Le quattro sorelle

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SUPERTASCABILI



Mary Alice Monroe

LE QUATTRO SORELLE

traduzione di Maria Claudia Rey


Immagine di copertina: © Ildiko Neer / Trevillion Images Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: The Four Seasons Mira Books © 2001 Mary Alice Kruesi Traduzione di Maria Claudia Rey Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Books S.A. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. © 2002 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prima edizione I Nuovi Bestsellers marzo 2002 Questa edizione SUPERTASCABILI gennaio 2018 SUPERTASCABILI ISSN 2532 - 7089 Periodico mensile n. 5 del 11/01/2018 Direttore responsabile: Chiara Scaglioni Registrazione Tribunale di Milano n. 221 dello 10/07/2017 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - Via Mondadori, 1 - 20090 Segrate (MI) Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 045.8884400 HarperCollins Italia S.p.A. Viale Monte Nero 84 - 20135 Milano


1 Evanston, 2001 Dalla soglia della camera, Rose Season osservò le ombre della sera allungarsi sul letto vuoto. «Merry» sussurrò. Le sembrava che lo spirito della sorella aleggiasse ancora nella casa dov'era vissuta, come per accertarsi che la sua ultima richiesta venisse esaudita. Rose si torse le mani. Era una richiesta pazzesca, indelicata, sicuramente dolorosa. Jilly non aveva mai parlato di quel periodo, mai una sola parola in tanti anni. Ma i segreti di famiglia prima o poi tornavano in superficie... L'orologio batté le ore e Rose pensò che la cena era quasi pronta e che doveva avvertire Merry. Poi ricordò e si sentì pervadere da un doloroso senso di vuoto. Entrò nella camera e carezzò la toeletta con il suo rivestimento civettuolo di pizzo bianco, il pettine e la spazzola d'argento, l'adorata bambola di stoffa dai capelli rossi. In tanti anni, Merry non era mai andata a dormire senza la sua Spring, e accostandola al viso. Rose poteva ancora sentire il suo profumo. Poi la sistemò di nuovo al suo posto, adagiata sui cuscini del letto, lisciò le pieghe del copriletto e raddrizzò il paralume della lampada da notte, allineando 5


con cura tutti i flaconi di medicine ormai inutili. Senza Merry a cui badare si sentiva svuotata, spenta. Aveva bisogno di qualcosa da fare, qualcosa che la distraesse dal dolore e ridesse un senso alle sue giornate. Rose uscì dalla camera di Merry e scese le scale. Le pareti lungo la scala erano coperte di fotografie che ritraevano le sorelle Season in vari momenti della loro vita. Jilly, Birdie, Rose e Merry: le Quattro Stagioni, come le chiamava il babbo scherzando sul loro cognome. Rose aveva una grande nostalgia delle sorelle. Quant'era triste che ci volesse un funerale per riunirle nuovamente nella casa paterna... Chi sarebbe arrivata per prima?, pensò Rose. Birdie, che viveva nel Wisconsin, era molto occupata con il suo studio medico. Ma Jilly era quella che doveva arrivare da più lontano, dalla Francia. Rose si fermò davanti alla cornice che racchiudeva una copertina di VOGUE France del 1978. La foto immortalava una splendida e giovane Jilly, fasciata da un abito da sera rosa shocking in elegante, bizzarro contrasto con i fiammanti capelli rossi. Rose guardò le labbra scarlatte della sorella atteggiate in un broncio sexy, gli occhi color smeraldo, la posa provocante che esponeva una gamba chilometrica. Jilly era nata a mezzanotte e un minuto del primo novembre 1955. La mamma raccontava sempre di come si era trattenuta con tutte le sue forze per non far nascere la sua prima bambina la notte di Halloween, e per evitare che il marito, abituato a scherzare sul proprio cognome, trovasse un nome buffo per la neonata. Ann Season, piccolina ma dotata di una volontà di ferro, aveva dato a tutte le figlie dei nomi normali e pieni di buon senso, e William si era dovuto accontentare dei nomignoli. 6


Così, Jillian era diventata Jilly e Beatrice, la secondogenita, era stata soprannominata Birdie perché era nata all'inizio dell'estate, e anche perché era sempre affamata e urlava a bocca spalancata come un uccellino nel nido. Chi primo arriva meglio alloggia, diceva il babbo orgogliosamente. Birdie era la sua preferita, lo sapevano tutti. E in effetti, pensò Rose affettuosamente, di soddisfazioni ne aveva avute. Una foto la ritraeva a sedici anni, alta e robusta, con ampie spalle da atleta, abbracciata all'enorme coppa d'argento che aveva vinto nei campionati di nuoto dello stato. Altre ricordavano i premi vinti nelle gare di letteratura, scienze, corsa campestre, e naturalmente nuoto. Poi c'era la foto della laurea in medicina, e infine quella di Birdie in un abito di pizzo bianco, che sorrideva al suo bellissimo neomarito Dennis. Il trofeo più importante di tutti. C'erano poche foto di Rose, e con l'abituale senso di imbarazzo lei pensò che la scarsità di fotografie rifletteva esattamente la sua vita piatta e priva di eventi memorabili. Jilly era una top model di successo, Birdie una nota pediatra, moglie e madre. Ma lei? Non c'erano immagini di Rose nel giorno nella laurea, né alcuna foto di una Rose raggiante per il suo matrimonio. L'unica la ritraeva durante la cerimonia di consegna del diploma liceale, e mostrava una ragazza sottile e timida non dissimile dalla donna di adesso. I capelli di Rose erano una versione più slavata e pallida del rosso di famiglia, un colore particolare, che il loro padre definiva scherzosamente giallo zucca e la madre, più generosa, preferiva chiamare biondo tiziano. Lei li portava ancora molto lunghi e lisci, proprio come allora, e il suo corpo era sempre sottile e privo di curve. L'unico punto di rilievo erano gli occhi, due enormi occhi nocciola con ciglia e sopracciglia chiare. 7


Rose era nata nei giorni afosi di agosto, quando le rose di Ann erano in piena fioritura. Il nome era venuto da sé, e nessuno aveva mai pensato di abbreviarlo o cambiarlo. Rose era un bel nome tranquillo, diceva sempre il loro padre. Tranquillo, e noioso, come lei. Come spesso accadeva, dell'ultima nata c'erano pochissime foto; il che era un vero peccato, perché Merry era stata una bambina splendida. Meredith era nata in dicembre, una stagione potenzialmente ricca di possibili soprannomi, ma William Season l'aveva chiamata Merry perché era sempre allegra e sorridente. Rose carezzò una foto della sorellina a due anni, vivace e graziosissima. Le foto si erano fermate lì. Non voleva abbandonarsi ai ricordi penosi, pensò. Una volta al piano di sotto, passò da una stanza all'altra, in cerca di qualcosa da fare. Ma le dodici camere della bella casa vittoriana erano in ordine, la cena era già in caldo nel forno, e ogni stanza era abbellita da fiori freschi. Rose accese la TV e la spense subito, poi prese un libro e cercò di leggere qualche riga, ma la sua mente riprese a vagare e fu costretta a chiuderlo. Mise la mano in tasca e ne trasse una busta azzurra. La lettera di Merry. Se l'era portata in tasca tutto il giorno, incerta se bruciarla o darla all'avvocato di famiglia. Guardò l'indirizzo scritto nella migliore grafia di Merry e circondato da un cuore. A Jilly, Birdie e Rose. Sapeva che le poche frasi contenute nella lettera avrebbero scosso e turbato le due sorelle, com'era accaduto a lei quando le aveva lette. Ma ormai aveva deciso, l'avrebbe consegnata all'avvocato. Merry gliel'aveva affidata e lei non poteva tradirla. Beatrice Season Connor levò lo sguardo al cielo cupo e carico di neve e, rabbrividendo, imprecò tra sé. 8


«Guarda, sta nevicando!» esclamò Hannah uscendo dalla macchina. Alzò la faccia verso il cielo con un sorriso beato e sporse la lingua per catturare i fiocchi gelidi. «Ci mancava anche questa. Una tempesta di neve, oltre a tutto il resto.» «Ma sono solo pochi fiocchi» protestò la ragazza. «A giudicare da come cade ne avremo per un bel po'» brontolò Birdie prendendo dalla macchina i sacchetti della spesa. «Maledetto tempaccio. Non ne abbiamo avuto abbastanza, Dio mio? Siamo in aprile!» Sbatté la portiera e aggiunse, decidendo rapida come al solito: «E va bene, se vogliamo che tutto sia pronto in tempo per il funerale dovremo partire per Evanston prima del previsto». Poi guardò la figlia quindicenne e concluse: «Conto su di te, Hannah. Dovrai aiutarmi». «Non vedo perché dobbiamo sempre essere noi a far tutto» obiettò la ragazzina incrociando le braccia sul petto. «Bisogna che ci pensiamo noi, se vogliamo che sia fatto come si deve» replicò Birdie. L'idea di anticipare la partenza quando i suoi impegni erano già accavallati fino all'inverosimile era a dir poco allarmante. A volte le sembrava di essere un acrobata da circo che fa volteggiare nell'aria un numero infinito di cerchi e piatti. Trovare un sostituto per lo studio, calmare i pazienti, portare il cane in pensione, annullare il servizio di pulizia settimanale della casa, fare le valigie... E il funerale di Merry era l'indomani, e toccava a lei far sì che tutto filasse liscio. «Se vuoi che qualcosa sia fatto bene, chiedilo a una donna super impegnata» mormorò tra sé. Birdie lavorava come una pazza, ma poteva andar fiera dei propri successi: era un'affermata pediatra, aveva una figlia 9


bella e sana, e mandava avanti una grande casa che funzionava alla perfezione. Insomma, era l'incarnazione della supermamma. Ma quel giorno le sue capacità sarebbero state messe a dura prova. Controllò l'orologio e strinse le labbra, irritata. Dio, era tardissimo. E dov'era Dennis? Dov'era Hannah? Hannah era ancora fuori, appoggiata al parafango della macchina e intenta a guardare il cielo con aria sognante. «Non mi hai sentita?» chiamò Birdie dalla porta di cucina. «Ti ho detto che dobbiamo partire prima!» Il sorriso di Hannah si spense ma lei rimase testardamente immobile e continuò a guardare il cielo. «Non fare resistenza passiva, signorina!» esclamò Birdie sempre più irritata. «Sono due giorni che ti chiedo di fare la valigia e non hai nemmeno cominciato. Guarda che non ho intenzione di fartela io.» «E chi te l'ha chiesto?» ribatté Hannah. «Tanto ci metteresti le cose sbagliate!» «Non stiamo andando a una festa, ma al funerale di mia sorella. Per me è già abbastanza difficile accettare che lei non ci sia più, figuriamoci se ho voglia di discutere dei tuoi vestiti.» «Almeno tu una sorella ce l'hai.» Birdie sentì che il peso di quell'accusa la metteva definitivamente a terra. Erano anni che le veniva gettata in faccia, come se lei avesse mancato a una promessa. «Hannah, per favore, adesso non abbiamo tempo di discutere. Vai di sopra e metti in valigia un vestito nero» disse con decisione. «Tu non mi chiedi mai di fare qualcosa, me le ordini. E io ti odio!» sbottò Hannah correndo verso l'ingresso. Poi si chiuse violentemente la porta alle spalle. 10


Birdie seguì la figlia, sospirando. Ormai le porte sbattute erano all'ordine del giorno, e le discussioni con Hannah si trasformavano sempre in litigi feroci. Ultimamente Birdie aveva cercato di lasciare perdere le cose di minore importanza, perché tutti gli articoli che aveva letto sull'argomento dicevano di scegliere le battaglie che valeva la pena combattere. Solo che con gli adolescenti tutto diventava una battaglia. Si avvicinò alla credenza in cucina e sfogò la frustrazione ripulendola, poi prese il mucchietto di messaggi dei pazienti e sollevò il telefono per rispondere al primo. Un'ora dopo, mentre finiva l'ultima telefonata, suo marito entrò in cucina dal garage. Era poco più alto di lei, ma era molto magro. Con la lunga faccia pensierosa, gli occhiali dalla montatura di corno, i capelli un po' lunghi sul collo e i pantaloni di velluto spiegazzati, era il ritratto del professore universitario che in effetti era. Di solito Dennis si annunciava con un gaio Sono a casa! Ma da qualche tempo rientrava in silenzio, come sopraffatto dalla fatica. Birdie diede un'occhiata ansiosa alla faccia tirata e pallida del marito, poi tornò alla sua telefonata. «No, signora Sandler, non c'è bisogno di antibiotici. Sì, sono sicura. Tommy non ha un'infezione batterica, ma un virus, e gli antibiotici indebolirebbero la sua naturale resistenza.» Birdie guardò Dennis e sollevò la mano per pregarlo di aspettare, lui aprì il frigorifero e prese una birra. «Suo figlio dovrebbe rimettersi presto» continuò lei al telefono. «Ma se per caso gli venisse la febbre alta chiami il dottor Martin in studio. No, trentasette non è febbre.» Sollevò gli occhi al cielo e allungò la mano 11


per prendere la bottiglia di birra e bere un sorso. «Sì, certo. La saluto. Arrivederci.» Poi, con un sospiro di sollievo, riagganciò e guardò Dennis. «Diagnosi: madre ansiosa» disse. «Giornataccia?» domandò lui. «Abbastanza. Il cane si è sentito male mentre lo portavo al canile, come fa sempre in questi casi. Hannah è stata più petulante del solito. Poi ci sono state le chiamate dei pazienti...» «Credevo che avessi trovato un sostituto.» «L'ho trovato, ma sai bene che certi genitori si fanno prendere dal panico quando io vado via. È più semplice se li rassicuro per telefono.» «Non capisco perché devi fare questo sforzo in più. Sei già migliore degli altri pediatri in città.» «Sono migliore proprio perché faccio uno sforzo in più. E poi sono fatta così, non posso cambiare. Comunque è inutile parlarne perché tanto ho finito.» E gettò i foglietti dei messaggi nel cestino. «Quindi sei libera.» «Sì, come no» fece lei con una smorfia. «Libera di andare a organizzare un funerale.» Lui posò la birra sul tavolo e cominciò a massaggiarle le spalle, un gesto familiare che Birdie adorava. Dennis aveva bellissime mani forti dalle lunghe dita, e sapeva sciogliere i nodi di tensione come nessun altro. Avevano cominciato a uscire insieme quando lei era la campionessa della squadra di nuoto del college, e lui le massaggiava le spalle dopo ogni gara. Lei diceva spesso, scherzando, che lo aveva sposato per via delle sue mani. «Sei troppo tesa» sussurrò Dennis con voce seducente. «Lo so io che cosa ti aiuterebbe a rilassarti. A che ora hai detto che dobbiamo metterci in strada?» 12


Lei si scansò bruscamente. L'ultima cosa che le interessava in quel momento era il sesso, ed era molto irritata che a Dennis fosse venuto in mente. «Per l'amor del cielo, dobbiamo metterci in macchina tra mezz'ora al massimo!» Lui lasciò ricadere le mani lungo i fianchi. «Credevo che non partissimo prima delle quattro.» «Hai dimenticato che dobbiamo passare a prendere Jilly in aeroporto?» ribatté lei esasperata. «Se arriva una tempesta di neve, come dicono le previsioni, il traffico sarà spaventoso e magari il volo di Jilly arriverà in ritardo o sarà addirittura cancellato. È pazzesco che dobbiamo passarla a prendere noi. Rischiamo di aspettarla per ore.» «E perché non ci va Rose, in aeroporto?» «Non saprà neanche come arrivarci» sbuffò Birdie. «Non esce mai da Evanston, e anzi credo che non esca quasi di casa. È una cara ragazza, ma si sta isolando sempre di più.» Birdie si massaggiò il collo indolenzito. Dopo il funerale, quando avessero trovato un compratore per la casa di famiglia, avrebbe dovuto fare un discorso serio con la sorella a proposito del futuro. Rose doveva rassegnarsi a cambiare vita. Non era sano che si fosse rinchiusa in casa per tanti anni con la scusa di prendersi cura di Merry. Per fortuna era un'esperta di computer, ma era talmente timida e pantofolaia che avrebbe avuto serie difficoltà a farsi dei nuovi amici e una nuova vita. «Allora diciamo a Jilly di prendere un taxi» suggerì Dennis. «Be', sì, gliel'ho detto al telefono l'altra sera, ma lei ha cominciato a protestare che era tanto tempo che non veniva a casa, e che aveva tanti bagagli, e che in so13


stanza al suo arrivo voleva essere accolta da un membro della famiglia.» «E tu hai ceduto.» «E chi non lo fa, con Jilly?» «Ma nemmeno tu puoi dare ordini a una tempesta di neve, no?» Birdie rise, poi si appoggiò alla credenza stringendo le labbra e pensando al da farsi. Al momento la cosa più importante era arrivare a Evanston e accertarsi che tutto quel che aveva organizzato per il funerale, stando al telefono per giorni interi, filasse liscio. «Sarà un vero incubo» sospirò. «Il problema è che non sai mai cosa aspettarti da Jillian. Ricordi la scenata che ha fatto al funerale di mia madre?» Dennis scrollò le spalle. «Jillian vive di scenate, ma non vedo perché dobbiamo agitarci tanto: arriverà, farà un'altra scenata, poi ripartirà e a Dio piacendo non la rivedremo per altri dieci anni.» «Non capisco perché ce l'hai tanto con lei. Non ti ha fatto niente, mi pare» «Non c'è bisogno che faccia qualcosa a me. È quel che fa a te che non mi va giù.» «Che vuoi dire?» replicò Birdie stupita. Dennis non aveva mai nascosto il fatto che la sua affascinante cognata non gli piaceva, ma non aveva mai spiegato bene il perché. «Ti mette a disagio» disse lui fissandola negli occhi. «Come se ti facesse sentire inferiore. Quando c'è lei tu non sei più la stessa.» Nemmeno lui era lo stesso, pensò Birdie. Dennis e Jilly erano usciti insieme per un breve periodo durante il liceo, una cosa che Birdie preferiva non ricordare. Nessuno dei due ne parlava mai, ma a volte, quando non si credeva osservato, Dennis guardava Jilly con 14


una strana espressione. Birdie non aveva mai capito se era solo uno sguardo incuriosito, o se invece, e il solo pensiero le dava i brividi, era colmo di desiderio. «Be', se mi fa sentire inferiore è sul piano della bellezza. Ammettiamolo, Jilly è spettacolare.» «Anche tu.» «Non dire sciocchezze.» Birdie non era a caccia di complimenti: sapeva benissimo che l'età e i dieci chili messi su nel corso degli anni non giovavano alla sua struttura già robusta. Niente, nel suo aspetto, reggeva il paragone con Jilly. I suoi occhi erano azzurro chiaro e non verde smeraldo. Il rosso di famiglia era solo un pallido riflesso nel castano smorto dei suoi capelli. E quel che era peggio, aveva ereditato il naso aquilino di suo padre. Lui le aveva sempre ripetuto che doveva essere fiera di quel tratto aristocratico, e in effetti Birdie lo era: ma certo non giovava alla sua bellezza. «Per me lo sei.» Quando Dennis le diceva frasi del genere il suo cuore faceva una capriola e si gonfiava d'amore per lui. Arrossendo, Birdie cominciò a sciacquare le tazze della colazione. «Sei gentile... ma ho quarant'anni suonati, ho avuto successo nel mio lavoro, e per essere soddisfatta di me non ho bisogno di credermi bella.» Lui si limitò a scuotere tristemente la testa. «Ho deciso, lasciamo perdere l'aeroporto» disse Birdie chiudendo di scatto il rubinetto. «Adesso telefono a Rose e vedo come si può sistemare la faccenda di Jilly, ma dovremo comunque partire presto. E tu dov'eri? Hai detto che tornavi a casa per mezzogiorno, e sono le tre!» Lui inarcò le sopracciglia. «Avevo un mucchio di cose da fare prima di andarmene, e mi è anche toccata una riunione imprevista con il preside.» Poi sciolse la 15


cravatta e se la tolse. «Sono venuto via appena ho potuto.» «Non hai pensato che anch'io avevo un mucchio di cose da fare?» replicò lei con impazienza. «Mentre tu sistemavi le tue cose di lavoro io ho dovuto fare lo stesso, più la spesa, le valigie e portare il cane al canile.» Lui le volse la schiena. «Be', non possiamo essere tutti efficienti come te» ribatté. E si appoggiò alla credenza per sfogliare la posta, come se avesse tutto il tempo del mondo. Hannah non aveva ereditato il fisico alto e snello del padre, pensò Birdie irritata, ma il suo temperamento di sicuro. «Dov'è Hannah?» domandò lui come se le avesse letto nel pensiero. «Spero per lei che sia di sopra a fare la valigia. Anzi, ti dispiace andare a controllare? Glielo dico da due giorni ma mezz'ora fa non l'aveva ancora cominciata, e mi sa che dovrò pensarci io.» «Nemmeno per idea» fece lui alzando gli occhi dalla posta. «Se si dimentica qualcosa peggio per lei.» «Non essere ridicolo. Se non le sto dietro chissà che cosa si metterà addosso!» «In tal caso sarà lei a sentirsi a disagio. Dici sempre che ognuno è responsabile delle proprie azioni, no?» Birdie era furibonda. Sapeva benissimo che Dennis aveva ragione, ma non sopportava l'idea che sua figlia si presentasse male in arnese al funerale di Merry. «Quando la gente vede un ragazzo malvestito o una casa sporca critica la madre, non il padre» sibilò. «E a chi importa che cosa pensa la gente?» «A me importa!» «Dai, lasciala fare da sola. Ha soltanto quindici anni, no? E poi non penso ti darebbe retta comunque.» 16


«Non mettiamoci a discutere di questo» fece lei alzando la mano per zittirlo. «Ho troppe cose da pensare, adesso. Per favore, vai di sopra a finire la tua valigia. Ci ho già messo il vestito blu per il funerale, devi solo aggiungere qualche completo sportivo. Non ti chiedo molto.» «Quel che scelgo non ti piacerà comunque, e allora perché non ci pensi tu?» borbottò Dennis. Ma salì le scale e scomparve, mentre lei si avvicinava al telefono evitando di dargli la rispostaccia che le era venuta alle labbra. Ultimamente, ogni volta che erano nella stessa camera la tensione saliva fino a un passo dall'esplosione. E le cose erano peggiorate negli ultimi giorni, dopo la morte di Merry. Birdie si fermò. Erano davvero solo quattro giorni che Merry era morta? Era stata una serata simile a tante altre, senza nessun tipo di premonizione. Birdie aveva sempre pensato che avrebbe sentito in qualche modo se una persona cara stava morendo, specialmente se si fosse trattato di una delle sue sorelle, ma evidentemente non era così. Si era infilata sotto le coperte come sempre, aveva dato la buonanotte a Dennis ed era piombata in un sonno profondo. La telefonata di Rose l'aveva svegliata poco dopo le undici. I polmoni di Merry si erano di nuovo riempiti di fluido dopo l'ultima influenza, e lei aveva difficoltà a respirare. Le complicazioni di quel tipo non erano insolite per Merry, dopo il danno subito quand'era bambina, e il medico curante stava andando a controllarla; ma Rose voleva l'aiuto di Birdie. Lei si era alzata e vestita in un attimo, si era fatta una tazza di caffè, aveva telefonato a un collega perché la sostituisse la mattina dopo ed era partita. Quando, però, era arrivata nella casa della sua infanzia, quattro 17


ore dopo, aveva capito immediatamente che era troppo tardi. Rose l'aveva accolta con il viso devastato dalle lacrime e gli occhi arrossati, ma la sua voce era calma e serena come sempre. «La nostra Merry non c'è più, Birdie. È stata una cosa improvvisa, non avresti potuto far niente. Si vede che era giunto il suo momento. No, non fare così... non ha sofferto, davvero. Sai com'era la nostra Merry... se n'è andata con il sorriso sulle labbra.» Birdie si asciugò gli occhi con mano tremante. Erano passati quattro giorni, ma lei non riusciva ancora a convincersi che sua sorella fosse morta. E continuava a pensare che tutti loro le avevano permesso di andarsene. Rose avrebbe dovuto chiamarla non appena l'influenza di Merry era peggiorata. Il suo medico avrebbe dovuto ricoverarla in ospedale al primo segno di fluido nei polmoni. E lei... lei non avrebbe dovuto perdere tempo con la telefonata al collega, o con la tazza di caffè. Il senso di colpa la teneva sveglia la notte e la tormentava di giorno. Se avesse fatto più in fretta, se avesse spinto a fondo l'acceleratore, se avesse superato il limite di velocità, forse avrebbe potuto salvare sua sorella. Jillian DuPres Cavatelli Rotschild Season premette il campanello per chiamare lo steward. Gli altri passeggeri si stavano risvegliando a poco a poco, ma l'aereo era un disastro. Otto ore di convivenza forzata avevano lasciato il segno, e l'enorme abitacolo sembrava provato quanto i suoi 178 occupanti. Jilly suonò di nuovo, e finalmente apparve un ragazzo biondo con un'orrida camicia a righe blu e bordeaux. Aveva lunghe ciglia per le quali una modella 18


avrebbe fatto carte false, ma si vedeva che era stanco e stufo e non aveva nessuna voglia di essere cortese. «Vorrei uno scotch con ghiaccio, per favore» disse Jilly porgendogli una banconota. Lui aggrottò le sopracciglia. «Stiamo per atterrare, signora. Non le andrebbe invece un caffè?» Lei si raddrizzò sul sedile e gli scoccò uno dei suoi famosi sorrisi. «Se avessi voluto un caffè» dichiarò con voce flautata, «gliel'avrei chiesto. Invece vorrei una di quelle graziose bottigline di scotch con un po' di ghiaccio. Per favore.» Imbarazzato, lo steward lanciò un'occhiata furtiva all'anziana passeggera seduta accanto a Jilly, che non si perdeva una sillaba della conversazione. «Signora, ne ha già bevuti tre e non ha nemmeno toccato la cena» sussurrò con aria cospiratoria. Jilly si chinò in avanti e rispose nello tesso tono: «Lo so. Ma non mangio mai niente che non posso identificare». «È sicura di non volere un caffè, o magari un tè?» Jilly abbandonò l'atteggiamento amichevole. Era già abbastanza seccante viaggiare in classe turistica anziché in prima classe, dove nessuno avrebbe osato contraddirla. «Quel che vorrei davvero è una fottuta sigaretta, giovanotto. Ma siccome lei non me la lascia fumare, mi accontenterò di un whisky.» Poi si volse alla vecchia signora accanto a lei e disse: «Scusi la mia franchezza». Il giovanotto strinse la mascella, e Jilly capì che si tratteneva a stento dal risponderle a tono. Si stava preparando a una discussione quando la voce del comandante li informò che c'era una tempesta di neve su Chicago, e quindi sarebbero atterrati con molto ritardo. Dopo aver ascoltato il coro di proteste dei passegge19


ri, lo steward si sforzò di sorridere educatamente e disse: «Subito, signora». Jilly, che odiava sentirsi chiamare signora, madame, frau, o qualsiasi altro appellativo che la facesse sentire vecchia, fu quasi dispiaciuta per lui; ma non tanto da rinunciare al suo drink. Poco dopo la bottiglietta di whisky le venne servita accompagnata dai suoi cinque dollari. Evidentemente la compagnia offriva le bibite gratis per ricompensare i passeggeri del ritardo, pensò Jilly rimettendo la banconota nella borsa. Di questi tempi, ogni dollaro contava. La signora accanto a lei osservò in tono comprensivo: «È stato un viaggio faticoso, vero?». Jilly la guardò. Era minuta e sottile, con la pelle quasi trasparente coperta da una ragnatela di rughe, ma i suoi occhi azzurri scintillavano di vitalità e ricordavano il cielo blu di Parigi. Non immaginava nemmeno quanto lungo e faticoso fosse stato quel viaggio, pensò Jilly. E quanti secoli le sembrava fossero passati dall'ultima sigaretta. Fino alla chiamata era rimasta al bar a fumare come una locomotiva, per immagazzinare più nicotina che poteva prima delle otto ore di volo, e per calmare l'angoscia di tornare nella vecchia casa vittoriana della sua infanzia, colma di ricordi. Nessuno può davvero tornare a casa, diceva il proverbio. Lei avrebbe tanto voluto che fosse così, e infatti per ventisei anni aveva cercato di evitarlo: ma adesso era lì, a bordo del Boeing 747, e stava tornando per davvero. Tutti i suoi averi erano stati stipati in due enormi valigie Louis Vuitton. Aveva dovuto farsi prestare i soldi del biglietto da un'amica. Parigi-Chicago, sola andata. «Si sente bene?» domandò la sua vicina. Jilly si volse di nuovo a guardarla. Negli occhi az20


zurri c'era solo un autentico interesse, non curiosità o condanna per la scena di poco prima. «Sì, grazie. Sono solo stanca.» Jilly prese il bicchiere colmo di ghiaccio, ci versò il whisky e bevve un sorso. «È per via del suo lavoro? Si legge sempre di quanto le donne in carriera siano stressate.» Jilly emise una breve, amara risata. «No, non è per il lavoro. Purtroppo.» «Che lavoro fa, se non sono indiscreta?» «Sono una modella. E ho recitato in qualche film.» La donna sorrise compiaciuta. «L'avevo capito, sa. Lei è molto bella.» Jilly ricambiò il sorriso, riscaldata dal complimento. «Non più. Ormai sono in pensione.» E il suo sorriso si spense mentre ricordava i commenti delle varie agenzie. Sei ancora bellissima, Jilly, ma hai passato i quaranta. Sai com'è... le nuove leve hanno sedici, diciotto anni... E lei capiva benissimo. Nel suo campo, l'età era una malattia professionale. «Sono troppo vecchia» aggiunse. Dirlo a una perfetta estranea non era così difficile. La donna rise scuotendo la testa. «Che buffo. Stavo giusto pensando quanto mi sarebbe piaciuto essere di nuovo giovane come lei!» Le batté un colpetto amichevole sulla mano e aggiunse: «Vede che Einstein aveva ragione? Tutto è relativo». «Cioè, l'erba del vicino è sempre più verde?» fece Jilly. La cosa non la consolava per niente. «No, mi riferivo proprio alla teoria della relatività, a come osservatori diversi possono descrivere la stessa cosa in modo diverso. Dalla mia posizione nell'universo, lei è giovane, bella e piena di vita. Dalla sua posizione...» Con il dito deformato dall'artrite indicò una 21


ragazza sui vent'anni e disse: «Immagino che lei veda quella ragazza giovane e bella, vero?». Jilly guardò la ragazza, il suo viso luminoso privo di trucco, la figura sottile e soda. E annuì con un sorrisetto. «Vede come tutto è relativo. Perché pensa che le donne anziane amino stare insieme? Perché si vedono ancora belle e giovani, insomma viaggiano alla stessa velocità.» Rise di nuovo, poi riprese: «Qualcuno avrebbe dovuto spiegarmi la teoria di Einstein quand'ero giovane. Mi avrebbe insegnato a essere più accomodante, a capire meglio il punto di vista degli altri, e questo mi avrebbe evitato un bel po' di guai. Ricordi quel che le dico, il modo in cui lei vede il mondo può non concordare con il modo in cui lo vedono gli altri, ma anche le loro osservazioni possono esser valide. Perciò, mia cara, per me lei è giovane e bella, e nessuno potrà mai convincermi del contrario». Jilly sorrise. «Per me la relatività si collega alle mie sorelle. E mi creda, vediamo il mondo in maniera molto, molto diversa.» «Dunque va a trovare le sue sorelle?» «Sì. Almeno, due di loro, perché la terza è appena morta. Torno a casa appunto per il suo funerale.» «Era la più vecchia di voi?» «No, la più giovane. Aveva appena trentadue anni, ma aveva dei seri problemi ai polmoni e alla fine hanno ceduto.» «Oh, mi dispiace tanto. La morte è sempre una cosa triste, ma una morte prematura è ancora più tragica. I funerali possono essere devastanti, sa. Usi questi momenti per raccogliere le forze.» E con un ultimo colpetto alla mano di Jilly, la signora tornò al suo libro. Jilly fissò il liquido ambrato nel bicchiere e bevve 22


un lungo sorso, pensando alla piccola Merry che se n'era andata. Era strano definire piccola una giovane donna di trentadue anni, ma lei aveva sempre pensato a Merry in quei termini. Povera, tenera Merry... Il senso di colpa che provava guardando i suoi occhi ingenui e scintillanti d'affetto era così doloroso che infine l'aveva portata al di là dell'oceano. Eppure adesso aveva traversato di nuovo quell'oceano, e per una sorta di giustizia poetica l'aereo volava in circolo sopra l'aeroporto, proprio come i suoi pensieri tornavano sempre alle stesse storie del passato. Infine l'altoparlante gracchiò di nuovo. «Signore e signori, buone notizie. La pista dell'aeroporto O'Hare si è liberata e abbiamo ricevuto il permesso di atterrare. Nel ringraziarvi per la vostra pazienza vi preghiamo di tornare ai vostri posti e di allacciare le cinture di sicurezza.» Jilly prese la grande borsa di Prada da sotto il sedile ed estrasse la busta del trucco. Per lei, rifarsi la faccia era una seconda natura, un modo di costruirsi un'armatura contro il mondo nemico. Vide nello specchietto gli occhi verdi che un tempo erano stati definiti invitanti e sensuali, ma adesso erano solo stanchi e induriti dall'esperienza. Eliminò gli sbaffi di rimmel e applicò un po' di fard alle guance. La sua pelle era ancora liscia e soda, ma non più così bella. E lei la odiava. Le distanze avevano diminuito le emozioni, ma non le avevano mai curate del tutto: e adesso stavano riaffiorando tutte alla superficie, più turbolente che mai. Adesso che, dopo anni di lontananza, Jilly tornava a casa per restarci.

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2 «Oh, finalmente!» esclamò Rose con gioia abbracciando Birdie. «Entrate, entrate!» E si fece da parte per far entrare la sorella, che aveva il naso rosso per il freddo e teneva la testa affondata nel colletto del cappotto come una tartaruga. «Ehi, ma', io mi sto congelando!» Le due sorelle scoppiarono a ridere e lasciarono entrare Hannah, accompagnata da uno sbuffo di vento gelido. Rose richiuse la porta alle spalle di Dennis, notando che le loro facce erano tese e cupe, come se avessero litigato. Sorrise e ascoltò il racconto frammentario del loro viaggio. «Dio, che traffico... file di macchine... a passo d'uomo... un incidente dopo l'altro...» Poi li condusse in soggiorno, dove la luce soffusa degli abat-jour creava un'atmosfera accogliente. Nell'aria aleggiava il profumo dell'arrosto. Le Quattro Stagioni di Vivaldi, una specie di inno di famiglia, suonava lieve in sottofondo. Sul tavolo formaggi, cracker e crudité aspettavano disposti su vassoi d'argento. Rose notò con gioia che i suoi sforzi per rendere accogliente la casa avevano avuto successo, e che la tensione svaniva a poco a poco dalle facce dei nuovi arrivati. «Quanti fiori!» esclamò Birdie ammirando le nume24


rose composizioni e leggendo i biglietti che le accompagnavano. «Ne arrivano in continuazione. I medici di Merry, vecchi amici di papà e mamma, i vicini. Non sapevo che la ricordassero in tanti. Non vedeva molta gente, ma era comunque benvoluta da tutti.» «Zia Merry amava i fiori» disse Hannah, solenne. Birdie continuò a osservare la grande camera, notando che le colonnine, le torrette, i magnifici rivestimenti di legno alle pareti erano in cattivo stato, e che la casa aveva un'aria mesta e trascurata. Era troppo grande e troppo costosa per viverci, e aveva prosciugato praticamente fino all'osso il fondo fiduciario di Merry. Spesso lei aveva suggerito a Rose di venderla e trasferirsi in una casa più piccola e meno impegnativa, ma Rose aveva sempre sostenuto che per Merry un trasloco sarebbe stato traumatico. In realtà Birdie sapeva che la prospettiva di lasciare la casa paterna terrorizzava Rose quanto e più di Merry; e i sentimenti di sua sorella meritavano ogni considerazione. Aveva preso il suo compito sul serio, e la casa, benché in vistoso decadimento, era immacolata. Ogni rifinitura in ottone, ogni cristallo, ogni pannello di legno risplendeva e profumava di pulito. Ma Birdie guardava il tutto con occhio pratico e spassionato, conscia del fatto che prima di vendere quel mausoleo avrebbero avuto un bel po' di lavoro da fare. «Volete qualcosa da bere?» domandò Rose. «Magari un bicchiere di vino? Hannah, ti va una Coca?» «Una birra, se ce l'hai» rispose Dennis. «Per me niente» fece Hannah richiudendosi in se stessa come sempre. «Io vado di sopra. Dove dormo, zia Rose?» «Ho messo i tuoi nella stanza degli ospiti, sicché tu 25


puoi scegliere tra il divano letto in biblioteca e la camera di Merry.» «Prenderò il divano letto.» «Ho pensato che avresti preferito. Ti ho preparato lenzuola e coperte.» «Mi hai messo nella camera degli ospiti?» domandò Birdie chiaramente seccata. Rose si sentì rizzare i capelli sulla nuca ma la guardò fermamente negli occhi. «Sì. E ho messo Jilly nella sua vecchia camera. Vado a prendere la birra.» Birdie strinse le labbra ma non disse altro e seguì Rose nell'immensa cucina, che era ancora arredata con gli stessi semplici mobili in legno bianco di quand'erano bambine. L'unico cambiamento era un grosso frigorifero in dispensa, che Rose aprì per prendere la birra e una bottiglia di vino bianco. «Hai notizie di Jilly?» domandò Birdie. «No. E meno male che non siete andati a prenderla in aeroporto» fece Rose. «Avevi ragione, il notiziario dice che ci sono stati dei ritardi terribili e che potrebbero perfino chiudere l'aeroporto.» «Non mi sorprende, il tempo è davvero orribile.» «Sono preoccupata» riprese Rose. «Ho chiamato le linee aeree decine di volte, ma loro mi hanno saputo dire soltanto che il volo di Jilly è in attesa. Però pare che gli diano il permesso di atterrare, il che è già un sollievo.» Stappò il vino mentre Birdie prendeva i bicchieri nella credenza. «Pensa che disastro se avessero dirottato il volo su un altro aeroporto... e magari Jilly non sarebbe riuscita ad arrivare in tempo per il funerale!» «Oppure avrebbe fatto un'entrata trionfale come piace a lei.» Rose ridacchiò versando il vino. «Sei cattiva.» 26


«Lo so, non volevo... be', almeno non tanto.» Sopra l'orlo del bicchiere, gli occhi di Birdie ammiccarono divertiti. «Te la immagini su quell'aereo? Dev'essere fuori di sé. Ti ricordi come faceva sull'autobus nelle ore di punta?» Rose rise di gusto per la prima volta da giorni, ricordando Jilly che balzava in piedi, premeva il pulsante della portiera ed esigeva che la lasciassero scendere, poi si allontanava marciando impettita con i capelli rossi che fiammeggiavano dietro di lei come una cascata di fuoco. Birdie e Rose la seguivano con gli occhi dal finestrino finché l'autobus non si muoveva di nuovo, poi se la indicavano ridendo mentre le passavano accanto. Ma lei non le guardava mai. «Pensa a quelle povere hostess» fece Birdie inarcando le sopracciglia. «Ma bisogna ammettere che starsene a volare in tondo lassù non è divertente. Arriverà qui esausta e di umore pessimo. Io non dovrei parlare, perché viaggiare in macchina stasera è stato un vero incubo e sono stata odiosa. A un certo punto ho pensato che prima di arrivare avrei ucciso mia figlia.» Bevve un altro sorso e continuò: «Ti avviso, Hannah è in un periodo nero». «Povera piccola» disse Rose con calore. «Infatti ha l'aria infelice.» «Lo è. Perennemente.» «Ma sta bene?» «Sì, benissimo» tagliò corto Birdie che non voleva farle capire di avere dei problemi in famiglia. «Questa dev'essere la prima volta che si trova a contatto con la morte. Era troppo piccola quando è morta la mamma.» «È vero. Sembrava chiusa in sé come al solito, e io non ho pensato che fosse per questo.» Birdie si mas27


saggiò le tempie e aggiunse: «A dirti la verità nemmeno io riesco ad accettarlo. Continuo a pensare a com'è stato improvviso, e che se magari io fossi stata qui...». «No, Birdie» disse Rose fermamente. «C'era il suo medico, e non c'è niente che tu avresti potuto fare.» Le strinse una mano, la fissò negli occhi e disse: «So quel che stai pensando. Che avresti potuto salvarla. Ma ti sbagli, questa volta non potevi far niente». Birdie si agitò a disagio e cercò di ritirare la mano, ma Rose la tenne stretta finché lei non ebbe afferrato il messaggio. Infine fece un cenno di assenso e Rose la lasciò, con un piccolo sorriso imbarazzato. Birdie trasse un respiro profondo e disse: «E così adesso siamo qui a organizzare il suo funerale». «Già.» «Mi dispiace che sia toccato a te controllare tutti i dettagli» riprese Birdie. «Ho cercato di arrivare prima, ma il traffico era pazzesco e...» «Non scusarti. Avevo bisogno di qualcosa da fare.» «Sai, sono preoccupata per il pranzo da Alfredo. Ho telefonato prima di partire da Milwaukee per controllare la nostra prenotazione, e ho parlato con una scema che mi ha detto che non c'era nessuna prenotazione. Pensa che idiota! Non ho avuto tempo di parlare con il direttore, ma le ho detto di controllare meglio perché c'era sicuramente un errore, e che ci saremmo sentite appena arrivavo qui. Hai il numero sottomano? Sono sicura che va tutto bene, ma è meglio che dia un colpo di telefono e...» «Birdie» la interruppe Rose piluccando l'orlo di una presina. Aveva sperato di arrivare all'argomento quando la sorella si fosse rilassata un po', magari dopo un altro bicchiere di vino. «Non hanno fatto nessun errore. Sono io che non ho mai prenotato.» 28


Prossimo mese Due voci uniche, due storie che sapranno coinvolgervi fino all'ultima pagina. Emily Richards accompagnerà il lettore in un viaggio che attraversa mezzo mondo. Una lettera dall'Irlanda getterà una nuova luce sul passato della famiglia Donaghue. Un'altra storia ad alta tensione e un crime riuscitissimo, invece, per l'affermata Brenda Novak alla prese con lo Strangolatore di Sandpoint. Tutto fa pensare che sia tornato, ma forse non è così.




Questo volume è stato stampato nel dicembre 2017 da CPI, Barcelona


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