Miss oro nero

Page 1




Charlotte Lays

Miss Oro Nero


Miss Oro Nero © 2018 Charlotte Lays Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. Harmony è un marchio registrato di proprietà HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved. © 2018 HarperCollins Italia S.p.A., Milano Prima edizione Harmony Passion gennaio 2018 HARMONY PASSION ISSN 1970 - 9951 Periodico mensile n. 136 del 16/01/2018 Direttore responsabile: Chiara Scaglioni Registrazione Tribunale di Milano n. 71 dello 06/02/2007 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - Via Mondadori, 1 - 20090 Segrate (MI) Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 045.8884400 HarperCollins Italia S.p.A. Viale Monte Nero 84 - 20135 Milano


Dedica

A Paola.

Ama, ama follemente, ama piÚ che puoi, e se ti dicono che è peccato, ama il tuo peccato e sarai innocente. William Shakespeare



Prologo

Mi tappai il naso e mandai giù. Non mi sarei mai abituata al caffè arabo. Riuscivano a speziare anche quello. Miscela arabica un corno. Mi affacciai alla finestra della suite del Jumeirah e lasciai che lo sguardo rincorresse le piscine e le palme fino al mare cristallino del Kuwait. Non avrei toccato la spiaggia neppure stavolta. Se fossi stata fortunata, forse, mi sarei fatta coccolare nella spa durante una delle mie notti insonni. Il cellulare si illuminò per l'arrivo di un messaggio: «Siamo pronti». Morgan Nicks era la mia guardia del corpo e le sue parole erano ridotte all'essenziale. Grazie al cielo. Avevo già i miei genitori che parlavano della sicurezza come giradischi incantati. Apprezzavo che Morgan agisse, senza stare a spiegarmi troppe cose. Lo raggiunsi nella hall dell'albergo dove oro, marmo e sete pregiate la facevano da padroni. Lo sfarzo arabo, ormai, non era secondo a nessuno, anche se i russi stavano guadagnando terreno e a breve avrebbero potuto mettere a rischio il primato. Fummo scortati a un eliporto privato e decollammo alla volta dell'Arabia Saudita. Mentre eravamo in volo controllai le quotazioni del Brent Blend e l'apertura delle borse. Aprii la pagina del New York Times e mi sentii mancare. 7


Il noto neurochirurgo Gerard Gordon lotta tra la vita e la morte al Lenox Era il titolo in prima pagina. Solo leggendo l'articolo appresi che quella pazza di Ophelia aveva tentato di uccidere la figlia, Olyvia Cardoso, una delle mie migliori amiche, una delle mie sorelle per scelta. Le circostanze non erano specificate. «Dio mio» mormorai ansiosa e la mia guardia del corpo mi scrutò interrogativo. Il cuore mi batteva all'impazzata in preda alla preoccupazione per una delle persone più care che avevo. Olyvia era ferita? Il giornale non accennava a niente. Perché le altre non me lo avevano detto? Forse volevano solo lasciarmi tranquilla? Sapevano quanto fosse importante quel viaggio in Medio Oriente. Lavoravo a questo incontro da mesi e le ragazze erano informate di quanto fosse stato difficile convincere gli arabi ad accettare una donna nelle trattative. Forse. La rabbia si impossessò di me ugualmente. Era mai possibile che chiunque avessi intorno volesse proteggermi? Ero vittima di costanti minacce alla mia persona e la parola rapimento aleggiava da sempre nella mia vita come uno spettro che aspettava solo il momento giusto per attaccare. Questo era lo scotto da pagare per essere nella classifica delle persone più ricche del globo. La notorietà legata al denaro da sempre attiva le peggiori fantasie... nei peggiori soggetti. C'era poco da invidiarmi, dunque: dormivo con le luci accese come se avessi tre anni e avevo gli incubi quasi tutte le notti. Senza contare le persone che mio padre aveva messo alle mie calcagna. Nonostante questo, però, guardavo avanti. «Mentre sono in riunione voglio che ti informi per bene su tutta questa storia» gracchiai nelle cuffie. Morgan annuì in risposta. Insieme a cinque sceicchi, due petrolieri russi e tre americani, sarei stata scortata in un luogo segreto, nel deserto, per trovare un accordo sulle quote di mercato dell'oro nero. Riuscire a smuovere arabi e russi dalle loro convinzioni era un'impresa titanica. Specialmente in un periodo di crisi 8


come quello che stava vivendo l'economia globale in quegli anni. Tre Hummer blindate ci aspettavano ai limiti della piazzola. Prima di scendere indossai il giubbotto antiproiettile e feci calare sulla mia testa il burqa. Gli occhi verdi furono schermati da una fitta rete. Mi premetti il tessuto sulla bocca e sul naso per non respirare la tempesta di sabbia che le pale del mezzo sollevavano senza pietà. Facevo respiri profondi mentre mi sottoponevo a quel supplizio, ma ero troppo chiara di pelle e di capelli per stare a volto scoperto in quel posto sperduto dell'Arabia Saudita. Quel pezzo di stoffa era un provvedimento necessario. Salii sulla jeep più vicina e Morgan si accomodò accanto al guidatore. «Li bendiamo?» domandò in arabo una guardia mentre mi chiudeva lo sportello. «Non serve» rispose un altro che si sistemò accanto a me. «Siamo in mezzo al nulla e non percorreremo strade battute.» «Dove sono gli altri?» chiesi in inglese. Non facevo quasi mai capire che conoscevo la loro lingua, altrimenti non avrebbero detto più niente e li avrei fatti innervosire. Nessuno rispose e vidi le spalle di Morgan irrigidirsi. Qualcosa non gli tornava. Il blindato che viaggiava davanti al nostro ci immergeva in una nuvola di polvere talmente fitta che ci impediva di vedere qualsiasi cosa ci fosse intorno. Il nostro autista era concentrato sui fari posteriori. La strada iniziò a essere sempre più dissestata e irta di ostacoli. Sobbalzavo sul sedile nonostante la cintura di sicurezza. «Non mi piace questa storia.» Sentii il mormorio minaccioso dell'uomo che aveva il compito di proteggermi. Vidi la sua testa rasata voltarsi di scatto verso di me, ma fu solo una frazione di secondo, poi un boato raggelante precedette l'urto che mi sbalzò contro il finestrino e un dolore intenso mi trapassò la tempia. Avrei voluto chiamare Morgan. Era lui che mugolava 9


qualcosa che non capivo? Volevo parlare, giuro. Ma non riuscivo ad articolare una sillaba. Sentivo solo la testa pulsare al ritmo forsennato del mio cuore. Udii lo sportello che si apriva e il mio capo cadde nel vuoto. Mani pesanti e insistenti si mossero maldestramente sul mio corpo alla ricerca del gancio della cintura di sicurezza. Strizzai gli occhi appena il burqa mi fu sollevato dal viso. «È lei. Portiamola dal capo» ordinò una voce dura. Provai ad aprire gli occhi, ma una coltre nera mi piombò sul viso. L'odore della polvere mi pungeva il naso. Il sapore del sangue mi riempiva la bocca. Puntai i piedi invano sul terreno impervio e mi dimenai come una disperata. «E basta...» Fui strattonata. Lottai di nuovo. «Come vuoi tu...» Sentii un ago penetrarmi la carne del braccio e un liquido bruciarmi i tessuti via via che veniva iniettato con forza. Mi svegliai per l'arsura che mi bruciava la gola. Rapimento. Aprii gli occhi. Buio. Tutto rimase nero come la notte e nonostante quello la testa mi faceva male. Mi sentivo come galleggiare. Mi avevano drogata. Rapimento. Allungai le mani e tastai quello che avevo intorno. A fatica mi sedetti con le spalle al muro, scivolando su un pavimento vischioso. Inspirai dal naso e il tanfo di urina e sudicio mi provocarono un conato. Espirai dalla bocca. Il cuore rintoccava nelle tempie che già pulsavano di un dolore lancinante. Mi impegnai a tenere a bada il panico, ma ormai era tardi. Lo stomaco si era serrato e avevo voglia di vomitare qualcosa che non era dentro di me. I miei palpiti erano irregolari. Il respiro intermittente. 10


Rapimento. La parola riecheggiava nella mia testa. Alla fine, era accaduto. L'incubo si era avverato come una profezia sinistra. Qualcosa squittì alla mia destra. Strillai. Il topo fuggì via. Da qualche angolo provennero delle risate come eco del mio terrore. «È inutile che fai casino. Li fai solo divertire, principessa.» Una voce profonda e oscura rimbalzò tra le pareti che mi soffocavano. La lama di luce che filtrava da sotto la porta mi permise di intravedere un'ombra muoversi. Il terrore dilagò dentro di me. I suoi artigli si serrarono attorno alla mia gola. Iniziai a tremare. Il cervello smise di ragionare. L'ombra si avvicinò ancora. L'ombra iniziò a toccarmi. L'ombra continuava a chiamarmi principessa. Mi immaginai di essere a casa. A New York. Seduta sul divano del mio terrazzo che affacciava su Central Park. Le mie amiche mi raccontavano le loro avventure. Ridevamo. Ci facevamo forza. Ci incoraggiavamo a superare nuove sfide. Mi chiesi se avrei mai trovato la forza di superare questa sfida. Dovevo immaginare qualcosa di bello che mi scaldasse il cuore. Non potevo vivere il presente fatto di una mano che mi toccava il volto, poi mi tastava il seno, poi scendeva più giù. Non potevo ascoltare davvero le frasi di scherno che l'altro occupante della cella mi rivolgeva. L'alito intriso di nicotina. Il sudore mischiato a una colonia di bassa qualità spruzzata chissà quando. Cercai di ovattare la realtà, di acquietare i miei sensi. Non volevo sentire, percepire, vedere, toccare. Non volevo niente di tutto questo, eppure non lottai, perché lo shock mi imprigionò a tal punto che avevo gli occhi sbarrati sul nulla. Un nulla fatto di mani cattive, avide, dolorose, esigenti. 11


Graffiavano come carta vetrata. Tagliavano come coltelli affilati. Chissà chi e cosa avevano toccato prima di posarsi su di me e violarmi. Il panico mercenario del mio corpo. La paura secondina della mia mente. Non avevo la forza di contrastare la foga con cui mi abbassò i pantaloni facendo saltare il bottone. Non avevo la forza di accettare quello che mi stava accadendo. Non credevo possibile che la tenebra fosse davvero così oscura. Un estraneo mi possedette in una cella umida e sperduta nel deserto arabo. Forse sarei morta. La disperazione mi spinse a desiderare che accadesse, in un momento imprecisato di quella tortura. Sicuramente quell'essere immondo mi uccise la dignità. Forse, un giorno, avrei ritrovato il mio cuore. Ma non sarebbe più bastata la luce accesa sul comodino per illuminare la camera stagna in cui rinchiusi la mia anima.

12


1

Qualche tempo dopo, anzi, diverso tempo dopo. «Kathleen, abbiamo le analisi chimiche dei campioni estratti dal sito in Alaska.» Dal telefono esce la voce baritonale di Daniel Murphy. Abita nel mio palazzo insieme al suo gemello Philip. «Quindi?» domando mentre Beth, la mia assistente personale, mi porge dei documenti su cui devo apporre la firma. «Premium positivo.» «Impatto ambientale?» «Ridotto ai minimi termini: c'è già una strada battuta e solo due abeti da radere al suolo.» Annuisco anche se non può vedermi. «Sai come la penso e non voglio altri problemi con le associazioni ambientaliste.» «Certo» borbotta Beth, «perché loro spingono le auto con i piedi, come Fred Flintstone.» Le scocco un'occhiata di rimprovero. «Puoi dirle che la amo?» esclama Murphy dall'interfono e alla sua domanda fa seguito una risata contagiosa. «Dan, fai il bravo, altrimenti inizia a elencarci tutte le probabilità di morte certa per inquinamento ambientale» lo rimbecca Beth. «Siete dei dipendenti davvero indisciplinati» li rimprovero con il sorriso. In realtà adoro il clima che sono riuscita a creare nello staff dell'azienda di famiglia. Non è facile trovare collaboratori validi e soprattutto leali nel mondo dell'industria petrolifera, come in qualsiasi campo 13


dove girano troppi soldi, dopotutto: la tentazione di vendere notizie è dietro l'angolo. Il dio dollaro è come il diavolo: tentatore. Quindi, quando mio padre mi ha affidato la sede di New York, ho deciso di cambiare rotta. Volevo una famiglia anche in ufficio, un luogo dove tutti potessero ridere, piangere, raggiungere traguardi, sentirsi parte attiva del successo, ma anche del fallimento. Il consiglio di amministrazione era molto scettico all'inizio, ma il lungo periodo mi ha dato ragione. Ci vogliono elasticità, dinamismo e spirito di adattamento per stare dietro al mercato moderno. «Poniamo il caso che ci sia un'emergenza in ufficio, ma un membro della sua famiglia la chiama per un'emergenza altrettanto grave. Lei cosa farebbe?» È questa la domanda che l'ufficio risorse umane ha l'obbligo di rivolgere ai candidati per qualsiasi posizione nella Lawford'sPetrol. La risposta giusta è: scelgo la famiglia. Ovviamente. Non me ne faccio niente di una persona che non sa quali siano le priorità nella propria vita. Una persona senza sentimenti non conosce né lealtà né fiducia e io non voglio intorno gente di tal fatta. In alcuni periodi non ci sono orari. In quei periodi, le famiglie ci raggiungono per una pizza veloce o anche un semplice saluto. Le volte in cui le famose emergenze dei colloqui si sono accavallate, tutti ci siamo fatti in quattro per aiutare il collega in difficoltà. Voglio che i miei dipendenti lavorino sodo, e in un ambiente felice si lavora obiettivamente meglio. «Mandami l'analisi geologica e sismografica. Oltre alla relazione biochimica» elenco. «Devo capire se basta la nostra squadra o se devo inserire anche la sezione gas naturali.» «Non ho ancora fatto quella relazione, Kath. Sono tornato mezz'ora fa in hotel e fa un freddo cane quassù.» E non stento a credergli visto che è in Alaska, in pieno inverno. «Non mi interessa. I Dowson stanno rastrellando quei terreni e non voglio lasciargli neppure una lattina di greggio. Datti una mossa» lo sprono con voce ferma. 14


«Oh-oh, lo Squalo è tornato» ridacchia Beth. Si ride e si scherza, ma quando c'è da lavorare sono inflessibile. Quel nomignolo non nasce a caso. «Hai un'ora.» Premo il pulsante rosso e chiudo la chiamata. «Per quanto riguarda la questione di Yoseff...» rifletto a voce alta e cerco l'e-mail che mi ha stampato Beth qualche ora fa. La rileggo. «Rispondi che il mese prossimo andrò a Dubai e valuteremo insieme il prezzo di vendita della piattaforma Mag2. Dai dati di produzione è un giacimento in esaurimento, ma credo che potrebbe ancora fruttare qualcosa.» Beth prende appunti. «Se è nervoso che se la faccia passare, non siamo ancora in Ramadan!» «Lo devo scrivere?» Roteo gli occhi. «Direi di no, ma è intrattabile come durante il periodo del digiuno. A qualcuno devo pur dirlo.» «Tu sei in Ramadan tutto l'anno, allora?» Alzo gli occhi dal monitor del computer e li fisso in quelli marroni della donna. Il caschetto biondo è impeccabile e la bocca sottile, piegata in un sorriso impertinente. Beth è la mia assistente personale da una vita. Dotata di un'intelligenza incredibile, è una stacanovista incallita. Peccato che tra gli accessori di serie ci siano anche una personalità eclettica e una lingua tagliente di cui spesso e volentieri sono il bersaglio. Lei e Morgan sono gli unici due che possono oltrepassare determinati confini. Insieme alle mie migliori amiche conoscono tutto di me. Dalla discesa negli abissi, fino al ritorno in superficie. La mia anima è ancora imprigionata in quella camera stagna, ma il mio cuore è tornato al suo posto. Morgan bussa alla porta dell'ufficio e mi salva dallo sguardo impietoso della donna. «Tutto bene?» «Ho le ovaie girate e Beth me lo ha fatto notare. Tutto ok.» Infilo alcuni documenti nella valigetta e metto il cellulare in borsa. Guardo l'uomo massiccio che pone un interrogativo muto alla mia assistente. Una cicatrice frastagliata gli attraversa la parte sinistra del volto, dall'orecchio al mento. 15


Chiudo gli occhi e faccio un profondo sospiro. Non voglio tornare in quell'auto blindata con la mente. Mi tranquillizzo e scaccio il ricordo in uno dei miei tanti angoli segreti. «Andiamo» dico avviandomi verso l'uscita. Morgan accosta l'auto al marciapiede, di fronte al palazzo in cui vivo a New York. Sarebbe meglio chiamarlo la follia che hanno fatto i miei genitori quando dissi loro che sarei andata ovunque, ma non sarei rimasta un minuto di più sotto il loro stesso tetto, in Texas. Soffocata dalla loro apprensione e con le ali tarpate dalle loro paure. Coerenti con il loro modo di essere, acquistarono un intero palazzo tra la Quinta Strada e la Settantaseiesima. Per la scelta non fu cruciale la posizione in pieno Upper East Side, ma la vicinanza a uno dei migliori ospedali della Grande Mela. Se non è follia questa... Eppure io l'ho trasformata in magia: ciascuna delle mie sei amiche del cuore, le mie sorelle, occupa un appartamento del palazzo. La pioggia battente mi impone di scendere dall'auto velocemente e rifugiarmi nel foyer. «Buonasera, Miss Lawford.» Bentley è il ragazzo ben piazzato che sta dietro a un enorme desk. Un'altra guardia del corpo sotto mentite spoglie. Ancora non sono riuscita a capire chi diavolo gli abbia affibbiato quel nome. Quando lo chiedo, Morgan tergiversa sempre, ridacchiando. «Ciao, Ben» lo saluto avanzando con i tacchi sul marmo grigio del pavimento. «È già iniziata la festa?» Annuisce. «Sono tutte eccitatissime ed è arrivato anche l'intrattenitore.» Non posso soprassedere sul tono offeso con cui pronuncia l'ultima parola. «Non prendertela, Bentley, sei nel cuore di tutte, davvero. Stavolta ci serviva un aitante brasiliano» lo consolo. «Ma quest'anno Babbo Natale toccherà a te, promesso.» «Bene, grazie mille» borbotta, dimostrando che la sua educazione non va di pari passo con la convinzione. «Comunque sono certo che potevo farlo anche io, quello che fa lui.» 16


Ci mancava solo il portiere geloso. Forse dovrò inventarmi qualcosa con la polizia o i militari per la prossima festa a tema. Potrebbe esserne il protagonista. Entro nell'ascensore e digito il codice per raggiungere l'ultimo piano. Il mio. Mentre attendo che le porte si riaprano, mi osservo allo specchio che riveste le pareti dorate. Devo ammettere che gli ultimi dieci giorni di nottate intense a studiare andamenti di mercato e grafici di produttività hanno lasciato il segno. A quanto pare sono immune ai miracoli che promettono i cosmetici nelle pubblicità. La mia pelle rimane spenta e dopo una giornata in ufficio l'eyeliner intorno agli occhi verdi avrebbe bisogno di una sistemata. Non c'è più nessuna traccia del rossetto color mattone che la commessa mi aveva garantito per dodici ore. Inizio a sbottonare il cappotto e non vedo l'ora di togliere le décolleté. Mi dimentico di qualsiasi cosa appena le porte si aprono e dall'impianto di filodiffusione esce a tutto volume Disco Samba. Un sorriso a trentadue denti mi sorge spontaneo quando sento le grida di divertimento fare eco al ritornello: «Pe-pepe-pe-pe-pe». Abbandono tutto su una poltrona e avanzo nell'appartamento. Tappeti orientali, stucchi e sete pregiate si avvicendano lungo il mio cammino. È la mia casa: molta eleganza amalgamata alla praticità. I pezzi che gridano lusso sfrenato sono scelte di mia madre a cui ho dovuto cedere onde evitare il collasso nervoso a causa della sua insistenza. Salgo le scale che portano alla zona giorno: un enorme open space che affaccia su Central Park. Mi fermo appena raggiungo il piano. Un uomo dai tratti esotici decisamente attraenti guida un trenino di aspiranti ballerine di samba, facendo lo slalom tra divani, tavoli e l'isola della cucina. Un gruppo di mamme troneggia nel giardino d'inverno sulla grande terrazza. Le mie migliori amiche si trovano dalla parte opposta. Non 17


siamo tutte e sette al completo, ma fulgidi esempi di sex appeal e fiere indomite stanno sproloquiando animatamente attorno a un pantagruelico buffet. Mi guardo intorno convenendo che Grace non ha smentito la sua bravura di organizzatrice di eventi neppure stavolta e dal modo in cui si ficcano tutti in bocca i bignè, Cassandra ha sfoderato tutta la sua abilità da chef pluripremiato. «Era ora che tu arrivassi!» mi rimprovera Sophie. «Non eri alle prese con quella ricerca sulle conseguenze del doping nel football professionistico?» chiedo, stupita di vederla. Ha una conferenza medica il mese prossimo ad Harvard ed è intrattabile perché uno dei relatori sarà proprio il medico luminare con cui ha conseguito la sua laurea. «Sì, ma non ne potevo più di tutti quei maschioni morenti.» Sospira e i miei occhi scivolano sul suo corpo perfetto, inguainato in un tubino con un enorme tucano ricamato sul davanti. Sollevo un sopracciglio e piego un angolo della bocca. «Uccelli tropicali?» «A quanto pare» mi rivolge il suo miglior sorriso di scherno. «È sempre bello averne uno addosso» ammicca provocando un'eco di risate. «Sarebbe interessante organizzare una festa con il tema degli elefanti» sopraggiunge Grace, dentro un impeccabile completo di Missoni sui toni accesi. «Io so già dove metterà la proboscide la nostra dottoressa» allude Olyvia, accarezzandosi il pancione. «Questa potrebbe essere una scena interessante per il mio prossimo romanzo.» «Gli ormoni della gravidanza acuiscono una naturale predisposizione in Lady O, a quanto pare» sibila Sophie, la destinataria della battuta. «Gerard mi ha chiesto ricette per piatti particolarmente ricchi di vitamine... Non oso immaginare cosa tu gli faccia, pover'uomo!» la prende in giro Cassandra porgendole un ananas vuotato e riempito con qualcuno dei suoi ottimi cocktail. «E a me?» domando. «Fatemi capire: pago e non mi considera nessuno?» «Tu hai già avuto il tuo momento di gloria, ora tocca a lei» Luise indossa un vero e proprio abito da ballerina di samba. 18


Sicuramente lo ha chiesto in prestito a una delle costumiste del teatro di Broadway che ospita lo spettacolo in cui recita. Avvicina una sedia a Olyvia, che si assesta accompagnando il movimento con una delle sue imprecazioni russe. «Un'incubatrice umana! Una Moby Dick nera! Ho passato una vita a far scomparire la pancia e guardate qua!» Per Olyvia è una visione dolce e amara vedersi allo specchio così in carne. Poco importa se dentro di lei stia crescendo una vita che amerà con tutta se stessa. Ha fatto un lavoro enorme a livello fisico e psicologico per non avere il timore di ricominciare daccapo la sua lotta contro il peso. «Adesso ti sembra di essere una balena spiaggiata, ma quando uscirà tornerai in forma in men che non si dica» la tranquillizzo. «Comunque tutti additano me solo perché non c'è Cheryl, chissà come si sarebbe conciata lei» ci apostrofa ancora Sophie, riferendosi all'anello mancante della nostra catena umana. Cheryl ha unito la sua abilità per la rete con la passione per i vestiti divenendo una blogger di fama mondiale. Sfoggia un guardaroba da paura a costo zero, ma ormai si sente a casa più su un sedile di prima classe che nel suo appartamento. «Poi asserisce di non essere permalosa» ridacchia Olyvia. Ovviamente la seguiamo a ruota. La diretta interessata ci rivolge un dito medio con un sorriso diabolico stampato in faccia. «Asseritemi questo...» Scoppiamo a ridere. «Qui è tutto sotto controllo, Kath. Gonçalo è bravissimo oltre che parecchio figo.» Grace mi fa il resoconto dell'ora di festa che mi sono persa a causa degli imprevisti in ufficio. Il trenino umano danza saltellando accanto a noi. «Mamma!» Una parola. Due sillabe. Sono le cinque lettere che hanno rimesso il mio cuore al proprio posto.

19


2

La mia bambina stacca le mani da quelle di Gonçalo. Mi abbasso per accoglierla tra le mie braccia, in una presa salda e dolce. «Tutto bene, amore mio?» le domando e intanto annuso il suo profumo, tuffando il naso nei suoi capelli biondi e lucenti come il sole in estate. Quella fragranza è la mia droga quotidiana. «Sì, mamma» mi risponde, gridando mentre raggiunge di nuovo le sue amichette e si sistema il cerchietto tempestato di frutta finta che completa il costume in maschera in stile brasiliano. Gli strati di tulle colorato ondeggiano al ritmo delle sue gambe che zampettano saltellanti. «Le scorre argento vivo nelle vene.» La voce di Philip Murphy, l'aitante gemello del mio braccio destro, mi costringe a rialzarmi. «Cosa ci fai qui, Phil? Una festa di Carnevale di treenni non è proprio il tuo terreno di caccia.» Piega la testa e mi guarda con un'espressione condiscendente. «Guarda là.» Con un cenno del capo mi indica il gruppetto delle mamme dei compagni di scuola di mia figlia. «MILF» sussurra con fare cospiratorio. Poi il suo sguardo si posa su Grace e lentamente la sua espressione cambia. Aggrotto la fronte. Qualcosa mi dice che mi ha mentito e non è qui alla ricerca di una desperate housewife. Mi allontano per andare a salutare proprio il capannello di donne tirate a lucido per l'occasione. Metà di loro sono già separate, e soltanto un paio sposate, però sarebbero più che 20


disponibili a una passeggiata di salute con Philip. Fanno parte della New York che conta, poiché Scarlett frequenta una delle scuole più esclusive della città. Anche se cerco di domare le mie ansie, ho dovuto accettare il fatto di mandare la mia bambina in una struttura con un livello di sicurezza sufficientemente alto. «Kathleen, volevo dirti...» Mrs. Trevor, moglie trofeo di uno dei magnati dell'industria degli elettrodomestici, mi raggiunge. «Ho chiamato a casa Madame Guillard per impartire lezioni private a Chantal.» Aggrotto la fronte. «Hai chiamato una ex étoile per insegnare danza classica a una bambina di tre anni?» Alla donna brillano gli occhi. «Duecentocinquanta dollari l'ora! Mi ha trattata benissimo!» Indica Luise con il mento. «Scarlett mi ha detto che le insegna sua zia. Ma non mi ha detto il prezzo.» Ma che diamine! «Luise gioca con Scarlett... Non le insegna niente» specifico seccata. «Volevo comunque chiederle se può fare la stessa cosa anche con la mia. Intervallare la danza classica con quella moderna.» «Ti sei chiesta se a Chantal piace ballare?» Mrs. Trevor inorridisce. «Stai scherzando? Una donna del nostro rango deve saper fare tutto. Ballare, cantare, recitare. Deve essere pronta a essere la sposa perfetta per l'uomo che io riterrò adatto.» «Suo padre non ha voce in capitolo?» «Non l'ho sposato di ottantadue anni a caso, Kathleen. Non tutte hanno la tua fortuna.» Mantengo la mia imperturbabilità. Se avesse la minima idea di come è stata concepita mia figlia, sarebbe più che felice di mettere la dentiera al marito ogni mattina. Rabbrividisco. «Potrebbe innamorarsi del lattaio.» Sì, sono un'illusa romantica che non sa tenere la bocca chiusa. La risata stridula della donna attira l'attenzione dei presenti su di noi. Enfatizza la finta ilarità asciugandosi delle lacrime 21


immaginarie. «Divertente, Kathleen. Sei davvero divertente!» aggiunge. Ore dopo, sono sdraiata sopra le coperte del lettino di Scarlett, la quale sbadiglia di continuo mentre cerca la posizione, abbracciata a Nina, la sua bambola di pezza. «Ti sei divertita, tesoro?» le domando accarezzandole i capelli. «Sì, mamma, 'azie» sussurra, strusciandosi contro il mio braccio. Sorrido soddisfatta: quel grazie conta molto di più di qualsiasi lezione da centinaia di dollari. C'è una cosa che mia figlia deve imparare prima di tutto ed è che non c'è niente di scontato nella vita. Né le cose materiali, né i sentimenti. Dovrà far tesoro delle cose tangibili ma ancor di più di quelle impalpabili. Scarlett è la dimostrazione in carne e ossa di quanto sia importante lottare per ciò che si ritiene giusto e mantenere in ogni circostanza la propria integrità. Quando tornai in America dopo il rapimento in Arabia Saudita e scoprii di essere incinta fu sconvolgente. Dentro di me stava crescendo il frutto di una violenza, eppure era vita e il dovere di rispettarla e proteggerla mi nacque spontaneo. I miei genitori uscirono di senno quando lo seppero, ma io mi rinchiusi nella torre dorata che loro stessi avevano voluto per me. Sophie e Gerard, marito di Olyvia e anche lui medico, mi presero sotto la loro ala, non a caso sono stati la madrina e il padrino di Scarlett. «Ora mi leggi?» mugugna assonnata la mia piccola. «Certo.» Le bacio la testa. «Ti voglio bene.» Glielo dico ogni sera prima che si addormenti. Se sono dall'altra parte del globo mi faccio chiamare da Vickie, la sua tata, e interrompo qualsiasi riunione a cui stia partecipando. Riservata o meno. È una delle mie fissazioni: Scarlett si deve addormentare sapendo quanto la amo. Prendo dal comodino un piccolo libro consunto. «Dove vive Mr. Nanna? Lontano, lontano, su una montagna così alta da bucare le nuvole, perché in questo modo si può addormentare il 22


più vicino possibile alle stelle, è per questo che non lo vedi...» Scarlett si addormenta prima che volti pagina. La festa in maschera ha prosciugato l'argento vivo che le scorre nelle vene. Chiudo il libro e mi volto a guardarla. Non smetterei mai di farlo. Ha la bocca rosea leggermente dischiusa mentre respira ritmicamente e le ciglia sono lunghe e bionde come la cascata di riccioli che le ho raccolto in una treccia per la notte. La carnagione è appena più scura della mia e con il primo sole, il nasino e le guance si costellano di efelidi. La particolarità di Scarlett, però, sono gli occhi, con il loro turchese incredibile sanno penetrarmi dentro. «Non dirmi bugie, ti leggo, mamma» sembrano dirmi ogni volta che mento. Non sono una che mente, per principio. Talvolta, però, lo faccio con i miei genitori, mossa dallo spirito di sopravvivenza, o con lei quando mi chiede perché la guardo. «Mi dici che non si fissano le persone» mi riprende, in quelle occasioni, con quella buffa voce bianca che vorrebbe essere severa. È precoce e incredibilmente arguta, ma per quello devo ringraziare tutte le persone che abbiamo la fortuna di avere intorno. Le sue zie acquisite la stimolano continuamente con la lettura o in cucina o con feste in onore di Barbie e Ken. Luise, per esempio, si diverte a insegnarle i balli di gruppo. Scarlett ha una costituzione diversa dalla mia e, è inutile che ci giri intorno, i tratti del suo volto non sono decisamente i miei, dal che ho dedotto che suo padre era, presumibilmente, uno stupratore di bell'aspetto. Perché parlo di lui al passato? Perché non posso pensare che sia vivo. La mia indole misericordiosa lascia da sempre molto a desiderare. Così quando Scarlett mi chiede perché la fisso, «Guardo solo quanto è bello il mio folletto dei boschi» è la mia bugia in risposta. Non posso confessarle tutte le mie paure, di cui la più grande è che sopraggiunga un motivo qualsiasi che costringa anche lei a vivere nel terrore, proprio come accade a me.

23


Miss Oro Nero di Charlotte Lays Kathleen Lawford è subentrata al padre alla guida della Lawford's Petrol e per conto della società viaggia ovunque, seguendo il richiamo dell'oro nero. Durante uno di questi viaggi la sua vita subisce un brusco stravolgimento che la porta a dover ripensare alla propria esistenza. Per fortuna, al suo fianco, ha le sue sei preziose migliori amiche e soprattutto la sua adorata bambina: Scarlett. Quando però ricompare l'uomo che dice di essere il padre di Scarlett, il passato si riaffaccia doloroso e violento nella vita di Kath, che vuole evitare a tutti i costi che quell'uomo senza scrupoli irrompa nell'esistenza della figlia. Le serve una strategia legale che preveda un avvocato pronto a tutelarla, un matrimonio e molto coraggio. William Marks, il Giaguaro, è l'avvocato che fa al caso suo...

Vendicami di Maisey Yates Austin è figlio di un potente avvocato che ha abusato di numerose donne, finché una ragazza si è tolta la vita. Da tempo lui non ha più rapporti con il genitore, ma una lettera anonima che svela le abitudini del padre lo porta a decidere di smascherarlo così da fargli ammettere le proprie responsabilità nel suicidio della giovane Sarah. Katy è la sorella minore di Sarah, ed è determinata a vendicarsi. Né Katy né Austin, però, hanno messo in conto che sarebbe bastato uno sguardo per riconoscersi reciprocamente negli occhi dell'altro e che una sfrenata notte di passione avrebbe fatto dimenticare temporaneamente a entrambi i propositi di vendetta. La convergenza dei loro intenti induce Austin a tenere vicino a sé Katy, ma per lei non è semplice restare tra le braccia del figlio dell'uomo che...


ritorna a MARZO con 2 romanzi intensi e passionali delle autrici più amate e apprezzate. PREPARATI A UNA LETTURA... INCANDESCENTE! IN USCITA DAL 29 MARZO


Corri nella tua L’edicola amica delle donne QUI trovi TUTTO IL MONDO HARMONY. QUI puoi richiedere e prenotare le tue collane preferite.

Vai sul nostro sito www.eharmony.it entra nella sezione Harmony e clicca su

Troverai l’elenco dei nostri migliori rivenditori ordinati per provincia


Questo volume è stato stampato nel dicembre 2017 da CPI Moravia Books


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.