AMANDA MCCABE
Per ordine della regina
Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: The Queen's Christmas Summons Harlequin Historical © 2016 Ammanda McCabe Traduzione di Federica Isola Pellegrini Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Books S.A. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. Harmony è un marchio registrato di proprietà HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved. © 2017 HarperCollins Italia S.p.A., Milano Prima edizione I Grandi Romanzi Storici dicembre 2017 Questo volume è stato stampato nel novembre 2017 da CPI, Barcelona I GRANDI ROMANZI STORICI ISSN 1122 - 5410 Periodico settimanale n. 1093 dello 08/12/2017 Direttore responsabile: Chiara Scaglioni Registrazione Tribunale di Milano n. 75 dello 01/02/1992 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - Via Mondadori, 1 - 20090 Segrate (MI) Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 045.8884400 HarperCollins Italia S.p.A. Viale Monte Nero 84 - 20135 Milano
Prologo
Richmond Palace, 1576 «Devi restare qui e non muoverti, Alys. Hai capito?» Lady Alys Drury sollevò lo sguardo sul volto di suo padre. Di solito, con lei, era sempre sorridente, sempre gentile, ma quel giorno appariva estremamente inflessibile. In effetti, c'erano diverse cose che superavano la sua comprensione. In tutti i suoi otto anni di vita, non lo aveva mai visto così serio. L'uomo esuberante, che scoppiava così spesso in fragorose risate, che era sempre disposto a sollevarla fra le braccia per farla girare in aria, brillava per la sua assenza. Da quando avevano iniziato il viaggio per arrivare lì, in quello strano posto – nientemeno che un palazzo reale – entrambi i suoi genitori erano rimasti insolitamente taciturni. Dopo aver trascorso alcune interminabili giornate a bordo di un veliero e altre numerose ore a cavallo lungo sentieri sconnessi, lei sulla sella alle spalle di sua madre, erano arrivati lì. Benché ignorasse il motivo del loro viaggio, sapeva che non le piaceva quel posto, con le sue torri svettanti e le sue innumerevoli fine5
stre, che davano l'impressione di celare centinaia di sguardi che la fissavano. «Sì, padre, capisco» rispose. «Torneremo presto a casa?» Lui le rivolse un sorriso stentato. «A Dio piacendo, mia piccola farfalla.» Le depose un bacio sulla fronte e si voltò, affrettandosi a salire lungo una rampa di gradini di pietra. Scomparve al di là di una soglia, fiancheggiata da uomini che indossavano una livrea di velluto verde ricamata in oro, con una spada appesa al fianco, lasciandola sola in quel bizzarro giardino. Alys girò lentamente su se stessa, guardandosi intorno. Quello strano giardino sembrava uscito da una delle fiabe che le raccontava la sua nutrice, con delle alte siepi che circondavano misteriose costruzioni esterne e le aiole rigorosamente quadrate in cui cresceva una profusione di fiori e di piante aromatiche. E il giardino non era l'unica cosa inconsueta di quella giornata. L'abito nuovo che indossava, una rigida veste di seta nera e color bronzo, frusciava a ogni suo movimento, e il copricapo a forma di aureola che le nascondeva i lunghi capelli scuri le irritava la cute. Scalciò via un sasso del sentiero inghiaiato con le nuove scarpine di pelle nera. Avrebbe tanto voluto essere a casa, dove avrebbe potuto scorrazzare liberamente, e dove i suoi genitori non parlavano in adirati bisbigli e preoccupati mormorii. Rovesciò la testa all'indietro per osservare uno stormo di uccelli che si innalzavano nel cielo leggermente velato. Faceva caldo e se fosse stata a casa, avrebbe potuto arrampicarsi sugli alberi o correre lungo le scogliere. Come le mancavano tutte quelle cose. Una risata catturò la sua attenzione. Voltandosi di 6
scatto, scorse alcuni bambini un po' più grandi di lei che correvano attraverso un prato al di là del giardino formale. Non indossavano che i calzoni e le camicie, e prendevano a calci una grossa palla di cuoio marrone, passandosela tra di loro. Alys desiderò di potersi avvicinare, capire a che cosa stessero giocando. Non sembrava un gioco che avesse mai visto prima di allora. Scoccò un'occhiata alla soglia al di là della quale era scomparso suo padre, ma lui non era ancora riapparso. Avrebbe certo potuto allontanarsi per qualche minuto. Si sollevò l'orlo della gonna e si diresse furtivamente verso il prato, osservando i ragazzi che continuavano a prendere a calci quel curioso pallone. Essendo figlia unica, priva di fratelli o sorelle con cui giocare, provava un enorme interesse per i giochi degli altri bambini. Uno dei ragazzi era più alto degli altri, con i capelli scuri più lunghi del normale che gli ricadevano sul viso mentre correva. Si muoveva con straordinaria agilità, in modo assai più aggraziato dei suoi compagni. Alys era talmente affascinata da lui che non notò il pallone che stava volando verso di lei. Le si abbatté violentemente sulla fronte, mandandole il copricapo di traverso e gettandola all'indietro. Per un istante non provò che sbigottimento, poi un'ondata di dolore. Un fiotto di lacrime le salì agli occhi mentre si premeva la mano contro la testa dolorante. «Perché non guardi dove stai andando?» gridò uno dei bambini. Magro e lentigginoso, la spinse rudemente mentre tornava ad afferrare il pallone. «Le stupide femminucce non hanno il diritto di stare qui. Torna al tuo telaio da ricamo!» 7
Alys si sforzò di ricacciare le lacrime, causate tanto dal dolore quanto da quelle parole cattive. «Non sono una stupida femminuccia, brutto... brutto zotico!» «Come mi hai chiamato, mocciosa?» Il ragazzino avanzò verso di lei con aria truce. «Smettila!» Il ragazzo più alto si precipitò in avanti e tirò indietro il suo potenziale aggressore. Lo spinse via e si volse verso di lei con un sorriso gentile. Alys notò che aveva gli occhi verdi, di un incredibile verde mare che non aveva mai visto in vita sua. «È colpa tua, George. Non essere scortese. Chiedi scusa alla damigella.» «Damigella?» ghignò George. «Questa non è una damigella di nobili natali più di quanto tu sia un vero gentiluomo, Huntley. Grazie a quell'ubriacone di tuo padre...» Un'espressione furiosa si dipinse sul viso del ragazzo alto e un intenso rossore gli chiazzò gli zigomi prominenti. Strinse le mani a pugno... e subito dopo indietreggiò, distendendo le dita con un sorriso sulle labbra. Alys dimenticò il dolore alla fronte mentre lo osservava incantata. «Pare che sia stato tu a ricevere un colpo in testa, George» dichiarò Huntley. «È chiaro che sei uscito di senno. Adesso scusati.» «Giammai, non intendo farlo...» George boccheggiò allorché, con mossa fulminea, Huntley fece scattare la mano e gli afferrò il braccio. Anche se parve un gesto innocuo, George impallidì. «Perdonatemi, madamigella.» «Così va meglio.» Huntley lo spinse di nuovo via e si voltò senza più degnarlo di un'occhiata. Si avvicinò ad Alys e le tese la mano. 8
Le sorrise, un sorriso talmente luminoso che lei ne rimase abbagliata. «Madamigella, lasciate che vi aiuti a tornare a palazzo.» «Gra... grazie» bisbigliò Alys. Gli prese il braccio, come aveva visto fare alle gentildonne adulte, e gli permise di condurla verso la gradinata. «Siete gravemente ferita?» domandò lui. Alys si rese conto tutto a un tratto che la fronte continuava a dolerle. Si era dimenticata di ogni altra cosa quando lo aveva visto. «Non ho che un leggero mal di testa. Mia madre avrà delle erbe per mitigarlo nella sua cassetta dei medicamenti.» «Dov'è vostra madre? Vi accompagno da lei.» Alys scosse il capo. Sua madre era rimasta alla locanda, in preda a un improvviso malessere, perciò suo padre l'aveva condotta con sé. Non aveva la più pallida idea di come fare per tornare alla locanda. «Si trova al villaggio. Mio padre...» «È venuto qui per parlare con la regina?» La regina? Non c'era da stupirsi che quel posto fosse così grandioso, se vi abitava la regina. Ma perché il suo genitore era venuto a trovarla? Si sentì più confusa che mai. «Non avrei dovuto muovermi dalla gradinata fino al suo ritorno. Finirò in un mare di guai.» «No, rimarrò con voi e gli spiegherò l'accaduto.» Lei lo studiò con aria dubbiosa. «Suppongo che abbiate delle cose più importanti da fare.» Il sorriso di lui si accentuò. «Niente di più importante, vi assicuro.» La condusse sulla sommità della gradinata, dove suo padre l'aveva lasciata, e l'aiutò a sedersi. Poi le si sedette accanto e le esaminò delicatamente la fronte. 9
«Temo che si stia formando un livido. Spero che vostra madre abbia un'erba per curare le contusioni.» «Oh, no!» Alys si premette la mano contro la fronte e avvampò, rammaricandosi per il fatto che lui la vedesse in quelle condizioni. «Sono certa che lei possieda un unguento adatto, ma deve essere orribile.» Huntley sorrise e delle piccole rughe sottili apparvero agli angoli dei suoi magnifici occhi verdi. «È una medaglia al valore dopo la battaglia. Siete fortunata ad avere una madre che si prende cura di voi.» «La vostra non possiede dei medicamenti da somministrarvi quando siete malato?» domandò lei, pensando a tutte le pozioni e le pomate che usava la propria per lenire febbri e dolori, con lo stesso effetto benefico che esercitava il tocco delle sue mani fresche quando lei era agitata. Lui distolse lo sguardo. «Mia madre è mancata molti anni or sono.» «Oh! Mi dispiace!» proruppe Alys, provando una sincera compassione per quel ragazzo che non aveva una madre. «Ma avete un padre? Dei fratelli?» Le tornarono in mente le crudeli parole di George, il riferimento a quell'ubriacone del suo genitore, e desiderò di aver tenuto la bocca chiusa. «Vedo di rado mio padre. Il mio padrino si occupa della mia istruzione. Non ho fratelli. E voi, madamigella?» «Nemmeno io. Vorrei averli. La casa è molto silenziosa a volte.» «È per questo che siete venuta a vedere il nostro gioco?» «Sì. Sembrava molto divertente. Mi sono chiesta che cosa fosse.» 10
«Non avete mai giocato a calcio?» «Non l'ho mai sentito nominare. Ho visto delle partite di pallacorda, ma pochi altri giochi con una palla.» «È un gioco meraviglioso. Inizia così...» Huntley balzò in piedi per darle una dimostrazione pratica, correndo avanti e indietro mentre le parlava di punteggi e di punizioni. Alzò le braccia in un gesto di immaginario trionfo e le spiegò come si vinceva una partita. Contagiata dal suo entusiasmo, Alys batté le mani ridendo. Lui si inchinò. «È splendido. Vorrei avere qualcuno a casa con cui fare dei giochi come quello.» «Come vi intrattenete, allora?» «Leggo, in linea di massima, e passeggio. Ho una bambola e qualche volta le parlo. Non c'è molto che possa fare da sola, temo.» «Capisco. Prima di andare in collegio, anch'io mi sentivo spesso solo.» Il viso di lui assunse un'espressione remota, come se avesse la mente altrove, e Alys sentì intensificarsi la propria curiosità nei suoi confronti. Avrebbe voluto sapere chi era e tante altre cose su di lui. «Alys! Che cosa stai facendo?» le giunse all'orecchio il grido del suo genitore. Si girò di scatto e lo vide precipitarsi verso di lei, la fronte aggrottata in un fiero cipiglio. «Padre! Mi dispiace. È solo che...» «Temo che vostra figlia sia caduta, milord» la interruppe il suo nuovo amico, piazzandosi al suo fianco e infondendole un senso di sicurezza. «L'ho vista e...» «Ed è stato tanto cortese da venire ad aiutarmi» concluse lei. 11
La fronte di Sir William si spianò. «Sul serio? Bravo ragazzo. Ti sono infinitamente grato.» «Vostra figlia è una damigella incantevole, milord» dichiarò Huntley. «Sono lieto di averla conosciuta quest'oggi.» Sempre più rabbonito, Sir William infilò la mano nella sua borsa e gli porse una moneta. Huntley scosse il capo. «Grazie di nuovo. Ti auguriamo il buongiorno, ragazzo, e buona fortuna.» Sollevò Alys fra le braccia e si allontanò dall'imponente palazzo. Lei si gettò un'occhiata da sopra la spalla per vedere Huntley un'ultima volta. Lui le sorrise e agitò la mano in segno di saluto, saluto che Alys ricambiò, continuando ad agitare la mano finché non fu scomparso alla vista, certa che non avrebbe mai dimenticato il suo nuovo amico e galante salvatore.
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Dunboyton Castle, Galway, Irlanda, 1578 «E questa, niña querida? Che cos'è questa? A che cosa serve?» Lady Alys Drury, che a dieci anni e mezzo di età era ormai abbastanza grande per imparare a dirigere una casa, si chinò sul vassoio che le porgeva la madre e inspirò profondamente, chiudendo gli occhi. Malgrado il gelido vento che investiva i muri di solida pietra di Dunboyton, riuscì a percepire un sentore di verzura baciata dal sole nelle erbe essiccate. Fiori, alberi e trifoglio, tutte cose che amava dell'estate. Ma non quanto amava sua madre e le giornate che trascorrevano insieme nella distilleria, la stanza lunga e stretta in cui erano appesi numerosi mazzi di erbe e in cui vasetti e flaconi erano allineati sugli scaffali. Faceva sempre caldo in quella stanza, era sempre così confortevole, grazie ai meravigliosi profumi che impregnavano l'aria. Un rifugio dal frastuono e l'incessante andirivieni dei corridoi, che erano il regno del suo genitore e degli uomini di lui. Lì, nella distilleria, non c'erano che lei e sua madre. 13
Era il suo posto preferito da quello che riusciva a ricordare. Era incapace di pensarne uno più piacevole. Inspirò ancora una volta, scostandosi dal viso una ciocca di capelli che era sfuggita al copricapo, e questa volta percepì un altro vago sentore al di sotto di quello delle erbe, qualcosa di simile al vino mescolato con miele. «Querida?» la sollecitò sua madre. Alys aprì gli occhi e alzò lo sguardo sul suo viso. Una sottile rete di rughe circondava gli occhi scuri di Elena Drury mentre le sorrideva. Benché indossasse un abito bianco e nero, dal taglio severo ed elegante, il tipo di indumento che usava spesso perché le ricordasse la moda spagnola, non c'era niente di cupo né di austero nel suo gaio sorriso. «È... è melissa, mi madre?» «Molto bene, Alys» approvò Elena, battendo le mani. «Sì, è melissa officinalis. Un toccasana per fugare la malinconia quando il grigiore dell'inverno si protrae troppo a lungo.» Lei rise. «Ma è sempre grigio qui!» Ogni giorno sembrava grigio, a differenza dei ricordi accarezzati dal sole dell'unico giorno che aveva trascorso al palazzo reale. A volte, aveva l'impressione che non fosse stato che un sogno, specialmente il ragazzo attraente che aveva incontrato nel suo bizzarro giardino. Ridendo a sua volta, sua madre versò la melissa in una pentola di acqua bollente e la mescolò accuratamente. «Solo qui a Galway. In alcuni posti il sole splende tutto l'anno.» «Come nel posto in cui siete nata voi?» Benché ne avesse udito la descrizione decine di volte, Alys anelava sempre ad ascoltarla di nuovo. Le bianche mura 14
di Granada, la città natale di sua madre, la distesa di tetti di tegole rosse illuminate dal sole, la musica e i canti portati dalla tiepida brezza. Un mesto sorriso curvò le labbra di Elena. «Come dove sono nata io, a Granada. Non esiste un altro posto come quello, querida.» Alys portò lo sguardo fuori dalla stretta finestra della distilleria. La pioggia mista a grandine batteva contro il vetro con un insistente ticchettio mentre il vento impetuoso faceva udire il suo lugubre urlo. «Come mai vostra madre ha lasciato un posto del genere?» «Perché amava mio padre e lo seguì quando il suo lavoro lo costrinse a trasferirsi in Inghilterra. Era suo dovere stargli al fianco.» «Com'è vostro dovere stare con mio padre?» «Naturalmente. Una moglie deve sempre essere una buona compagna per il proprio marito. È lo scopo principale della sua vita.» «E perché lo amate.» Anche questo era un racconto che Alys aveva udito spesso. Come suo padre avesse incontrato sua madre, la donna più bella del mondo, a un banchetto e avesse giurato che non avrebbe sposato nessun'altra, malgrado la disapprovazione della propria famiglia. Lei sapeva che i genitori non avevano mai rimpianto il fatto di essersi scelti a vicenda, li aveva sorpresi sovente a baciarsi di nascosto, li aveva visti ridere insieme, le teste vicine. Elena tornò a ficcarle la ciocca ribelle sotto la cuffietta. «Anche questo, benché tu sia ancora troppo giovane per pensare a queste cose.» «Avrò anch'io un marito gentile come mio padre?» Il sorriso si cancellò dalle labbra di sua madre mentre si chinava per riprendere a mescolare la tisana. Il 15
velo le ricadde in avanti, celando la sua espressione. «Temo che non esistano molti uomini come lui e tu non hai che dieci anni. Non devi pensare a queste cose ancora per diverso tempo. I matrimoni vengono celebrati per varie ragioni: la sicurezza della famiglia, il denaro, le terre, talvolta anche l'affetto. Ma ti prometto che, chiunque sposerai, sarà un uomo forte e buono. Non resterai qui in Irlanda per sempre.» Quante volte aveva sentito ripetere quella frase, pensò Alys. L'Irlanda non era il loro vero Paese. Suo padre era stato mandato lì per un certo tempo, per svolgere l'incarico che gli aveva assegnato la regina. Un giorno avrebbero avuto una vera casa, in Inghilterra, e lei avrebbe frequentato la corte. Forse sarebbe perfino entrata al servizio della regina, e avrebbe sposato un uomo forte e attraente. Nondimeno, era incapace di immaginare un mondo al di là delle mura di Dunboyton, delle scogliere e del mare tempestoso che le circondava. Si era limitata a intravedere per brevissimo tempo la corte reale, i ragazzi che giocavano a palla, poi quella visione era svanita. «Dunque, querida, che cos'è questa?» domandò sua madre, porgendole un piccolo flacone. Lei percepì un odore pungente al quale si mescolava un sentore di agrumi. «Maggiorana!» «Esatto. Questa sera l'aggiungerò al vino di tuo padre, in modo da mitigare i suoi disturbi allo stomaco.» «Papà è malato?» «Niente affatto. Troppe salse elaborate con la carne, l'ho avvertito ripetutamente. Ebbene, niña, ho una cosa per te.» Alys salì sullo sgabello e batté le mani per allegrezza. «Un dono, madre?» 16
«Sì, un dono raro.» Elena aprì una delle sue scatole di legno intagliato, tutte quante scurite dal tempo e impregnate dal sentore delle erbe che avevano contenuto nel corso degli anni. Estrasse un fagottino avvolto nella mussola e lo posò sulla mano tesa della figlia. Aprendolo, lei scorse alcune perfette, piccole scorze di limone candite. Il giallo ricordava il sole di Granada ed era disseminato di granelli di zucchero, simili a fiocchi di neve. «Limone candito!» Lo adorava. Aveva il sapore del sole che le piaceva tanto. Incapace di resistere, se ne mise in bocca un pezzetto e lasciò che le si sciogliesse sulla lingua. Elena scoppiò in una risata. «La mia cara figliola, sempre così impulsiva! Mio fratello non ha potuto mandarmi che poche cose dalla Spagna questa volta.» Sospirò mentre filtrava la tisana di melissa. «Il maltempo ha impedito a molte navi di raggiungere l'Irlanda.» Alys scoccò un'altra occhiata alla finestra. Era vero. Erano entrate poche navi in porto ultimamente. Di solito, ne arrivavano molte dalla Spagna e dai Paesi Bassi, portando oggetti preziosi e ancora più preziose notizie da casa a sua madre. A un tratto, si udì un rumore di passi pesanti sulla scala a chiocciola che portava alla distilleria. La porta si aprì e Sir William Drury apparve sulla soglia. Era un uomo alto, con le spalle larghe, capelli castano chiaro tagliati corti secondo la nuova moda e la barba altrettanto corta. Ultimamente però c'erano più fili grigi del solito nella sua barba e le sue spalle erano leggermente più curve. Alys ricordò ciò che le aveva detto la madre sui suoi disturbi allo stomaco. Lui, tuttavia, sorrideva immancabilmente quando le 17
vedeva, come in quel momento, le labbra atteggiate a un largo, raggiante sorriso. «Padre!» gridò felice, correndogli incontro. Anche se lui l'abbracciò strettamente come al solito, Alys intuì che in qualche modo era distratto, lontano da lei. Si tirò indietro e lo studiò. Dovette percorrere un lungo tratto della sua persona, dal momento che era tanto più alto di lei. Anche se lui le sorrise, notò una inconsueta tristezza nei suoi occhi. E aveva qualcosa in mano, semi nascosto dietro la schiena. «William» pronunciò la voce di sua madre, un bisbiglio seguito da un fruscio di seta e dal tocco della mano di lei sulla spalla. «La missiva...» «Sì, Elena» assentì lui in tono stanco. «Viene da Londra.» «Alys» disse sua madre, «perché non sali in cucina a vedere se la nostra cena è quasi pronta? Porta queste erbe alle cuoche per lo stufato.» Le mise in mano un sacchetto di prezzemolo e rosmarino essiccati e la sospinse al di là della soglia. Al colmo della perplessità, Alys lanciò un'occhiata alla stanza prima di chiudersi dietro la porta. Suo padre si diresse verso la finestra e fissò la pioggia al di là del vetro, il pugno stretto davanti a sé. Sua madre lo raggiunse e si reclinò contro la spalla del marito. Lei tenne la porta socchiusa, quanto bastava per sbirciare all'interno, indugiando per riuscire a scoprire che cosa stesse succedendo. Altrimenti non glielo avrebbero mai detto. «Non c'è ancora un posto per voi a corte?» domandò Elena. Malgrado il tono tenero, sommesso, sembrava in procinto di scoppiare in lacrime. «No, non ancora, o così scrive mio zio. Devo trat18
tenermi qui per diverso tempo, a causa delle sommosse che sono state appena sedate. Qui! In questo posto dimenticato da Dio, dove non posso fare niente.» Sbatté il pugno sul tavolo con inusitata violenza, facendo tremare bottiglie e flaconi. «È colpa mia» bisbigliò lei. «Madre de Dios, se non fosse per me, per noi, occupereste il posto che vi spetta di diritto.» «Tu e Alys siete la mia vita. Sareste un ornamento per la corte, per ogni posto in cui decideste di andare. Sono degli sciocchi se non riescono a capirlo.» «Sono una Lorca Ramirez. Non avrei mai dovuto sposarvi, mi corazón. Non vi ho portato niente. Se aveste una moglie inglese, se io scomparissi...» «No, Elena, non dovete mai dire una cosa del genere. Siete tutto per me. Preferirei stare qui in capo al mondo con voi e Alys piuttosto che essere un re in un palazzo londinese.» Sbirciando cautamente attraverso la fessura, Alys vide il padre stringere la moglie fra le braccia mentre lei singhiozzava sulla sua spalla. Ora che sua madre non poteva vederlo in faccia, il viso di Sir William aveva assunto un'espressione furiosa. Lei si avviò lungo la scala in punta di piedi, avendo cura di non produrre il benché minimo rumore. Era pervasa da un senso di gelo ed era spaventata. Sebbene suo padre perdesse di rado le staffe, c'era qualcosa in quel particolare momento, nella sua espressione, nella mestizia che sembrava opprimere la madre, che la induceva a desiderare di darsi alla fuga. Nello stesso tempo, avrebbe voluto correre dai suoi genitori, circondarli con le braccia e cancellare qualsiasi cosa avesse osato addolorarli. 19
Entrò in cucina per consegnare le erbe alla capocuoca, aggirando i soldati che pulivano le loro spade accanto al fuoco, le serve che si affaccendavano con pentole e ciotole. Londra. Era lì che si annidava qualunque cosa avesse suscitato le ire del suo genitore. Sapeva dove si trovava Londra, ovviamente, al di là del mare, in Inghilterra. Benché fosse il loro Paese, o così soleva affermare suo padre, era incapace di immaginarla. Quando lui le mostrava i disegni di Londra, indicandole le chiese, i ponti e i palazzi, si stupiva del fatto che tante persone vivessero in quelle dimore così sfarzose. La città più grande che conosceva, l'unica in realtà, era Galway. Quando lei vi si recava al mercato con sua madre, suo padre sosteneva che Londra era come venti Galway messe insieme. Londra era anche la città in cui viveva la Regina Elisabetta. La regina, la donna così influente, sfolgorante e bella che teneva le sorti dell'Inghilterra nelle sue mani ingioiellate. Era stata la regina a mandarlo su tutte le furie quel giorno? A rattristare sua madre? Strinse i pugni lungo i fianchi mentre attraversava la cucina. Come osava la regina, come osava chiunque, fare una cosa simile ai suoi genitori? Non era giusto. Non le importava dove vivesse, che fosse a Galway o a Londra, ma le importava che suo padre venisse privato del posto che gli spettava di diritto. «Che cosa c'è, Lady Alys? Che cosa vi ha irritata a tal punto?» le domandò una delle cuoche. «Le fate vi hanno rubato lo zucchero e ve l'hanno sostituito con il sale?» Lei non seppe impedirsi dal ridere. «No, sono venuta qui per consegnarvi alcune delle erbe aromatiche di 20
mia madre. È questa giornata fredda a mettermi di malumore, credo.» «Non fa mai freddo quaggiù, con tutti questi fuochi accesi. Mi occorrono alcune foglie di menta e mi pare che ce ne sia ancora una pianta verde a ridosso del muro dell'orto. Vi spiacerebbe andare a prenderne un ramoscello? L'aria fresca gioverà al vostro umore, milady.» Rallegrandosi di avere una commissione da sbrigare, lei annuì e si affrettò a indossare il mantello prima di lasciare la cucina. Sebbene spirasse un vento gelido mentre si dirigeva verso le aiole situate in fondo all'orto in cui crescevano le erbe aromatiche, non se ne curò. Il vento portava con sé l'odore di salmastro, e ogni qualvolta si sentiva triste o confusa, il mare aveva il potere di rasserenarla. Si arrampicò sul muretto di recinzione e vi si appollaiò per tentare di vederlo. Anche se gli edifici annessi al castello, le stalle, il caseificio e la bottega del beccaio, bloccavano la vista della maggior parte delle scogliere, riuscì a scorgere le creste delle onde grigie al di là di essi. Il mare l'avrebbe portata a Londra, pensò, consentendole di porre rimedio a qualunque cosa avesse addolorato i suoi genitori. Si sarebbe rivolta alla regina, spiegandole come stavano le cose. E forse, solo forse, avrebbe rivisto quel ragazzo così attraente... «Alys! Ti buscherai un malanno qua fuori» le giunse la voce preoccupata del padre. Voltandosi, Alys lo vide percorrere il sentiero dell'orto a grandi falcate, senza mantello né cappello, benché lui non sembrasse nemmeno accorgersene. Tutta la sua attenzione era concentrata su di lei. 21
«Padre, quanto dista Londra da qui?» Lui si accigliò. «Oh, dunque hai udito la mia conversazione con tua madre, non è vero? Londra è molto lontana, ti sarebbe impossibile raggiungerla in volo, mia piccola farfalla.» La sollevò dal muretto e la fece girare in aria ripetutamente prima di poggiarsela contro la spalla. «Forse un giorno potrai andarci e vederla con i tuoi occhi.» «Vedrò anche la regina?» «Solo se sarai molto fortunata.» «Ma se lei si rifiutasse di vedermi? Perché sono figlia vostra e della mamma?» Sir William rafforzò la stretta attorno a lei. «Non devi neppure pensare una cosa del genere, Alys. Sei una Drury. La tua bisnonna era una dama di corte di Elisabetta di York e tua nonna di Caterina di Aragona. La nostra casata è antica di secoli e quella di tua madre ancora di più. I Lorca Ramirez sono una famiglia ducale e non ci sono duchi in tutta l'Inghilterra al momento. Saresti la gentildonna più nobile della corte.» Alys ne dubitava. Sua madre e la sua nutrice non facevano che ripeterle che una nobildonna non si arrampicava sui muri né nuotava nel mare come faceva lei. Londra tuttavia... sembrava oltremodo interessante. E se lei era effettivamente una nobildonna e avesse servito bene la regina, poteva darsi che i Drury tornassero ad acquistare il suo favore. Scoccò un'ultima occhiata al mare mentre il padre la portava verso casa. Sì, un giorno il mare l'avrebbe condotta in Inghilterra e lei avrebbe avuto la possibilità di vedere i suoi splendori con i propri occhi. «Quella sgualdrina bugiarda! È morta da anni e osa 22
ancora ostacolarmi.» Un tonfo spaventoso echeggiò in tutta la casa allorché Edward Huntley scagliò un piatto di terraglia contro il camino, mandandolo in frantumi. Il tonfo fu seguito da uno schianto, come se uno sgabello fosse stato spezzato da un calcio poderoso. John Huntley udì lo strillo di una domestica ed ebbe la certezza che fosse stata assunta di recente. Tutti gli altri servi erano abituati alle esplosioni di collera di suo padre e continuavano a sbrigare le loro faccende a capo chino. Lui stesso non vi avrebbe prestato la benché minima attenzione, tanto più che era nascosto nella minuscola soffitta al di sopra del salone di Huntleyburg Abbey. Era l'unico posto in cui il genitore non sarebbe mai riuscito a trovarlo, dal momento che solo i fantasmi dei monaci che erano stati scacciati dall'abbazia ne conoscevano l'esistenza. Quando era costretto a tornare a Huntleyburg per le vacanze scolastiche, trascorreva le sue giornate a cacciare e le serate a studiare il latino e il greco nel silenzio soprannaturale del suo nascondiglio. A fare progetti per il giorno meraviglioso in cui sarebbe finalmente stato libero dalla tutela di suo padre. Aveva quasi quattordici anni ormai. Certo quel giorno non avrebbe tardato molto a venire. Edward lanciò un altro urlo. John non avrebbe prestato ascolto alle sue invettive se quel mattino non fosse accaduto qualcosa di insolito. Un visitatore si era presentato a Huntleyburg. E non un visitatore qualsiasi. Il suo padrino, Sir Matthew Morgan, aveva risalito al galoppo il viale di accesso senza preavviso subito dopo l'ora di colazione, quando suo padre aveva appena iniziato la giorna23
ta tracannando dosi abbondanti di chiaretto fortemente alcolico. Quando lui lo aveva sentito arrivare, aveva cominciato a scendere di corsa. Erano mesi che non aveva notizie di Sir Matthew, che era cugino di suo padre, ma conduceva un'esistenza completamente diversa da quella degli Huntley alla corte della regina. Nondimeno, qualcosa lo aveva trattenuto, una tensione nell'aria mentre i servi si precipitavano ad accogliere Sir Matthew. John era sempre stato in grado di percepire il più infinitesimale cambiamento di umore nelle persone che lo circondavano, a intuire quando venivano celati dei segreti. Segreti che così di rado gli erano rivelati. Suo padre aveva avuto l'abitudine di affermare che era un figlio degenere, che aveva ereditato i poteri malefici dalla madre spagnola, e che avrebbe provveduto a eliminarli con un fracco di botte. Finché John non aveva imparato a nascondere quella sua capacità. Erano appunto dei segreti che percepiva nell'aria quel mattino. Segreti che lo avevano indotto ad aspettare e ascoltare, la linea di condotta che aveva ritenuto preferibile al momento. Una lite aveva sempre un esito migliore quando aveva raccolto il maggior numero di informazioni. Perché Sir Matthew si trovava lì? Era arrivato all'Abbazia da meno di un'ora e suo padre stava già imprecando contro la memoria di sua madre. E doveva essere contro sua madre che Edward stava inveendo adesso. Maria Catalina era sempre la sgualdrina spagnola per il marito, benché fosse morta da dodici anni. John alzò lo sguardo sul ritratto appeso in un angolo del suo nascondiglio. Raffigurava una donna incantevole, con i capelli di oro rosso che si intravedevano 24
sotto la mantiglia di pizzo, le mani giunte contro la gonna bianca e argento dell'abito di raso, gli occhi verdi che gli sorridevano. Un anello d'oro scintillava al suo anulare, lo stesso anello che adesso lui portava al mignolo. A causa di una delle sfuriate di Edward, un lato della tela era lacerato e la cornice scheggiata, ma John l'aveva salvata e portata in un posto sicuro. L'unica cosa che desiderava era di averlo potuto fare nella vita reale. Per onorare la sua memoria, tentava di soccorrere le persone indifese quando ne aveva la possibilità. Come aveva fatto con quella graziosa bambina che era stata colpita alla testa da una pallonata. A volte si chiedeva dove si trovasse adesso. Udì il brusio di voci proveniente dal salone, quella lenta e pacata del suo padrino, i singhiozzi del padre. Se Edward era già passato dalle escandescenze alle lacrime, era ora che lui comparisse. Mise giù le gambe dalla panca e strisciò fuori dalla soffitta, chinando la testa sotto le vecchie travi. Era cresciuto di colpo durante l'ultimo quadrimestre che aveva trascorso in collegio e presto avrebbe dovuto procurarsi un altro nascondiglio. Ma presto, molto presto, per intercessione dei santi venerati da sua madre, avrebbe lasciato per sempre l'Abbazia. Si avviò lungo la scala che scendeva nel salone. Era stato estremamente sfarzoso all'epoca in cui il suo bisnonno aveva acquistato la tenuta da Re Enrico, ornato da affreschi preziosi, e reso confortevole da arazzi e folti tappeti che impedivano al freddo di filtrare dalle pareti e dall'alto soffitto a volta. Tutto questo però era scomparso da anni. Adesso non era che una stanza squallida, semi vuota e polverosa. 25
All'estremità opposta, accanto al camino, suo padre era sprofondato in una poltrona. Si era rovesciato il vino sulla vecchia veste da camera bordata di pelliccia, la barba e i capelli scuri striati di grigio erano aggrovigliati. I frantumi del piatto erano ancora sul pavimento, fra grandi chiazze di vino rosso, ma nessuno si azzardava a raccogliere i cocci e pulire le macchie. Sir Matthew stava in piedi ad alcune iarde di distanza, le braccia incrociate sul petto mentre osservava impassibile la scena. A differenza di Edward, era ancora snello e in perfetta forma fisica, e sebbene semplici e di un sobrio grigio scuro, gli abiti da viaggio che indossava erano confezionati in modo impeccabile con la lana e il velluto più fini. Con la spada appesa al fianco, sembrava pronto a saltare in sella e combattere per la sua regina in qualsiasi momento, malgrado la sua età. Che cosa lo aveva portato in un posto squallido come Huntleyburg? Sir Matthew alzò lo sguardo e lo vide. «Ah, John, mio caro ragazzo, eccoti finalmente. Sono felice di rivederti. Come sei cresciuto!» Senza lasciargli il tempo di rispondere, suo padre portò uno sguardo annebbiato su di lui, il viso distorto dal furore. «Lei mi ha di nuovo maledetto» gridò. «Tu e tua madre mi avete rovinato la vita! Non mi è ancora permesso di tornare a corte!» Sir Matthew lo spinse all'indietro sulla poltrona con una mano ferma sulla spalla. «Sai benissimo che il motivo per cui non puoi tornare a corte non ha nulla a che vedere con Maria Catalina. In effetti, è solo grazie a lei che l'intero tetto non ti è ancora crollato sulla testa da anni.» 26
John alzò gli occhi sul soffitto, sulle antiche travi annerite, costellate di rattoppi eseguiti con lo stucco. Benché fosse vero che sua madre era stata un'ereditiera, quel denaro era scomparso da tempo. «Mi ha maledetto» piagnucolò Edward. «Aveva detto che i monaci che avevano abitato qui si sarebbero ripresi la loro abbazia e che a me non sarebbe rimasto niente.» Sir Matthew gli scoccò un'occhiata disgustata. Versò del vino in un'altra coppa e gliela mise in mano, un sorriso cupo sulle labbra mentre Edward la vuotava in un'unica sorsata. «Abbiamo delle faccende più serie di cui parlare» dichiarò. «Maria Catalina è mancata molti anni or sono e tu hai gettato via qualunque possibilità potessi aver avuto. Ma non è troppo tardi per John.» «John? Che cosa potrebbe fare John?» ribatté Edward in tono sprezzante, senza nemmeno degnarlo di uno sguardo. «Potrebbe fare molto, in effetti. I tuoi istitutori mi hanno riferito che sei molto dotato, John, soprattutto per le lingue.» Sir Matthew gli fece segno di avvicinarsi. «Dicono che dovresti essere mandato all'università di Cambridge. Ti piace studiare?» Nel suo intimo, in un recesso che aveva creduto intorpidito da tempo, John sentì rinascere la speranza. «Moltissimo, mio signore. Conosco piuttosto bene il greco e il latino adesso, oltre al francese, lo spagnolo e un po' di italiano.» «E come te la cavi con l'arco e con la spada?» John pensò al cervo che aveva abbattuto per la tavola della cena, scoccando un'unica freccia. «Non male, credo. Potete chiederlo al mio maestro di scherma 27
del collegio. Mi esercito con lui ogni settimana.» «Mmh.» Sir Matthew lo osservò attentamente, tamburellando le dita sulla manica. «E sei anche un bel ragazzo.» «Ha preso da quella sgualdrina di sua madre» borbottò Edward. «Quegli occhi...» Sir Matthew lo percorse con lo sguardo. «Sì, hai un aspetto spagnolo.» Tornò a riempire la coppa di Edward e gliela porse senza guardarlo. «Vieni, John, Passeggiamo fuori per qualche minuto. Non posso trattenermi a lungo.» Lui lo seguì nel giardino dell'abbazia. Al pari della casa, era stato splendido, traboccante di vivaci colori, del profumo delle rose più rare, del chioccolio delle fontane. Adesso non era che un'arida, brulla sterpaglia. John, però, si sentiva più speranzoso di quanto lo fosse stato da anni. Il collegio aveva costituito una via di scampo, un modo per fuggire da casa e un posto in cui aveva saputo che avrebbe dovuto lavorare duramente. Possibile che tutto quel duro lavoro stesse finalmente dando i suoi frutti? E in che modo? «Avete detto che potrei essere in grado di fare molto, milord» gli ricordò, tentando di non apparire troppo ansioso. Di sembrare abbastanza sofisticato da poter frequentare Cambridge e in seguito esercitare una professione. Forse un incarico a corte. «Mi auguro che abbiate ragione. Desidero servire la regina in tutti i modi in cui ne avrò la possibilità.» E forse riabilitare il nome degli Huntley, purché non fosse macchiato in modo irrimediabile. Se fosse riuscito a restituire l'onore alla sua casata, la sua vita avrebbe avuto uno scopo. Sir Matthew sorrise. «Un proposito encomiabile, John. La regina ha un enorme bisogno di giovani leali 28
e capaci come te, ora più che mai. Temo che si preparino tempi bui per l'Inghilterra.» Giorni peggiori di questi, quando la Francia e la Spagna minacciavano d'invaderla, e Maria di Scozia non cessava un istante di ordire complotti? «Milord?» «La regina ha sempre molti nemici, che adesso però si fanno sempre più audaci. Spero di riuscire presto a mettere insieme un reggimento che intendo condurre nei Paesi Bassi.» «Davvero?» John era sempre più eccitato. Essere un militare, coprirsi di gloria sul campo di battaglia... Questo avrebbe indubbiamente riabilitato il nome degli Huntley. «Credete che ci sarà un posto per me nel vostro contingente?» «Forse un giorno, John. Ma prima devi terminare i tuoi studi. Una mente come la tua, la tua predisposizione per le lingue, ti sarebbero estremamente utili.» Lui mascherò la fitta di delusione che lo aveva assalito. «Che tipo di incarico potreste assegnarmi, allora?» «Forse...» Sir Matthew esitò. «Immagino che tu abbia sentito parlare del mio amico, Sir Francis Walsingham.» Ovvio che aveva sentito parlare di Walsingham. Era il consigliere più fidato della regina, il custode di molti segreti nella sua veste di Segretario di Stato. «Sì, naturalmente.» «Mi ha interrogato sui tuoi progressi alcuni giorni or sono. Se dovessimo arrivare a una guerra contro la Spagna, un uomo con le tue conoscenze e le tue capacità risulterebbe prezioso.» La mente di John si lanciò a un galoppo sfrenato. Che cosa avrebbe potuto chiedergli di fare un uomo 29
come Walsingham? «Perché sono mezzo spagnolo?» «Anche questo, ovviamente, ma il motivo è la tua intelligenza. Il tuo... intuito, diciamo. L'ho notata in te quando eri bambino, quella circospezione, quella... quella particolare perspicacia. La possiedi ancora. Addestrata e perfezionata in modo corretto ti porterà lontano.» «Pensate che la Spagna non tarderà a costituire un pericolo? È per questo che intendete recarvi nei Paesi Bassi per combattere contro gli spagnoli?» «La Spagna costituirà sempre un pericolo, mio caro ragazzo. Chi può sapere che cosa accadrà fra qualche anno, quando tu avrai completato la tua istruzione? Dunque, perché non mi parli ancora dei tuoi studi? Hai appreso molte nozioni di matematica, di astronomia?» Attraversarono il giardino e raggiunsero il viale di accesso di fronte alla casa, dove un servo attendeva con il cavallo di Sir Matthew. John gli parlò delle materie che più lo interessavano e gli rivolse delle domande sulla corte, alle quali il suo padrino rispose in modo superficiale. «Continua a studiare, John, e non preoccuparti per tuo padre. Provvederò affinché non gli accada nulla di male» aggiunse mentre si issava sulla sella. «Devo andare, ma mi prometti di riflettere su ciò che ti ho detto?» «Naturalmente, milord.» John era certo che non avrebbe pensato ad altro. Si inchinò e seguì con lo sguardo il padrino che si allontanava al galoppo. Poi si volse verso la casa. Nella luce incerta del sole morente, Huntleyburg Abbey aveva un aspetto migliore del solito, dal momento che crepe e rattoppi si no30
tavano a stento. Gli sarebbe tanto piaciuto restaurarla, riportare in vita la sua antica bellezza, ma non aveva la piÚ pallida idea di come ci sarebbe riuscito. Forse avrebbe potuto farlo con i segreti, i segreti di Walsingham, i segreti dell'Inghilterra. Ma come? Quale strada avrebbe imboccato la sua esistenza? Non ne aveva idea. Sapeva però che se avesse dovuto diventare una spia, lavorare nell'ombra, rinunciare a un'esistenza alla luce del sole per riabilitare il nome degli Huntley che suo padre aveva gettato nel fango, lo avrebbe fatto. Avrebbe fatto qualunque cosa, qualsiasi sacrificio, per restituire l'onore alla loro casata. Lo giurò in quel momento, a se stesso e alla sua famiglia. SÏ, quella sarebbe stata la sua vita.
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