Noi due per sempre

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Joya Ryan

Noi due per sempre


Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: Yours Forever Bear & Gunner Publishing, LLC © 2015 Joya Ryan Traduzione di Giorgia Lucchi Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. Harmony è un marchio registrato di proprietà HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved. © 2016 HarperCollins Italia S.p.A., Milano Prima edizione Harmony Passion novembre 2016 HARMONY PASSION ISSN 1970 - 9951 Periodico mensile n. 121 del 24/11/2016 Direttore responsabile: Chiara Scaglioni Registrazione Tribunale di Milano n. 71 dello 06/02/2007 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - Via Mondadori, 1 - 20090 Segrate (MI) Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 045.8884400 HarperCollins Italia S.p.A. Viale Monte Nero 84 - 20135 Milano


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Una folata di vento invernale mi sferzò il viso con tale forza da darmi l'impressione che Dio in persona si fosse sporto dal cielo e mi avesse schiaffeggiata. Il freddo faceva male, tanto che stringermi addosso la giacca nera non bastò a tenere a bada il gelo intenso. Lo scricchiolio della bara di mio padre che veniva calata nella fossa mi trafisse i timpani. La osservai oscillare, i fiori sul coperchio tremavano scendendo sempre più in basso. Tutti avevano cominciato ad andarsene, si erano voltati e tornavano verso le loro auto. Probabilmente sarebbero andati a casa della mia matrigna per un rinfresco a base di panini e avrebbero ricordato mio padre come amico, o collega. Non io. Rimasi lì, sola, nessuno mi degnò di uno sguardo, nessuno tentò di guardarmi negli occhi. Tutti se ne andarono. Il bruciore allo stomaco era l'unica cosa che mi confermava che non era un sogno, nemmeno un incubo. Era vero. La settimana prima mio padre, la mia casa e la mia anima mi erano stati strappati via. Chiunque abbia detto che la verità rende liberi, evidentemente non ha mai sperimentato una verità del genere. Come la verità che mi ero innamorata di due uomini, solo per essere tradita da entrambi. O la verità che il mio fratellastro era un sociopatico violento e attualmente era a piede libero. 5


Mi passai distrattamente le dita sulla guancia nel punto in cui mi aveva colpita. Era quasi guarita, ma il ricordo restava. Non sapevo se fosse colpa del vento del Colorado o dello shock, uno shock che non avevo ancora metabolizzato. Pur avendo avuto un po' di tempo per abituarmi a quelle nuove verità, non avevo ancora capito davvero. Non contavo più le ore, perché era troppo difficile pensarci, tutto ciò che sapevo era che mio padre era morto giorni prima. Giorni prima avevo visto la mia casa distrutta da un incendio. Giorni prima l'ultima parte del mio cuore mi era stata strappata dal petto e avevo perso il secondo uomo che avessi mai amato. Sola. Ero tutto ciò che mi restava e avrei tanto voluto chiedere un risarcimento. «Lana Case?» mi apostrofò un uomo stempiato con occhiali dalla montatura spessa. «Sì?» La mia voce fu poco più di un gracidio. «Sono Greg Simpson, il legale della Case-VanBuren.» Annuii. Ovvio che mio padre e la mia matrigna avessero un legale. Avevo sentito il suo nome qualche volta, nel corso degli anni, Greg faceva parte della fusione CaseVanBuren fin da quando mio padre aveva sposato la mia matrigna, Anita. Non mi sorprese che fosse lì, in particolar modo dal momento che nel giro di poche ore sarebbe stato letto il testamento. «Sono molto dispiaciuto per la sua perdita» dichiarò. Avrei voluto essere gentile, avrei voluto ringraziarlo, ma la mia bocca si rifiutò di muoversi. Come il resto di me. Anita e Brock recitavano bene la parte della famiglia in lutto e vennero verso di me. I tacchi delle mie scarpe calpestarono l'erba tagliata meticolosamente corta e non riuscii a decidere a quale istinto dare retta, scappare o combattere. Per mia sfortuna non provai nessuna delle due reazioni e rimasi dov'ero, immobile. «Sarà meglio andare.» Anita si rivolse a Greg senza de6


gnarmi di uno sguardo. Non che ne desiderassi uno da lei, beninteso. «Non pensavo che saresti venuta, Lana.» Pronunciò il mio nome come se sputasse veleno. «Vista la denuncia che hai sporto, pensavo avessi troppa paura per stare vicino a mio figlio.» Il tono era leggero, ma allo stesso tempo mi lanciò una sfida. Da un momento all'altro mi sarei aspettata di vederla sistemarsi il cappello nero oversize e controllarsi le unghie, come se il fatto che suo figlio mi avesse aggredita fosse cosa da niente. Brock si era introdotto in casa mia e mi aveva colpita. Avrebbe fatto di peggio, se non fossi riuscita a fuggire. Aveva pagato la cauzione ed era uscito di prigione, per il momento, ma non intendevo tirarmi indietro. Per una volta il torpore giocò a mio vantaggio. Per quanto fossi spaventata, non lo avrei mai lasciato capire, in particolar modo a Brock e ad Anita. «Sono ansiosa di discutere la questione di fronte a un giudice» affermai. Brock sbuffò e intrecciò le braccia sul petto. «Pensi che la tua accusa di aggressione possa stare in piedi? Mi hai invitato a casa tua e, a quanto ricordo, sei inciampata e caduta.» Era un serpente, l'epitome di tutto ciò che era insignificante, dai capelli castano spento agli occhi smorti, sembrava l'impotenza rivestita di un abito costoso. La facilità con cui intesseva menzogne era più terrificante del suo aspetto. Perché Brock riusciva sempre a risultare convincente. In quel caso, però, non se la sarebbe cavata, dal momento che avevo sporto denuncia e rilasciato una deposizione. Non mi restava che aspettare. Con le feste in arrivo e la lentezza con cui i casi venivano discussi in tribunale, saremmo comparsi davanti a un giudice solo con l'anno nuovo. Sarebbe stata la sua parola contro la mia, ma avevo un paio di pompieri dalla mia parte che avevano assistito all'epilogo della vicenda. Potevano anche non aver visto 7


Brock colpirmi, ma mi avevano vista correre fuori di casa chiedendo aiuto. Pensarci mi dava forza. «In tal caso vedremo a chi crederà il giudice» ribattei. «Potremmo sistemare la questione senza portarla in tribunale» intervenne Anita. Brock fece per contraddirla, ma lei gli scoccò un'occhiataccia, prima di riportare lo sguardo su di me. «Perché non troviamo una soluzione tra noi? Non c'è alcun bisogno di trascinare la questione più a lungo del necessario.» Cercai di non mostrare la mia sorpresa. Anita voleva evitare di andare in tribunale? L'unica ragione che avrebbe potuto indurla a cercare una soluzione di ripiego era la consapevolezza che avrei vinto io. Finalmente Brock sarebbe stato punito per avermi fatto del male, e lo sapevamo entrambe. «Sono sicuro, Lana, che possiamo concordare una somma ragionevole» intervenne Greg. Le mie labbra screpolate si dischiusero e subito furono punte dal freddo. Cercavano di comprarmi. Ero a corto di fondi e al momento non avevo una casa, ma potevo permettermi il motel a buon mercato in cui mi ero trasferita e mi auguravo di poter continuare così ancora un paio di settimane, finché non fossero arrivati i soldi dell'assicurazione per l'incendio. Non era una questione di denaro, volevo che Brock fosse punito per ciò che aveva fatto. «Nessuna somma di denaro potrà indurmi a cambiare idea» dichiarai. «Mi hai aggredita.» Guardai Brock negli occhi e cercai di non rabbrividire per la crudeltà che lessi nel suo sguardo. «È ora che ti assuma la responsabilità del tuo comportamento.» Emise un brontolio cupo, simile a un ringhio minaccioso, ma Anita lo interruppe subito. «Ci sarà pure qualcosa che vuoi» affermò, il tono infastidito. Mi interessava soltanto una cosa. «Mio padre teneva una fotografia nel portafoglio» replicai, costringendomi a controllare il tono di voce, avere Anita e Brock così vicino 8


mi dava la nausea. Mi faceva ancora male la guancia nel punto in cui quel bastardo mi aveva colpita e lui non cercava nemmeno di nascondere il sorriso compiaciuto per la sua opera. Riuscii a non trasalire al ricordo del suo pugno che mi investiva lo zigomo, o degli altri ricordi orribili che mi aveva lasciato. No, resta forte, resta presente. «Non pensare di poterti avvicinare al portafogli di tuo padre» mi derise Anita. «Non mi interessa nient'altro. Voglio sapere se ha ancora quella fotografia. Siamo lui, mia madre e io.» La mia matrigna sollevò un sopracciglio. «E perché avrebbe dovuto averla?» «La teneva sempre con sé» ribadii. «E dopo che la mia casa è bruciata, è tutto ciò che mi resta della mia famiglia.» Mi sembrava che nelle vene mi scorresse veleno, dal momento che non credevo alla storia che loro non avessero niente a che vedere con l'accaduto. Brock poteva anche essere rimasto tutta la notte in prigione quando l'incendio era divampato, ma i VanBuren non erano innocenti. Per niente. Anita si protese verso di me e sussurrò rauca: «Hai perso la tua famiglia molto tempo fa». Cercai di non permettere che quelle parole mi ferissero, ma non ci riuscii, perché in parte lei aveva ragione. Avevo perso il senso della famiglia, mio padre, già da anni. Solo che adesso lui se n'era andato fisicamente. Con un sospiro esasperato, aggiunse: «D'accordo. Se trovo la fotografia, tu lascerai cadere le accuse?». «No» rifiutai subito. «Non è uno scambio. Voglio la foto e basta.» A lei non sarebbe servita e, pur sapendo che sarebbe stato arduo, dovevo provarci. Gli occhi di Anita incontrarono quelli di Greg, e disse: «Andiamo». Prima di voltarsi, aggiunse: «Suppongo che sia un addio, Lana. Non c'è alcuna ragione di rivederci». 9


«Fino al tribunale» replicai. Lei si rabbuiò. «A meno che tu non cambi idea riguardo alle accuse contro Brock.» «Non succederà.» Sarei stata felice di non rivederli mai più, ma ero impaziente di recarmi in tribunale e perorare la mia causa contro Brock quando fosse giunto il momento. Potevo aspettare. Avevo aspettato a lungo, qualche settimana o qualche mese in più non sarebbe stato niente, per me. Anita e Greg si avviarono, ma Brock avanzò di un passo verso di me. Il suo alito freddo mi toccò la faccia e cercai di reprimere un conato di vomito. «Non ho più sentito Erica» affermò. «Forse dovresti capire l'antifona. Ti ha lasciato.» «Sì, e non credere che abbia dimenticato di chi è la colpa.» I suoi occhi si socchiusero fissandomi e, per quanto lo detestai, sentii la paura ormai familiare salirmi nel petto. Furono necessari tutti i miei sforzi per tenerla a bada. «Se pensi che testimonierà contro di me, ti sbagli.» Per una frazione di secondo un'espressione allarmata balenò sulla sua faccia. Aveva paura. Perché sapeva che, se l'avessi chiamata, Erica avrebbe testimoniato a mio favore per il tentativo di furto con scasso. Poteva non aver capito subito che genere di uomo fosse Brock, ma se n'era accorta quando si era introdotto in casa mia ed era fuggito. Fuggito su un'auto con lei alla guida. Quindi era sua complice. Era l'unica ragione per cui non intendevo accusare Brock anche di quello, non avrei mai voluto mettere nei guai Erica. Se il procuratore avesse perseguito Brock per tentato furto con scasso, avrebbe collegato anche Erica al crimine. Lei era solo una madre single che si era messa con l'uomo sbagliato e non aveva idea di cosa stesse combinando e non potevo permettere che fosse rovinata per quello. Le accuse di aggressione e percosse contro Brock sarebbero dovute bastare. «Incolpami quanto ti pare» lo sfidai. «La verità è la ve10


rità.» La mia grinta era agli sgoccioli, non vedevo l'ora di liberarmi di lui, nascondere la paura mi costava un mucchio di energia, ma ci provai. Ci avrei provato per l'eternità. «Brock» lo chiamò Anita. «Andiamo. Non vogliamo ritardare la lettura del testamento.» Mi rabbuiai e lui sorrise mentre si dirigeva verso la madre. «Non preoccuparti, Lana» aggiunse lei a voce alta. «Non sei citata nel testamento. Non darti la pena di venire.» Guardai Greg e lui scosse la testa, concorde. «È vero. Sono citati solo Anita e Brock.» Inghiottii il dolore alla gola. Non mi importava dei beni materiali, né del denaro, ma mio padre era morto e quella era la conferma definitiva che io non significavo niente. Non dissero altro mentre se ne andavano per la loro strada. Rimasi immobile a guardare, mentre la bara di mio padre arrivava in fondo alla fossa. Il cellulare vibrò nella tasca della giacca e controllai lo schermo. Di nuovo la stazione di polizia, mi avevano già chiamata un paio di volte rivolgendomi le stesse domande. Domande riguardanti mio padre, la sua vita e il motivo per cui avrebbe voluto suicidarsi. Rimisi il cellulare nella tasca, avrei richiamato più tardi. Potevo ripetere solo la stessa cosa che avevo detto fin dall'inizio. Non ne ho idea. Carter Case era molte cose, ma suicidarsi non era nel suo stile, concetto con cui anche la polizia sembrava concordare, dal momento che le indagini sul suo presunto suicidio si stavano dimostrando più meticolose del previsto. Ma io cosa sapevo? Non conoscevo più mio padre, ormai da molto tempo. Forse Anita aveva ragione, non avevo mai avuto una famiglia. Eppure, mentre restavo lì, intenta a guardare mio padre che veniva deposto nel suo ultimo luogo di riposo, non riuscii a voltarmi e ad andarmene. Al contrario, mi avvicinai di più. Qualcosa di morboso si insinuò nei miei pensie11


ri mentre osservavo la bara che nascondeva l'unico uomo che un tempo avevo creduto mi avrebbe salvata dal mondo. Mi si contrasse lo stomaco per il dolore. Non mi aveva mai salvata dal mondo e alla fine nemmeno io ero riuscita a salvare lui. Però non potevo lasciarlo, non ancora. Una folata di vento mosse i fiori sul coperchio, granelli di terra spruzzarono le rose e vedere quelle macchie marroni colpire i petali bianchi suscitò la mia rabbia. Le lacrime ripartirono fin dalle dita dei piedi, risalendo lungo il mio corpo sempre più pesanti, finché non raggiunsero gli occhi. Mi sedetti su una delle tante sedie bianche vuote e continuai a fissarlo. Nella terra, andato per sempre. Premendo le ginocchia fra loro per difendermi dal freddo, mi incupii quando una goccia d'acqua colpì i fiori. Poi un'altra. Mi sembrò perverso, mettere qualcosa di tanto vivo e tanto bello in una fossa affinché fosse ricoperto dalla terra. Altra acqua cadde dal cielo e la vidi inumidire le rose finché non avvizzirono per il peso della pioggia. Il ticchettio delle gocce d'acqua che colpivano il coperchio della bara creò una melodia lancinante, un suono ipnotico. Se n'era andato, per davvero. Rimasi a guardare mentre la pioggia cadeva sull'uomo che mi aveva allevata, racchiuso dentro una scatola di legno. Fu uno spettacolo orribile. Tutta la sua vita si era concentrata in quel momento e non potevo far niente. Non potevo chiedere niente a mio padre, non potevo dirgli che, nonostante tutto, lo amavo. Rimasi a guardare la pioggia cadere più forte su qualcosa che non avrei mai potuto cambiare. Il mio alito si condensò nell'aria quando espirai, le mani strette in grembo. La pioggia cadeva tutto intorno a me... Intorno a me, non sopra di me. 12


Guardai la terra che si stava bagnando, eccetto sotto le mie scarpe. Io non mi stavo bagnando. Alzai lo sguardo e vidi un ombrello nero sopra la mia testa e un paio di occhi ancora più neri che mi osservavano da dietro il manico. «Jack» sussurrai. Era lì, con un vestito scuro, la sagoma cesellata, teneva l'ombrello in modo da proteggermi dalla pioggia, mentre restava a prendere l'acqua sotto il cielo grigio. «Perché sei qui?» chiesi, ipnotizzata per tutt'altra ragione. I capelli corvini erano fradici, gocce d'acqua gli scorrevano sul volto straordinario, scendendo fino all'ombra di barba che contornava gli zigomi alti. Batté le palpebre una volta, facendo danzare una goccia d'acqua sulle ciglia folte. Potei soltanto seguire il movimento della pioggia fino alle labbra. Fradicio. Se ne restava sotto il temporale mentre mi garantiva una protezione. Il mio muro. Mi proteggeva dall'asprezza della natura, della vita. «Sono qui per te» rispose, rauco. Quelle quattro parole mi trafissero il petto come una lancia. Quattro parole che, all'istante, non mi fecero più sentire sola. Quattro parole che qualche mese prima, quando mi aveva lasciata, avrei dato l'anima pur di sentire. Jack Powell era una delle due ragioni per cui il mio cuore si rifiutava di battere in modo corretto. Era il mio primo amore, la mia prima passione, la mia prima rete di sicurezza. E si era portato via tutte e tre le cose, il giorno in cui mi aveva lasciata. Una volta era stato l'uomo che mi aveva aiutata a trovare la mia forza. Mi aveva aiutata ad affrontare i demoni del passato e mi aveva spronata a essere più forte. Quando se n'era andato aveva schiantato ogni mia emozione e ricostruire era stata la cosa più difficile che avessi mai fatto. Ci ero riuscita grazie al suo migliore amico, Cal. Solo che Cal 13


non era migliore di Jack. Poteva non avermi lasciata, ma mi aveva ingannata. E il mio mondo era andato in pezzi, perché la verità era difficile da mandare giù. Ma la verità era che Jack e Cal mi avevano incastrata, avevano spezzato la mia vita a metà e mi avevano corteggiata a turno. Il problema era che mi ero innamorata di tutti e due e avevo capito troppo tardi che si erano accordati, dividendosi il tempo in modo da potermi avere entrambi. Lo guardai. L'intensità che emanava era più densa delle nubi e vibrava con maggiore energia. Stargli vicino mi lacerava il cuore a tal punto che lo sentii squarciarsi nel mio petto. «Non ho bisogno di te» sussurrai, alzandomi. Si spostò in modo da continuare a proteggermi dalla pioggia mentre mi voltavo verso di lui. «E non ho bisogno nemmeno di questo.» Afferrai il manico, chiusi l'ombrello e glielo resi. La pioggia cominciò all'istante a battermi sulla sommità della testa e mi cadde sul viso come il getto di una doccia. «Non voglio che tu prenda freddo e ti ammali.» «Adesso ti preoccupi per me?» Mi investì con un'occhiata cupa e avanzò. «Mi sono sempre preoccupato per te.» Avrei voluto smaniare, gridare e dirgli che erano tutte bugie. Perché era rimasto a guardarmi piangere, mi aveva sentita implorarlo, implorarlo, di restare, eppure mi aveva voltato le spalle. Il ricordo mi nauseava, ma il succo era lo stesso. Lo avevo implorato. Qualcosa che solo una persona debole avrebbe fatto, e io detestavo essere debole. Mi sforzavo di provare qualcosa di diverso da quella singola emozione. Ecco perché Jack era il piacere peccaminoso migliore, perché con un respiro mi faceva sentire forte e con quello successivo mi induceva a implorarlo. Solo lui era capace di scatenare una guerra tra due reazioni così potenti. Ma non potevo arrendermi in quel momento. Mio padre se n'era andato, il mio mondo 14


stava andando in pezzi come una collisione fra due treni guardata al rallentatore, e io ero a un passo dal crollare sotto quella pressione. «Ho chiuso con te» sussurrai. Una fiamma selvaggia divampò come ossidiana fusa in quegli occhi elettrizzanti. Spinse via la sedia che ci separava, rovesciandola sull'erba fradicia; l'impatto fece schizzare il fango fino alla mia caviglia. Avanzò nello spazio che aveva liberato e si fermò solo quando la punta del mio naso gli sfiorò il petto umido. Mi prese il mento tra le dita e mi fece alzare il viso verso la pioggia. Lo fissai, le ciglia che sfarfallavano per le gocce che mi colpivano. Il suo sguardo mi intrappolò, l'espressione mi bruciò mentre mi fissava, circondato dal cielo grigio e dalla coltre di pioggia. Era un angelo, un magnifico, furioso angelo dell'oscurità. «Di' quello che devi dire» mi esortò. «Dimmi pure che hai chiuso con me, se è ciò che vuoi.» Il suo bacino si mosse e premette contro il mio corpo, costringendomi a reprimere un gemito. «Ma io non ho chiuso con te. Nemmeno lontanamente.» Era tornato nella mia vita la settimana precedente e, dal nostro breve incontro, la sua presenza non mi aveva più lasciata. Al contrario, mi aveva seguita come i tremori dopo la caduta di un lampo. In quel momento, vedendo gli occhi scuri e il cipiglio di Jack, desiderai disperatamente annullare i pochi centimetri che separavano le nostre labbra e nascondermi. Mi detestai per quel desiderio. Era l'uomo che mi aveva rubato l'anima, mi aveva mentito e aveva lasciato il mio cuore infranto al suo migliore amico, affinché rimettesse insieme i pezzi. Sì, sarei voluta correre via, nascondermi, ma non sapevo in quale direzione andare. «Non saresti dovuto venire» sbottai. «Questo è un mio...» Mi zittii prima di pronunciare 15


la parola problema. Perché era proprio quello, un problema. Brock, la morte di mio padre, l'incendio della casa. Tutto mi si rovesciò addosso più forte della pioggia e guardai la bara nella fossa. I fiori, che fino a poco prima erano stati bellissimi, erano rovinati. «Questo è il funerale di mio padre» riuscii a dire. Rimasi intontita dallo shock e per un momento non riuscii a reagire. «Lo so» ribatté Jack. «E non sei sola.» I miei occhi si fiondarono nei suoi. Era lì, era stato lì, offrendomi protezione sotto la copertura della sua oscurità. Avevo nostalgia di quella protezione, il modo rovente, elementare, consumante in cui mi scioglievo tra le sue braccia e il mondo svaniva. La medesima febbre che accompagnava il consumo di quella sorta di droga vorticò intorno a me in modo diverso da come succedeva una volta, perché sapevo cosa mi perdessi. Perdita. Era un giorno di perdita completa. Una volta avevo avuto Jack, avevo avuto quel riparo, ma ormai era finita. Poteva anche essere lì, ma io mi sentivo sola. «Addio, Jack.» Guardai mio padre un'ultima volta, poi mi allontanai nel temporale. Estrassi dalla borsa la chiave dell'auto, alzai il mento e mi apprestai ad andarmene con dignità. Mancavano pochi metri alla mia auto, ancora qualche passo... «Lana.» Jack mi passò accanto e si fermò vicino alla parte anteriore del veicolo, accanto alla portiera del conducente. «No» ribattei, concentrandomi per aprire la portiera. Non potevo farlo, non potevo stargli vicino, non potevo parlargli. Barcollavo sull'orlo di lacrime, rabbia e tristezza. Non. Potevo. «Parlami» mi intimò, ma il tono era più dolce del solito. Restava un comando, ma lo pronunciò come se fosse... 16


un'implorazione. Scossi la testa, perché dovevo aver sentito male. Jack Powell induceva gli altri a implorare. Lui non lo faceva, mai. L'ombrello riapparve e mi coprì di nuovo, il muro che era così bravo a ergere, a tutta forza. Il ricordo di come una volta mi avesse protetta, spronandomi a essere forte, mi punse come mille vespe sulla pelle. «Parlami» ripeté. «Non ho niente da dirti.» «E invece sono sicuro che hai un mucchio di cose da dirmi.» Aveva ragione, probabilmente ne avevo moltissime, ma niente che potesse cambiare il passato. Quando tacqui avanzò verso di me, irradiando supremazia. «Non puoi evitarmi per sempre.» Lo guardai, mentre la rabbia e una tristezza da gelarmi le ossa sommergevano l'ultimo grammo di pazienza che mi fosse rimasto. «Certo che posso.» Socchiuse gli occhi e mi rivolse lo sguardo cupo che riservava ai momenti in cui stava per scatenare ogni sorta di inferno, oppure ogni sorta di passione. In quel momento non mi interessava nessuno dei due, per quanto il mio corpo fremesse per il desiderio di afferrarlo. «Ma non lo farai.» Ogni parola grondava fiducia in se stesso. Raddoppiai gli sforzi per aprire la portiera. Da quando inserire una chiave in una serratura di metallo era diventato così difficile? Forse era l'uomo intenso che mi fissava a farmi tremare i palmi delle mani, un uomo che stimolava ogni sorta di sentimenti e ricordi che avrei preferito evitare. In particolar modo quando la sua mano si strinse sul manico dell'ombrello. Una mano che conoscevo intimamente. Si chinò su di me, troppo vicino. La mia piccola Honda sembrava una macchinina da clown a paragone con le sue spalle ampie e la sagoma torreggiante. «Cosa vuoi da me?» gli chiesi, sfinita. «Voglio che tu venga a casa con me e parli con me. Vo17


glio ascoltarti. E voglio che tu ascolti me.» La sua mano libera mi sfiorò il collo, la sensazione bagnata dei suoi polpastrelli mi fece rabbrividire e il mio sangue freddo avvampò all'istante. «Voglio cancellare questo dolore dai tuoi occhi.» Anch'io lo avrei voluto, e tanto. Jack era il primo uomo cui avessi detto che Brock mi aveva violentata quando ero una ragazzina. Jack mi aveva dato la forza per essere sincera e aveva preso sulle proprie spalle il peso che avevo portato per anni. Era stato la cura per il veleno che aveva fatto parte di me tanto a lungo. Ma ormai era diventato come una droga, una droga con i suoi effetti collaterali. «Non puoi» ribattei. «Sì che posso» insistette con durezza. «Basta che tu me lo consenta. Lasciamelo fare, Lana.» «Lasciartelo fare?» reagii, sarcastica. «Da quando hai bisogno che qualcuno ti lasci fare qualcosa?» I suoi occhi avvamparono. «Da quando ho incontrato te.» Quella risposta arrestò ogni mio pensiero, fino all'ultimo. Mi posò la mano sulla nuca, il palmo mi scostò sul dorso i capelli bagnati, poi mi attirò più vicino. «Per favore, tesoro» sussurrò, la bocca vicino alla mia. «Lascia che sistemi tutto.» Soffocai un singhiozzo. Il suo calore, il suo profumo, mi attiravano come un vortice, dove avrei girato ancora e ancora fino a non riuscire più a respirare. «Non c'è più niente che si possa sistemare, tra noi» sussurrai. Rimase immobile, mentre il suo sguardo di sfida mi divorava. «C'è molto, invece, tra noi» mi contraddisse. «E prima o poi ne parleremo» aggiunse, abbassando la mano. Rabbrividii per quella perdita. «No» ribadii e finalmente la chiave entrò nella serratura. La girai e la portiera si aprì. 18


«Sì.» Non avevo dimenticato il suo tono deciso. «Lo faremo.» Mi scostai una ciocca di capelli che mi era caduta sul viso, raddrizzai la schiena e lo guardai. Ne avevo abbastanza di discutere. «Decido io quando... se... voglio parlare con te.» Lo investii con la migliore occhiataccia che riuscii a scoccare. «Hai perso il diritto di dirmi cosa fare quando mi hai mentito.» «Non è mai stato un diritto» ribatté lui. «Era un privilegio.» Minuscoli aghi mi punsero le vene. Per un momento la naturalezza della sua ammissione mi dilaniò il petto. Jack non parlava mai a vanvera, ecco perché mi si strinse lo stomaco. Parlava di me, del controllo che gli avevo concesso, come se fosse stato un onore. Gli credetti. Ma avevamo chiuso, era finita, perché lui se n'era andato. Quella verità trasmise un'altra fitta dolorosa a tutto il mio corpo. «Comunque sia» riprese lui, interrompendo il nostro scambio silenzioso in cui mi sembrava lui stesse chiedendo, invece di ordinare. Mi riportò nella gelida realtà di quel pomeriggio. «Mi affronterai e parleremo, non fosse altro perché sei in pericolo.» Solo Jack e le sue richieste erano capaci di farmi alzare tanto la temperatura. Una volta le sue richieste mi erano piaciute, perché erano accompagnate da una grande libertà e mi lasciavano una forza straordinaria. In quel momento fui costretta a ricordare a lui e a me stessa che: «La mia sicurezza, e qualunque altra cosa riguardi la mia vita, non è affar tuo». «Non sono affatto d'accordo.» Il tono della sua voce si abbassò di un'ottava e gli occhi scuri mi osservarono, lasciandosi dietro una scia di calore. «Tutto ciò che ti riguarda è affar mio.» «Perché?» sussurrai. «Perché ti a...» Si interruppe di colpo, come se ciò che era stato in procinto di dire lo ferisse, costringendolo a ri19


pensarci. La maschera cupa tornò subito al proprio posto. «Perché sei mia.» Mia. Una sola parola che aveva un peso enorme. Ma nel mio arsenale ne avevo una ancora più pesante. «Ero» precisai, spalancando la portiera. «Ero tua.» Sbattei la portiera in faccia all'uomo che un tempo avevo creduto sarebbe stato il mio futuro, e me ne andai.

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«Anch'io ti amo.» Cal si chinò e mi baciò le labbra, il naso e la guancia, finché non scoppiai a ridere. «Ti amo tanto, gattina.» «Ti amo anch'io.» Ed era così. In quel momento stringevo il mio mondo tra le braccia, circondata dagli uomini che mi avevano regalato un futuro. Ero davvero felice.

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Macy & Chloe di Alison Kent MACY è la redattrice di una rubrica on line per sole donne. È virtualmente fantasiosa e disinibita, e l'ultima idea per la sezione del sito che lei cura è una caccia ai segreti: le coppie devono scoprire i lati più intimi del corpo e della mente del partner... Non si aspetta, però, di diventare vittima di quello stesso gioco insieme all'avvocato Leo Redding, troppo serio, arrogante e sicuro di sé per entrarle nella testa, ma anche troppo sexy e conturbante per non finire nel suo letto... La splendida CHLOE è la vicepresidente della Girl-Gear Divisione Cosmetica e Accessori, e ha bisogno di un uomo per salvare la sua reputazione un po' calpestata. Il caro e vecchio amico Eric Haydon accetta di essere una presenza fissa al suo fianco in tre eventi sociali, ma lei deve promettere di realizzare tre suoi desideri.

Noi due per sempre di Joya Ryan A rendere ancora più dura l'esistenza della povera Lana, dopo il duro colpo per la perdita del padre, c'è il buio delle menzogne. Tutto ciò che la circonda sembra essere sepolto sotto un manto di falsità. Si sente sola, abbattuta, senza certezze. La casa incendiata, il conflitto con la matrigna Anita, le cattiverie del fratellastro Brock... Lana è sospesa in una realtà in cui niente si rivela come sembra. Oltretutto si è innamorata di due uomini che sono amici per la pelle, Jack e Cal. Cosa e chi desidera veramente? I due sono come fratelli, Lana li ama entrambi ed entrambi si lasciano sedurre da lei. Deve prendere una decisione straziante, ma non vuole metterli l'uno contro l'altro. A renderla ancora più vulnerabile e incapace di resistere ai propri impulsi c'è la scoperta che dietro la morte del padre si cela una scomoda verità.


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VI

Un’esclusiva selezione dei più bei romanzi d’ambientazione Regency in una nuova collana di antologie 2in1. Grandi storie d’amore, scandali e intrighi sullo sfondo dell’epoca più affascinante della storia: non potrete più farne a meno.

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Tra Il Grande Gatsby e Grand Budapest Hotel, un romanzo surreale e irresistibile… Preparatevi, la festa è appena cominciata.

Di solito i bambini abbandonati vengono lasciati sulla porta di ospedali ed orfanotrofi. La neonata conosciuta come “la bambina dell’Hotel du Barry”, invece, è appesa al filo del bucato nel cortile della lavanderia del lussuoso albergo londinese. I membri del personale decidono all’unanimità di tenerla e convincono il proprietario, Daniel, ad adottarla. Ma anni dopo, quando Daniel du Barry muore in circostanze a dir poco sospette, Cat decide di risolvere il mistero, chiedendo aiuto ai membri della sua insolita famiglia.

Dal 3 novembre in libreria e sul nostro store www.harpercollins.it - Seguici su


Questo volume è stato stampato nell'ottobre 2016 da CPI, Moravia


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