorare ventiquattr'ore al giorno, sette giorni su sette, ma non tutti la pensano allo stesso modo, e questa volta preferisco il fine settimana libero a una gratifica, per quanto generosa, o i genitori di Mike si chiederanno se cerco di evitarli.» Marin raddrizzò le spalle nude. «Temo sia impossibile» ribatté. «Sarà di ritorno domenica.» «Questo non risolve il mio problema di stasera» brontolò seccato Jake Radley-Smith. Marin sollevò il mento. «Capisco che sarebbe dovuta restare qui nella remota eventualità che avesse bisogno di lei» replicò in tono altrettanto secco. «Ma si dà il caso che Lynne abbia una vita, e credo che per lei sia più importante andare a conoscere i futuri suoceri che stare qui a ciondolare per soddisfare le esigenze dell'ultimo momento del suo datore di lavoro.» Ci fu un breve silenzio prima che lui rispondesse: «Bel discorso, signorina...». 18
«Wade. Marin Wade. E come può vedere anche lei, Lynne non c'è. Ora vorrei che se ne andasse, per favore.» «Ne sono sicuro, signorina Wade, ma non spetta a lei ordinarmi di lasciare il mio appartamento.» Gli occhi azzurri la scrutarono di nuovo molto lentamente e a Marin si serrò la gola. Prima di allora aveva visto Jake Radley-Smith solo nelle foto sui giornali, ma nessuna gli rendeva giustizia. Non era esattamente bello, con quel naso aquilino che sembrava aver subito una frattura, ma era molto più che attraente. Decisamente di più. Gli occhi erano straordinari quando smettevano di guardare con astio le persone, e la bocca... Marin si fermò. Non voleva nemmeno pensare a quella bocca, che aveva cominciato a incresparsi in un sorriso lieve, ma pericoloso. «E non è nemmeno in condizione di gettarmi fuori» continuò lui a bassa voce. «Non quando è così deliziosamente svestita. Non credo che quell'asciugamano resterebbe al suo posto se si arrivasse alle mani.» Marin sapeva di essere in netto svantaggio. L'elegante completo scuro esaltava la virilità di quel corpo alto e il gilè di broccato grigio ne accentuava la vita sottile. La camicia era bianca e inamidata, la cravatta di seta rosso scuro. Era completamente vestito, pensò lei in preda alla confusione, quindi perché le dava l'impressione del contrario? Perché le sembrava che in realtà non avesse niente addosso? Doveva tornare con i piedi per terra e subito. «Come sarebbe a dire il suo appartamento?» «È l'appartamento della società, signorina Wade» proferì lui con una smorfia sensuale. «Appartiene a me e lo uso per i clienti stranieri che non amano gli 19
alberghi. Lynne lo occupa in via temporanea, poiché il suo appartamento è in fase di restauro. Non gliel'ha spiegato prima di invitarla a trasferirsi qui?» Marin scosse la testa. «Non c'è stato molto tempo per le spiegazioni» rispose con voce incerta. «E non sapeva che sarei venuta finché non l'ho chiamata dall'aeroporto per dirle che ero praticamente in mezzo a una strada.» Lui corrugò la fronte. «Che cos'è successo? È stata rapinata in vacanza?» «No, niente del genere. Lavoravo in Francia ed è... andata male. Peccato che il mio appartamento qui a Londra sia affittato per cinque mesi.» «Capisco. E così, a quanto pare, è senza casa, senza lavoro e senza soldi.» «Grazie, non c'era proprio bisogno che me lo ricordasse.» «Quindi» continuò lui come se Marin non avesse parlato, «potremmo arrivare a un accordo. Quanto mi farebbe pagare, se le chiedessi di trascorrere la serata con me?» Marin restò a bocca aperta, offesa. «Ma per chi mi ha presa?» sbottò. Poi tacque, consapevole della risposta che stava sollecitando. «Be', di certo non per chi pensa lei.» Jake ebbe l'audacia di scoppiare a ridere. «Per quanto possa apparire seducente con quell'asciugamano... che è scivolato un po' giù» aggiunse, «nel caso non l'avesse notato.» Avvampando, Marin si affrettò a tirarlo nuovamente su. Al diavolo la capacità di osservazione, pensò. «La mia è una proposta del tutto lecita» continuò lui. «Devo andare a un party stasera, e la ragazza che avrei portato con me si è ammalata. Per questo ho 20
chiamato Lynne, perché non voglio presentarmi da solo a quella festa. L'avrei pure pagata profumatamente per il suo aiuto. Ma, visto che non c'è, verrà lei al suo posto.» «Starà scherzando!» esclamò Marin con rabbia dopo un momento di silenzio carico di tensione. «Che risposta scontata. La sua eloquenza di poco fa deve averla abbandonata.» «Ma non il senso dell'umorismo.» Marin inspirò profondamente. «Grazie per il gentile invito, signor Radley-Smith, ma... no. Neanche se la mia vita dipendesse da questo.» «Pensavo piuttosto al suo immediato futuro economico, signorina Wade. Può davvero permettersi di rifiutare centinaia di sterline per un paio d'ore in mia compagnia?» No, probabilmente no, ammise Marin tra sé e sé. Ma che differenza faceva? «Non appartengo al suo mondo, signor RadleySmith, mi creda. Non sono brava a socializzare e sono un disastro alle feste. Spenda altrimenti il suo denaro.» «D'altra parte» obiettò lui, «se mi facesse questo favore, potrei chiudere un occhio sull'infrazione di Lynne alla locazione. Potrei perfino lasciarla restare finché la sua vita non avrà preso una piega migliore.» Le sorrise di nuovo. «Allora, perché adesso non s'infila il suo bel vestitino nero e non viene con me stasera?» «Perché non ce l'ho un vestitino nero» ribatté Marin furiosa. «Ma di certo lei avrà un'agendina su cui cercare il numero di una sostituta, signor Radley-Smith.» In realtà lo sapeva, perché una volta Lynne le aveva raccontato ridendo che la sua lista di fidanzate era 21
leggendaria, lunga quasi come l'elenco telefonico. Marin aveva guardato la sorellastra, così graziosa e sicura di sé, e le aveva chiesto, sgranando gli occhi: «Ci ha mai provato con te?». Lynne si era stretta nelle spalle. «Una volta, all'inizio... più o meno. Ma da allora mai più. Non sono il suo tipo, e lui non è certamente il mio» aveva aggiunto. «Per questo lavoriamo così bene insieme.» Le parole di Jake la riportarono al presente. «È un po' tardi per mettermi a telefonare in giro» ribatté lui. Poi esitò, corrugando leggermente la fronte. «Inoltre, lei è una persona imprevedibile, e questo si addice ancora meglio al mio scopo. Quindi, faccia la brava e la smetta di discutere, e vada invece a vestirsi. Di nero, di bianco, di azzurro, non m'importa. Se non ha niente di adatto, prenda in prestito qualcosa di Lynne. Avete all'incirca la stessa taglia, per quanto posso giudicare.» Marin avrebbe fatto volentieri a meno di quel particolare giudizio. Gli occhi azzurri che indugiavano su di lei sembravano spogliarla. «Naturalmente» continuò lui, «potremmo sempre rinunciare al party per restare qui insieme. C'è dello champagne in frigo: potremmo rilassarci mentre mi racconta tutto di lei, compreso il motivo per cui ha perso il suo ultimo lavoro. Così non sarebbe nemmeno costretta a cambiarsi e potrebbe mantenere quel suo aspetto delizioso, con una o due modifiche» aggiunse in tono insinuante. «Negoziabili, comunque. Forse potrei convincerla a lasciare scivolare un po' più giù quell'asciugamano la prossima volta... o magari del tutto. Che cosa ne dice?» «Dico» rispose Marin a denti stretti, consapevole di essere arrossita e di avere il cuore che batteva all'im22
pazzata, «che riflettendoci bene preferisco venire al suo dannato party.» Il sorriso di Jake le fece venire voglia di prenderlo a schiaffi. «Una decisione saggia, tesoro. L'aspetterò qui, anche se con riluttanza, mentre compie la necessaria trasformazione.» Esitò un momento, pensoso. «Ma se ha bisogno di aiuto, non esiti a chiamarmi.» «Ci conti» replicò Marin con una dolcezza velenosa. «Non appena riuscirò a pensare a un nome abbastanza brutto.» E tenendo stretto l'asciugamano, batté in ritirata, anche se in modo non del tutto dignitoso.
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Romanzo
Tentazioni nella tormenta
1 Luiz Carlos Diaz abbassò lo sguardo sul pezzo di carta che aveva in mano, verificò di trovarsi all'indirizzo corretto e poi, dalla comodità della propria auto sportiva, analizzò brevemente la casa e quanto la circondava. Il primo pensiero fu di non trovarsi nel posto in cui avrebbe dovuto; il secondo di aver commesso un errore a recarsi in macchina fin lÏ. Era esattamente il luogo in cui un oggetto di valore poteva essere rubato o danneggiato per il solo gusto di farlo. La piccola villetta a schiera, illuminata dai lampioni della strada, combatteva la propria inutile battaglia per mantenere un minimo di attrattiva tra vicini altrettanto modesti. Il fazzoletto di giardino davanti a essa era fiancheggiato sulla sinistra da uno spiazzo di cemento con diversi bidoni della spazzatura abbandonati senza un ordine particolare; sulla destra, un'auto arrugginita languiva in attesa di attenzione. Con un sospiro impaziente Luiz scese dall'auto. Faceva piuttosto freddo, persino per Londra. L'ultima settimana era stata caratterizzata da rigide gelate notturne che si scioglievano a stento durante il giorno. Uno strato di ghiaccio copriva la macchina arrugginita nel giardino accanto alla casa e i coperchi dei bidoni posti di fronte. 165
L'odore del cibo cinese lo inondò facendogli storcere il naso per il disgusto. Quello era esattamente il tipo di zona in cui Luiz non si era mai avventurato. Non ne aveva avuto bisogno. Per quanto lo riguardava, prima avesse portato a termine la faccenda, meglio sarebbe stato. Con una simile idea in testa suonò il campanello e tenne il dito premuto su di esso fino a che non sentì un rumore di passi dirigersi verso l'ingresso. Aggie sentì il campanello e per un attimo fu tentata di ignorarlo. Sospettava già di chi potesse trattarsi. Il signor Cholmsey, il padrone di casa, non smetteva di reclamare l'affitto, che ancora non era stato pagato. «Sono sempre stata puntuale!» aveva protestato Aggie quando le aveva telefonato. «E sono in ritardo di due giorni soltanto. Non è colpa mia se c'è uno sciopero alle poste!» Non aveva mai incontrato il signor Cholmsey di persona. Diciotto mesi prima aveva trovato quella casa attraverso un'agenzia, e tutto era andato per il meglio, almeno fino a quando lui non aveva deciso di evitare l'intermediario e di occuparsi di persona di tutte le proprietà. Da quel momento, Alfred Cholmsey si era rivelato un mal di testa costante, incline a ignorare qualunque richiesta ma pronto a sottolineare ogni singola mancanza. Anche se avesse ignorato i colpi alla porta, lui avrebbe trovato il modo di farla uscire. Aprì la porta e, senza togliere il chiavistello, Aggie sbirciò nell'oscurità. «Sono davvero desolata, signor Cholmsey.» Iniziò a parlare, determinata a ribadire il proprio punto di vista prima che il padrone di casa potesse aggredirla con 166
un attacco verbale. «Ormai l'assegno dovrebbe essere arrivato. In caso contrario mi assicurerò di avere i soldi per domani. Glielo prometto.» Desiderò che l'uomo le facesse almeno la cortesia di rimanere dove poteva vederlo invece che appostato da un lato, ma in nessun modo avrebbe aperto la porta. Non si era mai troppo prudenti in un quartiere come quello. «Chi diavolo è questo signor Cholmsey? E di cosa stai parlando? Apri la porta, Agatha!» Quella voce, quella inconfondibile voce odiosa si rivelò talmente inaspettata che Aggie temette di svenire. Cosa ci faceva Luiz Diaz davanti alla porta? Perché invadeva la sua privacy? Non era stato sufficiente che lei e suo fratello fossero stati tenuti d'occhio per otto mesi? Che l'avesse verbalmente pungolata sotto la sottilissima maschera dell'ospitalità e del voler semplicemente conoscere il fidanzato della nipote e la sua famiglia? Che avesse posto domande indiscrete e trattato entrambi con il sospetto di solito riservato ai criminali liberati sulla parola? «Cosa ci fai tu qui?» «Apri e basta! Non rimarrò a parlare qui sulla porta!» Luiz non dovette faticare per immaginare l'espressione sul suo viso. L'aveva incontrata abbastanza spesso da sapere come disapprovava qualsiasi cosa lui rappresentasse o dicesse. Lo aveva sfidato in qualunque modo. Era polemica, era tutto ciò che in una donna lui aveva sempre cercato di evitare. E certo avrebbe evitato anche lei, se non fosse stato per l'insistenza della sorella che voleva che tenesse d'occhio la figlia e il ragazzo con cui usciva. La famiglia Diaz vantava una fortuna inestimabile. Controllare con chi usciva la nipote sarebbe stata una semplice precauzione, aveva sottolineato Luisa e, seb167
bene Luiz non ne sentisse l'esigenza perché certo che la relazione sarebbe presto finita, la sorella aveva insistito. Conoscendola, aveva preferito non opporsi e le aveva promesso che avrebbe controllato Mark Collins e la sorella, che sembrava far parte del pacchetto. «Chi è il signor Cholmsey?» fu la prima cosa che chiese entrando in casa. Aggie incrociò le braccia e, risentita, lo guardò aggirarsi per la stanza con quella sorta di freddo disprezzo che tanto lo caratterizzava. Sì, effettivamente era affascinante. Alto, muscoloso e minacciosamente sexy. Eppure, dall'attimo in cui lo aveva incontrato, Aggie si era scoperta raggelata dal disprezzo che nutriva per lei e Mark – cosa che a stento si curava di nascondere – e dalla velata minaccia che avrebbero fatto meglio a non oltrepassare il limite. «Il signor Cholmsey è il padrone di casa... Ma come hai avuto questo indirizzo? Perché sei qui?» «Credevo che la casa fosse vostra.» Rimase immobile, gli occhi fissi su di lei. «E credevo anche che vivessi in un posto un po' meno... di cattivo gusto.» Per quanto lontana dai suoi standard, Agatha Collins faceva parte delle donne che Luiz preferiva: alte, snelle, con gambe chilometriche. Non avrebbe potuto negare di trovarla sorprendentemente attraente, con quei capelli color oro e la pelle liscia come seta. Gli occhi erano pura acquamarina e orlati da folte ciglia scure, come se il suo creatore, per assicurarsi che fosse notata tra la folla, le avesse regalato quel piccolo dettaglio capace di fare la differenza. Aggie arrossì e, in silenzio, maledì se stessa per aver appoggiato il piano del fratello e di Maria. Quando Luiz era apparso nelle loro vite, aveva acconsentito a minimizzare la loro difficile situazione 168
finanziaria e a evitare di ammettere la verità. La mamma ha insistito perché lo zio Luiz controlli Mark, aveva spiegato brevemente Maria, e per lo zio Luiz è tutto bianco o nero. Sarebbe meglio che vi credesse benestanti... non esattamente ricchi, ma neppure completamente al verde. «Non mi hai ancora detto cosa ci fai qui» insistette Aggie. «Dov'è tuo fratello?» «Non è in casa, e nemmeno Maria. Quando smetterai di spiarci?» «Inizio a pensare che il mio spiare stia dando i suoi frutti» mormorò Luiz. «Chi di voi mi ha detto di vivere a Richmond?» Si appoggiò al muro e la fissò con quei grandi occhi scuri che sempre riuscivano a innervosirla. «Nessuno ha mai detto una cosa simile!» esclamò lei nel tentativo di difendersi. «Non è colpa mia se hai frainteso.» «Io non fraintendo mai.» L'interesse che prima aveva considerato non necessario si trasformò ora in una sgradevole certezza. La ragazza e il fratello avevano mentito a proposito della propria situazione finanziaria, ed erano probabilmente riusciti a persuadere Maria a supportarli. «Quando ho avuto questo indirizzo, ho dovuto controllare per ben due volte, perché non corrispondeva a quanto mi era stato detto.» Prese a sfilarsi il cappotto mentre Aggie lo fissava con crescente sgomento. Lo aveva sempre incontrato in qualche elegante ristorante di Londra. Lei, Mark e Maria si erano concessi il miglior cibo italiano che i soldi potessero comprare, il miglior Thai che si potesse trovare nel paese, i più costosi piatti francesi in ristoranti esclusivi. 169
Avvertita da Maria che quello era il modo migliore per suo zio di tenerli d'occhio, i tre si erano rivelati restii riguardo ai dettagli personali nelle conversazioni. Ma una cosa erano i ristoranti, un'altra andarli a cercare fino a casa. E ora si era tolto il cappotto, il che implicava che non aveva alcuna intenzione di togliere il disturbo. «Potresti offrirmi qualcosa da bere e, mentre aspettiamo che tuo fratello torni, potremmo esplorare quante altre cose avete nascosto.» «Perché è improvvisamente così importante parlare con Mark?» gli domandò a disagio. «Voglio dire, non potevi aspettare? Magari avresti potuto invitarlo a cena con Maria e sondare le sue intenzioni. Ancora una volta.» «Le cose si sono complicate, purtroppo.» Le passò davanti e si infilò in salotto. Le pareti avevano il colore del formaggio ammuffito, i mobili erano uno sgradevole mix di vecchio usato e moderno. «Cosa significa che le cose si sono complicate?» chiese Aggie mentre lui prendeva una sedia e si accomodava con rilassata accuratezza. «Immagino tu sappia perché sto tenendo d'occhio tuo fratello.» «Maria ha accennato al fatto che sua madre è un po' troppo protettiva.» Si arrese all'evidenza che non se ne sarebbe andato e, riluttante, si sedette di fronte a lui. Luiz si limitò a un'elegante scrollata di spalle. «È bene essere prudenti. Naturalmente, quando mia sorella mi ha chiesto di controllare Mark, ho tentato di dissuaderla.» «Davvero lo hai fatto?» «Certo. Maria è una bambina, e i bambini hanno relazioni che prima o poi finiscono. È la vita. Ero certo 170
che la storia in questione non sarebbe stata diversa, ma alla fine ho ceduto e ho promesso di tenere d'occhio la situazione.» «E con questo intendevi che ci avresti interrogato su ogni singolo aspetto della nostra vita?» «In realtà devo ammettere di aver scoperto ben poco. Tu e tuo fratello mi avete raccontato un sacco di bugie, a cominciare dal posto in cui vivete. Se avessi assunto un investigatore per raccogliere informazioni, avrei risparmiato tempo ed energie.» «Maria pensava che...» «Fammi un favore. Tieni mia nipote fuori da tutto questo. Vivete in un tugurio che avete affittato da un proprietario senza scrupoli. Riuscite appena a permettervelo, ma dimmi... avete almeno un lavoro, o mi avete ingannato anche su questo?» «Non ti permetto di insultarci in questo modo! E adesso voglio che tu te ne vada!» Luiz scoppiò a ridere. «Credi davvero che abbia fatto tutta questa strada per andarmene alla prima domanda per te troppo scomoda?» «Be', non vedo il motivo di trattenersi oltre. Mark e Maria non sono in casa.» «Sono venuto perché, come ti ho detto, le cose si sono complicate. Sembra che ora si parli di matrimonio. E non va bene.» «Matrimonio?» echeggiò Aggie incredula. «Nessuno parla di matrimonio.» «Perché, tuo fratello non te lo ha detto? A quanto pare, non siete così uniti come date a vedere.» «Tu... sei l'essere più disgustoso che abbia mai incontrato!» «Credo tu lo abbia già chiarito abbastanza» ribatté Luiz con freddezza. 171
«Quindi sei venuto qui per... cosa? Dissuadere mio fratello? O Maria? Possono anche essere giovani, ma non sono minorenni.» «Maria proviene da una delle famiglie più ricche dell'America Latina.» «Scusa?» Aggie lo guardò confusa. Certo, era ovvio che Maria non fosse la solita studentessa universitaria che doveva lavorare nel weekend per pagarsi gli studi, ma che addirittura appartenesse a una delle famiglie più ricche dell'America Latina? Non c'era da stupirsi che non volesse far trapelare come loro fossero invece persone che vivevano alla giornata... «Stai scherzando, vero?» «Quando si tratta di soldi, perdo il senso dell'umorismo.» Luiz si raddrizzò bruscamente, appoggiò i gomiti sulle gambe e la guardò severo. «Non avevo pianificato di intraprendere la linea dura, ma ho iniziato a fare i conti e non mi piacciono i risultati a cui sono arrivato.» Aggie tentò invano di sostenere quel cupo sguardo intimidatorio. Perché ogni volta che si trovava in compagnia di quell'uomo la sua solita imperturbabilità sembrava svanire ai quattro venti? Si ritrovava a essere troppo imbarazzata e troppo sulla difensiva, il che significava che riusciva a stento a pensare. «Non so di cosa tu stia parlando.» «Le persone ricche diventano spesso dei bersagli» affermò Luiz scandendo ogni sillaba nell'eventualità che lei non cogliesse il messaggio. «Mia nipote è estremamente ricca e lo sarà ancora di più una volta compiuti ventun anni. Ora sembra che il flirt, che credevo si sarebbe spento in un paio di mesi, si sia trasformato in una proposta di matrimonio.» 172
«Ancora non riesco a crederci. Devi aver capito male.» «Allora credici! E ciò che vedo io è solo una coppia di avidi cacciatori di fortuna che hanno mentito sulla loro condizione economica per mettermi fuori strada.» Aggie lo fissò triste. Quelle piccole bugie avevano assunto le proporzioni di una montagna, ma capiva perfettamente perché Luiz fosse arrivato a una simile conclusione. La gente onesta non mentiva. «Dimmi, tuo fratello è davvero un musicista? Perché l'ho cercato sul web e, stranamente, non l'ho trovato da nessuna parte.» «Certo che è un musicista! Lui... suona in una band.» «E suppongo che questa band non sia abbastanza grande da comparire su Internet.» «Okay! Mi arrendo. Forse abbiamo...» «Distorto la verità al punto da renderla irriconoscibile?» «Maria l'aveva detto che per te era tutto bianco o nero.» Aggie sollevò il mento e incrociò il suo sguardo accigliato. Ora, come già era accaduto prima, si meravigliò che una tale peccaminosa bellezza potesse celare un cuore tanto freddo e spietato. «Bianco o nero, io?» Quell'assurda congettura lo offese. «Non ho mai sentito nulla di più ridicolo in vita mia.» «Ha detto che costruisci le tue opinioni e vi rimani saldamente ancorato. Non guardi mai oltre gli schemi, né ti lasci persuadere a percorrere un'altra direzione.» «Questa si chiama forza di carattere, Aggie!» «Be', a ogni modo è il motivo per cui non siamo stati onesti al cento per cento. Non abbiamo mentito... 173
semplicemente non abbiamo rivelato tutto ciò che avremmo dovuto.» «Io comunque non posso permettere che tuo fratello sposi mia nipote.» «E che cosa vorresti fare, esattamente?» Aggie era sconcertata. Un conto era disapprovare le scelte di qualcuno, un altro costringerlo ad accettare le proprie imposizioni con il ricatto. «Posso capire che tu abbia qualche riserva a proposito di Mark, ma...» «Davvero?» la interruppe lui con sarcasmo. Stava giusto rimproverando se stesso per non essere stato più attento. Di solito, quando si trattava di altre persone e altre motivazioni, era ben più scaltro. Perché dunque loro erano riusciti a ingannarlo? Mark era intrigante, apparentemente aperto. Sembrava il tipo di ragazzo che poteva tener testa a chiunque, alto, muscoloso, con gli stessi capelli biondi della sorella... Quando parlava, la sua voce era bassa e gentile. E Agatha, così sorprendentemente affascinante che nessuno avrebbe potuto essere biasimato se si fosse fermato a guardarla? Ma era anche schietta e categorica. Era questo che l'aveva colpito? La combinazione di due personalità tanto differenti? O semplicemente aveva preso sottogamba la situazione perché convinto che la relazione fra Mark e Maria non potesse durare? «So come può sembrare... che non siamo stati completamente onesti con te. Ma devi credermi quando dico che non hai nulla da temere.» «Punto primo, la paura è un'emozione che non mi appartiene. Punto due, non sono tenuto a credere a nulla di ciò che mi dici, il che mi riporta alla tua domanda.» «La mia domanda?» 174
«Mi hai chiesto cosa volessi fare.» Aggie si sentiva sempre più irritata, come accadeva ogni volta che lo incontrava, e dovette compiere un considerevole sforzo per mantenere il controllo. «Intendi dissuadere mio fratello?» «Oh, intendo fare molto di più» dichiarò Luiz. «Sembra che tu abbia bisogno di soldi e che per tuo fratello sia lo stesso. Avete un padrone di casa che vi sta con il fiato sul collo per un affitto non pagato.» «Ma io l'ho pagato!» insistette Aggie con vigore. «E qualunque sia il tuo stipendio da insegnante» continuò senza dar peso a quella protesta, «è ovvio che basta appena a sopravvivere. Diciamoci la verità, non puoi permetterti l'affitto di un tugurio come questo e nessuno dei due ha un centesimo da parte. Per cui la mia offerta di allontanare tuo fratello dalla vita di mia nipote dovrebbe regalarti un sorriso. Anzi, diciamo pure che sarà il tuo regalo di Natale.» «Non so di cosa tu stia parlando.» «Darò a te e a tuo fratello abbastanza soldi per andarvene da questo posto. Ognuno di voi sarà in grado di comprarsi una proprietà, di godersi ogni lusso, se è questo che sognate. E sospetto che sia così.» «Davvero vorresti comprarci? Per farci sparire?» «Dimmi il tuo prezzo. E naturalmente tuo fratello potrà dire il proprio. Nessuno mi ha mai accusato di non essere generoso. Ma a proposito di tuo fratello... quando dovrebbe tornare, esattamente?» Diede un'occhiata all'orologio, poi sollevò lo sguardo verso il suo viso. Era il ritratto dell'indignazione. «Non posso credere a quello che hai appena detto.» «Sono certo che riuscirai ad adattarti all'idea.» «Tu non puoi comprare la gente!» «Ah, no? Vogliamo scommettere?» I suoi occhi e175
rano spietati e gelidi quanto l'inverno all'esterno. Lei lo fissò a bocca aperta. Le sembrava che venisse da un altro pianeta. Era così che si comportavano i ricchi, come se possedessero tutto e tutti? Come se le persone fossero pezzi di una scacchiera da muovere senza il minimo scrupolo? «Mark e Maria si amano. Questo dovrebbe esserti chiaro.» «Sono certo che Maria si creda innamorata. È giovane. Non capisce che l'amore è un'illusione. E noi potremmo stare qui a parlare tutta la sera, ma io ho bisogno di sapere quando tuo fratello sarà di ritorno. Devo risolvere questa situazione il prima possibile.» «Be', non tornerà. Lui e Maria hanno deciso di star via per qualche giorno. Sono partiti ieri mattina. Una pausa prenatalizia.» Lo osservò alzarsi di scatto e camminare avanti e indietro per la stanza, i movimenti inquieti e minacciosi. «Partiti per dove? E non credere di usare uno dei tuoi sguardi per distrarmi.» «Usare uno dei miei sguardi?» Sentì il rossore imporporarle il viso. Possibile che mentre era seduta in uno di quei ristoranti, sentendosi impacciata come un passero intrappolato in una sfilata di pavoni, lui l'avesse osservata valutandone l'aspetto? «Dove sono andati?» Si fermò di fronte a lei, e gli occhi di Aggie corsero lungo quel corpo perfetto fino agli ostili lineamenti del suo viso. Non aveva mai incontrato nessuno che essudasse minacce e potere come invece faceva lui. «Non sono tenuta a darti una simile informazione.» «Al posto tuo ci ripenserei, Agatha.» «Altrimenti?» «Altrimenti mi assicurerò che tuo fratello si ritrovi 176
senza lavoro per il resto dei suoi giorni» sibilò lui. «Non puoi fare una cosa simile!» «Ah, no? Ti conviene non mettermi alla prova.» Aggie esitò. La sua voce era intrisa di una tale gelida sicurezza che non dubitava li avrebbe davvero messi in difficoltà, se non l'avesse accontentato. «Okay. Sono andati in un piccolo hotel nel Lake District» gli confessò riluttante. «Volevano trascorrere qualche giorno romantico in mezzo alla neve, e poi quella zona ha un particolare significato sentimentale per noi.» La borsa era sul pavimento proprio accanto a lei. La raccolse e ne estrasse un foglietto, a conferma della loro prenotazione. «Mi ha dato questo nel caso avessi avuto bisogno di contattarlo.» Luiz si passò le dita fra i capelli. Le cose non sarebbero potute andare peggio. Il Lake District non era esattamente a un tiro di schioppo. Contemplò la prospettiva di trascorrere diverse ore al volante nelle pessime condizioni atmosferiche del momento per salvare la nipote, perché, se stavano pensando di sposarsi in segreto, quale momento o posto migliore avrebbero potuto scegliere? «Lo fai sembrare come se fossero andati sulla luna. Puoi sempre fare una telefonata. Maria ti rassicurerà.» Per un attimo si domandò come avrebbe reagito suo fratello se Luiz gli avesse sventolato un mazzo di banconote davanti agli occhi intimandogli di sparire. Stupidamente e ingenuamente Mark apprezzava quell'uomo e lo difendeva ogni volta che lei sosteneva di trovarlo irritante. Lottò per soffocare l'istintiva urgenza di cercarlo. Lei e Mark erano stati indissolubilmente uniti sin da bambini, da quando la loro mamma era morta e, in assenza di un padre o di un qualunque parente, erano 177
stati affidati a una casa famiglia. Più giovane di quattro anni, lui era sempre stato un bambino cagionevole, debilitato da frequenti attacchi d'asma. E lei, come un surrogato della madre, aveva imparato a prendersene cura e ad anteporre i suoi bisogni ai propri. Gli aveva regalato forza, permettendogli di trasformarsi da bambino gentile e sognatore in un adulto altrettanto gentile e sognatore, nonostante i capelli lunghi, l'orecchino e il tatuaggio sulla spalla che sembravano mostrare una persona del tutto diversa. Luiz ponderò la sequenza degli eventi. Niente nipote. Niente fidanzato. Un lungo viaggio per localizzarli. «Perché non ci ho pensato prima? Qualche giorno lontano da casa sarebbe l'occasione giusta per tuo fratello di concretizzare i vostri sogni. Probabilmente ha pensato di abbreviare il corteggiamento e anticipare il lieto evento... Un matrimonio d'inverno... molto romantico.» «È la cosa più ridicola che abbia mai sentito.» «Sarei rimasto sorpreso se non lo avessi detto. Be', non succederà. Dovremo solo assicurarci di arrivare a quel romantico nascondiglio e sorprenderli prima che abbiano modo di fare qualcosa di davvero spiacevole.» «Dovremo?» Luiz la fissò con espressione enigmatica. «Be', non penserai che possa andare da solo e lasciarti qui in modo che tu possa telefonare e avvertire tuo fratello del mio imminente arrivo?» «Tu sei matto! Non verrò da nessuna parte con te, Luiz Diaz!» «Anch'io avrei di meglio da fare, il venerdì sera, ma non vedo altra scelta. Saremo lì entro domani all'ora di pranzo, per cui dovrai mettere in valigia il necessario 178
per il weekend. E fare in fretta. Devo passare da casa e prendere qualcosa anch'io.» «Allora non mi hai sentita!» «Certo che ti ho sentita, ma ho scelto di ignorare quanto hai detto perché non farà differenza.» «Mi rifiuto di continuare con questa pagliacciata!» «Ecco la scelta. Possiamo andare, parlare con tuo fratello, presentargli la mia lauta offerta... ci sarà qualche lacrima, ma alla fine tutti saranno felici. Il piano B prevede invece che io mandi qualcuno a prelevarlo fisicamente per riportarlo a Londra, dove scoprirà quanto la vita possa essere scomoda quando tutte le possibilità di lavoro sono esaurite. Ti sorprenderebbe sapere quanta gente conosco.» «Tu sei... sei...» «Sì, lo so. So cosa pensi di me. Ti do dieci minuti per prepararti. Se non ti troverò sulla porta, tornerò a prenderti. E guarda il lato positivo della cosa, Agatha. Non ti ho nemmeno chiesto di prenderti una pausa dal lavoro. Entrò lunedì mattina sarai di nuovo a casa e con una cifra in banca di cui non riuscirai a contare gli zeri. E non dovremo vederci mai più!»
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Pagina
Romanzo
Inganno a lieto fine
1 «E chi sarebbe Jess?» Diego Cassari passò una mano nei folti capelli scuri che gli ricadevano sulla fronte. I suoi lineamenti erano contratti dalla preoccupazione. Si trovava in ospedale per suo cugino, ricoverato nell'Unità di terapia intensiva. Contro le lenzuola bianche, il viso di Angelo pareva grigio, e solo il petto che si alzava e abbassava impercettibilmente testimoniava che era ancora vivo. Un apparecchio sistemato accanto al letto ne registrava i parametri vitali. Ormai respirava da solo e, tre giorni dopo un terribile incidente d'auto e il ricovero nell'ospedale di Mestre, dava segnali di poter riprendere conoscenza. Aveva persino pronunciato una parola. Un nome. Osservò le due donne ai piedi del letto, strette una all'altra. «Jess è un'amica di Angelo?» Sua zia Dorotea si lasciò sfuggire un singhiozzo. «Non so quali siano i loro rapporti. Ma gli ho parlato poco prima...» le tremò la voce, «... prima dell'incidente. So che ha lasciato l'università e abitava con una donna di nome Jess Harper.» «Allora forse è la sua ragazza.» Diego non si stupì affatto della scelta di Angelo di lasciare la facoltà di economia che frequentava in un'università privata a 319
Londra. Suo cugino era stato viziato dalla madre fin da quando, ancora bambino, aveva perso il padre e fuggiva a gambe levate di fronte alla prospettiva di un duro lavoro. Trovava invece sorprendente il fatto che fosse andato a vivere con una donna. Angelo mancava di fiducia in se stesso nei rapporti con l'altro sesso, ma evidentemente doveva aver superato la timidezza. «Ti ha dato il suo indirizzo? Voglio mettermi in contatto con questa donna e portarla qui.» Diego lanciò un'occhiata al famoso neurologo che seguiva suo cugino. «Crede ci sia qualche possibilità che la voce di quella donna possa risvegliarlo?» «È possibile» replicò il medico con cautela. «Se la relazione di suo cugino con quella donna è significativa potrebbe servire.» La zia Dorotea si lasciò sfuggire un altro singhiozzo. «Non credo sia una buona idea farla venire qui. Temo abbia una cattiva influenza su Angelo.» Diego corrugò la fronte. «Che cosa significa? Se questa Jess Harper può facilitare il suo risveglio allora è indispensabile che venga in Italia quanto prima. Perché temi che abbia una cattiva influenza?» Controllò l'impazienza che lo colse quando la zia si lasciò cadere su una sedia, piangendo a dirotto. Comprendeva la sua disperazione. Quando aveva visto Angelo subito dopo l'operazione aveva sentito le lacrime bruciargli la gola. Suo cugino aveva solo ventidue anni, era ancora un ragazzo, anche se Diego, alla stessa età, era già Presidente della Cassa di Cassari, con un grosso carico di responsabilità sulle spalle. La morte di suo padre e dello zio, uccisi da una valanga mentre sciavano, lo aveva trascinato nel mondo degli affari, costringendolo anche a prendersi cura della 320
madre e della zia e ad assumere un ruolo paterno nei confronti del cugino, di soli sette anni. Vedere Angelo in quelle condizioni lo tormentava. L'attesa, l'incognita sulla possibilità che il suo cervello restasse per sempre danneggiato costituivano una vera tortura. Diego era un uomo d'azione, abituato ad avere il controllo delle situazioni, ma negli ultimi tre giorni si era sentito in balia degli eventi. Avrebbe voluto confortare madre e zia, assicurare che Angelo si sarebbe ripreso, ma non poteva farlo e odiava quella sensazione di impotenza. Non aveva una bacchetta magica per far riprendere conoscenza ad Angelo, ma forse quella Jess poteva riuscirci. Sua madre stava cercando di confortare la cognata. «Dorotea, devi raccontare a Diego quello che ha fatto Angelo, e perché sei tanto preoccupata del suo coinvolgimento con quella donna inglese.» Diego scrutò la zia. «Perché, che cosa ha fatto?» Scossa dai singhiozzi, per un attimo la donna non riuscì a rispondergli. «Le ha dato del denaro... molto denaro... tutta l'eredità di suo padre.» Dorotea aggiunse con voce tremula: «E non è tutto. Jess Harper ha la fedina penale sporca». «E tu come lo sai?» «Una settimana fa mi ha chiamato, Mauro Rochas, che si occupa delle finanze di Angelo. Era sulle spine perché quello che doveva dirmi era un'informazione confidenziale, ma pensava che dovessi sapere che Angelo aveva ritirato l'intera somma dell'eredità di suo padre depositata in banca. Quando ho chiesto ad Angelo che cosa avesse fatto di quel denaro, dopo un po' ha ammesso di averlo dato a quella donna, ma senza spiegarmi altro.» Diego sapeva che la maggior parte dell'eredità del 321
cugino era vincolata in altri investimenti, ma la somma depositata in banca era comunque notevole, perciò lo sgomento di Dorotea era comprensibile. «Angelo pareva sulle sue» continuò la donna, «e ho avuto la sensazione che mi stesse nascondendo qualcosa. Così ho chiamato Mauro, e lui ha ammesso di aver cercato informazioni e di avere scoperto che anni fa Jess Harper è stata condannata per frode.» Diego imprecò a bassa voce, attirandosi un'occhiata severa della madre. Non poté fare a meno di chiedersi se prima o poi i suoi parenti avrebbero smesso di affidarsi a lui per la soluzione dei loro problemi. Aveva incoraggiato il cugino a trasferirsi in Inghilterra per motivi di studio, convinto che gli avrebbe fatto bene rendersi indipendente. Invece Angelo si era cacciato nei guai. «Che cos'ha combinato quell'idiota?» borbottò tra sé. Purtroppo sua zia aveva un udito perfetto. «Perché dai la colpa a lui?» domandò in lacrime. «Questa Jess Harper gli avrà raccontato qualche storia lacrimevole e lui ci sarà cascato. È giovane e ingenuo, lo ammetto, ma sono sicura che ti ricordi che anche tu ti sei lasciato ingannare da quella donna russa anni fa e la situazione era ancora più grave, perché ha portato Cassa di Cassari sull'orlo della bancarotta...» Diego digrignò i denti, ricordando l'episodio più umiliante della sua vita. All'età di Angelo, il suo giudizio era stato influenzato dal bel viso e dal corpo sensuale di una donna. Aveva perso la testa per gli occhi scuri di Natalia Yenka e aveva persuaso i membri del consiglio di amministrazione di Cassa di Cassari, la compagnia fondata dal suo bisnonno, a investire una somma importante nella sua attività commerciale, che 322
però si era rivelata un raggiro. La perdita finanziaria subita da Cassa di Cassari era quasi costata a Diego la sfiducia del consiglio, evitata per un solo voto. Da allora aveva lavorato sodo per riguadagnare il loro appoggio ed era fiero che sotto la sua guida Cassa di Cassari fosse diventata una delle imprese italiane di maggior successo, con un importante mercato internazionale. Al recente meeting annuale aveva annunciato che la compagnia sarebbe stata quotata in borsa con una quotazione record, che avrebbe garantito diversi milioni di sterline. Era stato il coronamento dei suoi sforzi, compiuti con una concentrazione che non conosceva pause, ma né i membri del consiglio né la sua famiglia erano al corrente dei sacrifici che aveva fatto per arrivare a quel punto, né del vuoto che sentiva dentro. Scosse la testa come per scacciare quei pensieri, ma le ombre del passato pesavano su di lui. Guardò il cugino e fu assalito da un dolore acuto, come una coltellata. Se avesse perso il suo unico figlio la zia non si sarebbe più ripresa. Quell'attesa disperata era insopportabile e se c'era anche una sola possibilità che la voce della sua amica inglese lo riportasse dagli abissi in cui era precipitato, Diego doveva persuadere quella donna a raggiungerlo in ospedale. «Dove vai?» domandò la zia vedendolo scattare verso la porta. «A cercare Jess Harper. E quando la troverò, stai certa che pretenderò delle risposte» replicò cupo. Trasportando a fatica la cassetta degli attrezzi e una borsa della spesa, Jess entrò nel suo appartamento e si chinò a raccogliere la posta finita sullo zerbino. Due bollette e una lettera dalla banca. Per un attimo ebbe 323
un sussulto al cuore, poi ricordò che ormai il suo conto non era più in rosso. Le vecchie abitudini non muoiono mai, si disse, chiedendosi se avrebbe mai acquisito la consapevolezza di quel benessere. Passando sbirciò nella stanza di Angelo. Era in perfetto ordine, il che poteva solo significare che non era ancora rientrato. Corrugò la fronte. Erano trascorsi tre giorni da quando era sparito, e non aveva mai risposto alle sue chiamate. Probabilmente ha deciso di cambiare lavoro, come molti degli altri ragazzi che lavorano solo per metter via qualche risparmio. Angelo però era diverso dagli altri. Nonostante le sue assicurazioni di avere esperienza nel settore, aveva subito dimostrato di essere completamente a digiuno nel campo dell'imbiancatura. Eppure è intelligente e parla un inglese perfetto, anche se con un forte accento straniero. Le aveva confessato di essere un immigrato senza casa. La sua natura gentile le aveva ricordato il suo amico Daniel, conosciuto in orfanotrofio, e forse per quella ragione gli aveva subito offerto la stanza libera del suo appartamento. Angelo era stato commovente nelle sue dimostrazioni di gratitudine, e non era da lui allontanarsi senza una parola, anche perché aveva lasciato tutte le proprie cose, compresa l'amatissima chitarra. Denunciare la sua scomparsa le pareva un passo esagerato, perché anche se era trascorso parecchio tempo dagli anni travagliati della sua adolescenza, le era rimasta un'innata diffidenza nei confronti della polizia. Ma se fosse finito in ospedale e nessuno andasse a trovarlo? Sapeva anche troppo bene come si sta quando ci si sente soli al mondo, e nessuno che si preoccupi per noi. 324
Se non avrò sue notizie domani chiamerò la polizia, decise posando la borsa della spesa sul tavolo della cucina ed estraendo il pasto surgelato acquistato per cena. Aveva saltato il pranzo, perché era in ritardo con il lavoro, altra ragione per cui la scomparsa di Angelo costituiva un problema. Per quanto fosse un imbianchino incerto, lei aveva bisogno dell'aiuto di tutti. Le istruzioni sulla scatola di pasta alla bolognese indicavano sei minuti come tempo di cottura. Il suo stomaco borbottava. Sei minuti in quel momento le parevano un'eternità, perché era davvero affamata. Prese un cacciavite dalla tasca, ruppe l'involucro di plastica, lo strappò e infilò il contenitore nel microonde. Mi resta giusto il tempo per una doccia veloce. Un'occhiata allo specchio rivelò macchie bianche sui capelli, vernice caduta mentre imbiancava il soffitto. Sfilò gli stivali e raggiunse il bagno, tolse la salopette e la camicia e si infilò nel box della doccia. Quando finalmente potrò permettermi un appartamento tutto mio, la prima cosa che farò sarà installare una doccia con idromassaggio, rifletté mentre il potente getto d'acqua lavava via polvere e grasso di una giornata di lavoro. La settimana prima, in occasione del suo compleanno, si era comprata una sublime crema doccia, che le lasciò la pelle morbida come seta. Con una dose abbondante di shampoo riuscì anche a togliersi la vernice dai capelli. Gli uomini della sua squadra l'avrebbero presa in giro senza pietà, se solo avessero scoperto quel suo lato femminile. Lavorare in un ambiente di soli uomini era dura, ma Jess era una tosta, le difficoltà della sua infanzia le avevano almeno regalato quella qualità. Il suono del campanello fu seguito quasi immediatamente dal suono secco del microonde, che l'avverti325
va che il suo pasto era pronto. Infilato l'accappatoio, mentre il campanello suonava di nuovo, tornò in cucina a piedi nudi. Perché questo scocciatore non se ne va?, si domandò irritata. Dal microonde proveniva uno sgradevole odore di plastica sciolta, ma era troppo affamata per curarsene. Tolse la pellicola dalla vaschetta e il vapore bollente le scottò le dita. Il campanello suonò per la terza volta, uno squillo prolungato che non poté ignorare, e all'improvviso Jess pensò che forse Angelo era tornato a casa. Diego staccò le dita dal campanello imprecando. Evidentemente in casa non c'era nessuno. Aveva superato i limiti di velocità per correre dall'aeroporto fino a Hampstead dove viveva Jess Harper. Aveva anche saputo che la donna si occupava di pittura, e doveva cavarsela bene se poteva permettersi un appartamento in quella ricca zona di Londra. L'edificio art déco un tempo doveva essere stato magnifico. L'investigatore assunto da Diego per prendere informazioni sulla donna non era ancora tornato. Adesso non importa perché Angelo le abbia dato tutti quei soldi, mi basterebbe convincerla a venire da lui. Forse dovrei chiedere ai vicini se ha uno studio, non posso perdere tempo con Angelo in condizioni critiche. La frustrazione lo spinse a premere di nuovo il campanello, benché convinto che fosse inutile. Era esausto, dopo tre giorni e tre notti trascorse in ospedale facendo solo brevi sonnellini di mezz'ora sulla sedia sistemata vicino al letto del cugino. Sfregò con la mano gli occhi arrossati, il pensiero sempre rivolto ad Angelo. In seguito alla morte del padre era diventato un bambino serio e sensibile, e Diego era il suo eroe. Solo in quegli ultimi giorni, 326
mentre il cugino si trovava tra la vita e la morte, si era accorto di quanto fosse affezionato al giovanotto che aveva aiutato a crescere. Inutile aspettare ancora, quella donna non è in casa. Stava per scendere le scale quando la porta si aprì. «Oh!» esclamò la donna. «Credevo fosse qualcun altro.» Diego si voltò e osservò la figura immobile sulla soglia, restando senza fiato. Una strana sensazione, provata un'unica volta in vita sua di fronte a una donna, ma allora era solo un ventiduenne inesperto. A trentasette anni aveva ormai accumulato un'ampia esperienza in campo sessuale, anche se, per essere onesto, doveva ammettere di aver collezionato un gran numero di relazioni insignificanti. In quel momento però si sentiva come un ragazzino vittima di una tempesta ormonale. Sconcertato da quella reazione, scosse la testa per riprendersi. Aveva conosciuto molte belle donne in vita sua, ed era stato a letto con molte più di quanto gli importasse, ma quella donna gli toglieva letteralmente il fiato. Con lo sguardo frugò nella scollatura dell'accappatoio, che svelava l'attaccatura del seno. L'idea che fosse nuda lo mandò in ebollizione. Deglutì e studiò il viso della donna, ovale perfetto e lineamenti delicati che parevano scolpiti nella porcellana. Gli zigomi alti le conferivano un aspetto magico, accentuato dagli occhi verdi a mandorla. I lunghi capelli rossi, ancora bagnati, per contrasto mettevano in evidenza la pelle candida. Qualcosa si sciolse dentro di lui, generando un appetito primitivo e un assurdo sentimento di possesso che gli fece desiderare di stringerla tra le braccia. «Posso aiutarla?» 327
Aveva una voce morbida ma leggermente roca che gli fece balzare il cuore in petto. Suo malgrado si augurò che l'avvocato della zia avesse confuso l'indirizzo, che quella non fosse l'amante di suo cugino. L'idea che Angelo avesse fatto l'amore con lei gli suscitava una violenta, assurda gelosia. Irritato dalla propria reazione fisica, domandò in tono brusco: «È lei Jess Harper?». «Perché vuole saperlo?» replicò guardinga. «Mi chiamo Diego Cassari. Mi è stato detto che mio cugino Angelo abitava qui.» «Cugino!» La donna sembrava sconvolta. «Angelo mi ha detto di non avere parenti.» Dunque era arrivato all'indirizzo giusto. Diego strinse le mascelle, combattendo la tentazione di tracciare con la lingua la perfetta forma a cuore della bocca. Si avvicinò e Jess si infilò dietro la porta semiaperta, lanciandogli occhiate sospettose. «Non sapevo che avesse dei parenti. Può provarmi quello che dice?» Seccato dal suo tono diffidente, tolse il cellulare dalla tasca e cercò una fotografia. «Ecco, lui e io insieme a sua madre, una foto scattata sei mesi fa all'inaugurazione del nuovo negozio di Cassa di Cassari a Milano» spiegò porgendole il cellulare. Jess osservò a lungo l'immagine. «È certamente Angelo, anche se io non l'ho mai visto con uno smoking» pronunciò lentamente. «Ma non ha senso! Perché non ha mai nominato la sua famiglia?» Diego non si meravigliò che il cugino avesse voluto tenerle nascoste quelle informazioni. I Cassari erano tra le famiglie più facoltose d'Italia, sempre sotto i riflettori dei media. Diego era vittima dei paparazzi fin dall'adolescenza, perciò aveva imparato a scegliere 328
con cautela gli amici, e convinto il cugino a fare lo stesso. Eppure, se fosse vero che Jess Harper ha approfittato della sua generosità, forse non è stato abbastanza prudente. L'espressione confusa sul viso di Jess però era convincente. «C'è un emporio Cassa di Cassari in Oxford Street che vende biancheria da letto e altri articoli per la casa, fantastici e altrettanto costosi.» Si era ripromessa che, se avesse vinto alla lotteria, avrebbe acquistato solo nei negozi Cassa di Cassari. «Non avevo mai fatto caso al fatto che Angelo avesse lo stesso cognome. Immagino si tratti di una coincidenza.» Osservò di nuovo la fotografia e corrugò la fronte. «Voglio dire... Angelo non può essere legato a quel marchio mondiale, vero?» Possibile che davvero non lo sappia? Diego faceva fatica a crederlo. «Il nostro bisnonno fondò Cassa di Cassari negli anni successivi alla prima guerra mondiale. In seguito all'incidente automobilistico in cui restarono uccisi i nostri padri, io ereditai il settanta per cento della compagnia, Angelo il trenta.» Dalle labbra di Jess sfuggì una specie di rantolo. O davvero non conosce l'identità di Angelo oppure è una grande attrice. Forse si rammarica di non avergli scroccato più denaro, pensò cinicamente. Per il momento però la domanda se avesse messo le mani sul fondo ereditario di Angelo non era importante. Voglio solo che mi segua in Italia. Ci sarà tempo per chiarire tutto quando Angelo sarà uscito dal coma. Lei gli restituì il telefono. «Non capisco che cosa stia succedendo, né perché Angelo mi abbia mentito, comunque lui non c'è. Se ne è andato un paio di giorni 329
fa senza dire dove. Temo di non poterla aiutare.» Stava per chiudere la porta, ma Diego infilò un piede nell'apertura, impedendoglielo. «Si trova in ospedale, in pericolo di vita.» Jess si irrigidì. La collera per la mancanza di onestà da parte di Angelo svanì di colpo di fronte a quella notizia. «Ma perché? È malato?» Si rimproverò di non aver avvertito la polizia della sua scomparsa. Era un bravo ragazzo, come ho potuto credere che se ne fosse andato senza neppure salutare? «Ha avuto un incidente. Ha preso una brutta botta in testa ed è incosciente da tre giorni.» Diego aveva parlato con apparente freddezza, ma guardandolo Jess si accorse del viso segnato dalla stanchezza. Stava male ripensando a come aveva visto Angelo la sera prima della sua scomparsa. Aveva preparato la cena, solo un'omelette, il massimo cui poteva spingersi con le sue doti culinarie, e lui l'aveva molto apprezzata. Poi l'aveva aiutata a rigovernare. Il giorno dopo si era stupita della sua scomparsa, ma aveva pensato che, abituato alla sua indipendenza, non avesse ritenuto necessario avvertirla. La voce di Diego interruppe quei pensieri. «Sono venuto a chiederle di venire a trovarlo in ospedale, per cercare di risvegliarlo. Più resta senza conoscenza, più aumentano le possibilità di un danno cerebrale.» «È così grave?» Jess deglutì, assalita dal ricordo di Daniel in terapia intensiva dopo essere stato investito da un'automobile in corsa. Aveva un aspetto sereno, come se stesse dormendo, ma l'infermiera aveva detto che era tenuto in vita solo da una macchina che respirava al posto suo, in assenza totale di attività cerebrale. Jess aveva compreso la gravità del suo stato, ma 330
non si aspettava la sua morte. Aveva solo sedici anni... Otto anni dopo, ripensarci le faceva ancora salire un groppo in gola. «Angelo rischia di morire?» Era insopportabile anche solo pensarlo. «Verrò certamente a trovarlo.» Non aveva idea del perché Angelo le avesse raccontato tante bugie, ma di fronte alla sua vita in pericolo tutto passava in secondo piano. Fissando l'uomo che aveva di fronte notò alcune somiglianze con Angelo. Entrambi avevano la carnagione olivastra e capelli scurissimi, quasi neri. Ma, diversamente dai riccioli di Angelo, i capelli di Diego erano lisci e tagliati corti e rivelavano i suoi lineamenti perfetti. E mentre di Angelo si poteva dire che era un ragazzo attraente, con gli occhi romantici e il sorriso gentile, il cugino era l'uomo più pericolosamente sexy che Jess avesse mai incontrato. La sua era una bellezza asciutta e decisa, zigomi pronunciati e occhi neri sotto le sopracciglia folte, mascella quadrata e bocca severa, nonostante le labbra sensuali. Jess non riusciva a staccare lo sguardo da quella bocca, non poteva evitare di chiedersi come sarebbe stato lasciarsi baciare da lui. Sapeva, senza sapere come, che aveva labbra ferme e che avrebbe preteso da lei una resa totale. Quei pensieri erano così insoliti che quasi si lasciò sfuggire un rantolo. Dalle oscure profondità dei suoi occhi vide salire un bagliore che provocò in lei una reazione di desiderio. «Verrò certamente in ospedale» ripeté. «Devo solo vestirmi.» Quelle parole le ricordarono che era completamente nuda sotto l'accappatoio. Si irrigidì sotto l'attento esame di Diego Cassari, che suscitò l'imbarazzante sensa331
zione di essere spogliata con gli occhi. Chiuse l'apertura dell'accappatoio, sperando che non si accorgesse di come le batteva forte il cuore. Il luccichio negli occhi di Diego le rivelò che era perfettamente cosciente dell'effetto che aveva su di lei. Si sentì arrossire e si chiese la ragione del proprio insolito comportamento. Lavorava in un ambiente maschile e dalla sua squadra veniva considerata come uno di noi. Una sola volta in vita sua si era sentita attratta da un uomo e l'esperienza le aveva lasciato delle cicatrici emotive che non sarebbero mai del tutto scomparse. Dopo di che era stata sempre troppo impegnata con il lavoro, o forse troppo spaventata, per trovare il tempo per un rapporto sentimentale. Non le era mai capitato di reagire alla presenza di un uomo dal punto di vista sessuale, perciò era scioccata da quella reazione a un perfetto sconosciuto, benché l'uomo più sexy che avesse mai incontrato... Non è proprio uno sconosciuto, è il cugino di Angelo, si corresse, vergognandosi di quei pensieri mentre Angelo si trovava in condizioni critiche. Fece un respiro profondo, allontanò il pensiero che non le piaceva l'idea di trovarsi da sola con quell'uomo e aprì la porta per lasciarlo entrare. «Entri pure, mi ci vorrà solo un minuto.» «Grazie.» Superò la soglia, dandole subito l'impressione di riempire il piccolo ingresso. Doveva essere alto quasi due metri e il fatto che fosse completamente vestito di nero, jeans, camicia e giubbotto di pelle, non faceva che accentuare il suo fisico imponente. Da vicino aspirò il profumo di muschio del dopobarba, assalita da un pizzicore nei capezzoli che, già turgidi, sfregavano contro l'accappatoio. Disgustata all'idea di apparire incapace di control332
larsi, lo scortò fino in soggiorno. «Mi aspetti qui, non ci metterò molto.» «Mentre lei si prepara io chiamerò l'ospedale per verificare le condizioni di Angelo.» Alzò gli occhi dal telefono. «Il suo passaporto è in regola?» Jess si voltò a guardarlo, confusa. «Perché dovrei avere bisogno del passaporto per entrare in ospedale?» Esitò. «Dov'è Angelo?» Diego si era avvicinato alla finestra. La vista della zona di Hampstead, così ricca di verde, era stupenda. Si guardò attorno, rafforzandosi nell'opinione che Jess svolgesse un lavoro altamente remunerativo per potersi permettere quei mobili e quegli arredi. Si voltò verso di lei. «In Italia» rispose asciutto. «L'incidente è successo sull'autostrada tra l'aeroporto e Venezia. Penso che stesse tornando a casa, ma non c'è mai arrivato. È stato ricoverato nell'ospedale di Mestre, vicino a Venezia.» Il telefono squillò e Diego controllò lo schermo. «Mi dicono che è stato fatto il pieno al mio aereo. Riesce a essere pronta per partire tra cinque minuti?»
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