PAULLINA SIMONS
Oltre il destino
Immagine di copertina: designprojects / iStock / Getty Images Plus © Lee Avison / Trevillion Images
Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: A Beggar's Kingdom
First published by HarperCollins Publishers Australia Pty Ltd in 2019 © 2019 Paullina Simons Traduzione di Giorgia Lucchi
Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata in accordo con HarperCollins Publishers, London, UK Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2022 HarperCollins Italia S.p.A., Milano Prima edizione Harmony Romance dicembre 2022
HARMONY ROMANCE
ISSN 1970 9943 Periodico mensile n. 302 del 24/12/2022 Direttore responsabile: Sabrina Annoni Registrazione Tribunale di Milano n. 72 dello 06/02/2007 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distribuzione canale Edicole Italia: m dis Distribuzione Media S.p.A. Via Carlo Cazzaniga, 19 20132 Milano
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A Kevin, grazie alla forza che mi dai posso fare qualunque cosa.
“Immagino di essermi ingannato quando ho creduto di aver avuto scelta in questo, vero?” Johnny Blaze, alias Ghost Rider
PARTE PRIMA
Il maestro di zecca
Oro sufficiente mescolando; scelta di uomini, scelta di capelli, scelta di barbe, scelta di gambe, scelta di tutto. Thomas Dekker, Gli umori dell'uomo paziente e della moglie bramosa
Artefatti veri da luoghi immaginari
Ashton se ne stava con le braccia conserte, i capelli biondi che saltavano fuori dal berretto da baseball, gli occhi cristallini increduli, intento ad ascoltare Josephine che cercava di convincere Zakiyyah a salire sul Volo di Peter Pan. Julian, Josephine, Ashton e Z si trovavano a Disneyland, gli ultimi due controvoglia.
«Come fa a non piacerti, Z?» insisteva Josephine. «Voli sopra Londra con Peter Pan a bordo di una nave pirata magica fino all'Isola che non c'è.»
«Ma si vola per finta?»
«No» rispose Ashton. «Si vola per davvero. Sopra una Londra vera, su una vera nave pirata. Fino a un'Isola che non c'è verissima.»
Zakiyyah roteò gli occhi e fu chiaro che avrebbe voluto mostrargli il dito medio. «È veloce? Fa girare la testa? È buio? Non voglio che mi vengano le vertigini. Sto dicendo che non voglio aver paura e non voglio essere sballottata.»
«Vorresti essere altrove?» chiese Ashton. «No, voglio soltanto divertirmi.»
«E il volo magico di Peter Pan sopra Londra non va bene per divertirsi?» chiese Ashton e poi soggiunse, sottovoce, rivolgendosi a Julian: «Come ci si può divertire con una come lei? Non riesco a credere che Riley mi abbia lasciato venire con voi tre. Dovrò portarla in Jamaica per farmi perdonare».
«Hai parecchio da farti perdonare ovunque, specialmente dopo il casino che hai combinato a pranzo la settimana scorsa» disse Julian. «Quindi taci e fa' il bravo.»
«La storia della mia vita» ribatté Ashton.
«Come ci si può divertire con uno come lui?» chiese Zakiyyah a Josephine. «Per lui divertirsi equivale a prendermi in giro.»
«Non ti prende in giro. Ti stuzzica.»
«Questo non è stuzzicare!»
«Ssh. Invece sì. Stai tirando scemi tutti» disse Josephine, poi alzò la voce, affinché la sentissero anche gli uomini. «Dovete avere pazienza con Z, per lei tutto questo è nuovo. Non era mai stata a Disneyland.»
«Ma che genere di essere umano non è mai stato a Disneyland?» sussurrò Ashton a Julian.
«Non è vero!» esclamò Zakiyyah. «Una volta ci sono stata, con i miei cugini.»
«Restartene seduta su una panca mentre i bambini si divertono sulle giostre non è andare a Disneyland, Z.»
Zakiyyah sbuffò. «Non c'è un giro lento su un trenino?»
«Che ne dici di È un mondo piccolo?» propose Ashton, rivolgendosi a Zakiyyah mentre guardava Julian, gli occhi spalancati. «È un giro lento su una barca. »
«Potrebbe andare. Purché la barca non sia nell'acqua per davvero. È nell'acqua per davvero?»
«No» rispose Ashton. «La barca è nell'acqua per finta.»
«È questo che intendi quando dici che mi stuzzica?» chiese Zakiyyah a Josephine. «Sicura non mi stia prendendo in giro?»
«Assolutamente, Z. È un mondo di risate, un mondo di lacrime. Andiamo su È un mondo piccolo.»
Quando fu buio, i bambini più piccoli se ne furono andati e la folla fu diminuita un poco, in tre riuscirono a convincere Zakiyyah a salire sulla Space Mountain. Lei aveva accettato, ma si tirò indietro quando vide la carrozza a quattro posti in cui avrebbero dovuto sedersi. Josephine si sarebbe seduta davanti a Julian, tra le sue gambe, quindi Zakiyyah avrebbe dovuto mettersi di fronte ad Ashton, tra le sue. «Possiamo metterci diversamente?» propose Z. «Tipo?» Ashton controllò il tono della voce.
«Magari ragazze insieme e ragazzi insieme.»
«Jules, tesoro, cosa ne dici?» chiese Ashton, alzando la voce di due ottave. «Ti va di sederti tra le mie gambe, amore, oppure mi vuoi tra le tue?»
«Dai, Z» disse Josephine. «Non fare quella faccia! Ashton ha
ragione. Sali. È solo una corsa. Ti divertirai. Basta...»
«Invece di sederti di fronte a me» intervenne Ashton cercando di assumere un tono cordiale, «preferiresti che io mi sedessi di fronte a te?»
«Vuoi sederti tra le mie gambe?» Il tono incredulo di Zakiyyah non aveva niente di cordiale.
«Era solo un'idea. Cerco di aiutare.»
«A parte tutto il resto, non vedrei niente» disse Zakiyyah. «Sei troppo alto. Mi ostruiresti la vista tutto il tempo.»
Ashton diede di gomito a Julian mentre salivano a bordo. «Ehi» sussurrò, «non le avete detto che Space Mountain è un buco nero dove non c'è niente da vedere?»
«Non le abbiamo detto nemmeno che è una montagna russa» ribatté Julian. «Vuoi che salga oppure no?»
«C'è bisogno che ti risponda?»
Salirono a bordo, prima Julian e Ashton, poi le ragazze di fronte a loro. Zakiyyah cercò di sedersi quanto più avanti possibile, ma il sedile era stretto e corto. I suoi fianchi toccavano l'interno delle cosce di Ashton.
«Non puoi aprire le gambe un po' di più?» gli chiese.
«Disse il vescovo alla marchesa» ribatté lui.
«Josephine! L'amico del tuo amico fa commenti inappropriati.»
«Si chiamano battute» disse Ashton.
«Non credo proprio, perché le battute sono divertenti. La gente ride per le battute. Senti qualcuno ridere?»
Zakiyyah si sedette composta, stringendosi la borsa in grembo. Ashton scosse la testa e sospirò. «Perché non appoggi la borsa e ti tieni alle barre?»
«Sto bene così, grazie» ribatté lei. «Non avvicinarti troppo.»
«Non c'è pericolo.»
La carrozza si mosse.
Zakiyyah fu sbalzata all'indietro, contro il petto di Ashton, mentre il suo bacino si incastrava tra le gambe di lui. La borsa cadde sul fondo della carrozza e lei si aggrappò alle sbarre, dopodiché urlò per due minuti ininterrottamente nello spazio cavernoso.
Finita la corsa, Julian la aiutò a scendere sulla piattaforma, dove Josephine la aspettava battendo le mani. «Z! Com'è andata? Dimmi, ti è piaciuto? Sono sicura di sì, deve esserti piaciuto!»
«Se mi è piaciuto essere terrorizzata? Perché non mi avete detto che erano montagne russe al buio?»
Presero una fotografia che li ritraeva durante la corsa, Zakiyyah aveva la bocca aperta, gli occhi spalancati, mentre gli altri tre ridevano elettrizzati; la regalarono a lei come ricordo della sua prima volta sulla Space Mountain, un artefatto vero di un luogo immaginario.
«Magari la prossima volta proveremo Peter Pan» disse Ashton mentre lasciavano il parco dopo i fuochi d'artificio.
«Chi dice che ci sarà una prossima volta?» chiese Zakiyyah.
«Grazie per tutto questo» sussurrò Josephine a Julian mentre gli si avvolgeva intorno al braccio nel parcheggio. «So che non sembra, ma si è divertita. Anche se c'è una cosa che non ha aiutato, sai? Il tuo amico Ashton che faceva il buffone. Digli che non c'è bisogno di sforzarsi tanto, quando uno somiglia già a un cavaliere. Per caso cerca di essere divertente come te?»
«È allo stesso tempo un cavaliere e un buffone senza bisogno del mio aiuto, credimi» ribatté Julian.
Josephine lo baciò senza rallentare il passo. «Oggi hai guadagnato un mucchio di punti» gli disse. «Aspetta che arriviamo a casa.»
Gli altri giorni, mentre lei camminava nel Limbo attraverso eretici violenti e remava lungo il fiume Stige in Paradise in the Park, Julian guidava attraverso Los Angeles alla ricerca di posti nuovi in cui Josephine avrebbe potuto innamorarsi di lui, come Disneyland. Posti nuovi, dove le sue mani avrebbero potuto toccare il corpo di lei. Passeggiavano per Beverly Hills e compravano bigiotteria, sedevano al Montage e sussurravano nella nostalgia del vecchio Hotel Bel Age, affacciato sulle colline. Julian brindò a lei nel Viper Room, dove non molto tempo prima era morto qualcuno, giovane e bello. Qualcuno giovane e bello moriva sempre a L.A. E quando il vento soffiava dal Laurel Canyon, Josephine giaceva nel suo letto e annegava nel suo amore, desiderando eritrine ed eucalipti, mentre Julian non desiderava niente, perché aveva tutto.
Ma questo era allora.
Il circolo del combattente
Ashton era affabile, ma scettico. «Perché dobbiamo tinteggiare noi l 'appartamento?»
«Perché l 'opera della propria mano è l 'inizio della virtù» r ispose Julian, mentre intingeva il rullo nella vaschetta. «Non startene lì a guar dare. Datti una mossa.»
«Chi ti ha detto una scemenza del genere?» Ashton non si mosse. «Non mi stai ascoltando. Voglio dire, tinteggiare mi sembra un miglioramento permanente. Perché dovremmo tinteggiare? Non esiste che restiamo a Londra un altro anno, giusto? È una delle tue solite pazzie, oppure cerchi di risparmiare sull 'affitto, o ... Jules? Dimmi la verità, non trattarmi come se fossi un bambino. Sono un uomo adulto, posso sopportarla. Non resteremo a Londra fino allo scadere dell 'affitto tra un anno, vero? Non è per questo che stai tin teggiando?»
«Vuoi prendere un rullo o no? Ho quasi finito la mia par e te.»
«R ispondi alla mia domanda!»
«Prendi un rullo!»
«Oh, Dio. In cosa sono andato a cacciarmi?»
Ma Julian sapeva. Ashton poteva anche pensare che un anno a Londra fosse troppo lungo, ma lui sapeva che non lo sarebbe stato abb astanza.
Dodici mesi per traslocare dalla sua camera a Hermit Street e consolare Mrs. Pallaver, che aveva pianto quando se n 'era and ato, anche se Julian era stato un inquilino solitario che aveva ev itato la sua unica f iglia.
Dodici mesi per abbellire il loro nuovo appartamento da scapoli a Notting Hill, per tinteggiare le pareti di un blu virile e i bagni di rosa femminile, per divertimento.
Dodici mesi per tornare a lavorare in Nextel come se fosse l 'unica cosa che avesse mai desiderato fare, svegliarsi tutte le mattine, indossare un co mpleto, prendere la metropolitana, incontrare gen te, modificare documenti, tenere riunioni, prendere decisioni e fare nuove amicizie. Dodici mesi per uscire con Ashton come ai bei vecchi tempi, dodici mesi per evitare di bere tutte le sere e flirtare con q ualunque ragazza carina, dodici mesi per farsi crescere la barba fino a metà petto, per fingere di flirtare di quando in quando, dodici mesi per imparare a sorridere come se fosse allegro e la sua anima fosse nuova.
Dodici mesi per studiare. Dove sarebbe arrivato? Doveva essere dopo il 1603, una quantità di epoche da coprire, di paesi, di sto ria. Non c 'era tempo da perdere.
Dodici mesi per memorizzare le migliaia di cause per le malattie infettive della pelle: scabbia, sifilide, scarlattina, impetig ine. U lcere da decubito e insufficienze venose, angiomi stellati e gr anulomi facciali.
Dodici mesi per rileggere Shakespeare, Milton, Marlowe, Ben Johnson. Nell 'incarnazione successiva Josephine avrebbe potuto essere ancora un 'attrice, doveva essere pronto per quell 'evenienza.
Dodici mesi per imparare come non morire in una grotta, d odici mesi per imparare a immergersi in grotta.
Dodici mesi per imparare a saltare.
Dodici mesi per migliorarsi per lei.
Il tempo non bastava.
Ogni mercoledì Julian prendeva l 'Overground fino a Hoxton, oltrepassando il villaggio di catapecchie con le tende coperte di graffiti per pranzare con Devi Prak, suo cuoco e sciamano, suo guaritore e distruttore. Julian beveva acqua di tigre, fatta con tigri vere, faceva agopuntura, a volte cadeva in un sonno profo ndo e a volte dimenticava di tornare a lavorare. Finì che cominciò a prendersi il mercoledì pomeriggio libero. Ormai Ashton era diventato il suo capo e comportamenti del genere non erano più considerati offese passibili di licenzia mento.
Ashton, immutabile ed eternamente lo stesso su qualunque continente, viveva come se non sentisse per niente nostalgia di L.A. Continuava a farsi nuovi amici, usciva a festeggiare, faceva escursioni, andava a spettacoli e parate. Doveva impegnarsi a trovare il tempo per Julian sulla sua agenda, fissavano insieme a tavolino le sere che avrebbero trascorso insieme. Una volta al mese tornava a L.A. a trovare la sua fidanzata e Riley lo raggiungeva una volta al mese per trascorrere il fine settimana a Londra. Quando arrivava portava fiori freschi, miele biologico, riempiva il loro appartamento delle sue cose e dei suoi profumi femminili e lasciava le sue creme idratanti nel loro bagno rosa.
E, un fine settimana al mese, Ashton spariva completamente, e Julian non aveva idea di dove fosse. Una volta gli aveva chiesto dove andasse e Ashton aveva risposto che andava a trovare un uomo per un cavallo. Quando Julian aveva provato ad appr ofondire, Ashton gli aveva chiesto dove andasse il mercoledì p omeriggio. V ai a trovare un u o mo per un cavallo, giusto? E Julian aveva detto no, vedo un agopunto re, un guaritore vietnamita. «Un uomo gradevole, tranquillo. Ti piacerebbe. » Julian non aveva niente di cui vergognarsi. Era quasi la v erità.
«Ah ha» aveva ribattuto Ash ton. «Be ' , anch 'io vedo un guar itore.»
Le cose che Ashton gli teneva nascoste erano talmente poche che Julian sapeva che non era il caso di insistere. Punto.
Era già indaffarato a sufficienza. Prendeva lezioni di equitazione il sabato mattina, di speleologia il sabato pomeriggio. Si era iscritto a una palestra di boxe dalle parti del suo vecchio r ifugio vicino a Finsbury Park e tirava il giovedì e il sabato sera. Ogni domenica faceva un 'escursione con un gruppo di malesi amichevolissimi e fin troppo attiv i, persone meravigliose, ma infaticabili in modo addirittura d eprimente.
Allenava il suo corpo abituandolo alla privazione digiunando per giorni, in cui si limitava a bere acqua. Riley sarebbe stata orgogliosa di lui e lo era, quando Julian le raccontava delle sue ordalie. Continuò a esplorare Londra a piedi, leggendo ogni placca, asso r bendo ogni parola. Non sapeva se sarebbe tornato a Londra nella sua avventura orfica successiva, ma voleva co ntro llare tutto ciò che poteva. Dopo il lavoro, quando Ashton usciva a bere, lui tornava a casa a piedi, una decina di chilometri
da Nextel a Notting Hill, ripetendo tra sé le curiosità storiche che incontrava strada facendo, un vagabondo folle in abiti eleganti. A settembre si iscrisse a un evento di triathlon nelle D ocklands. Un chilometro e mezzo a nuoto, quaranta in bicicletta e dieci di corsa. Arrivò settimo. Un Ashton allibito e Riley lo aspettavano festosi al traguar do.
«Ma chi sei ?» gli chiese Ashton.
«Ashton Bennet, non scoraggiarlo!» Riley porse a Julian un asciugamano e una bottiglietta d 'acqua.
«Come potrei scoraggiarlo ponendogli una domanda sempl icissima?»
«Si sta migliorando, no? Sei stato straordinario, Ju les.»
«Grazie, Riles.»
«L 'anno prossimo potresti correre la maratona di Londra. Non sarebbe fan tastico?»
«Forse.» Julian rimase sul vago, non era sua intenzione essere ancora là l 'anno successivo. L'unica azione era nel qui e ora. Nel futuro non c'era azione, quindi non c'era un futuro. Glielo aveva insegnato Devi. Il futuro era solo una possibilità. Forse era la r isposta appropriata, l 'unica risp o sta, sempre.
O forse no.
«Ma cosa stai facendo esattamente?» insistette Ashton. «Non voglio giudicarti, ma mi sembra tutto così eclettico e strano. Triathlon, scherma, boxe, speleologia. Leggere libri di storia e Shakespeare. Equitazione.»
«Non voglio sembrare il migliore» rispose Julian. «Voglio e ssere il migliore.»
«Perché non cominci a essere il migliore radendoti quel nido che hai sulla faccia?»
«Ashton! E questo non sarebbe giudicare?»
«Non preoccuparti, Riles» disse Julian. «È geloso perché ha appena cominciato a radersi.»
Con la luna nuova lei tornava da Julian, il viso adorabile, le mani ondeggianti.
In astronomia la luna nuova è quel breve momento nel corso del mese in cui luna e sole hanno la stessa longitudine eclittica. Devi aveva ragione: tutto tornava al meridiano, la mitica linea invisibile che misurava tempo e distanza. Quando luna e stelle erano allineate, Josephine camminava verso di lui sorridendo e a
vo lte Julian si sorprendeva a sorriderle a sua volta. Sapeva che lo stava aspettando, il tempo non sarebbe mai passato abbastanza in fretta, finché non l'avesse r ivista.
Essere sul meridiano era la vita. Il resto era attesa.
Un riluttante Julian fu trascinato in California da Ashton per trascorrere le feste con la sua famiglia a Simi Valley. Per protesta, lui partì così com'era, la barba lunga e i capelli stretti in una coda, co me un prete consacrato.
Prima che lasciasse Londra, Zakiyyah gli aveva telefon ato per chiedergli della col lana con il cristallo di Josephine. La madre di Josephine, Ava, continuava a chiamarla per chiederle di farglielo avere. Poteva portarlo con sé a L.A.? Julian mentì e le disse che lo aveva perso. Per qualche ragione, lei parve scettica quando gli chiese, s ei sicuro di averlo perso? Non è che lo tieni sul comodino o roba del genere?
Era sul suo comodino.
«Per favore, Julian. Apparteneva alla sua famiglia.»
E adesso appartiene a me.
«Non so cosa dirti» ribatté lui.
«Chi era? Z?» chiese Ashton dopo che Ju lian ebbe concluso la telefonata.
«Sì. Continua a insistere con quello stupido cristallo.»
«Quello sul tuo comodino?»
«Sì, Ashton. Proprio quello.»
Durante le feste di Natale a Simi Valley, i genitori, i fratelli con mogli e fidanzate, le nipoti e i nipoti e, ovviamente, Riley, tutti chiesero quando i ragazzi sarebbero tornati a casa. Non v olendo ferire i sentimenti della madre, né mentirle, Julian temp oreggiò Tipico suo : smorzava sempre le aspett ative.
Citò l 'etica: dovevano tenere fede al contratto d 'affitto che avevano firmato. Citò la famiglia: dopo alcuni problemi di salute, il padre di Ashton si era ritirato dalla direzione dell 'azienda e aveva affidato gran parte delle attività giornaliere a suo figlio. Citò l 'amicizia: qualcuno doveva aiutare A shton a dirigere l 'azienda.
«Qualcuno deve pur essere il braccio destro di Ashton» disse a sua madre.
«Sei sicuro di essere il mio braccio destro, Jules?» A ogni modo Ashton sostenne Julian. Era vero, non erano pronti per lasciare l 'Inghilterra. «Non riesco a orientarmi a Londra senza Julian» d i chiarò Ashton. «Suo figlio è pazzesco Mrs. C., Riley lo confermerà. È come un autistico di alto livello. La sua con oscenza psicotica di Londra è allo stesso tempo casuale e strao rdinariamente precisa. Non ha idea d i cosa sia esposto al la Tate , ma conosce alla per fezione orari di apertura e chiusura. Conosce gli orari e la posizione di gran parte dei locali nel centro di Lo ndra. Sa dove siano tutti i pub e tutte le chiese e conosce la posizione dei negozi l 'uno rispetto all 'altro. Non è mai stato su un double decker , ma conosce i numeri di tutte le linee degli autobus. Vi sa dire quale spettacolo sia rap presentato in ogni teatro del West End. Sa quali comici presentino i loro spettacoli e d ove. Sa dove sono i club per soli uomini, anche se giura, Mrs. C, di non esserci mai stato e, a giudicare dalla crescita monastica che ha in faccia, sono incline a credergli. Non conosce il sapore del migliore shake alla vaniglia di tutta Londra, ma sa dove me ttersi in coda per gustarlo, a quanto pare a Clapham.»
«Spiegaci un po ' questa storia, Jules» disse Tristan.
«Continua a camminare ovunque, non è vero?» dedusse la madre, scuotendo la testa, come se all 'improvviso avesse cap i to qualcosa che avrebbe preferito non capire del suo quartogen ito (o, come diceva Julian, il suo quarto preferito ). «Jules, cr edevo stessi meglio.»
« Sto meglio, mamma.»
«E allora perché continui a cercare quel caffè che non esiste? Non fai ancora quel sogno terribile, vero?»
Suo padre intervenne, risparmi ando a Julian la fatica di r ispondere. «Figliolo, Ashton ci ha detto che hai ripreso a tirare di boxe» disse Brandon Cruz. «Ti prego, dicci che non è vero.» Dopo quasi quarant 'anni nel sistema educativo della California, Cruz senior era andato in pensione e si teneva occupato cercando di salvare il negozio di Ashton, dove gli affari andavano a r ilento. «Tua madre è molto preoccupata. Perché riprendere quella sciocchezza dopo tutti questi an ni?»
Una volta stare sul ring era la vita per me. Non è una scio cch ezza, papà, avrebbe voluto ribattere Julian. Non è affatto una scio cchezza.
«Tesoro, detesto dovertelo dire, ma tuo padre ha ragione. Non dovresti boxare, sei cieco da un occhio.»
«Non sono cieco, mamma. Sono ipovedente. C 'è una bella differenza.» Sorrise, il sorriso stanco di un uomo aggredito da tutti i fronti.
«Va bene ma, perché?»
«Cerca di migliorarsi, Mrs. Cruz» intervenne Riley con tono colmo di approvazione, mentre batteva una mano sulla schiena di Julian. «Sta aumentando la sua fiducia in se stesso, aumenta il livello di fitness ... e la massa muscolare.» Gli strizzò un tricip ite. «Sta scaricando lo stress e si sta rivitalizzando. Si mantiene sano, avete presente? Sta molto meglio, davvero.»
«Oh, Ashton!» esclamò la madre di Julian, «non può essere facile, ma stai davvero facendo un ottimo lavoro con lui. Riley ha ragione, ha un aspetto migliore, eccetto i capelli, che proprio non si possono vedere. Grazie per avere cura di lui.» Tutta la famiglia di Julian inondò Ashton di lodi e gratitudine. La madre di Julian lo fece sedere alla sua destra e gli regalò perfino un vassoio di b iscotti al cardamomo fatti in casa! Ashton accettò il dono con espressione grata
Julian li osservò senza parole per qualche minuto. «Tristan, poco fa mi hai chiesto qualc he trucchetto londinese?» d isse inf ine. «Ne ho uno per te.» Depose la birra sul tavolo e intrecciò le dita. «Se vuoi esporre una testa spiccata dal suo corpo, prima devi impermeabilizzarla. Altrimenti, nel giro di poche settimane, ti ritroverai con un tesc hio nudo. Invece ti interessa preservare i tratti del volto al momento della morte, gli occhi stralun ati, le palpebre aperte. Quindi quel che fai, prima che la testa cominci a decomporsi, è bollirla in una resina cerosa che si chia ma pece. Hai sentito parlare della pece, Trist? No? Be' , in pratica è una gomma che si ottiene distillando il catrame. Molto effica ce. Impermeabilizzi la testa facendola bollire nella pece e poi puoi esporla all 'aperto in cima a una picca per quanto ti pare. Con qualunque tipo di condizione meteorologica, perfino quelle lo ndinesi. Mi chiedi quanto durerà? Anche un centinaio d 'anni.» Julian gli fece l 'occhiolino. «Osservando la testa di William Wallace, esposta al Great Stone Gate sul London Bridge, qualcuno disse che da vivo non av eva mai avuto un aspetto tanto bello.»
Fu Ashton, la bocca piena di biscotti, a interrompere il silen-
zio attonito della famiglia Cruz il giorno di Natale, gettando un braccio intorno alle spalle di Julian e affrettandosi a deglutire, per poi dichiarare: «Quel che Julian cerca di dire è che non è ancora pronto per tornare ai diver timenti di L.A.».
«A Londra, in passato, rompevano i denti degli orsi che co mbattevano nelle fosse» continuò Julian, mentre si liberava dall 'abbraccio di Ashton. «Glieli rompevano per pareggiare il combatt i mento quando i cani attaccavano l 'orso. Così facendo la lotta durava più a lungo prima che l 'orso, anche senza denti, r iducesse i cani a brandelli.»
«Calmati, Jules» disse Riley, mentre gli passava la sua smart water . «Credimi, il messaggio è passato già con la testa sbollentata.»
«Un uomo è più dei suoi geni e della sua educazione» riprese Julian mentre rifiutava l 'acqua e riprendeva in mano la birra. «Un uomo è una forza dei viventi. Ma è anche un servo dei mo rti. In quanto tale è lo strumento di una magia potente, dal momento che sia la vita sia la morte sono forze mistiche. La chiave» disse Julian, «è vivere in equilibrio tra le due, in modo da incrementare la pr o pria forza.»
«Non si preoccupi» sussurrò Riley a un 'affranta Joanne Cruz. «Gli serve solo un po ' di tempo » Essere sul meridiano, nella grotta, nel fiume, era vita. Il resto era soltanto attesa.
Finalmente le idi di marzo e il suo compleanno arrivarono. E quindi, dopo un anno di allenamento, boxe e scherma, arriv ò l 'equinozio pr i maverile.
«Vorrei poter portare soldi con me» disse Julian a Devi qualche giorno prima del 20 marzo.
«Come pensi che ti aiuterebbero i soldi?»
«Se avessi avuto soldi nel 1603 , le avrei chiesto prima di sp osarmi. Avremmo potuto andarcene.» Sarebbe stato diverso. «Mi sentirei meglio se avessi qualche o p zione in più.»
«Opzioni.» Devi scosse la testa coperta di capelli neri. Cominciava ad avere qualche filo grigio ; era tempo, ormai aveva più di settant 'anni. «Alcuni uomini non sono mai sodd isfatti.»
«Puoi rispondere alla mia domanda?»
«Non c'è un modo facile per fare ciò che vuoi.»
«C 'è un modo difficile?»
«No.»
«Perché non posso portare soldi con me?»
«Per mille ragioni.»
«Dimmene due.»
«Non sai dove andrai» rispose Devi. «Intendi p ortare con te ogni valuta per ogni paese del mondo e ogni ep o ca?»
Julian rifletté. «Oro? Diamanti?»
«Vorresti portare con te dei diamanti .» Non era una doman da.
«Qualcosa di valore, sì.»
«Non puoi. Non puoi in senso letterale» disse Devi. «Il diamante di cui parli, dove è stato estratto? Russia? Sud Africa? È stato lavorato da mani umane? Quelle mani lo hanno toccato e spedito dove lo compreresti? È già stato acquistato e venduto, prima che finisca nelle tue grinfie, decine, centinaia di volte? Pensi ch e sia tutto bello scintillante e nuovo, solo per te? Mille cuori si sono spezzati per quel tuo diamante. Corpi sono stati uccisi, scartati, traditi, sepolti, dissotterrati. Il sangue della cupidigia, dell 'invidia, dello sdegno e dell 'amore è stato versato per il tuo diamante. Dove vuoi fin ir e, Ju lian? Con lei o altrove?»
Dopo aver acquistato uno zaino impermeabile Peak Design e averlo riempito con ogni sorta di oggetto che avrebbe potuto essergli utile, al la fine Julian decise di non portarlo. Decise non è la parola giusta; lo mostrò a Devi, che gli disse che era un idiota.
«Mi piace molto» disse Devi. «Cosa c 'è dentro?»
«Acqua, batterie, torce elettriche nota il plurale un bastone da escursione estensibile, ramponi, barrette energetiche, un kit di p ronto soccorso, una coperta termica d 'emergenza, un or ologio Suunto Core ultimo modello, guanti da lavoro isolan ti e impermeabili, tre accendini, un coltello d 'acciaio Damasco , una fune da p aracadute, moschettoni e una torcia frontale.»
«Niente pala? O un estintore?»
«Non sei divertente.»
«Occhiali da ghiacciaio?»
«Perché mai dovrei aver bisogno di occhiali da ghiaccia io?»
«Come sai che non finirai in una grotta in un ghiacciaio?» Devi tacque. «Rocce ghiacciate, cascate d 'acqua ghiacciata, co-
lonne di g hiaccio, stalagmiti di ghiaccio.» Tacque di nuovo. «A volte il soffitto della grotta è un blocco di cristallo formato da neve, rocce e detriti.»
«Intendi detriti congelati nella volta di ghiaccio?»
«Sì» confermò Devi, anche il suo viso un blocco di ghiaccio. «Pieno di cose intrappolate in un blocco opaco di ghiaccio dello spessore di un centinaio di metri. Cose che vedi mentre ci passi sotto, ma che non puoi raggiungere.» Devi sbatté le palpebre e rabbrividì, come se uscisse da uno stato di trance. «Ora che ci penso, meglio portare anche una picco zza.»
«Sei esilarante.»
«Non hai parlato di kit da toilette, diario, macchina fotograf ica, scaldacollo e berretto di pile. Temo tu sia imprep arato.»
«Sono stanco delle tue assurdità.»
«No, no, sei a posto» disse Devi. «Vai pure. A mezzogiorno, quando si spalancherà la fenditura blu, manda lo zaino a cercarla. Perché ci sarà spazio soltanto per uno di voi, ma lo zaino ha tutto, quindi ha la precedenza.»
«Perché non posso buttare dentro lo zaino e poi saltare dentro io?»
«Non lo so perché non puoi. Ma, a quanto ricordo dalla tua storia, la prima volta sei rimasto incastrato. Cosa succederebbe se lo zaino restasse incastrato e tu non riuscissi a raggiu n gerlo?»
«Perché sei sempre così pessimista? Per te è sempre no.»
«Sono l'unico che in vita tua ti abbia detto di sì riguardo alla cosa che t 'importa di più» replicò Devi. «Eppure tu ti lamenti perché non ho detto sì ad altre cose? Dico no allo zaino, Julian. Sì alla vita e terna.»
«Se non posso portare lo zaino, p osso portare un a persona?» chiese Julian, sconfitto. Avrebbe convinto Ashton ad andare con lui, non era pronto a separarsi dall 'amico.
«Non saprei. Lui la ama?»
«No, ma... » Julian rifletté. «Pensavo che potrei essere come il Nightcrawler Tutto quel che tocco viene con me.»
«La tua conoscenza dei fumetti non mi impressiona» disse Devi. «Non so chi sia questo Nightcrawler . E se ci fosse tempo perché uno solo di voi due salti dentro? Se tu restassi in questo mondo e il tuo amico restasse intrappolato nella Grotta della D isperazione sen za di te?»
«In tal caso, andrò prima io.»
«Per abbandonarlo intrappolato nella grotta senza di te? Car ino.»
Non era esattamente ciò che Julian stava per fare? Abband onare Ashton senza dirgli una parola, senza nemmeno salutarlo? Il senso di colpa lo trafisse, costringendolo a piegarsi un po ' in avanti. «Grotta della Disperazione? Credevo avessi detto che Q 'an Doh significa Grotta della Speranza.»
«Disperazione e speranza sono quasi la stessa parola nella tua lingua, nella mi a, in qualunque lingua» osservò Devi. «In francese speranza è espoir , disperazione désespoir . Significa mancanza di speranza. In vietnamita una è hy vong , l'altra tuyet vong . Con speranza, senza speranza. Tutto dipende dalla tua inclinazione. Per quale sei incline oggi, Julian Cruz?»
Julian dovette ammettere che quel giorno, alla vigilia di un al tro balzo nel tempo nonostante i rimorsi per Ashton, era in cl ine alla speranza. «In inglese hope e despair sono due parole d iverse.»
Devi assaggiò il kimchi fatto in casa, si strinse nelle spalle, poi aggiunse zucchero e aceto. «L 'inglese ha preso in prestito la parola despair dal francese, che a sua volta lo aveva preso in prestito dal latino in cui indica la man canza di speranza.»
«E i russi? Di loro non sai niente, vero?»
«Cosa vuoi dire?» chiese Devi, calmo. «In russo disperazione è otchayanyie . E chai è un 'altra parola che indica la speranza. Tutto ha la medesima origine, Julian, per quanto la cosa possa non piacerti.»
Julian si sedette e osservò la schiena di Devi, mentre l 'uomo robusto continuava ad aggiustare il condimento del suo cavolo saporito. Julian aveva imparato ad apprezzare il kimchi . «Cosa significa il nome della grotta?»
«Q 'an Doh» rispose Devi, «significa Fede Rossa.»
Julian avrebbe voluto p ortare una teleferica, cavo, ancoraggi e carrucola, tanto forte da sorreggere un uomo.
Devi sospirò per cinque minuti, la testa tra le mani, salmodiando una sequela di om e signorepietà , prima di rispondere. «Dovresti lanciare l 'ancoraggio oltre il precip izio. Sei in grado di lanciare tan to lontano e fissarlo a qualcosa che non si rompa,
quando ci car i cherai tutti i tuoi novanta chili?»
«Ehi, aspetta un momento! Ne peso settantasette.» Aveva r ipreso una dozzina dei chili persi per il cordoglio.
«Okay, peso mediomassimo» disse Devi. «Continua a mangiare prima di aggrapparti alla carrucola. Non avrai la meglio sulla grotta, scivolerai verso la morte.»
«Non sai tutto tu!» r ibatté Julian, irritabile.
«Mi piacevi di più l 'anno scorso, quando eri come un bamb ino nei boschi, disperato e ignorante. Adesso sei ancora disper ato, ma sfortunatamente sai quanto basta per ucciderti.»
«L 'anno scorso ero impreparato e congelato , tutto grazie a te!»
«E allora porta la tua teleferica, se ti credi tanto sveglio» sospirò Devi. «Cosa me lo chiedi a fare? Portati un sacco a pelo, una tenda di nylon e non dimenticare scodella e posate. Hai detto che nell 'Inghilterra elisabettiana non avevano le forchette. Porta la tua!»
Si fissarono in silenzio.
«Ascoltami.» Devi posò mannaia e cavolo. «So cosa vorresti fare. Per certi versi è ammirevole. Ma non capisci che dovrai r iscoprire di cosa sei fatto, quando tornerai dentro? Come dovrai riscoprire lei. Non sai chi sia, né dove sarà. Non sai se la desid ererai ancora. Non sai se credi Niente ti aiuterà, eccetto un salto alla cieca davanti alla porta lunare. Se riuscirai ad arrivare dall 'altra parte, saprai che sei pronto. Così saprai che sei un servo, non solo dei morti e dei vivi, ma anche di te stesso. Un 'asta ti aiuterebbe? Una teleferica ti aiuterebbe? Rampini, funi e moschettoni ti porteranno più vicino a chi devi essere, Julian Cruz?»
Julian lasciò cadere le spalle. «Sei stato in palestra con me. Mi hai visto saltare. Per quanto veloce corra e salti, non riesco a rag giungere i t re metri.»
«Eppure, chissà come» ribatté Devi, «senza sapere quanto tu sia tristemente limitato, sei riuscito a volare.»
Quell 'ometto era esasperante.
Un Julian minimalista portò torcia frontale, batterie di rica mbio, lampadine di ricambio e tre (tre di numero) torce elettriche impermeabili, tutte Industrial Light and Magic . Chiese a un calzolaio di intrecciare la fune di pelle grezza della sua collana in-
torno al berretto arrotolato. Così il berretto si trasformò in un colletto di cuoio arrotolato che po rtava sulla nuca, sotto la coda, il cristallo gli pendeva sul petto. Julian non voleva più preoccuparsi di perdere nessuno dei due.
«Hai ancora qualche consiglio per me, saggio?» Era mezzanotte, il giorno prima dell 'equinozio.
«Hai salutato il tuo amico? »
Il corpo di Julian si irrigidì prima che rispondesse. «No, ma abbiamo trascorso la domenica insieme. È stata una bella gio rn ata. Hai il suo numero di cellulare?»
Il cuoco scosse la testa. «Ti preoccupi per le cose sbagliate, come sempre.» Sul volto imp erscrutabile di Devi emerse una traccia del suo conflitto interiore. «Conta i tuoi giorni» disse.
«Cosa significa?»
«Perché mi chiedi sempre di ripetere le cose più semplici? Conta i tuoi giorni, Julian.»
«Perché?»
«Volevi un consiglio? Eccolo. Ascoltalo, oppure lascia perd ere.»
«Perché?»
«Sei un vero procrastinatore. Va' a dormire.»
In effetti Julian stava procrastinando. Ricordava le ore tr ascorse solo nella grotta.
«Va ' a prendere la tua tigre, Semola» disse Devi, la voce car ica di affetto burber o. «Nella prima parte della tua avventura hai dovuto capire se saresti stato capace di estrarre la spada dalla roccia. Hai scoperto che puoi farlo. Nella seconda parte mi auguro che incontrerai la tua regina della luce e del buio e, in tal modo, imp arerai il significato della tua amicizia duratura con il Cavaliere Mal Fatto.»
«E l 'ultimo atto?»
«Ah, nell 'ultimo atto potresti scoprire quali siano i poteri che hai e quali quelli che non hai. Quella sarebbe una lezione pr eziosa. Dopo aver fatto ciò che considera impossibile, un uomo ricorda i suoi limiti.»
«Chi, essendo sano di mente, non lo vorrebbe» borbottò Julian. «Spero che tu abbia ragione e Gertrude Stein sb agli.»
«Quella burlona della vecchia Gertrude» disse il cuoco. «D 'accordo, sentiamo, cosa disse?»
«Non c'è una risposta. Non ci sarà una risposta. Non c'è mai stata una risposta. È questa la risposta.»
«È troppo sperare» disse Devi, «che un giorno tu impari a porre domande migliori? Non ne hai più fatta una decente, dopo quella che facesti a mia madre.» Da quale segno si riconosce Dio?
«Imparerò a porre domande migliori» ribatté Julian, «quando tu e tua madre comincerete a darmi risposte migliori.» Il neon ato avvolto nella sua coperta!
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