JULIET LANDON
Ostaggio per vendetta
Immagine di copertina: Cover Model Photo from PeriodImages.com Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: Captive of the Viking Harlequin Historical © 2017 Juliet Landon Traduzione di Giulia Valli Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Books S.A. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. Harmony è un marchio registrato di proprietà HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved. © 2017 HarperCollins Italia S.p.A., Milano Prima edizione I Grandi Romanzi Storici dicembre 2017 Questo volume è stato stampato nel novembre 2017 da CPI, Barcelona I GRANDI ROMANZI STORICI ISSN 1122 - 5410 Periodico settimanale n. 1095 del 22/12/2017 Direttore responsabile: Chiara Scaglioni Registrazione Tribunale di Milano n. 75 dello 01/02/1992 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - Via Mondadori, 1 - 20090 Segrate (MI) Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 045.8884400 HarperCollins Italia S.p.A. Viale Monte Nero 84 - 20135 Milano
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Jorvik, oggi nota come York Anno 993 Sin dalle prime ore del giorno, una spessa coltre di fumo ricopriva i tetti di paglia di Jorvik, come un mantello grigio nell'alba caliginosa. Già ruggivano le fornaci del fabbro, del vetraio, del vasaio e del monetario, un mestiere duro quanto lo spadaio. Lady Fearn e la sua giovane domestica, Haesel, seguirono il sentiero al limitare esterno della città e presto giunsero al fiume. Le navi dei mercanti erano ormeggiate a monte, ben lontane dai moli e dai magazzini principali, e ondeggiavano piano sull'acqua torbida quando il barcaiolo si accostò alla sponda, giusto all'arrivo delle due donne. «Buongiorno, signora» disse. «Allora, non salite sul ponte?» Il ponte sul fiume Ouse era vicino alle banchine, che in quel momento erano deserte per via dell'avvistamento di una flotta di navi vichinghe nell'estuario di Humber due giorni prima. Le navi mercantili era5
no infatti un consueto bersaglio. Fearn decise di non rispondergli. «Ci fareste attraversare, Gaut?» chiese invece. «Siamo dirette a Clementhorpe.» La sera prima, lei e Haesel avevano finito di cucire una pila di camicioni di lino, destinati agli infermi del piccolo convento dove dodici suore benedettine assistevano con devozione gli anziani e gli ammalati. Come figlia adottiva del Conte Thored di Northumbria, Fearn non avrebbe mai lasciato che un attacco vichingo interrompesse le sue opere di carità. Il convento di Clementhorpe era poco più che un gruppetto di capanne, con alcune stalle per gli animali, una spaziosa infermeria e una chiesa col tetto a tegole situata proprio sul confine di Jorvik. Un folto bosco dava riparo ai maiali oltre i terreni dove pascolavano due mucche coi vitelli e dove un frutteto, un giardino di erbe aromatiche e file ordinate di ortaggi erano affidati alle cure di donne dalla voce dolce, vestite di lunghe e pratiche tuniche di lana grezza. Lì non aveva peso la nobiltà di nascita, dal momento che tutte si chiamavano sorelle tranne Madre Bridget, la fondatrice del convento. «Benvenute, mie care» disse, prendendo la pila di biancheria dalle loro mani. «È molto gentile da parte vostra. Spero, mia signora, che al conte non dispiacciano le vostre visite così frequenti.» Nella voce aveva un accento irlandese che trasformava tutte le sue parole in musica. Fearn sorrise a quella preoccupazione. Il Conte Thored era stato battezzato ed era divenuto cristiano, ma per lui era troppo difficile scrollarsi di dosso i vantaggi dell'antico paganesimo, convinto che rivol6
gersi a diversi dei di efficacia già provata fosse di grande aiuto in caso di emergenza. Il sacerdote aveva cercato come poteva di spiegargli il significato di peccato, ma finora con poco successo. «Non gli dispiace affatto, madre» rispose Fearn, entrando con la monaca in uno degli ambienti più grandi, caldo e accogliente. Al centro della stanza, il fuoco ardeva nel camino acceso e, accanto alla parete, due suore lavoravano a un grande telaio verticale, con le mani che si muovevano all'unisono, sollevando, battendo e passando la spoletta. «Ha ben altro a cui pensare» aggiunse. «I messaggeri continuano a portare notizie giorno e notte, da quando hanno avvistato i danesi.» «È sicuro che siano danesi, dunque, e non norvegesi?» Indicò degli sgabelli imbottiti e si diresse verso un banchetto, dal quale prese del siero di latte che versò in tre coppe di terracotta. Nel porgerne una a Fearn, non poté fare a meno di osservare il suo magnifico viso, adornato da alcune ciocche di ricci folti e nerissimi che fuoriuscivano dal velo candido, fermato sul capo con un sottile diadema d'oro. Le lunghe ciglia e le sopracciglia scure incorniciavano quegli occhi che più di tutto la rendevano speciale: uno di un verde intenso e brillante, l'altro blu come una campanula. Quest'anomalia conferiva alla sua bellezza già straordinaria una qualità magnetica che attirava a sé chiunque la guardasse. Madre Bridget aveva sperato che la giovane arrivasse quella mattina, dopo aver trascorso la notte a pregare per la sua incolumità. Sarebbe bastata una sola occhiata per metterla in pericolo mortale, i vichinghi, danesi e norvegesi, erano rinomati per la ferocia smodata verso le donne. 7
«Certamente danesi» disse Fearn dopo aver sorseggiato la bevanda fresca. «Sono gli uomini di Sweyn Barbaforcuta, per riscuotere un altro pedaggio. Non vorranno danneggiare ancora Jorvik, quando la città è composta per più di metà della loro gente, dubito che stavolta vengano all'assalto, madre.» La reverenda madre mise da parte la sua coppa. Anni e anni di disciplina le avevano insegnato a dissimulare la paura che aveva, dopotutto, accompagnato la maggior parte della sua vita. «Fearn» disse, con tutta l'enfasi che poté infondere nella sua voce armoniosa. «Ascoltatemi.» «Lo faccio sempre, madre.» «Sì, ma questo è davvero importante, mia cara. Qualunque cosa cerchino questi uomini, noi donne siamo in pericolo e voi più di ogni altra. Sapete bene cosa intendo. Dopo l'ultima volta, la nostra piccola comunità ci ha messo anni per riprendersi. Ma io non intendo fuggire: cosa succederebbe ai malati di cui ci prendiamo cura? Tuttavia, se avete ragione voi e vengono soltanto a esigere un pagamento per porre fine ai saccheggi, credo che il posto più sicuro dove nascondervi, voi e Haesel, sia pur sempre il bosco, finché non se ne saranno andati. Se vi dovessero vedere nel salone del conte, pretenderanno non solo il denaro ma anche voi. Qui sarete al sicuro. Restate, vi supplico.» Fearn fu toccata nel profondo dalle parole di Madre Bridget, piene di preoccupazione nei suoi confronti; di questi tempi, raramente qualcuno le aveva dimostrato di tenere al suo bene. Di certo non suo marito, Barda, uno dei guerrieri scelti del padre adottivo di Fearn: un uomo arrogante e prepotente, 8
che aveva adottato la nuova religione cristiana esclusivamente per poterla sposare. Eppure, Fearn fece il suo nome sperando di persuadere la venerabile ospite che lui l'avrebbe protetta al meglio, sapendolo pronto a combattere per difendere qualunque cosa in suo possesso. Persino il suo cavallo. «Vi sono grata, madre. Veramente. Ma non mi nasconderò come una fuggitiva con tutti gli uomini del conte pronti a proteggermi. E poi c'è Barda. Non permetterà che mi portino via. Di qualunque cosa sia capace, preferirebbe non perdermi. Per favore smettete di preoccuparvi.» Solo a pronunciare il suo nome, la mente delle tre donne andò a quello che era capace di fare. Violenze sulla moglie, per esempio. Madre Bridget aveva visto i segni sul corpo di Fearn quando era venuta a farsi curare. L'amore verso un uomo era qualcosa che Fearn non aveva mai sperimentato e Barda non conosceva certo il significato di quella parola. L'anziana Madre Bridget sospirò, riluttante, scuotendo la testa. «Bene» disse dolcemente, «non mi aspettavo davvero di convincervi, mia cara. C'è nulla che possa dire per farlo?» «Potrei accettare la vostra offerta per Haesel, è così giovane.» «Vi ringrazio, ma no» disse Haesel, ricevendo due sguardi sorpresi. «Mi dispiace, signora, non vi lascerei mai sola. La reverenda madre lo sa.» «Naturalmente, figlia mia, lo sa anche Fearn. Speriamo solo che il suo possessivo marito sia leale quanto te. Sa che siete venute qui? Ricordo che l'ultima volta vi metteste nei guai.» Fearn sorrise mestamente. «Il conte lo ha incari9
cato di scoprire il più possibile, è partito con altri due soldati. Dovevano seguire il corso del fiume verso la costa. A quest'ora potrebbero anche essere già tornati con qualche notizia.» «Nel qual caso, carissima, fareste meglio a finire di bere e rimettervi in marcia verso il castello. E ripensate a quanto vi ho detto. Non otterrete un consiglio migliore.» Specialmente, pensò, da quell'odioso paio di donne. La suocera e la madre adottiva di Fearn non avevano mai dimostrato tratti materni nei suoi confronti, anzi il suo ingresso nelle loro vite era stato motivo di continua gelosia. «Vi accompagnerò fino al fiume» disse, prendendo le loro coppe vuote. L'Ouse scorreva nel suo letto ampio e profondo, oltre il frutteto del convento, verso l'estuario di Humber e il mare del Nord. Il sentiero di fronte alle botteghe, di solito rumoroso per il clamore delle voci, l'abbaiare dei cani e il fragore dei martelli, era pervaso da una quiete sinistra, come se la città stesse trattenendo il respiro. Haesel si era fermata e guardava nella direzione sbagliata, verso il sole, già alto ma offuscato, il corpo irrigidito per la tensione. «Cosa succede?» esclamò Fearn. «Annusate» disse Haesel senza voltarsi. «Lo sentite anche voi?» Fearn e Madre Bridget sollevarono il capo per cogliere l'odore. «Fumo» sussurrarono. «E non viene da Jorvik.» I loro occhi, tesi nello sforzo, scorsero in lontananza pennacchi di fumo bianco e grigio intenso, ritti verso il cielo e squarciati da affilate lame di fuoco. Erano in corrispondenza di alcuni piccoli villaggi siti lungo il fiume. 10
«Sono loro!» disse Fearn. «Che Dio abbia misericordia di noi. Ci stanno assaltando. Saranno qui in men che non si dica. Dobbiamo correre subito ad avvisare il Conte Thored. Madre Bridget, tornate indietro. Vi prego, andate!» La monaca indugiò, spaventata non per sé ma per le due adorabili donne che ora sembravano più vicine che mai ai peggiori pericoli che si potessero immaginare. «Fearn, per favore, restate con me, non andate... nascondetevi nel bosco... è più sicuro...» L'anziana e la giovane si strinsero più volte prima di separarsi. «No, madre, non devasteranno ancora la città. Ora tornate al convento: vi invierò un messaggio quando se ne saranno andati. Fate in fretta» gridò, mentre già correva con Haesel verso il traghetto. «Che Dio vi protegga.» Ma Madre Bridget non si mosse e quando Fearn si voltò indietro, la vide ferma sul sentiero con la testa tra le mani. Presto gli alberi delle navi sarebbero comparsi dietro la curva del fiume. Aspettandosi di ritrovare Gaut, rimasero pietrificate nell'accorgersi che aveva abbandonato la barca, la quale, per fortuna, era rimasta dalla loro parte del fiume. Presero un remo ciascuna e armeggiarono finché lo sferragliare negli scalmi raggiunse una sorta di armonia. In circostanze normali si sarebbero sbellicate dal ridere, ma non ora: la corrente era talmente forte che spinse la barca a riva in un punto troppo lontano dalla banchina, così furono costrette a guadare nell'acqua fangosa fino alle ginocchia, per poter risalire sulla sponda. Risalirono il sentiero fino alla parte della città nota come Earlsbrough, dove si 11
trovava il gran castello dei conti, il loro aspetto non era affatto dignitoso come quando erano uscite un'ora prima. A peggiorare la situazione, il loro ingresso attraverso una piccola apertura nel muro di cinta fu notato dalle parenti più spietate di Fearn: Catla, sua suocera, e Hilda, madre adottiva e moglie del Conte Thored. Le due osservarono con orrore le giovani donne sporche di fango con gli abiti bagnati e aderenti alle gambe. Benché il sacerdote le avesse spesso consigliato di mostrarsi più accondiscendente, Fearn decise che non era il momento giusto, dato l'imminente assalto vichingo. «Sì, sì, lo so» disse a Catla, «ma lasciate stare il mio aspetto. Dov'è il Conte Thored? Dal fiume stanno arrivando gli invasori, e non sono lontani. È nel castello?» «Se vi riferite ai danesi» disse Catla, algida, «vostro padre adottivo ne è stato già informato, dunque non era necessario fare l'eroina per arrivare per prima a dirglielo. La situazione è decisamente sotto controllo.» Il volto segnato dall'età espresse un freddo disprezzo per la nuora. «Lo sa già?» chiese Fearn. «Dunque Barda è tornato?» «No, non ancora. Ma sarà meglio che non vi veda in queste condizioni quando sarà qui. Ora vi suggerisco di entrare e fare in modo che quella vostra serva si guadagni la paga e vi sistemi, invece di dilettarsi in sciocchi giochi d'acqua. Ho intenzione di farla frustare.» «No, non lo farete, Catla. Probabilmente sarei annegata senza di lei.» Con lo sguardo pieno di disapprovazione, Catla e 12
Hilda si voltarono, ma non se andarono prima di scoccare l'ultima frecciata: «Peccato» mormorò Catla, assicurandosi che la giovane udisse. Fearn non aveva mai avuto dubbi sull'ostilità della donna nei propri confronti, ma quella palese cattiveria la ferì, soprattutto in un momento di crisi come quello, in cui le donne avrebbero dovuto confortarsi e farsi forza tra di loro. Allo stesso tempo, a malapena riuscì a soffocare un guizzo di sollievo per la prolungata assenza di Barda. Quanto più fosse durata la spedizione del marito, tanto meglio sarebbe stato per lei, ed evitava di pensare ai possibili motivi della prolungata assenza: era pericoloso avventurarsi in quel territorio. Fearn attese finché non vide sparire le due donne più anziane, poi si diresse nel gran salone dove il Conte Thored le avrebbe comunicato le ultime novità. Avanzò con le gonne ancora attaccate al corpo e gli stivaletti zuppi, i suoi passi risuonavano sul pavimento di legno. Malgrado non cercasse mai di attirare attenzione su di sé, ci riusciva raramente. Per prima cosa, ben poche donne erano ammesse alle discussioni, a meno che non avessero un ruolo ben preciso; poi, erano così in tanti a desiderarla tra gli uomini del conte, che chiedere loro di non notare la sua presenza sarebbe stato impossibile, intrisa d'acqua o no. Il gran salone era decisamente il più ampio a Jorvik, superando anche la vicina chiesa in legno di St. Peter. Massicci pilastri di legno sostenevano le travi del tetto, intagliate a grottesche e motivi intrecciati; le pareti erano quasi del tutto ricoperte da tessuti ricamati a colori vivaci, armi, scudi e lucidi elmi, e13
lementi decorativi ma anche funzionali. Il Conte Thored era semiseduto sul bordo di un tavolo a cavalletto, circondato dai suoi thegns, uomini facoltosi, influenti e leali, vestiti e armati di tutto punto. Le loro voci profonde si sovrapponevano, ma tutti ascoltavano quella di Thored, autorevole e potente. «Vi dico» sentenziò mentre Fearn si avvicinava, «che non assalteranno Jorvik stavolta. È la ricchezza che cercano, non la nostra terra.» «Ma mio signore» ribatté uno degli uomini, «stanno già bruciando i villaggi, perché non dovrebbero fare lo stesso anche qui?» «Lo fanno per farci vedere cosa ci aspetta se non paghiamo» disse Thored, come se fosse scontato. «È la tattica del terrore. Inoltre, saranno in cerca di provviste. Ma non tratterò con loro giù al fiume come un qualsiasi mercante. Devono venire fin quassù se vogliono il denaro. Se lo trasportino da soli sulle loro navi. È qui Arlen il monetario?» «Eccomi, mio signore» rispose Arlen dal retro del gruppo. «Bene. Iniziate a riempire dei sacchi di monete, poi fateli portare qui.» «Quanti... quanto?» «In nome di Thor!» gridò il conte. «Come faccio a saperlo? Preparatevi al peggio e basta. Questi diavoli non se ne andranno senza averci strappato fino all'ultimo penny... questo è quel che so. Fatevi aiutare dal ragazzino. Dovrà imparare questo nuovo modo di combattere, anche se mi vergogno di scacciarli in questo modo. Preferirei farlo con la mia spada, ma non possiamo competere con i loro numeri e mio genero non ha ancora le idee chiare su come gestire 14
il problema.» Seguirono mormorii di assenso e di scontento, tuttavia nessuno criticò apertamente la politica vacillante di Re Etelredo, a parte il suocero. Poi Thored vide Fearn in piedi accanto a un pilastro di quercia. «Oh, Lady Fearn, sarete ansiosa di avere notizie del vostro uomo. Sono sconcertato quanto voi. Di solito a tre uomini non servono che due giorni per raccogliere qualche informazione sul nemico. Be', ora non ne abbiamo più bisogno, dato che possiamo vedere coi nostri occhi dove sono e cosa stanno facendo. Tornerà, non preoccupatevi.» «Grazie, mio signore. Resterò in disparte fino ad allora» disse, voltandosi per andar via. «No, no, vi voglio qui. Aggiungerete un pizzico di colore alla discussione. Per Dio, donna! Dove siete stata?» tuonò, osservando la metà inferiore della sua figura. «Il traghetto, mio signore. Non c'era Gaut a governarlo. Io e la domestica...» Prima di poter finire la spiegazione, la sua voce fu soffocata da un coro di risa composte, tinte da una punta di superiorità maschile in materia di battelli fluviali. Portandosi il pugno sotto i baffi per nascondere una risata, gli occhi blu di Thored si strinsero nelle pieghe mature del suo viso. «Allora fareste meglio a cambiarvi e a indossare un abito degno di una nobildonna, mia cara. I danesi non avranno nulla di altrettanto bello da esibire, scommetto. Passate in cucina e ordinate di preparare birra chiara, scura e idromele per noi e i nostri ospiti. Devono uscire di qui ubriachi fradici, è il minimo che possiamo fare.» Con un gesto spontaneo, la sua grande mano andò a cercare il pendente d'argento a forma di martello di Thor che 15
portava al collo, legato a una striscia di cuoio. «Ora ho bisogno che tre di voi vadano giù al molo ad aspettare e a scortare i loro capi fin quassù. Dov'è il suonatore d'arpa? E lo scrivano? Mostriamo a quei bruti un po' di cultura, già che ci siamo.» Nell'attraversare le stanze della cucina, Fearn trasmise gli ordini del conte, certa di trovarli eseguiti a puntino, al suo rientro nel salone, da una schiera di servitori fiduciosi che i danesi venissero a contrattare e non a devastare. All'interno della sua capanna, vide che la premurosa Haesel aveva già preparato per lei una tunica di lana blu indaco, da indossare sopra una sottile camicia di lino, che fuoriusciva all'altezza del collo, dei polsi e dell'orlo. I fili d'oro ricamati da Fearn sui bordi scintillavano con discrezione quando lei si muoveva e riprendevano il tono intenso della spilla rotonda d'oro solido e ametista che fissava la scollatura. Tra i suoi diademi ce n'era uno d'oro e granati, ma quando chiese a Haesel di passarle lo scrigno dei gioielli, scoprì che era stato riposto in una sacca di pelle da viaggio, insieme ad altri indumenti e calzature. «Cosa succede?» chiese alla giovane serva. Haesel si sedette sul letto coperto di pelliccia e osservò la sua padrona con aria pensosa: non trovava una spiegazione plausibile. «Haesel? Hai avuto di nuovo una di quelle visioni?» insistette Fearn. «Dimmelo.» «È difficile distinguere cosa vedo e cosa penso di vedere, signora. Non so bene il significato, ma eravamo in viaggio e c'era molto vento, soffiava forte... Vi serviva il mantello, ma avevate quello di vostro 16
marito. Così, ho pensato di preparare... be', tutto quello che potesse servire.» «Un momento, hai detto che portavo il mantello nuovo di Barda? Ma se ce l'ha con sé.» «Sì, signora. È quello che non capisco. Forse vi aveva permesso di indossarlo.» Fearn la osservò senza parlare. Aveva solo sedici anni e stava con lei da quando, quattro anni prima, la sua casa era stata distrutta da un incendio. Suo padre faceva il vasaio, a Coppergate, il forno era esploso e Haesel era stata l'unica a sopravvivere, pur riportando gravi ustioni su un braccio e su una parte della gola. Ora i folti riccioli biondi erano ricresciuti, e la dolce leggiadria dei suoi lineamenti faceva dimenticare quel lembo di pelle raggrinzita e arrossata, che di solito lei nascondeva abilmente sotto il velo bianco avvolto attorno al collo. Fearn si era presto resa conto che Haesel possedeva il talento speciale di vedere il futuro, anche se spesso non era chiaro quale fosse il legame tra le visioni e gli eventi reali, come in quell'occasione col mantello di Barda. Fearn, però, aveva ormai imparato a dar retta a quei presagi, pur enigmatici e piuttosto rari. «Allora, cos'hai messo nel bagaglio? E dove andremo?» «I vostri abiti, i gioielli, il ricettario medico, ma non la vostra arpa. Non ho idea di dove andremo, signora. Solo un forte vento...» «Be', staremo a vedere. Mio marito era con noi?» Haesel scosse la testa. «No, signora. Non era con voi.» A volte le capitava di omettere informazioni che riteneva fosse meglio non rivelare in anticipo, perché poco affidabili o troppo gravi. C'erano stati mol17
ti uomini nelle sue visioni, ma Barda non era tra quelli. Il danese detto Aric lo Spietato di certo non si sarebbe aspettato che le quattro navi lunghe al suo comando sarebbero giunte indisturbate a Jorvik, anche se era mattino presto, col sole oscurato dalle nuvole di fumo che dai villaggi lungo il fiume salivano verso il cielo. Dopo aver remato a lungo contro corrente fino all'estuario del fiume, i suoi uomini avevano avuto bisogno di rifocillarsi, e siccome con le buone maniere ci voleva troppo, si erano presi quello che serviva loro senza chiederlo. Arrivati all'ultima curva navigabile dell'Ouse, Aric notò che non c'era traccia di navi mercantili attraccate ai moli e alle banchine, né delle pile di merci che di solito deturpavano il paesaggio. L'unico segno di vita era un gruppetto di uomini armati e tetri in volto ad attenderli. Pensò che il Conte di Northumbria in persona, con un corpo scelto, fosse lì per condurlo a Earlsbrough. Si scambiarono un saluto cortese ma gelido. Un guerriero estrasse la spada dal fodero e un riflesso di luce sfavillò sulla lama minacciosa. Ma non appena Aric mise piede sul pontile, gli intimò di riporla. «Siamo qui per parlare!» esclamò. «Chi di voi è il conte?» «Il Conte di Northumbria vi attende nella sua dimora» disse il capo dei tre. «Preferisce non trattare per la sicurezza di Jorvik qui sul molo, come un mercante. Siate onorati di seguirci». «Per poi trovarmi circondato dagli inglesi?» ribatté il capo danese. 18
«Portate pure tutti gli uomini che volete, jarl.» Ci volle un po' per arrivare, ma ben presto gli uomini si resero conto di capirsi senza difficoltà, vista la somiglianza del danese con l'ormai anglodanese parlato a Jorvik. Aggiustandosi il mantello di castoro sulle spalle larghe, Aric camminava per le strade sporche e deserte di Jorvik con gli ospiti e un manipolo dei suoi, intorno a loro le grida lugubri dei gabbiani e i guaiti dei cani a caccia di un maiale fuggito al padrone. La tensione era palpabile nell'aria, gli invasori avevano ancora addosso l'odore acre del fumo. La finta cortesia non sarebbe potuta durare a lungo, nessuno si illudeva: al minimo segnale si sarebbero uccisi l'un l'altro senza scrupoli. Il Conte Thored era stagliato davanti al massiccio portone del salone, la sua figura inconfondibile agli occhi di Jarl Aric. Alto, spalle larghe, capelli e baffi bianchissimi e lussureggianti: un uomo sulla cinquantina di grande fascino ed esperienza. Salutò Aric con un breve cenno del capo e notò che il danese apprezzava la bellezza degli intarsi delle porte e i timpani incrociati. «Diverso dalla Danimarca, immagino» disse, conducendoli all'interno. «Uguale, per certi aspetti, Conte Thored. Esigiamo le stesse cose.» «Soprattutto, jarl, noi esigiamo la pace.» «Vale anche per noi» disse Aric, deciso a non rimanere spiazzato di fronte al governante più anziano. «Non c'è motivo per non arrivare a essere d'accordo su questo punto, prima o poi.» Lo sguardo di Thored non era scevro di scetticismo, visto che il danese aveva appena effettuato una 19
serie di incursioni lungo la costa dell'East Anglia. Quel prima o poi avrebbe richiesto lunghe trattative, senza alcuna garanzia che i vichinghi non sarebbero tornati l'anno successivo con ulteriori pretese, non appena le giornate si fossero allungate. Tuttavia, in quelle occhiate c'era anche una sfumatura di spontanea ammirazione, non solo per il vigore giovanile, ma anche per l'aspetto cosĂŹ attraente che di certo faceva impazzire le donne. Abituato a guardare i suoi uomini dall'alto in basso, il conte si accorse di essere pari in statura allo jarl, che con quegli occhi grigi e svelti aveva squadrato tutto il salone in un colpo solo, quasi a valutare quanta ricchezza vi fosse contenuta. Nella luce giallastra delle candele, i capelli di Aric splendevano lucidi e biondissimi, tirati indietro sul viso e raccolti in una corta treccia dietro la testa. La sottile banda d'oro sulla fronte esaltava le sopracciglia schiarite dal sole, mentre la barba corta e curata sulle mascelle quadrate sottolineava l'espressione determinata della sua bocca. Non sarebbe stato un avversario facile e Thored sentĂŹ un brivido corrergli lungo il collo e le braccia. Trent'anni prima anche lui aveva avuto quel contegno arrogante, le gambe solide come tronchi fasciate in calzoni di pelle e la vita snella sui fianchi slanciati. Anche con lui le donne erano arrossite come ragazzine. Pensieri simili passavano per la mente di Aric, che guardava il Conte Thored ammirando l'eleganza della sua tunica rosso scuro e la massiccia fibbia d'oro della cintura, simbolo di autoritĂ . Con quella vecchia volpe, pensava Aric, bisognava essere cauti nelle trattative. In un modo o nell'altro, le richieste dei 20
danesi sarebbero state accolte, ma il Conte Thored era un uomo dalle mille risorse, da non sottovalutare. Su quell'uomo, però, aveva sentito anche cose meno lusinghiere, di cui avrebbero parlato al momento opportuno. Il suo re, Sweyn Barbaforcuta, gli aveva affidato quattro delle sue novantaquattro navi lunghe: Aric le aveva condotte fino a Jorvik e ora doveva trattare con Thored per conto del suo signore. Sweyn era a conoscenza dell'altra spedizione che lo jarl aveva in corso, secondaria rispetto al Danegeld, ma molto importante per la famiglia di Aric, che con soli ventisette inverni alle spalle era già uno degli jarl di fiducia del sovrano e capo militare di svariate missioni nel mare del Nord. Avrebbe fatto in modo che il suo nome fosse ricordato come quello di chi aveva ottenuto ciò che voleva. Con un lieve cenno della testa, Thored invitò la moglie esitante a venire avanti e a svolgere il suo dovere: far accomodare gli ospiti in ordine di importanza. A guidarla sarebbero stati i vestiti e la quantità e dimensione di bracciali d'oro, pendenti e spille da mantello. Fearn se ne stava in fondo alla stanza, con una caraffa di vino rosso, in attesa di un segnale per iniziare a versarlo. Ma la sua attenzione si risvegliò all'istante, non appena il capo dei danesi uscì dalla penombra e la luce diretta delle candele, appese a una trave bassa, fece brillare i capelli lisci e chiari raccolti dietro la testa, con la treccia corta posata sul mantello di castoro. Stringendo forte la caraffa, si sforzò con gli occhi di cercare la striscia più scura in quella pelliccia che lei conosceva così bene, le bordature rosse e verdi agli orli, tessute a tavoletta. Mentre l'uomo si girava verso di lei, Fearn vide 21
quelle decorazioni anche sul davanti e seppe senza ombra di dubbio che quello era il mantello di castoro che aveva regalato al marito solo poche settimane prima, per la sua festa. Facendo un gesto casuale, lo jarl se lo tirò dietro la spalla, rivelando la fodera marrone di lana, che lei stessa aveva lavorato per settimane al suo telaio dal vello di pecora nativa di quelle zone. Con suo sgomento, Barda aveva deciso di indossarlo per la spedizione del conte solo perché di notte faceva ancora molto freddo in quei primi mesi dell'anno e perché la pelliccia di castoro era marrone, dunque mimetica, impermeabile e resistente. Catla e Hilda non se ne sarebbero mai accorte, ma la rivelazione la fece rabbrividire come un soffio gelido di vento del nord; anche il vino si increspò nella caraffa. Tremava tutta e non riusciva a staccare gli occhi dalla prova inequivocabile che Barda doveva essere stato catturato o ucciso, perché nessuno avrebbe mai ceduto il mantello al nemico per sua volontà. Eppure, mentre lo fissava impietrita, il potente danese la guardò a sua volta come se fosse l'unica donna nel salone. Erano troppo lontani per scorgere i dettagli, ma quegli occhi implacabili, con la loro forza prorompente, sembravano intuire il motivo della sua indignazione: un altro osava indossare il mantello fatto da lei per il suo uomo. Molte donne avrebbero reagito mettendosi a urlare e a lanciare accuse, in preda al delirio, e avrebbero preteso una spiegazione in barba alla diplomazia del conte. Tuttavia, Fearn rimase in silenzio, non per il contegno arrogante dello jarl, ma per la convinzione che non sarebbe servito a nulla causare imbarazzo al Conte Thored e ai suoi ospiti o provocare le 22
reazioni disperate della madre di Barda e, naturalmente, anche di Hilda, in un momento così delicato. Doveva tenere per sé il suo nuovo segreto. Doveva farlo. Nonostante l'impulso di sfidare quell'uomo, doveva aspettare il momento giusto. O forse no. Forse si sarebbe saputo in qualche altro modo, una volta che i danesi se ne fossero andati. Avvertendo un fastidio alle costole, si rese conto che stava premendo troppo forte la caraffa contro di sé: in quell'istante, di tutte le emozioni che le passavano per la mente confusa le uniche che riconosceva erano l'incredulità e il sollievo. Il danese non aveva ancora distolto lo sguardo da lei quando il Conte Thored la presentò. Vacillante, Fearn si allontanò, grata di non dover essere lei a versargli l'idromele, ma Hilda. Il resto di quella importantissima discussione passò come uno strano sogno, in cui le informazioni le sfuggivano di mano e lei si muoveva come un fantasma all'interno del salone, aspettando il risveglio liberatorio che però non arrivava mai. Era abituata a sentirsi addosso tanti occhi maschili, ma questa volta percepiva quelli di un solo uomo, anche se cercava di sfuggirgli. Tuttavia, quando fu costretta a esaudire la sua richiesta di vino, invece dell'idromele, il vichingo aveva scostato il mantello, rivelando una bella tunica di lana color miele, che lei sapeva essere tinta con la buccia di cipolla; i bordi erano ornati con una fine passamaneria intrecciata con fili d'oro lucenti e la scollatura era impreziosita da una fine spilla circolare, sicuramente di origine irlandese. Per la prima volta furono abbastanza vicini da potersi 23
guardare negli occhi, e lei, senza volerlo, notò che le pupille di lui erano ora sottili ora dilatate, come in preda agli scherzi della luce. Fece caso alla piccola piega che gli si formava tra le sopracciglia, mentre parlava in quel miscuglio di inglese e danese che a Jorvik capivano tutti. «Lady Fearn» disse, porgendole il boccale a forma di corno perché lo riempisse, «dunque voi siete la figlia del conte precedente.» Il Conte Thored, seduto di fronte a lui, lo interruppe: «Del conte esiliato». Aric continuò, ignorando la precisazione. «Sentite ancora la sua mancanza?» Il liquido rosso e corposo tremò mentre lo versava e Fearn cercò di non fare lo stesso con la voce. Non c'era giorno che non pensasse ai genitori. «Mi manca chiunque mi venga portato via all'improvviso» replicò e versò apposta il vino fino all'orlo, nella speranza che gli si rovesciasse addosso. Ma lui non si mosse: il tempo parve sospendersi mentre due paia di occhi si guardavano duellando, alla sfida di Fearn ad ammettere l'omicidio del marito, lo jarl rispose con ostentata indifferenza. Aric lo Spietato non si sarebbe mai fatto sconfiggere da una donna, specialmente dalla figlia adottiva di Thored, anche se Fearn voleva solo vedere il suo braccio tremare e spargere sulla tovaglia una macchia rossa come il sangue, segno della sua colpa. Così avrebbe capito il messaggio. Lentamente, con mano ferma, Aric si portò il boccale alle labbra e lo inclinò senza far cadere una goccia, il cono d'argento con la punta ricurva rivolta all'insù. Un breve applauso accompagnò le risate, ma Fearn se ne andò con lo sguardo pieno di di24
sprezzo, ben sapendo che il conte avrebbe avuto da ridire su come si era comportata col suo ospite, in un convegno così importante. Per lei era un supplizio, inevitabile persino ora che conosceva con certezza il motivo della scomparsa del marito. Su questo doveva tacere, per il momento, benché Catla le avesse confessato la sua preoccupazione. «Non so dove possa essere» le aveva risposto, ed era sincera. Non sapeva se fosse già morto in mezzo al bosco o ancora vivo, legato nella stiva di una nave vichinga. Si allontanò da Catla e Hilda e andò a sedersi vicino ad Arlen il monetario e a sua moglie Kamma. Obbedendo agli ordini, Arlen aveva riempito dei sacchi di monete e frammenti d'argento, di solito impiegati nella coniatura, con l'aiuto del figlio Kean, un ragazzino di circa dieci anni bello come il sole, che sorrise quando Fearn si mise a sedere vicino a lui, evidentemente onorato. «Hai capito cosa succede, Kean?» bisbigliò Fearn. «Sì, mia signora. I danesi vogliono molte cose dal conte.» «Pensi che basterà quello che c'è lì dentro?» disse lei, accennando ai sacchi. «Spero di sì. Quei sacchi sono pesanti.» Il negoziato sembrò durare in eterno, e i danesi vollero far sembrare che fosse un vero accordo, la pace in cambio della ricchezza, quando invece tutto era stato già deciso fino all'ultimo penny. Grida d'oltraggio, pugni sul tavolo e gesti d'accusa, intervallati dai toni più pacati del compromesso e della concessione si alternarono per più di due ore, mentre Thored, faccia a faccia col nemico, cercava il modo di ingannarlo per sborsare di meno, pur sapendo che il 25
prezzo della pace continuava a salire. In qualche modo, la discussione servì solo a prolungare il momento dell'accordo, se così si poteva chiamare, giusto in tempo perché gli invasori avessero a disposizione delle ore di luce per trasportare i pesanti sacchi e ripartire. Col cuore pieno d'odio per l'arrogante danese e la sua assurda richiesta di diecimila sterline d'argento, Fearn non poté che starsene a guardare i guerrieri vichinghi, armati di spade e lucenti elmi rotondi coi paranasi a nascondere in parte i sorrisi soddisfatti, che entravano a due a due, prendevano l'argento e lo portavano via, passando per l'ingresso principale. Non ci furono parole ad accompagnare quella razzia vile, solo un grave silenzio, facce infuriate e il radunarsi silenzioso dei danesi armati attorno al loro capo. Le richieste del Re Sweyn Barbaforcuta erano state esaudite, ma non quelle di Aric. Si girò, puntò il dito verso Kean, il giovane figlio di Arlen il monetario, e gli fece cenno di avvicinarsi. Pensando che lo jarl volesse dirgli qualcosa di importante, il giovane andò da lui e non ebbe paura quando gli mise la mano sulla spalla. Thored impugnò l'elsa della spada mentre Arlen e Kamma, vicino a Fearn, si rizzarono in piedi pieni di angoscia. «No!» tuonò Thored. «Il ragazzo no!» Kamma si coprì il viso con le mani per soffocare un pianto disperato, che tuttavia le colò tra le dita. «Ditemi quanti anni ha il ragazzo» chiese Aric a Kamma, che si precipitò da lui terrorizzata. «Dieci, mio signore. Vi prego, non portatelo via, è troppo giovane per fare lo schiavo... ed è il nostro unico figlio.» 26
«Vostro figlio, ne siete sicura?» disse Aric. «L'avete partorito proprio voi?» Il Conte Thored aveva capito come sarebbe finita ed era furibondo. Con un calcio possente fece ribaltare il tavolo che lo intralciava e lo scavalcò per andare dal ragazzino, ora spaventato e confuso. Avanzò deciso in mezzo alle coppe e ai boccali sparpagliati per terra, verso Aric e Kean, ma le guardie danesi formarono un semicerchio intorno a loro. «Ecco perché li avete voluti qui» ringhiò Thored. «Per insultare i genitori e rubare loro il figlio. È così che ripagate la mia ospitalità, eh, danese? Era questo il prezzo della pace, prima o poi?» «La pace è già stata negoziata, conte» disse Aric con una calma glaciale. «Questo non c'entra nulla e credo lo sappiate. Sforzatevi di ritornare a dodici anni fa, quando giunsero a Jorvik delle giovani coppie di danesi e chiesero il permesso di restare qui. Eravate conte da cinque anni. Vi ricordate?» Thored scrollò le spalle con impazienza. «Vagamente.» «Non può essere, mio signore. Vi torneranno in mente due giovani appena sposati e molto attraenti, specialmente la donna.» Nella sala si udì un gemito, subito soffocato. Era Hilda, che conosceva bene la situazione. Thored fece finta di niente. «Dunque? Dove volete arrivare, jarl? Sentiamo. È molto probabile che siate in errore.» «No, penso proprio di no. Ci sono tanti danesi a Jorvik e in Danimarca i familiari vengono a sapere quello che succede qui, specialmente ai mariti giovani che risultano d'impiccio al conte.» «Familiari? Quali familiari?» 27
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