Barbados, 1837 - Una piantagione , un luogo paradisiaco e Lei, l’affascinante ed enigmatica Emma Ward. Sarà possibile per Ren Dryden, Conte di Dartmoor, non mescolare affari e piacere?
Inghilterra, 1837 - Per far colpo sulle amiche del club Caccia al marito, Eugenie Belmont annuncia che intende sposare Sinclair St. John, Duca di Somerton, un uomo molto diverso dai membri della sua eccentrica famiglia. L’impresa però si rivela ambiziosa...
Caraibi - Londra, 1812 - Kit North ha giurato a se stesso che laverà la macchia che offusca il suo buon nome e per farlo darà la caccia a uno dei più pericolosi bucanieri del Mar dei Caraibi: il famigerato La Voile.
Inghilterra, 1145 - Per Richard di Dunstan Isabella è solo uno strumento, l’esca con cui intende attirare il malvagio Glenforde. Ma l’amore può sbocciare anche tra le tenebre dell’anima...
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VICKY DREILING
Progetti di nozze
Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: What a Reckless Rogue Needs Grand Central Publishing - Forever © 2014 Vicky Dreiling This edition published by arrangement with Grand Central Publishing, New York, New York, USA. All rights reserved. Traduzione di Elena Vezzalini Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. © 2015 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prima edizione I Grandi Romanzi Storici Special novembre 2015 Questo volume è stato stampato nell'ottobre 2015 da Grafica Veneta S.p.A. - Trebaseleghe (Pd) I GRANDI ROMANZI STORICI SPECIAL ISSN 1124 - 5379 Periodico mensile n. 214 dello 04/11/2015 Direttore responsabile: Chiara Scaglioni Registrazione Tribunale di Milano n. 368 del 25/06/1994 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - Via Trentacoste, 7 - 20134 Milano Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 199 162171 Harlequin Mondadori S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano
Prologo Eton, dicembre 1798 Colin Brockhurst, Conte di Ravenshire, a soli otto anni aveva già conosciuto il dolore. Era seduto su una panca insieme ad altri bambini, in attesa di tornare a casa. Di solito erano turbolenti e vivaci, ma sotto lo sguardo severo del preside non volava una mosca, solo ogni tanto si udiva qualche starnuto o un colpo di tosse. Quasi tutti gli allievi erano partiti per le vacanze di Natale, compreso il suo amico Harry. Ogni volta che la porta veniva aperta, un vento gelido entrava nella stanza e nemmeno il cappotto pesante e i guanti di pelle erano sufficienti a proteggersi dal freddo. Quando un rumore di passi risuonò davanti alla porta, Colin trattenne il respiro. Purtroppo era il genitore di un compagno. Dove era finito suo padre? Avvertì un senso di vuoto nel petto, però si sforzò di non mostrare la propria paura perché sapeva che gli studenti più grandi l'avrebbero preso in giro. Dalla porta che fu aperta di nuovo entrò un'altra raffica di aria fredda. Un bambino saltò in piedi e se ne andò con un domestico. Con lo stomaco contratto in una morsa, Colin si augurò che suo padre non mandasse qualcun altro a prenderlo. Congiunse le mani, imponendosi di non far trapelare la propria angoscia. Se gli altri si fossero accorti del suo disa5
gio, all'inizio del nuovo trimestre la sua vita sarebbe stata un inferno. Aveva imparato a evitare i ragazzi più grandi, e quando non riusciva a fuggire usava i pugni per difendersi. A volte non gli dispiaceva battersi, perché gli permetteva di sfogare la collera e il senso di insoddisfazione che lo tormentavano. Due anni prima suo padre gli aveva detto che gli angeli avevano portato la mamma in cielo. Lui aveva capito che era morta e che non sarebbe tornata, anche se avesse chiesto un miracolo. Era tardi, ed erano rimasti in tre, lui compreso. E se suo padre fosse morto e nessuno fosse andato a prenderlo? Sarebbe rimasto da solo al collegio? Gli aveva detto che non doveva temere nulla, tuttavia Colin strinse più forte le mani che tremavano. Devi essere coraggioso, si era raccomandato la prima volta che era andato a Eton. Nell'istante in cui la porta fu aperta Colin si sentì mancare il fiato, ed emise un respiro profondo solo quando vide il genitore. Afferrò la cartella e si alzò di scatto. «Sei pronto a tornare a casa?» gli chiese Lord Chadwick con un sorriso. Lui annuì. La mano paterna sulla spalla gli infondeva sicurezza, una sensazione che non provava da tempo. Quando furono all'aperto, mentre scendevano i gradini diretti alla carrozza che li aspettava, provò a catturare con la lingua un fiocco di neve che turbinava nell'aria. Dopo che furono saliti, il padre gli consegnò una coperta di lana. La carrozza partì, e il rollio unito al rumore degli zoccoli dei cavalli conciliò il sonno del bambino, che si addormentò appoggiato al genitore. Era buio quando fu portato all'interno di una locanda. La mattina seguente, fece le abluzioni, si vestì, e scese per fare colazione. Con lo stomaco che brontolava per la fame, divo6
rò le uova e il pane tostato sotto lo sguardo affettuoso di Lord Chadwick, che sorrise scompigliandogli i capelli. Un inserviente portò i bagagli alla carrozza. Quando furono a bordo, suo padre si sedette accanto a lui e sospirò. «Devo darti una notizia.» Colin si irrigidì. Quando gli adulti cominciavano un discorso con quelle parole, era un brutto segno. «Non devi spaventarti» lo rassicurò. Lui continuò a trattenere il fiato. «Hai una nuova mamma.» Colin emise un respiro profondo, però era confuso. «Da dove è venuta?» «L'ho conosciuta mentre tu eri al collegio. È mia moglie, la tua matrigna.» Non voglio una matrigna, voglio mia madre, pensò Colin. «Andrà tutto bene, figliolo.» Lui non ci credeva, niente sarebbe andato bene. Sua madre era morta, e l'aveva lasciato solo. «La conoscerai domani.» Colin ebbe l'impressione che il fondo della carrozza avesse ceduto di colpo.
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1 Londra, 1821, The Albany Colin si svegliò con un feroce mal di testa e la gola secca come il deserto. Probabilmente la notte prima aveva bevuto vino a sufficienza da riempire il Tamigi. Quando si sedette sul bordo del materasso, si rese conto di avere dormito con gli stivali. Accecato da un raggio di sole che filtrava dalla tenda, si riparò gli occhi con una mano e il suo sguardo cadde su due bicchieri e tre bottiglie – ciò che restava della bisboccia notturna – posati su una cassapanca. Per un istante sentì che il cervello annebbiato si rifiutava di collaborare. Si passò una mano sulla barba corta e ispida che gli copriva le guance. Due bicchieri? In camera da letto? C'era qualcun altro? In quel momento la porta si aprì, facendolo scattare in piedi. Entrò una donna dai capelli rossi, che indossava un abito verde stropicciato. E un ricordo vago gli si affacciò alla mente: l'aveva incontrata la sera prima nel camerino delle attrici di un teatro. «Cosa è accaduto?» le domandò con voce roca. Lei sbuffò. «Mi sembra evidente.» Signore! «Abbiamo...» «Scherzate? Eravate talmente ubriaco che non sono riuscita a svegliarvi. E nessuno mi ha aiutata a spogliarmi.» Sollevato dalla risposta, Colin emise un profondo respiro. 8
Dato lo stato in cui si trovava, non avrebbe avuto l'accortezza di usare il preservativo. «Mi dispiace, Lila.» La donna alzò gli occhi al soffitto. «Mi chiamo Lottie.» «Certo, come ho potuto dimenticarlo?» «Eravate ubriaco fradicio. Tutto qui.» Colin si sentiva le ossa doloranti. «Vi chiedo scusa, ma non mi è permesso ricevere delle signore in camera.» «Ieri sera non eravate preoccupato.» In quel momento qualcuno bussò alla porta. Colin trasalì, e guardandola negli occhi le intimò: «Restate dove siete, e non fiatate». Si accigliò. «Cosa? Pensate di nascondermi?» «Be'... sì. Per favore state zitta» bisbigliò. «Il padrone di casa mi infliggerebbe una multa se vi scoprisse qui.» Un altro colpo fu battuto, con maggior decisione. Con le tempie che pulsavano dolorosamente si diresse verso la porta. «Sto venendo» gridò. «È improbabile» ridacchiò Lottie. Che volgare doppio senso. Colin si fermò e le lanciò un'occhiata da sopra una spalla. «Tornate in camera, nessuno deve vedervi.» La donna si appoggiò alla porta con un sorriso sulle labbra. «Dite al padrone di casa che sono vostra sorella.» «Sono certo che è una bugia che ha già sentito» sbuffò lui. La risata stridula di Lottie lo infastidiva. Di pessimo umore lui attraversò il salottino e spalancò la porta. Sulla soglia vide il suo amico Harry. «Scusa se ti ho svegliato, vecchio mio, ma è quasi mezzogiorno.» «Grazie al cielo sei tu» lo accolse Colin invitandolo a entrare. «Temevo fosse il padrone di casa.» Quando vide la donna, Harry spalancò gli occhi. «Oh, sono arrivato in un brutto momento.» «No, non preoccuparti» lo rassicurò, «Lila stava per andarsene.» 9
«Lottie» lo corresse lei esasperata. Poi si rivolse a Harry: «Siete uno schianto». Lui le prese una mano e accennò un inchino, come se fossero a un ballo di società. «Enchanté.» Colin estrasse uno scellino dal portamonete e lo porse alla donna. «Dovrebbe bastare per la carrozza.» «Volete liberarvi di me?» domandò accigliata. «Niente affatto» si intromise Harry mangiandola con gli occhi. Sospirando, Colin frugò nel portamonete e tirò fuori un'altra moneta. Lottie inarcò le sopracciglia. «È tutto quello che mi spetta per essere rimasta qui tutta la notte?» gli chiese. «Avete dormito in un letto morbido» le ricordò. Si posò le mani sui fianchi. «Vestita, però.» Harry non riusciva a distogliere lo sguardo da quella bellezza sensuale. «Immagino che sia più eccitante.» «Non si è nemmeno sfilato gli stivali» si lamentò Lottie. «Non si fa, vecchio mio» lo rimproverò Harry scuotendo il capo. «Avevi bisogno di me?» domandò Colin. «Sì» rispose l'amico estraendo una lettera dalla tasca. «È stata consegnata per errore nella mia stanza, questa mattina.» Colin prese la missiva e guardò Lottie. «Vi auguro tanto successo.» «Quello che non ho avuto ieri sera» commentò lei mentre indossava il mantello. E uscì dalla stanza. Harry scoppiò a ridere e si lasciò cadere sul divano. «Piantala» sbottò Colin, che si avvicinò al tavolo e ruppe il sigillo della lettera. «Quanto ti devo?» «Niente, tu hai pagato la mia l'ultima volta. Chi ti scrive?» «Non lo so, non l'ho ancora letta.» «Oggi sei decisamente lento a reagire» osservò Harry. «Ho il male della bottiglia.» Un male di cui soffro spesso 10
negli ultimi tempi, pensò posando la lettera per massaggiarsi le tempie. «Dov'è il tuo valletto? Potrebbe prepararti un decotto.» «Oggi è il suo giorno libero.» Dopo avere aggiunto del carbone al fuoco che si stava spegnendo, Colin andò nel cucinino a riempire il bollitore. Ritornato nel salottino mise le foglie di tè nella teiera e il bollitore sulla piastra. In attesa che l'acqua si scaldasse, aprì la lettera e subito si accigliò. «Ebbene?» domandò Harry. «È di mio padre» rispose, con le narici dilatate. «Cosa dice?» «Richiede la mia presenza a Deerfield Manor.» Gettata la missiva sul tavolo, cominciò a camminare avanti e indietro. «Che vada al diavolo.» «Qualcosa non va?» domandò l'amico con le sopracciglia inarcate. «Sì, dannazione. Vuole vendere Sommerall.» Colin strinse i denti al pensiero che degli estranei entrassero in possesso della proprietà. «Non rientra nell'eredità inalienabile?» «No, è stata intenzionalmente omessa. Mio nonno l'aveva destinata a un figlio minore, che non è mai arrivato. Mio padre è l'unico maschio.» I suoi genitori avevano vissuto a Sommerall fino alla morte di sua madre, poi il marchese aveva deciso improvvisamente di trasferirsi a Deerfield, una proprietà vicina che era appartenuta al padre. Colin si avvicinò alla finestra e scostò la tenda. Per sei anni Sommerall era stata la sua casa, da allora nessuno l'aveva più abitata. E lui aveva dato per scontato che l'avrebbe ereditata. «Quando pensi di partire?» gli chiese Harry. «Al più presto» rispose Colin lanciandogli un'occhiata ostile. 11
«Mi dispiace, forse riuscirai a convincerlo a non vendere.» «Già» fu il commento sarcastico. «Quanto ti fermerai?» Colin si strinse nelle spalle. «Il tempo necessario per scoprire perché mio padre ha preso quella decisione.» L'intenzione era di fargli cambiare idea, adducendo dei validi motivi. Quando il bollitore iniziò a fischiare, versò l'acqua nelle tazze. «Il Duca di Wycoff e la sua famiglia saranno ospiti di tuo padre, come sempre?» «Ne dubito. A quanto ne so, la duchessa e la figlia maggiore sono ancora a Parigi.» «Sono tornate sei mesi fa.» Colin porse una tazza all'amico. «Come lo sai? Già, te l'avranno detto tua madre o le tue cugine.» Harry sorseggiò il tè. «In effetti il salotto di mia madre è una fonte inesauribile di pettegolezzi. Le mie cugine sanno tutto di tutti. Avrai sentito che Lady Angeline ha lasciato Brentmoor più di un anno fa.» «Sì.» Non sapeva altro di quella faccenda, e non si capacitava di come lei si fosse fatta accalappiare da quel libertino. Né ci teneva a saperlo. Le loro famiglie erano amiche, e qualche anno prima c'era stato uno screzio tra lui e Angeline. Suo padre lo aveva accusato di averle spezzato il cuore in occasione del ballo del debutto in società, mentre era accaduto il contrario. Quando Colin le aveva chiesto di danzare, lei aveva rifiutato per accettare l'offerta di un altro cavaliere. A essere sinceri, era disgustata perché l'aveva visto bere da una fiaschetta insieme agli amici. Da allora erano stati come cane e gatto, non riuscivano ad andare d'accordo. Harry posò la tazza. «Immagino che la rottura del fidanzamento sia la causa del viaggio a Parigi.» Non c'era da stupirsi, rompere un fidanzamento era un af12
fare serio. I giornali avevano riportato la notizia, limitandosi a cambiare i nomi che comunque erano riconoscibili. Non si capiva come il padre di Angeline avesse approvato la relazione, dato che la reputazione di Brentmoor era nota a tutti. Harry si accigliò. «Perché tuo padre dovrebbe vendere Sommerall?» «La tua è la domanda del secolo.» Colin considerava quella decisione una offesa personale, anche se non l'avrebbe mai ammesso. «Cambierà idea» cercò di rassicurarlo Harry. «Mio padre non agisce mai a caso.» «Credi che stia barando?» «No, è serio. Anch'io lo sono.» «Cosa stai progettando?» «Gli farò un'offerta che non potrà rifiutare» rispose Colin sollevando il mento con aria di sfida. Suffolk, Sommerall House, due giorni dopo A sei miglia di distanza da Deerfield Manor la carrozza rallentò e imboccò il sentiero circolare che portava a Sommerall. Grazie al cielo il tempo era bello. Quando Colin, dopo avere preso il cappello, scese dal veicolo che si era fermato la frizzante brezza autunnale gli sferzò il viso. Inspirò l'aria fresca della campagna, decisamente corroborante rispetto a quella soffocante di Londra. Chiese al cocchiere di aspettarlo e si allontanò verso la casa di pietra arenaria costruita all'inizio del XVIII secolo, con la ghiaia che scricchiolava sotto i suoi stivali e il cielo striato di scuro che annunciava l'arrivo del crepuscolo. Si compiacque di essere arrivato prima che facesse buio perché voleva controllare le condizioni della proprietà. Quando avesse incontrato il padre, gli avrebbe comunicato l'elenco delle riparazioni da effettuare. Se voleva che la sua 13
richiesta fosse presa in considerazione, doveva dimostrare di essere preparato. Cercò la chiave sotto l'architrave, senza trovarla. Accigliato provò ad aprire la porta, che era chiusa come le gambe di una vergine. Non gli restava che chiedere al padre dove fosse finita la chiave. Si diresse sul retro, dove sperava di poter dare un'occhiata all'interno dalle finestre più basse. Dalla posizione in cui si trovava non vide molto. Strinse i denti, sapendo che la frustrazione non avrebbe migliorato la situazione. A quel punto si avviò lungo un sentiero incolto. Anche se Deerfield Manor distava solo sei miglia, suo padre non aveva motivo di tornare spesso a Sommerall. Mentre camminava vide un'altalena appesa a una grande quercia. Forse un tempo i suoi genitori lo avevano spinto, ma non ne era sicuro perché ricordava assai poco della sua infanzia. Avanzò accompagnato dal crepitio delle foglie autunnali sotto gli stivali, tra le lunghe ombre proiettate dai rami delle betulle spoglie. La proprietà, pur essendo assai più piccola di Deerfield Manor, era circondata da terreni fertili. Immaginò di affidare di nuovo i campi, che in quel momento erano messi a maggese, ai contadini, anche se non c'era fretta. In fondo aveva trentuno anni e non era pronto a mettere la testa a posto. Il vento che scuoteva la mantellina del pastrano non lo fermò. In lontananza vide la cupola di marmo del mausoleo con le quattro colonne ioniche. Quando lo raggiunse, si aggrappò alla balaustra fissando i gradini. Erano trascorsi più di ventiquattro anni, e tutto ciò che gli era rimasto di sua madre erano quella tomba e qualche brandello di vaghi ricordi infantili. Avvertì una stretta al petto. Non riusciva a ricordare l'ultima volta in cui aveva visitato la tomba, e se ne vergognò. 14
«Non sarete abbandonata, e nemmeno dimenticata» promise a voce alta, roca. A quel punto si girò per allontanarsi a grandi passi. Per nessuna ragione avrebbe permesso al padre di vendere la proprietà dove era sepolta sua madre. Quando raggiunse Deerfield Manor il sole era tramontato, e la dimora di epoca Tudor che apparteneva alla sua famiglia dal XVI secolo era avvolta nell'oscurità. L'unica luce veniva dalle lanterne sorrette dai domestici. Appena sceso dalla carrozza fu accolto da una raffica di vento gelido che gli sferzò il viso. Un valletto gli fece strada mentre gli altri scaricavano i bagagli. Entrato nel vestibolo consegnò cappello, pastrano e guanti ad Ames, il maggiordomo che lavorava per la famiglia da quando lui era nato. «Milord, posso darvi il benvenuto?» «Naturalmente, Ames.» Con un sorriso stampato sul viso estrasse una piccola tabacchiera dalla tasca interna della giacca. «È per me, milord?» «L'ho vista per caso, e mi sono ricordato che ne avete una collezione. Questa viene dall'India.» «Non posso accettarla, è troppo preziosa.» «Certo che potete, mi offenderei se non la accettaste.» «D'accordo. Grazie, milord, la metterò in un posto speciale per ricordarmi di voi. La vostra camera è pronta, il valletto disferà i bagagli quanto prima. Il marchese, la marchesa e gli ospiti sono nel salotto azzurro.» Colin apprese con stupore la notizia che c'erano altre persone, ma naturalmente non avrebbe mai chiesto informazioni al maggiordomo. «Grazie, Ames.» Aveva sperato di parlare da solo col padre al suo arrivo, invece avrebbe dovuto aspettare l'indomani. Attraversò il vestibolo, accompagnato dal ru15
more degli stivali che risuonavano sul pavimento di marmo. In quel momento delle voci femminili lo fecero trasalire. «Colin!» Bianca e Bernadette, le sue sorellastre gemelle, scesero di corsa le scale. Quando gli gettarono le braccia al collo, si accigliò. «Un momento, chi siete? Dove sono le mie sorelline?» chiese scherzando. Bernadette alzò gli occhi al soffitto. «Che sciocco sei, Colin.» «Non oso battere le palpebre, temo che crescereste ancora sotto i miei occhi.» Solo quando le ebbe riviste si rese conto di quanto gli fossero mancate. Le due fanciulle erano identiche, una caratteristica che spesso lasciava le persone interdette. Da tempo lui aveva imparato a distinguerle grazie a un piccolo neo, che Bernadette aveva sulla guancia sinistra e Bianca sulla destra. Bianca alzò lo sguardo su di lui. «Quanto ti fermerai?» «Mille anni» rispose Colin, scatenando una risata. «Abbiamo un cane che si chiama Hercules» lo informò Bianca. «Dovrebbe stare in cucina con i domestici.» «Hercules? Sarà un gigante.» «No, non è molto grande» lo contraddisse Bernadette. «Papà sostiene che è brutto» dichiarò Bianca con una risatina. «Parlate ancora il linguaggio che avete inventato?» «No, abbiamo smesso da tempo» dichiarò Bernadette. «In primavera compiremo sedici anni, siamo pronte a debuttare in società.» Colin provò un lacerante senso di colpa. Se si fosse sforzato di andare a trovarle più spesso, sarebbe stato informato del debutto. Dio solo sapeva cos'altro si era perso. Anche se il rapporto col padre era difficile, non avrebbe dovuto trascurare le sorelle. 16
«Non siamo ancora alte come Penny. Eccola là» affermò Bianca. Penelope era a Deerfield Manor? Colin alzò lo sguardo e vide una fanciulla esile e alta, con i capelli biondo rossicci, che abbassò gli occhi e imboccò il corridoio. «Vieni con noi» lo esortò Bianca prendendolo per un braccio. Salirono insieme le scale, e sul pianerottolo Colin vide una donna bruna di schiena, con un abito verde smeraldo che ne metteva in risalto le forme. Quando si girò, gli parve che avesse un'aria familiare ma la luce nel corridoio era fioca. Gli bastò avvicinarsi un po' per riconoscerla. La luce calda delle candele metteva in risalto il colore dei capelli e l'incredibile carnagione vellutata. Colin restò senza fiato, proprio come la volta in cui aveva cercato di darle un bacio casto sotto il vischio, un Natale di qualche anno prima. E ricordò la sua lingua tagliente, che suscitava in lui una giustificata diffidenza. Angeline gli rivolse un inchino, accompagnato da un sorriso sagace. «Bonsoir, mon ami.» Erano sempre stati avversari più che amici. Non si vedevano da tempo, e a lui sembrava che fosse diventata ancora più bella. Quando Colin si inchinò sulla mano coperta da una guanto che lei gli porgeva, il suo sguardo guizzò sul seno formoso. «Immagino che abbiate trovato molti ammiratori a Parigi» dichiarò, con il fermo proposito di mantenere una distanza di sicurezza da quella scollatura poco modesta. Lei alzò una spalla, come aveva visto fare in Francia. «Un proverbio francese recita: Spesso da un bel grappolo si ricava vino scadente.» Un guizzo malizioso le illuminò lo sguardo. «Perciò io evito i grappoli e bevo il vino.» «Astuto da parte vostra» commentò Colin. Angeline batté le mani due volte. «Ragazze, è il momento 17
di andare in salotto. La marchesa ci aspetta.» Colin le offrì un braccio. «Andiamo?» «Non so. Avete l'aria di chi sta per entrare in una prigione più che in un salotto.» Lui non commentò, perché in realtà aveva sempre temuto le visite alla casa del padre. Quando si era risposato lui era a Eton, e ogni volta che si era recato a Deerfield non si era sentito a casa propria. In salotto furono accolti dalle grida di giubilo della Duchessa di Wycoff, madre di Angeline, e di Margaret, matrigna di Colin. «Sono davvero una bella coppia» dichiarò la duchessa. Colin trasalì. Quando erano bambini, le loro famiglie avevano accarezzato l'idea che un giorno si sarebbero sposati solo perché erano nati a distanza di una settimana. Prima della morte di sua madre e del secondo matrimonio di suo padre. «Purtroppo Colin e Angeline mi ricordano due gatti che si azzuffano» osservò il marchese. «Chadwick, vi prego, moderate il linguaggio» lo esortò Margaret. «Oh, no. Guardate cosa avete combinato: le ragazze stanno soffiando come due felini. Bianca, Bernadette, smettetela subito.» Suo padre aveva detto la verità. A parte la riunione annuale a Deerfield Manor e la Stagione primaverile, Colin e Angeline avevano fatto il possibile per evitarsi, anche se non sempre ci erano riusciti. Malgrado l'atteggiamento formale ed educato che stava mostrando quella sera, Angeline era nota per la sua tendenza a combinare guai. E lui non poteva permettersi di distrarsi perché c'era in gioco il destino di Sommerall. Dopo averla accompagnata a una poltrona, Colin si avvicinò alla credenza. Aveva trascorso solo cinque minuti in sua compagnia e già sentiva il bisogno di bere un brandy. Senza dubbio la causa principale era il fascino che Angeline eserci18
tava su di lui. Per quanto fosse una bisbetica, era anche il tipo di donna che un uomo non poteva fare a meno di spogliare con gli occhi. Al solo pensiero si versò due dita di liquore, poi spostò lo sguardo sul padre imponendosi di apparire sicuro di se stesso e sereno. Il Marchese di Chadwick lo guardò a sua volta, con un'espressione indecifrabile dipinta sul viso. «Benvenuto a casa, Colin» lo salutò la marchesa. «Vi trovo bene, Margaret» ricambiò lui con un inchino. «Sono felice che tu sia venuto.» Per un istante gli diede l'impressione di voler continuare la conversazione, invece seguì un silenzio improvviso che non lo stupì. Erano sempre stati in imbarazzo loro due, anche se i loro rapporti erano assolutamente cortesi. Malgrado il defunto padre della sua matrigna fosse un commerciante, lei era stata educata come una signora. Colin sospettava che il marchese l'avesse sposata per denaro, ma non ne era sicuro e sicuramente non l'avrebbe mai chiesto. Margaret si rivolse ad Angeline. «Grazie per avere portato le ragazze in salotto. Se le lasciassi fare di testa loro, trascorrerebbero tutto il tempo in camera a spettegolare.» «Come è possibile?» intervenne il marchese. «Non hanno ancora debuttato in società.» Le gemelle assunsero un'espressione angelica che costrinse Colin a mordersi un labbro per non ridere. Margaret guardò il marito con le sopracciglia inarcate. «Si direbbe che avete dimenticato la lettera che hanno scritto al re sei mesi fa.» «Perché avete scritto al sovrano?» domandò Colin alle sorelle fingendo di essere serio. Lord Chadwick emise un profondo sospiro. «Gli hanno consigliato di mettersi a dieta.» A quel punto, Colin non si trattenne più... Ormai gli tremavano le spalle dal gran ridere. Il ventre prominente del po19
vero re era il soggetto preferito di tutti i caricaturisti. «Grazie al cielo Ames ha fermato la lettera prima che fosse spedita» concluse Margaret. Colin si appoggiò alla credenza. Sapere che le sue sorelle erano ancora birichine lo rendeva felice, perché presto sarebbero entrate nel mondo degli adulti. Si sentiva in colpa per non essere stato al loro fianco durante l'adolescenza, e avrebbe voluto che le cose fossero andate diversamente. Invece si era fatto trascinare nel vortice della vita mondana londinese con le serate al club, le corse di cavalli, la scherma e le donne di facili costumi. In quel momento il Duca di Wycoff si avvicinò e gli diede una pacca affettuosa su una spalla. «Non credevo che sareste venuto.» In effetti non sarebbe tornato a casa se non avesse ricevuto la lettera del padre. Con la coda dell'occhio, Colin vide che il genitore li stava osservando. Sollevò la caraffa e chiese: «Gradite un brandy?». «Volentieri. È passato un secolo dall'ultima volta che ci siamo incontrati.» «Se la memoria non mi tradisce, ci siamo visti da White's la scorsa primavera.» Porse il bicchiere al duca e bevve un sorso di quello che aveva versato per sé. «Landale non è con voi?» chiese. «Mio figlio preferisce non viaggiare, vista la condizione delicata di sua moglie.» Il linguaggio antiquato col quale il duca aveva parlato della gravidanza della nuora, ormai giunta al termine, fece sorridere Colin. Wycoff annusò il profumo del liquore. «Sono trascorsi due anni dall'ultima volta che sono venuto a Deerfield Manor. Confesso che mi è mancato andare a caccia con Chadwick.» Quell'atteggiamento riservato stupì Colin. Era diverso dall'uomo che lui conosceva. Non accennò alla rottura del fidan20
zamento di Angeline, né al viaggio a Parigi della figlia con la madre. C'era da aspettarselo, non era un argomento di cui parlare pubblicamente, anche se Colin lo sentiva ribollire sotto la superficie. Notò che Wycoff evitava di guardare la figlia maggiore. Era strano, ma forse era lui che viaggiava troppo con la fantasia. Aveva l'impressione che gli nascondessero qualcosa, ma non avrebbe saputo dire di cosa si trattasse. Forse era meglio così. Wycoff inspirò a fondo. «Correte sempre dietro alle gonnelle?» «Devo proprio rispondere?» «L'avete già fatto!» L'esclamazione finì in una risata. Colin si schiarì la voce. «Cerco di essere discreto.» «Allora non funziona» lo informò il duca. «Posso versarvi un altro goccio di brandy?» chiese Colin cercando di cambiare argomento. «No, grazie. Mi siederò in una poltrona, come vostro padre, e cercherò di non sonnecchiare come faccio di solito.» Dopo averlo salutato con un inchino, Colin lo guardò allontanarsi, e si stupì quando lo vide ignorare Angeline che aveva cercato di fermarlo. La sua intenzione era di restare vicino alla credenza, invece arrivò Margaret a modificare il suo piano. «Angeline ha accettato di suonare il pianoforte, potresti offrirti di girare le pagine dello spartito.» A meno che non avesse dichiarato di avere un improvviso attacco di febbre, non avrebbe potuto rifiutare. «Naturalmente.» Colin si avvicinò al pianoforte, dove Angeline si stava togliendo i guanti. Aveva dimenticato quanto fossero affusolate le sue dita. E perché mai avrebbe dovuto ricordarlo? Scosse il capo per scacciare quel pensiero bizzarro, e attese che lei cominciasse. «Vi occupate voi degli spartiti?» gli chiese, armeggiando con il secondo guanto. 21
Progetti di nozze VICKY DREILING Inghilterra, 1821 - Di fronte all'ultimatum del padre, Colin, Conte di Ravenshire, non può fare altro che sacrificare la propria libertà di scapolo e rassegnarsi a prendere moglie per mantenere la proprietà della tenuta di Sommerall. Tanto più che ha la soluzione proprio sotto gli occhi! Lady Angeline non è certo la candidata perfetta per un aristocratico, visto il recente scandalo che l'ha coinvolta, e tuttavia Colin, che non ha mai badato alle apparenze, è convinto che il matrimonio tra loro possa funzionare. Quando glielo propone, però, ottiene dalla giovane un deciso e inaspettato rifiuto. Ma lui non ha intenzione di darsi per vinto, e questa volta non perché ha assolutamente bisogno di sposarsi...
Il cavaliere di Eliza Cynster STEPHANIE LAURENS Inghilterra - Scozia, 1829 - Quando Eliza Cynster decide di gettare al vento ogni cautela e recarsi a un misterioso appuntamento, è convinta che un simile gesto possa al massimo scalfire la sua irreprensibile reputazione, e invece si ritrova su una carrozza che corre veloce verso nord. Intontita dal laudano e tramortita dalla paura, riesce ugualmente a trovare la forza di reagire quando scorge un gentiluomo a cavallo: la parola aiuto, sillabata dai vetri del finestrino, è la sua unica speranza di salvezza. Mentre le giornate di prigionia si allungano davanti a lei, Eliza non fa che pensare al bellissimo cavaliere, sognando che giunga a salvarla. È il suo viso che le riscalda il cuore in quel difficile momento, seppure solo nell'immaginazione, e così, quando lui la libera davvero, Eliza non riesce a capire quali sono i suoi veri sentimenti...
I desideri di un duca ANNA CAMPBELL Inghilterra - Europa, 1828 - Cresciuto all’ombra dei numerosi scandali in cui sono stati coinvolti i suoi genitori, Camden Rothermere, Duca di Sedgemoor, è convinto che nel matrimonio l’amicizia e il rispetto contino più della passione e dell'amore. Per questo è deciso a sposare una pacata fanciulla senza grilli per la testa, che lo aiuti a restituire rispettabilità al nome della famiglia. Proprio quando crede di aver individuato la donna adatta, però, un amico in punto di morte gli chiede di rintracciare la sorella sul Continente e riportarla in Inghilterra. È un favore che Cam non può rifiutarsi di esaudire, anche se lei, Penelope Thorne, nove anni prima ha respinto la sua proposta di matrimonio. Quel rifiuto gli brucia ancora, e la cosa peggiore è che non appena la rivede si riaccendono in lui le stesse, conturbanti sensazioni di un tempo...
Un'innocente avventura JULIA LONDON Inghilterra, 1816 - L'eco dei pettegolezzi suscitati dal comportamento poco ortodosso di Honor e Grace si è ormai spento, eppure Prudence Cabot è convinta che le ripercussioni sulla sua vita siano evidenti anche a quattro anni di distanza. Altrimenti perché, alla sua età, nessuno l'ha ancora chiesta in moglie? Poco importa che la sua condotta sia stata irreprensibile; le conseguenze dei temerari piani delle sorelle per trovare marito hanno condannato lei a rimanere zitella e questo la rende triste e intrattabile. Così accetta l'invito di una cara amica, nella speranza che allontanarsi da casa possa risollevarle il morale... e finisce per cacciarsi in un mare di guai. Durante il viaggio, infatti, si lascia coinvolgere nelle peripezie di un affascinante straniero appena giunto dall'America e...
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