ROMANCE
LORI FOSTER
Niente segreti
Immagine di copertina: Ridofranz / iStock / Getty Images Plus / Getty Images Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: No Holding Back HQN Books © 2021 Lori Foster Traduzione di Alessandra De Angelis Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Books S.A. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. Harmony è un marchio registrato di proprietà HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved. © 2022 HarperCollins Italia S.p.A., Milano Prima edizione Harmony Romance aprile 2022 HARMONY ROMANCE ISSN 1970 - 9943 Periodico mensile n. 289 del 23/04/2022 Direttore responsabile: Sabrina Annoni Registrazione Tribunale di Milano n. 72 dello 06/02/2007 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distribuzione canale Edicole Italia: m-dis Distribuzione Media S.p.A. Via Carlo Cazzaniga, 19 - 20132 Milano HarperCollins Italia S.p.A. Viale Monte Nero 84 - 20135 Milano
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Era scossa da brividi in tutto il corpo mentre lo guardava bere. Rannicchiata in un angolo, in attesa, temeva l'inevitabile; anche respirare era un'impresa, per tutta la paura che la soffocava. Avrebbe voluto piangere, ma sapeva che non sarebbe servito a niente. Avrebbe voluto abbandonarsi a una crisi isterica, ma non si era rassegnata al suo destino... non ancora. Non poteva. Fuori dalla stanza, c'erano altri due uomini di guardia. Le avevano detto che sarebbe stata costretta a farlo anche una decina di volte per notte, ma non era sicura di sopravvivere neppure alla prima. Voleva andare a casa. Voleva raggomitolarsi in un angolo e morire. Ma, soprattutto, voleva opporsi. Ma come fare? Divertito dalla sua paura, l'uomo la osservava mentre scolava un altro bicchiere. Godeva del suo terrore, e rendersene conto le amplificava tutte le sensazioni. Che cosa fare? Che cosa fare? Cosa? Scrutò freneticamente la stanza al primo piano. Una finestrella, aperta per fare entrare un po' d'aria, dava direttamente su un parcheggio coperto di ghiaia. Un bel salto. Sarebbe sopravvissuta se fosse scappata da lì? Ma, in quel momento, aveva importanza? L'uomo era vicino alla porta. L'aveva bloccata facendo scorrere una sbarra di metallo, chiudendola dentro per assicurarsi che non potesse sfuggirgli, ma anche che non potesse entrare nessun altro, finché non avesse finito. 5
Aveva pagato due ore, ma adesso non sembrava avere fretta di cominciare. A destra della porta, c'era un tavolinetto con una bottiglia di whisky e un solo bicchiere; a sinistra, un appendiabiti di legno vuoto che doveva servirgli per appendere i vestiti. Contro una parete c'era un lettino con un materasso nudo. E nient'altro. Solo la sua paura, la realtà, il terrore, il suo odio, la crudeltà... la sua volontà di sopravvivere. Quando le labbra dell'uomo si distesero in un sorriso compiaciuto, lei si preparò... e notò che barcollava leggermente mentre avanzava verso di lei. Ebbe una dolorosa fitta al cuore. Lentamente si alzò in piedi scivolando contro il muro. Aveva la gola stretta da una morsa invisibile, ma si spostò furtivamente di lato, verso la porta sbarrata. Verso il tavolino. Si udiva una musica forte che proveniva dal corridoio. Qualsiasi cosa succedesse in quella stanza, non volevano esserne disturbati. Continuò a tenere lo sguardo fisso su di lui; aveva le mani sudate e così tanta paura da sentire braccia e gambe molli. «Pensi di scappare?» le chiese lui, con un sorriso ancora più ampio per la trepidazione. «Spe... speravo di poter bere qualcosa anch'io» balbettò. «Vuoi stordirti? Eh, no, mia cara.» La voleva spaventata. Voleva farle percepire ogni istante degradante di quella situazione. Facendo un enorme sforzo, dominò l'impulso di vomitare e riuscì a chiedergli: «Allora magari ne verso un altro a te?». Lui emise un piccolo sbuffo dal naso e appoggiò una spalla al muro. «Vuoi farmi ubriacare? Avanti, provaci pure, ma ti accorgerai che reggo bene l'alcol.» Inclinò la testa di lato, socchiuse le palpebre e il sorriso si trasformò in un ghigno. «Se bevo troppo divento ancora più cattivo.» Rifiutandosi di contemplare quella possibilità, lei si sforzò di annuire, e stese comunque la mano verso la bottiglia, la6
sciandogli vedere quanto tremava. Riempì il bicchierino, poi lo sollevò... tenendo la bottiglia nell'altra mano. Quell'odioso bruto non le badò, era concentrato a guardarla tremare mentre si avvicinava a lui, allungando il bicchiere in segno di timida offerta. Invece di prenderlo, le afferrò il polso in una morsa dolorosa e l'attirò a sé con uno strattone, ridendo quando lei gridò. Lo colpì con la bottiglia con tutta la forza. Si svegliò di soprassalto, con il cuore che batteva all'impazzata e la gola che le doleva per il bisogno di urlare. Non gridò. Non lo faceva mai, a qualunque costo. Il silenzio la proteggeva più di quanto potesse mai fare un urlo. Pochi secondi, e percepì le luci basse del bar, il vecchio brano rock che usciva dal jukebox e il brusio di qualche decina di persone che chiacchieravano sottovoce. Dio. Deglutì a fatica, guardandosi intorno in quell'ambiente familiare, poi posò lo sguardo sul barista. La osservava. Sempre. A quell'uomo non sfuggiva niente. Poteva fingere di essere uno qualsiasi, poteva travestirsi da semplice proprietario di un bar, ma lei conosceva la verità. Nascondeva qualcosa, forse qualcosa di eclatante come i suoi segreti, ma non intendeva porgli domande. Il bar Tipsy Wolverine era il suo rifugio dalla strada. Poteva dormire sul camion, come faceva qualche volta, ma non riposava mai veramente. Lì in quel bar in mezzo al nulla, nella piccola città di montagna di Ridge Trail, nel Colorado, sapeva che nessuno avrebbe potuto crearle problemi. Perché c'era lui. Lo cercò di nuovo con lo sguardo. A occhio e croce doveva essere alto un metro e novantacinque. Veramente un energumeno, tosto da capo a piedi. Postura eretta. Sguardo attento. Aveva capelli neri e lucidi ben tagliati e pettinati... ma erano i penetranti occhi azzurri ad attirare e trattenere la sua attenzione. 7
Aveva spostato lo sguardo da lei, ma non per questo era meno consapevole della sua presenza. Per Sterling era un ex militare, o qualcosa di più letale. Era troppo in forma fisicamente per essere un tipo normale. Allargò leggermente le narici mentre lo esaminava. Nella zona malfamata della città in cui la gente del posto era stravaccata sulle sedie e rideva sguaiatamente, lui era sempre... composto. Educato. Professionale, ma non come un uomo d'affari in giacca e cravatta. Più come uno che sapeva di potersi destreggiare in qualunque situazione. Uno che poteva darle di santa ragione e uscirne senza un graffio. Quelle spalle ampie... Scrutare il suo corpo provocava uno strano calore a Sterling; le faceva puntare lo sguardo con interesse sui suoi bicipiti pronunciati, per seguire la fluidità con cui si gonfiavano e si flettevano a ogni minimo movimento. Il pullover gli fasciava alla perfezione il torace ampio, valorizzando i pettorali scolpiti e lo stomaco piatto e sodo, che Sterling notò abbassando lo sguardo. Dio, era veramente in forma. Se si aggiungeva la mascella affilata, il naso forte ma dritto, e quei gelidi occhi azzurri bordati da ciglia scure, Sterling poteva dedurre che faceva strage di cuori ogni giorno. Ma non il suo cuore. Non le facevano effetto certe cose. Poteva ammirare lo stupendo panorama e rimanere distaccata. Sì che poteva. Però... stavolta doveva concentrarsi parecchio per farlo veramente. Lui incrociò il suo sguardo, cogliendola sul fatto mentre lo scrutava, e le sue labbra ben delineate s'incurvarono in un sorrisetto che le diceva non sei immune. Le azzerò la salivazione. Ma lui non poteva saperlo, vero? Però sembrava aver intuito ogni suo pensiero. Sentendosi stranamente vulnerabile, sollevò il bicchiere, e quando si accorse che era ancora pieno mimò con le labbra: «Caffè?». 8
Lui fece un cenno di assenso e si spostò verso il bancone di servizio dietro il bar. Meno di mezzo minuto dopo si avvicinò con il suo passo dinoccolato ma deciso, con una tazza fumante in mano. Sapeva come le piaceva, con una zolletta di zucchero e un goccio di latte. Lo sapeva perché non gli sfuggiva niente. Mai. Posò la tazza davanti a lei, indicò il bicchierino che aveva ordinato ma non aveva toccato, e le chiese: «Finito qui?». Di solito, per giustificare i suoi lunghi sonnellini, ordinava un paio di bicchieri. Però stavolta era talmente spossata che non aveva tenuto gli occhi aperti abbastanza a lungo. «Grazie.» Sterling bevve un sorso di caffè. Ebbe un tuffo al cuore perché lui non se ne andò. Alzò lo sguardo con aria di sfida e notò che aveva le sopracciglia leggermente aggrottate per quella che sembrava preoccupazione. Era brava a decifrare le persone, all'infuori di lui. La maggior parte delle volte non sapeva che cosa pensava, e questo non le faceva piacere. «Che c'è?» chiese, sospettosa. Abbassando le lunghe ciglia, lui rifletté per un istante prima di tornare a incrociare il suo sguardo. «Mi preoccupa che qualsiasi cosa ti dica possa darti fastidio.» Sterling s'irrigidì davanti a quell'accusa. «Che cos'avresti da dire?» «Che tono tagliente» la prese in giro, come se si conoscessero bene. «Non devi ordinare da bere solo per fermarti qui. Se vuoi un posto per metterti comoda...» Sterling tolse di colpo i piedi che aveva poggiato sulla sedia di fronte e, inconsciamente, si preparò... ad agire, reagire, proteggersi, se necessario. «O per riposare senza essere disturbata» continuò lui, ignorando la sua tensione. «Sei sempre la benvenuta.» Come se avesse intuito la sua preoccupazione connaturata e la sua reazione automatica alla sua vicinanza, fece un passo indietro. «Senza domande, e senza la necessità di dover ordinare da bere.» 9
Poi, prima che lei potesse farsi venire in mente una risposta, si allontanò. Sterling rimase lì venti minuti, ma lui non la guardò più. Finché lei non uscì. Allora la guardò. Oh, sì che la guardò. Sterling avvertì il suo sguardo che le bruciava addosso come se l'avesse toccata. Come se provasse interesse. E le lasciò una consapevolezza più forte. Di lui. Accidentaccio. Cade avrebbe voluto prendersi a calci da solo. Ormai lei frequentava il bar da mesi. Non si era ancora presentata, ma lui sapeva ugualmente come si chiamava. Per lui era essenziale conoscere tutti i clienti del bar, che fossero importanti per l'attività oppure no. Sterling Parson. Soprannominata Star. Tra sé e sé, la chiamava Pericolo. Alta poco meno di un metro e ottanta, con il fisico tonico, incedeva con una padronanza di sé che però tradiva più apparenza che sostanza. Aveva addosso quell'atteggiamento strafottente come un cartello con un avvertimento a chiare lettere: Tenersi lontani. Portava abitualmente i lunghi capelli castani mossi raccolti in una coda di cavallo, a volte in una treccia e altre volte ficcati sotto un cappellino da camionista. Anche se indossava magliette larghe con i jeans comodi e anfibi neri per nascondere il corpo, era difficile non notarla. Di certo nel bar la sua presenza non era passata inosservata. Era una donna singolare da tanti punti di vista. Sfrontata ma anche vulnerabile, per certi versi. Controllata, ma quieta. Bella... ma solo per un occhio acuto, perché faceva il possibile per confondersi tra la folla. Guidava un grosso TIR con lo stemma SP Trucking sulla fiancata, ma non era come i soliti camionisti suoi clienti. Il primo giorno in cui aveva messo piede nel bar aveva fatto girare diverse teste, sgranare parecchi occhi e attirato un certo interesse, ma dopo che Cade si era guardato intorno in 10
maniera eloquente, tutti avevano afferrato il messaggio. La signora era intoccabile. Cade non si era curato di dare spiegazioni. Non lo faceva mai... tranne alla famiglia, qualche volta. E solo quando veniva messo alle strette. Dal primo momento in cui aveva posato lo sguardo su Sterling, aveva avvertito le ferite psicologiche che nascondeva, e capito che aveva segreti in abbondanza e che aveva bisogno di un rifugio in cui riposare. Aveva bisogno di lui. Allora Star non lo sapeva ancora, ma non importava. Nel suo bar, in quel quartieraccio, avrebbe comunque vegliato su di lei, come faceva con tutti quelli che erano in difficoltà. Si avvicinò alla finestra per guardarla mentre si allontanava. Attraversava il parcheggio illuminato con la sua falcata decisa, senza fretta ma con un eccesso di energia. Non riusciva a immaginarla che vagava senza meta. Quella donna conosceva solo un modo di camminare: avanti tutta. Dopo avere aperto la portiera, salì a bordo del camion con l'agilità derivata dall'esperienza. Si fermò per un istante con la testa poggiata all'indietro, prima di raddrizzare le spalle e mettere in moto. Per un attimo rimase così in folle, forse intenta a controllare il quadro, poi inserì la marcia e s'immise fluidamente in carreggiata. Cade la seguì con lo sguardo finché i fanalini di coda non scomparvero. Non sapeva ancora dove fosse diretta, ma avrebbe voluto saperlo. Avrebbe voluto presentarsi, porle delle domande, forse anche offrirle il suo supporto. Ma le preferenze di Star al riguardo erano ovvie. Però quella sera l'aveva guardato un po' di più. Veramente lo osservava spesso, e lo fissava sempre in modo cauto e diffidente. E poi tornava sempre. A volte dormiva per un'oretta, a volte di più. Quella sera aveva sonnecchiato per due ore prima di svegliarsi di soprassalto, allarmata. Un brutto sogno? O un brutto ricordo? 11
Se avesse mantenuto le sue abitudini, la sera dopo si sarebbe fatta vedere nel tragitto di ritorno. E forse, chissà, Cade sarebbe riuscito a trovare una crepa nella sua armatura. Lanciò un'occhiata al tavolino a cui si sedeva sempre. L'indomani le avrebbe offerto qualcosa di diverso. Dopo avere guidato molto e sopportato il traffico infernale sotto il caldo torrido dell'estate del Colorado senza riposare abbastanza, Sterling tornò al bar. Dolorante dalla testa ai piedi, fu un sollievo entrare nel parcheggio un po' prima del solito. Era stata tentata di trovare un altro posto in cui riposarsi. Da quel lato delle Montagne Rocciose c'erano tanti bar e autogrill. Prima di scoprire il Tipsy Wolverine, spesso si era fermata in un posto diverso ogni volta, ma lì... Per qualche motivo si sentiva più a suo agio. Quasi per tutto. Era per il barista, lo sapeva. Non era di molte parole, non si batteva il petto come un gorilla, perché non ne aveva bisogno. La sua presenza autorevole bastava a far capire a tutti che era lui il capo. E lei lo sapeva. In quel bar, nessuno poteva farle del male perché lui non l'avrebbe permesso. Sterling scosse la testa. Era una conclusione assurda, ma si fidava dell'istinto che, fino a quel momento, l'aveva assistita bene. Prese il giubbotto che aveva tolto e scese dal camion. Più in alto tra le montagne il freddo penetrava nelle ossa, ma lì nella valle c'erano più di trenta gradi. Le temperature in Colorado variavano a seconda dell'altitudine. Più si saliva e più era freddo. Sterling aveva imparato per esperienza che la camicia andava bene per la valle, ma se si andava più in alto, come a volte capitava, le servivano indumenti più caldi. Anche l'aria condizionata del bar spesso la gelava, specialmente quando si appisolava. Mentre attraversava il parcheggio, con la lunga coda che rimbalzava e la ghiaia che scricchiolava sotto gli anfibi pesanti, avvertì una strana sensazione che la fece vibrare tutta. 12
Si rifiutava di ammettere che era trepidazione. Appena varcò la soglia, capì subito che c'era qualcosa di diverso. Al suo solito tavolo erano seduti due uomini, due clienti regolari. Non era più capitato dopo la sua terza visita, mesi prima. Da allora il tavolo era abitualmente riservato per lei. Senza fermarsi, attraversò la sala in penombra, guardandosi intorno con noncuranza. Il bar non era strapieno. C'erano altri tavoli liberi. E allora perché... Il barista le bloccò il passo, facendola fermare di colpo davanti a quella montagna di muscoli. «Posso parlarti un attimo?» Andare quasi a sbattere contro di lui le aveva fatto sentire il cuore in gola. Era tanto alta che ben pochi uomini la facevano sentire piccola, ma lui torreggiava su di lei. Accidenti, non si era eppure accorta che si era avvicinato finché non se l'era trovato davanti, troppo vicino, a incombere su di lei con la sua altezza e la sua prestanza fisica. In un nanosecondo, il suo corpo scattò sulla difensiva. Cercò di dissimulare il suo disagio mentre rifletteva sulle alternative – attacco o fuga. E, accidenti a lui, lo sapeva. Sterling lo vide nel modo in cui il suo sguardo divenne più acuto e la sua bocca si addolcì. Per la compassione? Al diavolo. Sterling fece un passo indietro, pronta a battere in ritirata. L'attacco non era un'opzione percorribile. Lui alzò le mani, impassibile, e disse: «Mettiamoci al bancone, se hai solo un minuto da darmi. Sto ancora lavorando». Lei spostò lo sguardo verso il suo tavolo, pochi secondi prima aveva pregustato il momento in cui avrebbe riposato le sue stanche membra sul sedile consunto. Ora la stanchezza le era passata almeno in parte. «Posso farli spostare se vuoi» si offrì lui sottovoce. «Dopo averti dato una spiegazione.» Sterling non aveva alcun interesse a chiacchierare con lui, a essere attratta da lui in alcun modo. La familiarità la preoc13
cupava, però la curiosità ebbe la meglio. Per mascherare la sua diffidenza, gli offrì una disinvolta scrollata di spalle e mosse la mano per indicargli di farle strada. Non lo voleva alle spalle in nessun caso. Lui le elargì di nuovo un accenno di sorriso. Non poté fare a meno di notare che aveva una bella bocca. Non che le importasse. Bello o no, si rifiutava di farsi coinvolgere. Lui si girò e si diresse verso il bancone del bar. E lei lo seguì, facendo un respiro profondo per farsi forza. Bella schiena, anche. E gli avambracci. E il suo didietro fasciato da quei jeans... Sterling si accigliò, contrariata da se stessa, e giurò che non aveva alcuna importanza. Non c'era nessun altro seduto all'estremità del bancone di legno lucido e graffiato; quando si fu accomodata sull'ultimo sgabello, lui fece il giro del bancone. «Caffè? Una Coca?» «Va bene una Coca.» «Posso farti un panino, se vuoi.» In generale rifiutava quasi sempre da mangiare quando le veniva offerto, ma lì, da lui, le sembrava giusto, specialmente perché le brontolava lo stomaco. «Sì, grazie.» Lui varcò una mezza porta che dava sulla cucina dietro il bar e tornò un minuto dopo con un panino al prosciutto e formaggio e patatine fritte. Dopo averle posato il piatto davanti, riempì un bicchiere di ghiaccio e le versò una Coca Cola. Sterling si accorse che doveva avere organizzato quella parentesi da dedicarle, perché un cameriere lo sostituì e si mise a prendere le ordinazioni al suo posto senza che glielo chiedesse. Era chiaro che aveva in mente qualcosa... ma che cosa? Guardandola un po' troppo da vicino, appoggiò un fianco al bancone. «Non ti sfugge niente, vero?» Lei lo fissò di scatto. Aveva appena dato un morso al panino e dovette masticare e inghiottire prima di poter rispondere. «Dovrei essere più indifferente?» 14
«No, ma poche persone sono osservatrici quanto te.» Anche lui aprì una Coca Cola e bevve direttamente dalla bottiglietta. «A proposito, mi chiamo Cade McKenzie.» «Non te l'ho chiesto.» «Lo so. Ma pensavo che, se avessi saputo qualcosa di più su di me, avresti...» «Che cosa?» Il suo tono era reso più secco dal panico, e forse anche dall'irritazione. «Mi sarei sciolta? Mi saresti piaciuto di più? Sarei stata cordiale?» «Avresti smesso di diffidare di me.» La sua circospezione era stata tanto evidente? Sembrava proprio di sì. «Sto mangiando il tuo panino. Che cos'è, se non un segno di fiducia?» Il suo ragionamento lo fece sorridere e, Dio!, quando sorrideva, era veramente irresistibile. Quando era divertito era meno spigoloso e granitico, meno inavvicinabile. E, dannazione, sprigionò una scintilla dentro di lei. Sterling si concentrò sul panino. «Mio fratello ha una palestra in città» continuò lui. «Probabilmente l'hai visto qui qualche volta.» Ovviamente. L'aria di famiglia era inconfondibile. «È più giovane, e ha gli occhi di un colore diverso.» Lui fece un cenno di assenso per quella ulteriore conferma del suo spirito di osservazione, e le spiegò: «Abbiamo due madri diverse, ma siamo cresciuti insieme. Ho anche una sorella. Ha ventisei anni ed è la piccola di casa». «Ti somiglia anche lei?» Non aveva visto al bar donne che avrebbe individuato come sue parenti. «Ha i lineamenti simili, ma più femminili. Ha gli occhi dello stesso colore di mio fratello, ma i capelli più chiari dei nostri.» Sterling fu colpita dal fatto che stava chiacchierando. Con disinvoltura e naturalezza. Quando era stata l'ultima volta? Accorgersene la stupì e le provocò una certa tensione. «Non ti ho chiesto un resoconto della tua famiglia.» «Lo so. Tranne che il tuo solito tavolo e qualcosa da bere ogni tanto, non chiedi altro che di essere lasciata in pace.» 15
«Eppure eccoci qua.» E non poteva dare la colpa unicamente a lui. D'altronde lei aveva deciso di accettare il cibo e di parlare con lui. Però non poteva uscirne niente di buono. Né una maggiore familiarità, né un'amicizia. E decisamente niente di più. Le puntò addosso i suoi occhi azzurro elettrico. «Volevo farti capire che ho le mie radici qui e non rappresento in alcun modo una minaccia.» Rifiutandosi di abbassare la guardia, gli chiese: «Ma perché?». Non si fidava della benevolenza altrui. Di solito nascondeva un secondo fine. «Perché sei un'ottima cliente abituale. Capisco che vuoi avere il tuo spazio, e mi sta bene, ma credevo di poterti essere d'aiuto.» Lei diede lentamente un altro morso al panino mentre lo soppesava, invasa dal forte impulso di darsela a gambe. Stranamente, un impulso altrettanto intenso la indusse a chiedergli: «D'aiuto in che modo?». Poi aggiunse: «Riguardo a che cosa?». Lui poggiò i gomiti sul bancone, protendendosi verso di lei mentre prendeva alla larga quello che voleva dirle. «Allora, per il tuo tavolo... Posso tenerlo libero per te se vuoi, non è un problema. Però siccome di solito ne approfitti per fare un sonnellino, volevo offrirti il mio ufficio.» Le andò di traverso la patatina che stava mangiando, facendola tossire. Per fortuna lui non si sporse per darle dei colpetti sulla schiena, come se avesse intuito che toccarla sarebbe stata la mossa sbagliata. Invece le avvicinò il bicchiere. Sterling dovette bere tre sorsi prima di riprendere fiato. Poi ripeté, annaspando: «Il tuo ufficio?». Quella proposta meritava un bel no. Mai e poi mai! «Si chiude a chiave dall'interno, perciò non dovresti preoccuparti dei clienti che ti disturbano.» Ma avrebbe dovuto preoccuparsi di lui? «Ho la chiave, ma puoi tenerla tu quando sei lì dentro» 16
precisò lui, usando il suo inquietante superpotere di lettura nel pensiero. Quell'offerta la sorprese così tanto che non riuscì a trovare le parole giuste per rifiutarla, perciò finì per limitarsi a scuotere la testa. «No, grazie.» Preferiva trovarsi in un posto aperto. Non che un luogo pubblico equivalesse sempre alla sicurezza – l'aveva imparato a sue spese nel modo peggiore. Però almeno quell'ambiente le era familiare. L'aveva memorizzato nei minimi particolari e sapeva dov'erano le uscite, il numero dei tavoli che la separavano dalla porta, che la vetrina era di vetro temperato e che Cade McKenzie aveva delle armi dietro il bancone, ma che in generale non gli sarebbero servite per ristabilire l'ordine se si fosse arrivati a tanto. Quei pensieri attirarono la sua attenzione verso le mani di lui. Erano mani grandi. Un suo pugno avrebbe avuto l'effetto di una mazza di ferro. No, non gli servivano armi. Era lui l'arma. Per nulla dissuaso dal suo rifiuto, continuò a spiegarle il suo punto di vista. «Utilizzo quell'ufficio solo prima dell'apertura e dopo la chiusura. Oltre alla scrivania con la sedia, c'è un divanetto con dei cuscini. Il telefono fisso privato.» La fissò negli occhi. «Saresti più comoda.» Improvvisamente a Sterling parve buffo. Stavano girando intorno a un fatto ovvio: lei sapeva che non era solo un barista. E, in qualche modo, lui sapeva che lei non era solo una camionista. Sorridendo, si tirò indietro e lo scrutò. «Bello» commentò lui. Presa alla sprovvista, Sterling replicò: «Che cosa?». «Il tuo sorriso.» Quell'osservazione la fece vacillare, e Sterling impiegò qualche secondo a riprendersi. «Ascolta, non ti ho neppure detto come mi chiamo.» «Me ne rendo conto.» «Ma lo sai ugualmente, vero?» Si aspettava di sentire una bugia e, quando avesse mentito, avrebbe avuto un valido motivo per non fidarsi di lui. Avrebbe pagato, sarebbe uscita e 17
sarebbe andata via... per non tornare mai più. Impegnato anche lui in un esame approfondito, fece scorrere lo sguardo sul suo volto come se volesse prendere nota di ogni suo tratto... e gli piacesse quello che vedeva. «Non posso entrare in dettaglio né darti spiegazioni, però sì, so come ti chiami.» Sterling ebbe un tuffo al cuore. L'aveva ammesso! Quali conseguenze aveva per il loro rapporto? Una parte di lei era scossa da un brivido di allarme, ma un'altra parte, che avrebbe preferito ignorare, avvertiva una strana sensazione di... sollievo. Se c'era qualcuno che la conosceva veramente, allora non era più sola. Esisteva. Contava qualcosa. Sterling scosse la testa. O forse non era bravo come lo immaginava? Combattuta tra emozioni contrastanti, socchiuse le palpebre. «Va bene. Sentiamo.» Cade si raddrizzò e si guardò intorno rapidamente per assicurarsi che non li ascoltasse nessuno, poi con disinvoltura buttò la bomba snocciolando il risultato delle sue ricerche. «Sterling Parson, ma prima ti chiamavano Star. Hai ventinove anni, hai preso la patente di guida commerciale quando ne avevi appena ventidue, per qualche tempo hai lavorato per la Brown Transportation, poi hai comprato un camion tuo quando avevi ventisei anni.» Lei rimase letteralmente a bocca aperta. Dio, sapeva veramente molto di lei! Troppo. Aveva ragione a temerlo. No, non provava paura nei suoi confronti, ma solo diffidenza, la cara vecchia diffidenza che aveva verso tutti e che la teneva in vita. Lui non era diverso, non era speciale, e lei non poteva... «Mia sorella» ammise con la massima serietà, interrompendo i suoi pensieri. «È un genio delle ricerche, ed ero curioso.» «Su di me?» «Su di te» confermò lui. Nessun bisogno di scusarsi, ma avrebbe gradito almeno 18
una spiegazione. «Non ne avevi il diritto» sibilò lei. Per un attimo lui distolse lo sguardo, seguendo una goccia di condensa sulla bottiglia di Coca Cola con un lungo dito dall'unghia corta. «Mi viene naturale.» Scrollò una spalla robusta. «O sarà l'istinto.» La tensione ebbe un'impennata quando la guardò negli occhi, e tutti e due rimasero senza fiato per un istante. Poi aggiunse, con una voce calda e bassa, come un ringhio sommesso: «Mi sembrava importante saperlo». Stordita, confusa e, accidenti a lui, delusa, Sterling scosse la testa. «Ora devo trovare un altro locale.» Lui non smise mai di guardarla dritto negli occhi. «Qualunque cosa tu faccia, Star, qui sarai più al sicuro. Concediti un minuto per riflettere prima di reagire, e vedrai che ho ragione.» «Ma come, non sai quello che faccio? Non sai perché?» sbottò lei, acida. «Non hai fatto i compiti.» «Ho cercato di non essere troppo invadente.» Quella replica le strappò una risata aspra. «Stai attirando l'attenzione, ma immagino che tu preferisca non farlo. No, tranquilla, nessuno di pericoloso» si affrettò a rassicurarla, vedendola irrigidirsi, allarmata. «A dire il vero, tutti i clienti hanno manifestato una certa curiosità nei tuoi confronti, in un momento o nell'altro. Credo che nessuno ti abbia mai sentito ridere.» «Non si può mai sapere chi è pericoloso e chi no.» Nessuno più di lei aveva imparato che, a volte, era impossibile distinguere il male. «Invece sì» insistette lui, ma in tono benevolo. «Conosco tutti quelli che mettono piede qui, fidati.» Lei emise un piccolo sbuffo dal naso. Non si sarebbe mai più fidata di nessuno. «In questo momento c'è solo gente del posto, oltre a qualche camionista e qualche villeggiante. Però è comunque meglio non farsi notare, giusto? Nel caso si presenti qualcuno a fare domande...» Sterling si raggelò, e provò anche un vago senso di nausea 19
per l'angoscia... e lo struggimento. Dio, era così piena di desiderio! Aveva cominciato a considerare quel bar come... casa? Che assurdità! Non era affatto speciale, ed era anche in un quartiere poco raccomandabile. Era solo un posto in cui poteva rilassarsi, e le sarebbe dispiaciuto perderlo. La posizione era ideale per lei, perché era solo a una mezz'ora dall'Interstatale I-25 e in mezzo c'erano tanti posti in cui nascondersi, oltretutto era anche più vicino ad altri locali malfamati. Non voleva rinunciarvi, ma quale scelta aveva? Cade emise un rapido mugugno carico di frustrazione. «Ora il tuo tavolo è libero» le fece notare. Sì, se n'era accorta. Si alzò, tirò fuori da una tasca qualche banconota da lasciare sul bancone, ma Cade la bloccò scuotendo la testa. «Offre la casa. Vai a riposare un po', e pensa alla mia offerta.» In realtà non aveva ancora voglia di andarsene. Ora che aveva mangiato, era invasa dal torpore. Alla fine annuì. «Va bene, ci penserò.» «Grazie, Star. Lo apprezzo.» «Come hai sottolineato, prima mi facevo chiamare Star. Adesso mi mette più a mio agio Sterling.» «Non mi sembra che tu sia mai a tuo agio, perciò non facciamo gli schizzinosi sul nome.» La stuzzicava ancora? E aveva una fossetta sulla guancia. Era ingiusto! Era sempre attraente, ma ora che aveva lo sguardo compiaciuto e quella bocca sexy incurvata? Un fascino dirompente. Non lo capiva. E non riusciva a capire neppure se stessa quando era con lui. Invece di fargli intuire che era confusa, si diresse verso il tavolo, ignorando le occhiate incuriosite dei clienti abituali che sapevano che per lei era insolito fermarsi a chiacchierare con qualcuno. Anche se era più circospetta, dopo quelle inaspettate rivelazioni, le rimaneva comunque una piacevole sensazione di 20
sicurezza. Pochi minuti dopo essersi seduta si appisolò. Cade si accorse immediatamente che si era addormentata. Era seduta rivolta verso la sala, con le lunghe gambe distese sulla sedia di fronte e le braccia conserte. Si era messa comoda, semidistesa, noncurante dell'impressione che dava, aveva appoggiato la testa al muro e chiuso gli occhi. Le lunghe ciglia le ombreggiavano gli zigomi. Ammirò il suo naso stretto, con un leggero arco alla radice; secondo lui era perfetto per il suo volto. Non troppo vezzoso, non troppo grande né piccolo. Come il suo atteggiamento, anche le fattezze del suo viso e del suo corpo erano singolari. Il respiro divenne più lento e profondo, ma senza russare. E non si era abbandonata completamente. Cade dubitava che si lasciasse mai andare. Probabilmente era tanta diffidenza a tenerla costantemente sulle spine e in tensione. Di certo a lui faceva quell'effetto. Di rado dormiva profondamente, ma d'altronde non aveva bisogno di molto sonno. Con un po' di fortuna, lei avrebbe sonnecchiato fino all'ora di chiusura, a mezzanotte. Fare il barista non era la sua vera vocazione, e non teneva aperto il bar agli stessi orari degli altri, che chiudevano quasi tutti alle due di notte. Lui invece chiudeva a mezzanotte e riapriva solo verso le quattro del pomeriggio, così aveva tutto il tempo di dedicarsi ad altro, e quando aveva qualche impegno durante l'orario di apertura, al bar c'era chi poteva sostituirlo. Mancava solo un'ora alla chiusura quando entrarono due estranei. Ebbe un brivido di allarme, l'istinto gli diceva che stavano per avere problemi. Istintivamente spostò lo sguardo verso Star. La vide seduta con la schiena dritta, in allerta e con gli occhi dall'espressione acuta. Accidenti... Non aveva mai conosciuto una donna che avesse la stessa profonda consapevolezza dell'ambiente circostante. In questo, era come lui. Ma non per questo voleva metterla in pericolo, special21
mente quando l'incarnazione del pericolo aveva appena messo piede nel suo bar. Spostò con discrezione lo sguardo tra lei e gli uomini, sperando che Star li ignorasse e si riaddormentasse. Ma avrebbe dovuto aspettarselo. Mentre osservava la scena, frustrato, lei tolse l'elastico dai capelli e li lasciò ricadere su una spalla. Caspita. Aveva sempre saputo che i capelli facevano molta differenza nell'aspetto di una donna. Ma per Star? Così sciolti, le conferivano una morbidezza che ebbe un impatto quasi fisico su di lui. Aveva dei capelli stupendi, più lunghi di quanto pensasse, di un castano caldo con dei riflessi biondi per il sole. La osservò affascinato mentre v'infilava le dita e li gonfiava. Avrebbe voluto farlo lui. Gli sembrava quasi di sentire quella massa setosa scorrere tra le dita che piegò istintivamente. Quando Star aprì tre bottoni della camicia con un gesto rapido, Cade serrò le mandibole, ma lei non lo notò. Concentrata sui nuovi arrivati, allargò la scollatura per mostrare il solco tra i seni, poi legò i lembi della camicia alla vita. In meno di trenta secondi era passata da sobria e riservata a bomba sexy. Era sparito l'atteggiamento non avvicinarsi, sostituito da una posa che gridava disponibile. Perché? Che diavolo aveva in mente? Quando si alzò, Cade intuì il suo proposito e imprecò mentalmente. Lei non lo degnò di uno sguardo. L'aveva dimenticato completamente, e la cosa gli bruciò, perché il suo primo pensiero era stato per lei quando aveva visto i due uomini. Appena fu in piedi, attirò la loro attenzione. Si diresse verso di loro con un sorriso seducente. Cade avrebbe voluto farli a pezzi solo per il modo in cui la guardarono. Quando arrivò dal più robusto dei due, Star chiese: «Hai una sigaretta?». L'uomo la scrutò con un'attenzione offensiva, poi tirò fuori 22
il pacchetto dal taschino della maglietta, lo scosse per farne uscire una e gliel'offrì. Lei si chinò guardandolo negli occhi e la prese lentamente. Tutti e due le guardarono la scollatura. Il secondo le domandò: «Vuoi accendere?». «Ce l'ho fuori, ma grazie.» Uscì ancheggiando, e non furono solo quei due a seguirla con lo sguardo. Tutti gli uomini presenti nel locale avevano gli occhi incollati al suo fondoschiena. Cavoli. In fretta, ma con disinvoltura, Cade chiese a qualcuno di coprirlo dietro il bancone poi, fingendo di avere bisogno di fare una pausa, percorse il corridoio ed entrò nell'ufficio privato che le aveva offerto per riposare. Chiuse di nuovo la porta a chiave e si diresse verso l'unica finestra, l'aprì e scavalcò il davanzale. Non era facile per un uomo grosso come lui, ma non era la prima volta che provava a passare da lì, per assicurarsi di avere una via di uscita alternativa in caso di emergenza. E guardare le spalle di Star era un'emergenza. Fece il giro del bar quatto quatto e tese l'orecchio, seguendo il rumore dei suoi anfibi sulla ghiaia. Star non si diresse verso il camion, ma forse non voleva far capire quale fosse il suo. Furba... però potevano chiedere di lei a chiunque nel bar, e quella sarebbe stata la prima cosa che potevano scoprire. Cade si protese dietro l'angolo, ancora nascosto nell'ombra; però riusciva a vederla da lì. Non aveva acceso la sigaretta e la teneva tra le labbra. Che intenzioni hai? Star guardò diverse volte in direzione dell'ingresso e assunse un'espressione frustrata quando la porta si aprì. L'uomo che le aveva offerto da accendere sorrise. «Non hai trovato l'accendino?» Lei scosse la testa, facendo ondeggiare la folta chioma intorno ai seni, poi chiese, facendo un broncio sexy: «L'hai portato?». Lui lo tirò fuori: «Se mi chiedi per favore...». 23
Lei si tolse la sigaretta di bocca e gli rivolse un sorriso tirato. «Davvero? Perché dentro ci sono venti uomini che sarebbero contenti di farmi accendere, e senza condizioni.» «Però mi sembra che non ti piacciano, altrimenti avresti chiesto una sigaretta a loro.» Lei arricciò le labbra. «Credi di sapere che cosa mi piace?» «So che non hai voglia solo di fumare.» Quella battuta la fece ridere, e la sua risata calda agitò Cade. Stava facendo un gioco pericoloso, e sperava che non esagerasse. «Forse hai ragione.» Si passò un dito tra i seni, attirando lo sguardo bramoso dell'uomo. «Come ti chiami?» «Puoi chiamarmi Smith.» Lei rise di nuovo. «Be', Smith, tu quanto vorresti darmi?» Cade non credette neppure per un secondo che intendesse vendersi. No, aveva un altro scopo, che gli faceva paura. Conosceva quello scemo di Smith, perché lui e suo fratello lo tenevano d'occhio da più di un mese. Sapevano che Smith era coinvolto in parecchi affari loschi, ma era tutto muscoli e niente cervello. Era qualcun altro a comandare, qualcuno con più potere. E Cade li voleva beccare tutti. Con quel giochino Star metteva a repentaglio i suoi piani accurati... anche se non sapeva che aveva dei piani. «Sai che ti dico?» L'uomo prese il portafogli dalla tasca posteriore dei jeans. Finalmente lei parve alquanto agitata, ma non si tirò indietro. Anzi, alzò addirittura il mento. Per fortuna, perché Cade non voleva farsi scoprire, l'uomo le porse un biglietto da visita. «Se vuoi guadagnare bene, passa al Misfits domani sera. Ho un amico che ha bisogno di essere rallegrato e tu saresti perfetta.» Lei riprese il suo atteggiamento spavaldo e guardò il biglietto poi lo ficcò in tasca. «A che ora?» «Ah, quindi non ti dispiace l'idea di... intrattenerlo?» Lei scrollò le spalle, ma chiese: «È un gran porco?». «Quasi nessuna ha da lamentarsi.» 24
Quasi nessuna significava che qualcuna aveva qualcosa di cui lamentarsi, ma che non gl'importava? E quando l'amico di Smith aveva finito di trastullarsi con loro, erano in grado di lamentarsi? Cade fece dei respiri lenti e profondi per non reagire. Avrebbe protetto Star in qualche modo, e alla fine avrebbe seppellito Smith. Per un secondo lei assunse un'espressione vacua – per paura? Collera? – poi gli rivolse un altro sorriso credibile. «Immagino che tu gli abbia già portato altri omaggi...» «Ha un debole per gli omaggi con gambe lunghe e tette grosse.» Cade voleva con tutte le forze che si allontanasse da quel bastardo, ma non intervenne. Non ancora. Giocherellando con un lungo ricciolo, Star finse di non essere infastidita dal suo linguaggio rozzo e dalle sue insinuazioni oscene. «Di quale cifra parliamo?» Colto di sorpresa, Smith allungò una mano e le strinse una ciocca di capelli. «È abbastanza, okay? Non insistere. Fatti trovare lì alle nove.» Lei non trasalì, non dimostrò di provare dolore e non parve dissuasa. Anzi, si avvicinò a Smith. Anche troppo. «Oh, ci sarò. E mi aspetto che ne valga la pena.» Lui si protese, chiaramente per baciarla, e improvvisamente lei si liberò, lasciandoci qualche capello. «Prima paga, bello. Non do niente gratis.» Prima che Smith potesse decidere che cosa fare, se ne andò. Per fortuna rientrò nel bar, dov'era relativamente al sicuro. Ma quanto sarebbe stata al sicuro quando fosse andata via? Tenendo d'occhio la porta da cui era entrata, Smith prese il cellulare e chiamò qualcuno. La luce dello schermo sottolineò il suo ghigno. «Ehi» disse quando gli risposero. «Prepara la stanza sul retro, okay? Domani arriva una nuova.» Rise. «Sì, ti piacerà. È perfetta per i tuoi gusti.» Ascoltò e scosse la testa. «No, sono sicuro di no, ma stasera la seguirò, tanto per accertarmi. Una cosa, e non è negoziabile.» Attese, poi disse: «Quando avrai finito con lei, io sarò il prossimo». 25
SE SOLO FOSSI MIO di Mhairi McFarlane Laurie e Jamie hanno la perfetta storia d’amore in ufficio: tutti possono vedere che hanno perso la testa l’uno per l’altra, che il loro è un grande e vero amore. Peccato che sia tutta una finzione. Ma il cuore si può spezzare anche per una finta storia d’amore?
AMORE IN CUCINA di Kristen Proby Per Mia cucinare non è solo una passione, è parte integrante del suo essere e la fatica iniziale finalmente sta ripagando. Poi un giorno nella sua cucina entra Camden Sawyer, il più grande errore della sua vita e uno chef di fama mondiale, il migliore.
NIENTE SEGRETI di Kristen Proby Sterling Parson, Star, non si è mai tirata indietro davanti alle sfide, si è sempre presa cura di se stessa e non ha mai avuto bisogno né voluto un uomo accanto. Almeno finché incontra Cade McKenzies, le scattano tutti i campanelli d'allarme e il cuore inizia anche a battere a un ritmo diverso...
TI ODIO, ANZI NO TI AMO! di Sally Thorne Lucy Hutton ambisce all'ufficio migliore (e relativa promozione). Per questo è servizievole e accomodante, lavoratrice indefessa ma carina e gentile con chiunque. E per questo tutti la amano. Tutti tranne il freddo, efficiente, impeccabile e fastidiosamente attraente Joshua Templeman...
A PIEDI NEL PARCO di Jules Wake Questa è la storia di due donne. Una più giovane, Clare, e una che non lo è più, Hilda. La prima è in cerca di nuove avventure, la seconda di un obiettivo. Entrambe però hanno bisogno di un’amica e di qualcuno accanto con cui condividere amore, risate e un po’ di corsetta (o magari camminata veloce).
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FUGA ESTIVA di Susan Mallery La mamma single Robyn Caldwell ha bisogno di una nuova prospettiva per il suo futuro. Ha sempre messo la famiglia al primo posto, ma è ora di prendersi una vacanza! E di guardare i suoi sogni e l’amore. Potrebbe finalmente avere tutto ciò che ha sempre desiderato, se solo avesse coraggio...
COME MANTENERE UN SEGRETO di Sarah Morgan Da ragazzine Lauren e Jenna erano unite come solo due sorelle possono esserlo e la loro vita nell'incantevole Martha's Vineyard era perfetta, finché non hanno dovuto condividere un terribile segreto e si sono allontanate sempre di più...
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