JENNIFER ASHLEY
Le verità svelate
Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: Murder in the East End Berkley An imprint of Penguin Random House LLC © 2020 Jennifer Ashley Traduzione di Rossana Lanfredi Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. Harmony è un marchio registrato di proprietà HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved. © 2021 HarperCollins Italia S.p.A., Milano Prima edizione I Grandi Romanzi Storici novembre 2021 Questo volume è stato stampato nell'ottobre 2021 da CPI Black Print, Spagna, utilizzando elettricità rinnovabile al 100% I GRANDI ROMANZI STORICI ISSN 1122 - 5410 Periodico settimanale n. 1281 del 10/11/2021 Direttore responsabile: Sabrina Annoni Registrazione Tribunale di Milano n. 75 dello 01/02/1992 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distribuzione canale Edicole Italia: m-dis Distribuzione Media S.p.A. Via Carlo Cazzaniga, 19 - 20132 Milano HarperCollins Italia S.p.A. Viale Monte Nero 84 - 20135 Milano
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Febbraio 1882 «Lui chiede di voi, Mrs. H.» Di solito queste parole, pronunciate da un giovane di nome James, figlio del mio caro amico Daniel McAdam, mi provocavano un fremito di gradevole anticipazione. Non parlavo con Daniel da diverse settimane poiché era in viaggio, questa volta in Irlanda. Quella sera, tuttavia, avrebbe dovuto aspettare. La cucina della casa di Mount Street, dove lavoravo come cuoca, era in fermento; il forno era rovente come la fucina di un fabbro mentre io cuocevo carni, dolci e gustose salse più rapidamente che potevo con l'aiuto della mia assistente Tess. Gli odori della carne arrostita e dello zucchero caramellato si mescolavano con quelli delle verdure bollite e del pesce rosolato. Avevo assoldato Charlie, il ragazzo che si occupava dei camini, per farmi aiutare con la pelatura e l'affettatura. Cameriere e domestici andavano e venivano ed Elsie, la sguattera, lavava piatti con l'energia di un marinaio che puliva il ponte. «Tuo padre è arrivato proprio in un brutto momento» gridai a James mentre versavo il sugo di una padella su un'oca arrosto già sistemata su un vassoio, e la 5
circondavo di patatine novelle bollite. «Per favore, digli che Mrs. Bywater ha deciso di organizzare una cena con ballo, dandoci appena mezza settimana di preavviso. Quasi tutta Mayfair adesso si trova al piano di sopra e tenta di danzare il valzer in quello che era il salotto. Il cibo deve arrivare di continuo, ha detto Mrs. Bywater, come se fossi l'uomo del pesce e delle patatine fritti.» Sbattei il cucchiaio sulla padella, poi la spinsi verso Elsie, che la portò di corsa nel retrocucina. James non si offese per le mie parole brusche. Si spostò da un lato per far passare Elsie, quindi l'aiutò a tenere in equilibrio la padella fino all'acquaio, con grande gioia della ragazza. «Quando avete finito, intende» rispose allegramente di sopra una spalla. «Posso fare qualcosa per aiutarvi, Mrs. H.?» Era davvero un giovanotto delizioso. Andava per i diciassette ormai ed era di un buon piede più alto della prima volta che lo avevo incontrato. Fui lieta di vedere che la giacca e i pantaloni gli coprivano interamente le lunghe braccia e le gambe, abiti nuovi da quel che sembrava, o per lo meno robusti capi di seconda mano. Mi asciugai il volto madido di sudore con la manica. «Prendi l'altra estremità di questo vassoio che porteremo sul montavivande. E per l'amor del cielo, non rovesciare niente. Qui dentro c'è il lavoro di un'intera giornata.» James sollevò senza sforzo la sua estremità del vassoio sul quale era sistemata l'oca; era forte, e quasi me lo fece cadere di mano. Io gli lanciai un'occhiata esasperata e lui, con un sogghigno, abbassò il piatto alla mia altezza. Finalmente l'oca fu sana e salva sul portavivande e James azionò le corde per farla andare di sopra. A quel punto potevo soltanto sperare che i valletti al piano superiore la trattassero con la stessa nostra cura. 6
James non se ne andò, così approfittai spudoratamente di lui. Un altro paio di mani mi servivano. Tess e io avevamo passato gran parte del giorno precedente a preparare una grande torta a strati ricoperta di glassa e con decorazioni di zucchero filato. Entrai nella dispensa, dove l'avevo riposta, e la trovai abbassata al centro, con la glassa e lo zucchero quasi sciolti e spezzati. Il mio urlo fece accorrere Tess. Quando vide il disastro, lo fissò costernata e le sue imprecazioni fecero ribollire l'aria. Non ebbi il coraggio di sgridarla per quel linguaggio. Molte delle parole che aveva usato erano le stesse che erano immediatamente venute in mente anche a me. «Non importa» gridai per sovrastare la sua voce. «Dobbiamo mandare su qualcosa. Aiutami.» Nel corso della mezz'ora successiva, riuscimmo a fare una specie di miracolo, e sul montavivande andò una grossa charlotte messa insieme con le mele che avevo cotto in precedenza e i savoiardi rimasti nella dispensa. La circondai con piatti di macaron per gli appetiti più delicati e vi affiancai la torta al rabarbaro che avevo preparato per la servitù. Avrebbe dovuto essere un premio per il nostro duro lavoro, ma la necessità esigeva che vi rinunciassimo. Una volta preparato tutto il cibo, tuttavia, Tess e io non potemmo permetterci di crollare, poiché si doveva pulire la cucina e organizzarla per la mattina seguente. Io avrei dovuto cucinare per la famiglia e gli ospiti anche tutto l'indomani, per non parlare dei domestici. James nel frattempo era sparito, ma non me la sentii di portargli rancore per la sua fuga. Mentre strofinavo il tavolo per averlo pulito l'indomani, uno dei valletti fece irruzione nella cucina senza fiato. Era uno dei nuovi, di quelli che in casa tendevano ad arrivare e andar presto via. Mrs. Bywater era un 7
po' tirchia e un datore di lavoro doveva pagare una tassa extra sui domestici maschi di qualunque tipo, poiché erano considerati un lusso. Perciò la signora, una volta che i giovanotti avevano acquisito un poco di esperienza, li incoraggiava a cercare impiego in altre dimore, mentre le cameriere si accollavano il lavoro in più. Dei domestici che si erano susseguiti da quando ero arrivata, restava il solo Paul. Questo valletto, dunque, che rispondeva al nome di Hector, si precipitò in cucina, poi di colpo si fermò, senza dubbio rammentandosi il mio ordine di non invadere il mio territorio. «Chiedono di voi, Mrs. Holloway» annunciò, gli occhi sgranati. «Quelli di sopra.» Io continuai a strofinare, non vedendo la ragione di tutta quella eccitazione. «Per fare cosa di preciso? Se vogliono che mandi su altro cibo, dovranno aspettare qualche minuto. Sono in ritardo.» Hector mi guardò, confuso. Non ritenevo che sarebbe durato molto sotto la ferma guida di Mr. Davis, il nostro maggiordomo, e l'occhio acuto della nuova governante, Mrs. Redfern. «Voglio dire che vi chiedono di salire. Mr. Davis mi ha mandato a chiamarvi.» «Ooh.» Tess, tornata calma, sollevò lo sguardo dalla ciotola che stava grattando. «Scommetto che vogliono farvi i complimenti, Mrs. H.» Le cuoche in genere restavano anonime nelle cucine, cosa che io preferivo, ma talvolta venivano convocate nella sala da pranzo, dove il signore o la signora, o i loro ospiti, le ringraziavano per il pasto. Oppure le rimproveravano per le loro mancanze. Io non gradivo quelle rare convocazioni al piano superiore, preferivo restare in cucina e continuare a fare il mio lavoro. Ma era la padrona a decidere se potevo tenere il posto oppure cacciarmi, così sospirai, mi tolsi 8
il grembiule e tentai di sistemarmi i capelli. Un'altra ragione per cui detestavo essere chiamata nella sala da pranzo era che, dopo avere cucinato, mi sentivo sudata, unta e in disordine. Mi ripulii le maniche meglio che potei e mi raddrizzai la cuffietta. «Aspettate.» Tess si umettò il pollice e mi tolse una macchia dalla guancia. «Ecco» proclamò. «Siete perfetta. Forse uno di loro vi darà la mancia.» Gli invitati a volte elargivano qualche moneta a un domestico che li aveva particolarmente soddisfatti e a me quei premi non dispiacevano... una donna nubile e con una figlia da crescere non poteva disdegnare uno scellino o due in più. Ma stare di fronte alla compagnia che mi esaminava non era proprio di mio gusto. In ogni caso, una volta che Tess mi ebbe lasciata, andai di sopra. Le scale di servizio portavano al retro della dimora e la porta si apriva su un ampio corridoio che conduceva alla parte anteriore. Un tempo, in realtà, c'erano state due abitazioni, poi un precedente proprietario aveva fatto abbattere certi muri per creare una sola, lussuosa residenza. Quella sera gli invitati affollavano la casa, colmando l'atrio e spostandosi di stanza di stanza. In pochi parvero notarmi, e coloro che lo fecero mi ignorarono. Una domestica non valeva nemmeno uno sguardo. Mr. Davis mi vide e mi fece cenno di entrare nella sala da pranzo. La tavola era stata trasformata in un lungo buffet, traboccante di cibo che gli ospiti potevano portare nelle altre parti della casa. Il maggiordomo, i capelli scuri brillanti di pomata, il parrucchino perfettamente a posto, la giacca con la doppia coda di squisita fattura, si avvicinò a Mrs. Bywater, che si intratteneva con un gruppo di invitati vicino alla tavola, sulla quale vidi i resti del mio banchetto, compreso l'arrosto d'oca. 9
«Mrs. Holloway, signora» annunciò Mr. Davis. Mrs. Bywater, che si vantava di vestirsi come una matrona senza grilli per la testa, indossava un semplice vestito marrone e sul capo aveva una specie di borsa che avrebbe dovuto essere un turbante. Le sue amiche erano più alla moda, alcune nel nero o grigio del lutto o mezzo lutto. «Ecco la nostra cuoca» dichiarò. «Responsabile della nostra eccellente cena.» Il gruppetto che la circondava proruppe in un cortese applauso e io feci la riverenza, cercando di sembrare riconoscente e di nascondere il mio imbarazzo. Una delle dame, i capelli grigi acconciati in fitti riccioli, sollevò il piccolo binocolo per scrutarmi. «Deve essere terribilmente costosa.» «Siamo molto parchi con i salari della servitù» replicò Mrs. Bywater, riuscendo ad apparire orgogliosa e umile nello stesso tempo. «Ma si può fare molto con un'accurata pianificazione e Mrs. Holloway è capace nei suoi acquisti.» Era la prima volta che la mia padrona mi riconosceva un simile merito, anche se non fui particolarmente lieta del suo complimento. Sapevo che parlava così soltanto per impressionare le amiche. «È molto giovane.» Il piccolo binocolo scivolò lungo la mia persona. «Personalmente preferisco una donna robusta con molti capelli grigi. Così si è certi della sua esperienza. Questa qui non deve avere molto più di vent'anni.» Mr. Davis emanava disapprovazione da tutti i pori; considerava fuori luogo discutere non solo le spese, ma anche le capacità della servitù, in particolare davanti ad altri domestici. Io ero giovane, certo, soprattutto per lavorare come cuoca in un'elegante residenza di Mayfair. Il Mrs. davanti al mio nome era un segno di rispetto dato alle 10
persone di servizio di grado più elevato, e se la gente presumeva che un tempo fossi stata sposata, io non dicevo niente per dissuaderla da quella idea. Una nuova voce si unì alla conversazione. «Mrs. Holloway ha trent'anni. Un'età giusta, direi.» Lady Cynthia Shires, nipote di Mr. Bywater e figlia di un conte, si fermò accanto a Mrs. Bywater e scoccò alla matrona con il binocolo uno sguardo attentamente valutatore. Io nascosi la mia sorpresa nel vederla. Come ben di rado accadeva, Cynthia indossava uno splendido vestito, il più bello della sala. Di recente era uscita dal lutto per la morte della sorella e il suo abito da sera era molto colorato, quasi lei volesse compensare il lungo periodo di grigi e di neri. Sotto un corpetto rosa, la gonna era di seta color crema, con un piccolo strascico e guarnita di nastri arricciati e rosette di tessuto. I capelli biondi erano raccolti nel solito, semplice nodo, particolarmente elegante in una stanza colma di turbanti con diamanti incastonati, di fasce traboccanti di fiori e di trecce e riccioli artificiali ornati di piume. Cynthia incontrò il mio sguardo, una luce maliziosa negli occhi. Di solito preferiva girare per casa in abiti maschili, quindi il fatto che avesse scelto un abito tanto incantevole significava che aveva in mente qualcosa. Una giovane donna la raggiunse, facendo scivolare la mano nell'incavo del suo braccio. Aveva i capelli scuri ed era molto bella. Del termine bella, a mio parere si abusa quando ogni giovane che debutta in società viene così definita, a prescindere dal suo vero aspetto, ma quella donna era un'eccezione. Doveva avere più o meno la mia età, pensai. I suoi capelli scuri erano raccolti in riccioli sulla nuca, trattenuti da una sottile catena d'oro. Il vestito color crema denotava un'eleganza poco vistosa, con il sellino piccolo e senza la gran quantità di nastri, ricami 11
o applicazioni che le altre dame esibivano quella sera. Era un abito da ballo, non c'era dubbio, ma di ottimo gusto e semplice. «Le crocchette di aragosta erano eccellenti, Mrs. Holloway» mi disse. Io le feci la riverenza, un poco diffidente, ma non parlai. Dovevo rispondere soltanto se mi veniva posta una domanda diretta. «Non gustavo un cibo così delizioso da anni» continuò lei. «Una bella sorpresa.» Io annuii in segno di ringraziamento, cercando di distogliere lo sguardo come doveva fare un domestico bene addestrato, ma non potei evitare di lanciarle un'occhiata carica di curiosità. Non avevo idea di chi fosse; a giudicare dal modo in cui quasi si appendeva al braccio di Cynthia, dovevano essere care amiche. Lei mi studiò apertamente, ma con molta più cortesia di quanto avesse fatto la donna con il binocolo. Un'altra differenza tra questa incantevole dama e le altre nella stanza era che lei si rivolgeva direttamente a me e usava il mio nome. Mrs. Bywater parve ritenere che avessi ricevuto sufficienti apprezzamenti per una serata. «Grazie, Mrs. Holloway» dichiarò, e il suo tono significava che ero congedata. Io feci un'altra riverenza alla compagnia, scoccai un'ultima occhiata all'amica di Cynthia e uscii con calma dalla sala. Non corsi a rintanarmi nel mio buco, ma me ne andai con la testa alta e tutta la mia dignità al posto giusto, accettando le lodi per il mio lavoro senza falsa modestia. Avrei tuttavia gradito uno scellino o due. I complimenti vanno bene, ma scellini e penny sono molto più beneaccetti. Fu solo dopo mezzanotte che potei appendere al 12
gancio il grembiule, lavarmi mani e faccia nell'acquaio del retrocucina, indossare cappotto e cappello e andare a incontrare Daniel. Fuori, febbraio scrosciava di una pioggia che rendeva la notte fredda e umida. Mi infilai i guanti e chinai la testa per proteggermi dalle gocce battenti, cominciando a camminare a passo svelto. In quella notte bagnata c'era poco traffico, sia su ruote sia a piedi; gli abitanti di Mount Street erano saggiamente rimasti al riparo delle loro abitazioni. Anche io avrei dovuto restare in casa a dormire qualche ora, scusandomi con Daniel la prossima volta che lo avessi rivisto. Il fatto che invece mi affrettassi a testa china lungo South Audley Street diretta a Grosvenor Chapel era una testimonianza della mia curiosità e del mio affetto per lui. James mi aveva detto che il padre mi avrebbe aspettato là. Dubitavo che il ragazzo avesse inteso all'interno della chiesa, che infatti era chiusa. Percorsi allora un sentiero che correva lungo la bella cappella e finiva davanti al cancello di un giardino. Mi augurai che Daniel non avesse intenzione di fare conversazione sull'erba. Era terribilmente bagnata e io sentii arrivare uno starnuto. «Kat.» Era alle mie spalle. Mi girai, un po' sgomenta da quanto la sua voce mi mettesse allegria. Mi dissi che era perché non lo vedevo da settimane e naturalmente ero lieta di incontrarlo. Lui era fermo su una soglia aperta, la sua figura illuminata, il che significava che la chiesa non era proprio chiusa. «Mia cara Kat, venite via dalla pioggia» disse, allungando una mano verso di me. «E la prossima volta dite a James di mandarmi all'inferno e restate a casa.» 13
Prese la mia mano e mi attirò nello spazio illuminato, chiudendo la porta alle nostre spalle. Mi ritrovai in una stanzetta con armadi e mantelli appesi a ganci lungo le pareti... sagrestia, credo venisse chiamata. Il locale non aveva una stufa, ma l'assenza di pioggia e vento fu già un sollievo. Daniel indossava i suoi abiti da lavoro, ossia una giacca di lana con toppe sui gomiti, una camicia di lino, pantaloni al ginocchio lucidi di pioggia e pesanti stivali. Si era tolto il berretto, mostrandomi che i suoi capelli scuri erano cresciuti ancora di più durante la sua assenza. Se non altro quella sera era Daniel, il che significava che non dovevo fingere che fosse un gentiluomo della City, l'assistente di un prestatore su pegno o chiunque altri avesse deciso di essere. Si travestiva sempre quando lavorava per la polizia, ma io lo preferivo come il fattorino che avevo conosciuto alcuni anni prima, quando aveva scaricato un sacco pesante sul pavimento della cucina e mi aveva regalato un sorriso che non ho mai dimenticato. «Un simile linguaggio in una chiesa» lo rimproverai, liberando la mano. «Sono venuta perché sapevo che non avreste chiesto di me se non si fosse trattato di qualcosa di terribilmente importante.» «Vero. So che avete ben poco tempo libero.» Il suo sorriso un po' sbilenco era autocritico come sempre. Mi scossi la pioggia dalla gonna. «Be', è meglio che mi diciate di cosa si tratta. Domani devo alzarmi presto.» Quello che volevo che mi dicesse era che gli ero mancata. Forse poi mi avrebbe baciata e sarei tornata a casa tutta calda. Restai perciò un po' delusa quando dichiarò: «Ho bisogno che incontriate qualcuno». Attraversò la stanza e aprì una porta in fondo, poi 14
mise la testa dentro e parlò a voce troppo bassa perché potessi distinguere le parole. Poco dopo la porta si aprì di più ed entrò un uomo che non avevo mai visto. Era alto come Daniel e altrettanto grosso, ma la somiglianza fra i due finiva là. Se infatti il volto di Daniel era duro e squadrato, quest'uomo aveva guance affilate e lineamenti regolari, così regolari da renderlo alquanto attraente. I suoi capelli neri erano pettinati con cura e tirati indietro, e anche la barba era ben curata, scura e corta. Invece di abiti da lavoro, indossava un completo scuro con un collare, una striscia bianca e inamidata intorno al collo che dimostrava la sua appartenenza al clero. «Mrs. Holloway» disse Daniel in un tono freddo, «vi presento il reverendo Errol Fielding.» Fece una pausa. «Mio fratello.»
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