PS59_TOCCO PROIBITO

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Beth Kery

Tocco proibito


Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: Release The Berkley Publishing Group/Penguin Group Inc. © 2010 Beth Kery Traduzione di Alessandra De Angelis Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. Harmony è un marchio registrato di proprietà Harlequin Mondadori S.p.A. All Rights Reserved. © 2012 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prima edizione Harmony Passion luglio 2012 HARMONY PASSION ISSN 1970 - 9951 Periodico mensile n. 59 del 13/07/2012 Direttore responsabile: Alessandra Bazardi Registrazione Tribunale di Milano n. 71 dello 06/02/2007 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - 20090 Segrate (MI) Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 199 162171 Harlequin Mondadori S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano


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Genevieve strappò un lembo della busta chiusa e tirò fuori il foglietto. Il codice di sicurezza per entrare nella SaurenKennedy Solutions Inc. era scritto con una grafia decisa e lievemente inclinata. Genevieve serrò le palpebre nel riconoscere la scrittura di Sean, e attese che il dolore si dileguasse lentamente. Era stata colta alla sprovvista nel vedere il codice scritto di suo pugno. Era bastato poco per turbarla perché era già scossa. Ma chi non sarebbe stato sconvolto nel contemplare la propria casa ridotta in macerie annerite e fumanti? Quella sera era andato distrutto praticamente tutto ciò che possedeva e Genevieve non aveva la forza di preoccuparsi dell'impatto emotivo che avrebbe subito tornando nell'attico dopo tanti anni. Inoltre era bravissima a nascondere i ricordi di quel periodo in un angolino della memoria, occultandoli come un vergognoso segreto. Guardando il foglietto, digitò le cifre sulla tastiera con mano tremante. Sean le aveva fatto recapitare la busta dal suo avvocato un anno e mezzo prima. Lei non l'aveva aperta, pensando che non le sarebbe mai servito il codice aggiornato da Sean, però era stata previdente, per fortuna, e l'aveva tenuto nella piccola cassaforte presso la sua boutique. Il codice attivò uno scanner retinico. Il lampo di luce 5


nell'occhio risvegliò i suoi ricordi. Genevieve rivide la testa china di Sean, i capelli castano chiaro con delle luminose ciocche bionde, e risentì la sua voce suadente, con il melodioso accento di New Orleans. Quando scattò la serratura, Genevieve entrò nell'ufficio con passo deciso, come se fosse convinta di poter sfuggire ai ricordi. Era solo colpa del trauma subito quella sera se ricordava con precisione tanti particolari, si disse. La moquette folta attutì il rumore dei tacchi degli stivali mentre camminava nell'elegante atrio. Posò a terra il piccolo borsone che aveva preparato in fretta nella sua boutique, mettendoci dentro qualche indumento di ricambio e un paio di scarpe che teneva sempre a portata di mano nell'atelier, poi digitò nuovamente il codice per reinserire l'allarme. Sean aveva portato al successo la ditta privata di servizi d'informazioni, rendendola la più richiesta del paese. La sua sede era più blindata di Fort Knox. Il marito di Genevieve, l'ex proprietario, era un esperto di ricerche d'informazioni, ma era stato Sean a procurare contatti prestigiosi grazie alla fiducia di cui godeva presso le alte sfere, per cui la Sauren-Kennedy Solutions Inc. aveva potuto concludere contratti importanti con il governo negli ultimi anni. Erano le due di notte e l'ufficio era immerso nel silenzio. Genevieve si guardò intorno, sentendosi un'intrusa invece che comproprietaria della ditta. Quando posò lo sguardo sul bancone circolare di mogano della reception si chiese se Carol lavorasse ancora lì. Non ne aveva idea; tutte le attività dell'azienda erano gestite dal suo avvocato. L'arredamento dell'ufficio era stato cambiato dall'ultima volta in cui vi era stata, ma Genevieve non ne fu sorpresa. Non vi metteva piede da più di tre anni. Suo marito era stato ucciso cinque giorni dopo la sua ultima visita. A quel pensiero, vacillò per un istante, poi si fece forza 6


e si diresse verso gli ascensori. Aveva tutto il diritto di trovarsi lì; dopotutto il palazzo era anche di sua proprietà. I suoi passi più svelti e sicuri risuonavano sul pavimento di granito del corridoio. L'ultimo piano dell'ufficio era stato adibito ad appartamento. Quando si erano sposati, Max aveva insistito per trasferirsi fuori città e aveva acquistato una bella proprietà con una lussuosa villa in periferia, ma non aveva ignorato la delusione di Genevieve che avrebbe preferito restare nel centro di Chicago, dove abitava sin dai tempi dell'università. Dopo essersi affermata come stilista di moda, non si era mai mossa dal centro e Max aveva acconsentito a ristrutturare l'ultimo piano dello stabile che ospitava il suo ufficio per offrirle una base in città. Mentre usciva dall'ascensore sentì squillare il cellulare ed emise un gemito sommesso di disappunto quando vide sul display il nome di chi la stava chiamando. Era l'uomo che frequentava ormai da due mesi; invece d'ignorare la chiamata, come avrebbe voluto, si costrinse a rispondere. «Ciao, Jeff.» «Genevieve! Un mio amico che si occupa di cronaca locale mi ha appena informato dell'incendio. Stai bene?» Lei si fermò nell'atrio. «Sì, anche se è stato terribile, come puoi immaginare. Non preoccuparti» rispose cercando di assumere un tono rassicurante, sapendo che lui sarebbe stato ancora più in ansia perché era lontano. Jeff Winton era uno stimato giornalista sportivo del Chicago Tribune. Viaggiava molto per lavoro e in quel momento era a New York per seguire un importante incontro di basket. Genevieve non fu sorpresa che un collega l'avesse chiamato per dargli la notizia dell'incendio. Anche se non si frequentavano da molto, Jeff sembrava decisamente interessato a lei, che invece non aveva ancora capito cosa provasse nei suoi confronti. «Ma il mio amico mi ha detto che la tua casa...» «Sì, è andata completamente distrutta» concluse Genny 7


in tono pacato, quando Jeff lasciò in sospeso la frase, non essendo sicuro che la notizia che gli era stata data fosse giusta. «Mio Dio! Cos'è successo?» Genny si avviò lentamente verso la porta dell'appartamento. «Non lo so con certezza. Il comandante dei vigili del fuoco mi ha detto che domani mi farà avere una copia della relazione dopo aver fatto un sopralluogo.» «Domattina prenderò il primo aereo per Chicago» disse Jeff con decisione. «No.» Genny si sforzò di addolcire il tono quando si rese conto di quanto fosse stato perentorio il suo diniego. Non voleva essere sgarbata con lui, ma per il momento aveva già abbastanza pensieri e non voleva preoccuparsi anche della presenza incombente di Jeff e della sua ansia. «Devi seguire la partita, non puoi andare via. Inoltre sembra che stia per arrivare una terribile bufera di neve» aggiunse con maggiore diplomazia. «Dubito che gli aerei possano atterrare a Chicago per tutto il fine settimana. E poi, come ti ho detto, sto bene, davvero. Non si è fatto male nessuno. Non c'era nulla in casa che non si possa rimpiazzare.» Emise un lungo sospiro stanco, poi aggiunse: «A essere sincera, per me sarebbe stato molto peggio se fosse andata a fuoco la boutique». «Sei sicura di stare bene?» insistette lui. «Dove andrai ad abitare?» «Per il momento sono nel mio attico in centro.» Ci fu una breve pausa. «Non mi hai mai detto di avere un attico in centro.» Genevieve frugò in borsa per cercare le chiavi. «Non ci conosciamo da tanto, Jeff, non c'è stato modo di parlarne. È nel palazzo della sede della Sauren-Kennedy.» Trovato il portachiavi, cercò la chiave dell'attico. «Scusa, ora devo andare. Sono davanti alla porta, sana e salva, ma come puoi immaginare sono esausta.» 8


«Certo, certo. Ci sentiamo domani.» Genevieve lo salutò, poi sorrise con un pizzico di rammarico. Jeff era una brava persona; era bello, simpatico, affermato e molto premuroso... Non riusciva proprio a capire perché fosse così poco ispirata da lui. Purtroppo, non era colpa di Jeff. Da anni non provava entusiasmo per nessuno in campo sentimentale. Aveva sperato che Jeff Winton potesse scuoterla dal suo torpore perché davvero non aveva difetti, ma cominciava a rassegnarsi. Non era sorpresa dal fatto che fosse refrattaria al romanticismo in quel momento, comunque. Inserì la chiave nella serratura, aprì la porta ed entrò nell'ingresso. Non si curò di cercare l'interruttore. L'ambiente era in penombra perché dalle enormi vetrate entrava il riverbero delle luci della città. Posò a terra il borsone e la tracolla, poi si diresse verso il soggiorno passando davanti alla piccola cucina stretta e lunga, e si fermò di fronte alle finestre a tutta parete. Oltre i vetri si apriva una dimensione irreale, pensò Genevieve. Sembrava di galleggiare a mezz'aria tra le nuvole. In quell'attico sospeso fra la terra e il cielo ci si lasciava alle spalle il rumore delle strade trafficate del centro, i marciapiedi affollati di gente che andava di fretta, il frastuono, le voci, il bombardamento d'informazioni e di pensieri della frenetica vita urbana. Ferma vicino al divano, Genny guardava un mondo diverso, sbigottita come un uccellino appollaiato sul ramo più alto di un albero in un giardino di vetro e metallo, un orto dall'aria rarefatta in cui crescevano grattacieli. La vita di tutti i giorni sembrava così lontana da lassù, in quella dimensione ovattata. La sommità delle Sears Towers era avvolta da densi nuvoloni scuri, che indicavano una nevicata in arrivo. Genevieve aveva già avvertito le prime avvisaglie della bufera nell'aria greve e opprimente mentre guardava la casa 9


che bruciava, tenendosi a distanza di sicurezza. Poi, inaspettatamente, udì una donna che gemeva. Genevieve s'irrigidì. Un istante dopo, una voce maschile infranse il silenzio teso pronunciando una frase imperiosa che contrastava con il suo accento languido e strascicato. «E ora prendilo tutto!» Genevieve riconobbe all'istante quella voce. Inspirò a fondo e trattenne il fiato, voltandosi di scatto. Quando era entrata non aveva notato la luce soffusa che proveniva dal fondo del corridoio buio. Camminando lentamente, come una sonnambula, si diresse verso la porta socchiusa da cui si riversava all'esterno una fascia luminosa verticale. Non era la camera padronale, pensò, quella in cui lei, Sean e suo marito avevano trascorso una notte d'intenso piacere ed erotismo. La notte in cui la sua vita era cambiata per sempre. Con il cuore in gola, Genevieve si avvicinò alla stanza. Sapeva che non avrebbe potuto fare a meno di sbirciare neanche se avesse voluto... e non voleva. Ecco perché il suo torbido segreto scandaloso, il suo peccato inconfessabile, aveva tanto potere su di lei. Perché ciò che era proibito era anche tremendamente eccitante. Né il tempo né la morte avevano potuto cambiare la verità. Genevieve si affacciò alla porta con circospezione e vide una donna nuda, in ginocchio sul pavimento, con lunghi capelli biondi e i polsi legati dietro la schiena da un paio di manette di pelle nera. Tuttavia notò i particolari solo con la coda dell'occhio, perché la sua attenzione era tutta concentrata sull'uomo in piedi davanti a lei. Indossava un paio di jeans sbiaditi e una camicia bianca sbottonata, che scopriva un torace ampio e muscoloso. I jeans a vita bassa lasciavano intravedere una cicatrice 10


che risaltava, pallida, contro la sua carnagione dorata. Genevieve sapeva che era il risultato di una ferita d'arma da fuoco quasi letale, subita in Iraq. Sapeva anche che l'eroico soldato aveva rischiato di morire sotto il tendone di un ospedale da campo nel bel mezzo del deserto e aveva ripreso conoscenza in una base dell'esercito in Germania, dove era stato informato di aver ricevuto una medaglia al valore per aver tratto in salvo una decina di militari tenuti in ostaggio. La sua risposta era stata che potevano tenersi la medaglia e, come premio, rimandarlo a New Orleans. Invece era stato reclutato dai servizi segreti. Sean diceva sempre che avrebbe fatto meglio ad accettare l'onorificenza e a tenere la bocca chiusa. Come al solito era spettinato; i corti capelli mossi gli ricadevano sulla fronte mentre fissava intensamente la donna. Senza distogliere lo sguardo da lei, si slacciò i pantaloni, tirò fuori il pene e lo infilò tra le sue labbra aperte, in attesa. Genevieve era immobile mentre guardava ipnotizzata quella scena erotica. Non riusciva più a pensare, il cervello si era bloccato; tutte le sue sensazioni si erano accumulate nel bassoventre dove percepiva un calore insistente. Tuttavia guardava anche la propria eccitazione con distacco spassionato, così come contemplava l'uomo che un tempo aveva amato con tutto il cuore mentre ora faceva sesso con un'altra. Tutto il suo corpo pulsava di desiderio mentre osservava la donna protendere la testa in avanti per prendere lentamente in bocca il sesso eretto di Sean, che emise un grugnito e afferrò i capelli della bionda alla nuca. Per esperienza, Genevieve sapeva che la sua stretta non era brutale, ma ferma. La donna emise un gemito di protesta quando lui si staccò, sottraendole l'oggetto del desiderio. «Bastardo, ridammelo! Ho una voglia folle» si lamentò con voce roca. Ge11


nevieve vide che aveva i capezzoli turgidi, due punte durissime che risaltavano sui seni piccoli e sodi. Sean avvolse il pene con una mano e cominciò ad accarezzarsi con noncuranza. «Abbi pazienza» replicò con aria di superiorità. Lei tentò di sporgersi in avanti per catturare di nuovo il membro eretto tra le labbra, ma la presa di Sean sulla sua nuca era irremovibile. «Maledetto!» sibilò lei, alzando lo sguardo con un'espressione implorante e al tempo stesso irritata. Lui sorrise, aprì la mano liberandola e le accarezzò una guancia. Le labbra della donna s'incurvarono; nessuno poteva resistere al sorriso di Sean. «Dovrò soddisfare la tua voglia per renderti più mansueta, insomma» concluse, provocandola con il suo tono cantilenante, perfettamente in sintonia con la sua faccia da schiaffi ma non con il fisico imponente da vero duro, rude e bellicoso. Genevieve non avrebbe mai dimenticato come le bastava sentire quella voce all'orecchio per essere scossa da un fremito di desiderio. Sean aiutò la donna a rimettersi in piedi sorreggendola sotto le braccia con delicatezza e modi rilassati, gentili, mentre Genevieve continuava ad avere lo sguardo fisso sul suo magnifico pene eretto, come un soldato in attesa di ordini. Non la sorprese vederlo così controllato, perfettamente padrone della situazione. Anche quando si era lasciato andare, liberando la sua natura impetuosa e primitiva durante quel Capodanno di tre anni prima, abbandonandosi a una passione intensa e incontrollata, Genevieve aveva intuito che di solito Sean non era così scatenato. Normalmente, anzi, era cupo, circospetto; si guardava sempre intorno con occhi vigili, come se si aspettasse che stesse per succedere qualcosa di grave. 12


Gli guardò gli occhi azzurri che le ricordavano l'acciaio e vide che non erano accesi da fiamme intense come durante la notte in cui l'aveva posseduta con ardore e lei era immobilizzata dalla morsa ferrea delle mani di Max che la bloccava da dietro, come Sean gli aveva ordinato di fare. Max era il capo di Sean e il marito di Genevieve, ma su quel letto Sean era stato il padrone indiscusso. Ricordò le sue parole imperiose. Tienila ferma, Max, non farla muovere. Voglio sentirla ancora così, tutta mia. No, in quel momento non c'era neanche l'ombra di quella passione. Con naturalezza, Sean rimise il pene nei pantaloni. Era concentrato ma calmo mentre conduceva la donna verso una poltroncina. Le tolse le manette liberandole i polsi, la fece sedere con un gesto galante e Genevieve si spostò per non perderlo di vista mentre lui si metteva alle spalle della donna. Le passò le braccia dietro lo schienale e la riammanettò. Quel movimento le fece protendere il busto in avanti, come a offrirgli i seni svettanti. Eccitata, Genevieve si morse il labbro inferiore quando lui si piegò sulla donna da dietro e le torse un capezzolo. Per reazione immediata, lei serrò le cosce e dimenò i fianchi, vogliosa. «Devi avere pazienza» ripeté lui, rimproverandola blandamente. Fece il giro e le si piazzò davanti, le allargò le gambe con un gesto brusco facendole premere il sesso contro la poltroncina e lei si agitò per stimolarsi con l'attrito, poi rimase immobile, rigida, in attesa della sua mossa successiva. Sean si diresse verso il comodino. Genevieve ebbe un tuffo al cuore e fece un passo indietro. Avrebbe dovuto andarsene, fuggire. Se Sean si fosse voltato verso la porta l'avrebbe vista. Però non riusciva a muoversi, come un cervo illuminato dai fari dell'auto che sta per investirlo. Era bloccata, intrappolata in un sogno erotico, eccitante... No, era un incubo perverso. 13


La donna emise un gridolino di protesta quando lo vide tirare fuori dal cassetto del comodino un fallo artificiale color carne, molto realistico. «No, voglio te!» «Avrai quello che meriti se saprai aspettare, dolcezza» mormorò Sean, tornando da lei. Genevieve l'aveva sentito chiamare altre donne dolcezza, con la sua voce calda, suadente. L'accento di New Orleans rendeva quel vezzeggiativo affettuoso ma anche lievemente beffardo. Stranamente, non l'aveva mai chiamata così. La donna fece una smorfia di disappunto, con lo sguardo puntato sull'erezione che tendeva il davanti dei jeans mentre lui si piegava su di lei e la penetrava con il dildo, con calma efficienza. Lei mosse i fianchi avanti e indietro mentre lui affondava il fallo di gomma nel suo corpo, mugolando sempre più eccitata, in preda a una frenesia disperata. Le lasciò dentro il giocattolo erotico e si mise di fianco alla poltroncina, abbassandole i polsi dietro lo schienale per farle tendere le braccia, poi le accarezzò con lentezza esasperante il busto proteso. La sua mano virile sembrava enorme in contrasto con la delicata cassa toracica della donna che si alzava e si abbassava rapidamente a ogni respiro. Le sfiorò la vita, il ventre con un gesto languido mentre lei ansimava e gemeva, dimenandosi. Le accarezzò i seni, li palpò con forza poi pizzicò i capezzoli fino a farla supplicare, frustrata: «Fammi venire, ti prego!». La sua eccitazione era tangibile, Genevieve la percepiva come se si trovassero unite nella stessa dimensione. Lei agitò i fianchi scivolando avanti e indietro sulla seduta per stimolarsi con il fallo che era ancora inserito dentro di lei. Sean abbassò infine la mano e ne afferrò la base per opporle resistenza e darle ciò che voleva. Lei puntò i piedi a terra e sollevò il bacino, poi cominciò a muoversi 14


ritmicamente in su e in giù sul pene di gomma. «Di più, voglio di più!» esclamò, frustrata. «Perché devo fare tutto da sola, dannazione? Sei un lurido porco!» «Visto che me l'hai chiesto così gentilmente, ti accontenterò» replicò lui con voce flautata, sarcastica. Le allargò con forza le gambe e le bloccò un ginocchio con l'avambraccio mentre con l'altra mano affondava con forza il dildo nella sua vagina, dandole tutto l'impeto che voleva. La bionda si dimenava contorcendosi selvaggiamente. Ogni volta che la penetrava fino in fondo, Sean muoveva la mano per stimolarle contemporaneamente il clitoride, premendo le dita sulla sua carne sensibile. Lei fu scossa da un violento orgasmo. Quando le sue grida si acquietarono insieme ai tremori provocati dal piacere, lui lasciò la presa sulle gambe, si piegò su di lei e le prese un capezzolo tra le labbra per succhiarlo con vigore, riprendendo ad accarezzarla. La bionda emise un grido agonizzante mentre l'orgasmo tornava a esplodere potentissimo. Genevieve non si accorse neanche del gemito sommesso che le sfuggì dalle labbra per l'eccitazione, se non quando Sean si staccò dal seno della bionda e girò la testa di scatto verso la porta. La donna continuava a dimenarsi mugolando, travolta dal piacere, mentre Sean fissava Genevieve, trafiggendola con il suo sguardo glaciale. Lei trasalì, contraendo i muscoli come se fosse stata colpita da una scossa elettrica che la fece riscuotere dallo stato ipnotico in cui era piombata. Reagì di colpo voltandosi e fuggendo. Si precipitò verso l'ingresso, inseguita dalla voce incredula di Sean che la chiamava. Lui ripeté il suo nome; stavolta la sua voce era più vicina e Genevieve capì che non sarebbe riuscita ad arrivare alla porta d'ingresso senza che lui la raggiungesse. Era sicura che sarebbe esplosa, frantumandosi in un miliardo di schegge se Sean l'avesse toccata in quel momen15


to. Si diresse verso la camera da letto padronale e vi entrò. «Genny! Che diavolo...?» L'esclamazione di Sean fu troncata bruscamente quando lei sbatté la porta e girò la chiave nella serratura. Lui scosse la maniglia e batté il pugno sull'uscio. Lei vi appoggiò le spalle e tese l'orecchio. «Genny» disse lui dopo un attimo di silenzio. Lei serrò forte gli occhi, sentendo il proprio nome pronunciato con dolcezza, in un'invocazione tenera. La voce di Sean era perfettamente udibile, come se avesse parlato tenendo il viso vicino alla fessura tra il battente e l'infisso. «Hai scelto proprio un bel momento per ripiombare nella mia vita» commentò lui con voce vibrante, carica d'emozione. «Non sapevo che fossi qui.» «È evidente.» Genevieve si leccò le labbra e sentì il gusto salato delle lacrime. Solo allora si rese conto che stava piangendo, probabilmente da quando aveva sentito la voce di Sean appena era entrata. Si asciugò le gote umide. «Vattene, Sean.» Ci fu una pausa, in cui Genevieve percepì più distintamente i battiti martellanti del suo cuore. «C'ero prima io.» «Allora puoi essere il primo anche ad andare all'inferno.» Lui fece una risata sommessa, divertita ma anche con una nota triste. «Dammi solo un momento per salutare.» Nel silenzio che seguì, Genevieve pensò che si fosse allontanato, ma si rese conto che aveva solo esitato prima di aggiungere: «Tutto bene? È successo qualcosa?». Lei si voltò verso l'enorme letto matrimoniale che dominava la stanza e su cui si era inebriata di piaceri trasgressivi insieme a Sean e a Max tre anni prima. Era successo qualcosa?, ripeté mentalmente, con sarcasmo. Eh sì, direi proprio di sì! 16


Genevieve era cambiata irrimediabilmente la sera in cui Max aveva offerto la sua giovane moglie al suo braccio destro. Il contatto con il corpo di Sean l'aveva marchiata, le sue mani l'avevano scottata. «Sto bene» disse in tono vacuo, con lo sguardo fisso sul letto mentre i ricordi si affollavano nella mente, ancora più vividi perché ora si trovava proprio nel luogo che era stato il teatro della sua trasgressione. «Sì, come no...» borbottò lui, scettico. «Lasciami in pace!» gli intimò lei. «Se insisti.» Stavolta lo sentì allontanarsi. Genevieve non si mosse e restò dietro la porta chiusa. Qualche minuto dopo li udì passare lungo il corridoio. «Sei veramente maleducato!» lo accusò la bionda in tono petulante. «Sì, lo so, non sei la prima che me lo dice» replicò lui con fare indifferente. «Ma c'è qualcuno? Ti ho sentito... con chi parlavi?» Le loro voci svanirono in lontananza e Genevieve non riuscì a sentire la risposta di Sean. Poco dopo udì la porta aprirsi e chiudersi. Genevieve era sicura che Sean non avrebbe fatto andare via da sola la bionda. L'avrebbe accompagnata fuori dal palazzo e le avrebbe chiamato un taxi. Anche se era cresciuto povero, solo e senza padre, un ragazzo di strada dei bassifondi di New Orleans, da adulto le sue buone maniere erano diventate impeccabili. Quando rientrò, dopo qualche minuto, Genevieve non si era ancora mossa. Era immobile, raggelata. Vide abbassarsi la maniglia della porta, poi udì la sua voce sommessa. «Apri, dai! Non penserai davvero che quella debole serratura possa tenermi lontano, vero, cara?» Il cuore di Genevieve accelerò improvvisamente i suoi battiti. Cara non era come dolcezza... Sulle labbra di lui era come una carezza. 17


Girò la chiave nella serratura e gli passò davanti, tenendo lo sguardo basso, raccolse il borsone e la tracolla, poi fece per aprire la porta, ma lui vi poggiò il palmo con forza per tenerla chiusa. «Cos'è successo?» le chiese. «Cosa ti fa credere che sia accaduto qualcosa?» sbottò lei, irritata. La vicinanza di Sean la turbava. Il calore del suo corpo l'avvolgeva come un guanto. «Smettila, Genny. Non mi hai punito abbastanza evitandomi per tutto questo tempo? Sai benissimo che non avrei mai e poi mai voluto che assistessi alla scena che hai appena visto.» Genevieve emise un lieve sospiro. Sì, lo sapeva. Per quanti dubbi potesse avere su di lui, di una cosa era certa. Istintivamente era consapevole del fatto che Sean Kennedy non l'avrebbe mai offesa né umiliata di proposito. Involontariamente le aveva scombussolato l'esistenza come un terremoto... Ma quella era tutt'altra storia. «C'è stato un incendio alla villa di Lake Forest» gli rivelò in un bisbiglio sommesso. «È bruciato tutto.» Sean accese la luce, poi le mise le mani sulle spalle e la fece voltare verso di lui. Lei alzò lo sguardo e batté più volte le palpebre, disorientata e abbagliata dalla luce forte. Lui la fissava intensamente e Genevieve si sentì impallidire. «Vieni.» La prese per mano e lei lo seguì verso il soggiorno barcollando. C'era un bar a tutta parete, ben rifornito di alcolici e bicchieri di ogni foggia e dimensione. Sean prese una bottiglia di vino già aperta e riempì un calice panciuto, poi glielo porse. «Bevi» le ordinò. Genevieve esitò, poi lo guardò negli occhi. Le sue iridi scintillanti erano autoritarie, inflessibili. Prese il bicchiere e bevve metà del contenuto in un solo sorso. Sean glielo 18


tolse di mano, lo posò sul bancone del bar e la guidò verso il divano, poi la fece sedere accanto a lui. «Tu eri in casa?» Lei scosse la testa e sottrasse la mano alla sua stretta calda. «Ero rimasta a lavorare fino a tardi. Sono tornata a Lake Forest verso le nove. Ho passato tutta la sera a guardare i vigili del fuoco che cercavano di domare le fiamme.» «Perché non mi hai chiamato?» Genevieve fissò il tappeto con occhi vacui. Sean le aveva fatto quella domanda d'impulso ma non si aspettava veramente una risposta. Sapevano perfettamente entrambi che era passato il tempo in cui lei gli avrebbe chiesto aiuto. «Quando sono arrivata i vigili del fuoco erano già in azione, ma a quel punto stavano solo cercando di contenere le fiamme per evitare che l'incendio si diffondesse agli alberi circostanti. Un pompiere mi ha detto che probabilmente è scoppiato qualcosa in garage, da lì le fiamme si sono propagate alla cucina e poi al resto della casa. Quando sono andata via avevano spento tutto, ma mi sembrava di trovarmi in un incubo. C'era la polizia, poi sono arrivati anche i giornalisti...» Sean era teso, come se fremesse dalla voglia di fare qualcosa, però restò seduto accanto a lei. Genevieve gli lanciò un'occhiata esasperata. Anche dopo tre anni, conservava ancora la capacità d'intuire i suoi pensieri, nonostante Sean fosse stato addestrato dall'esercito come spia. Ma non era la prima con cui Genevieve avesse a che fare. Era abituata a trattare con gli agenti segreti. Max era stato un pezzo grosso nella CIA prima di andare in prepensionamento e aprire una ditta specializzata in servizi d'informazione. Tuttavia, mentre Max era sempre stato un enigma per Genevieve, una sfinge dall'espressione imperscrutabile, Sean era come un libro aperto per lei. «Fai pure, chiama la polizia se vuoi» lo invitò, intuendo 19


la sua intenzione. «Il poliziotto con cui ho parlato era il sergente Gould e il comandante dei vigili del fuoco si chiama Martin McGruder.» «Per il momento non mi muovo di qui» replicò lui, burbero. «Piuttosto, Jim sta bene?» le chiese, riferendosi a Jim Rothman, il tuttofare che era alle dipendenze di Max da tempo immemorabile, una specie di moderno maggiordomo che abitava nella villa e si occupava di tutto, dalla spesa ai lavoretti di riparazione in casa. «Sì, sì. Anche lui era fuori, come me. Era andato al cinema ed è rientrato verso le undici. È rimasto insieme a me a guardare la casa che andava in fumo.» Genevieve fece un respiro profondo. «Devo dire che Jim era più sconvolto di me. Era preoccupato anche perché temeva di aver lasciato acceso qualche elettrodomestico che ha causato il cortocircuito, oppure di non aver fatto una manutenzione abbastanza accurata della caldaia. Gli ho ripetuto fino alla nausea che non era colpa sua, poverino, e che comunque, anche se uno di noi avesse innescato inavvertitamente l'incendio, di certo non era intenzionale. Jim era fuori di sé. Ora è andato a stare da sua figlia a Niles.» «Non ci sono indizi che sia stato doloso?» «Doloso?» ripeté Genevieve, esterrefatta. «Ma certo che no! Chi potrebbe voler dare fuoco alla mia casa?» Lui si accigliò scrutandola, poi le mise la mano sulla guancia. «È arrivata un'ambulanza? Ti hanno visitato?» «Per cosa? Non mi sono fatta un graffio!» «Ma sei traumatizzata, è chiaro.» Genevieve si alzò di scatto e lui non cercò di fermarla. Si diresse verso il bar, prese il bicchiere e tracannò il vino rimasto, poi sbatté il calice con troppa forza sul bancone. Vide che lui la osservava attraverso il riflesso dello specchio dietro il mobile bar. «Che facciamo? Me ne vado io o esci tu?» «Conosci già la risposta, Genny.» 20


Lei si voltò. «Non pretenderai di restare qui con me!» esclamò, indignata. Lui scrollò le spalle e stese le braccia sullo schienale del divano in una posa rilassata. Si era riabbottonato la camicia, ma non completamente. Quando allargò le braccia i lembi del tessuto si scostarono rivelando un triangolo di pelle abbronzata, coperta da una leggera peluria castana... molto sexy. Genevieve lo fissò ipnotizzata ma distolse lo sguardo sussultando quando lui parlò. «Sono impegnato in un progetto importante. La mia segretaria verrà in ufficio domattina molto presto e in questi giorni ho preso l'abitudine di restare a dormire nell'attico perché è più comodo, visto che lavoro fino a tardi.» «Ah, già... ho visto come lavori fino a tardi...» commentò lei, sarcastica, sollevando un sopracciglio. «Non potevo sapere che saresti venuta qui stanotte. Ti ho già chiesto scusa» replicò lui, ma Genevieve restò impassibile, senza guardarlo in faccia. Sean annuì, sospirando. «Avevo dimenticato che hai l'abitudine d'ignorare i miei tentativi di scusarmi, anzi, d'ignorarmi in generale. In questo sei bravissima.» Genevieve arrossì. Aprì la bocca per fare una battuta acida ma lui la prevenne. «Anch'io sono il proprietario dell'attico, ricordi?» precisò. «Certo che lo ricordo.» Genevieve sbuffò e aggiunse: «Va bene, se proprio vuoi restare, me ne andrò io. Vado da mia madre». Lui scosse la testa, fissandola con un'espressione irremovibile, implacabile. «Mi dispiace, ma finché non mi sarò procurato maggiori informazioni sull'incendio e non mi sarò accertato che non è stato doloso e nessuno vuole farti del male, tu resterai qui con me, Genny.» Genevieve aveva i muscoli così tesi che le sembravano elastici pronti a spezzarsi con uno schiocco. Sean era l'uni21


co al mondo a chiamarla Genny, la sola persona che avrebbe mai potuto usare quel diminutivo con tale naturalezza, come se fosse stato il suo vero nome. Una volta Max aveva provato a chiamarla Genny, ma detto da lui sembrava forzato, artefatto, quasi ridicolo. Lei non aveva fatto commenti, però non c'era stata una seconda volta. Max aveva incoraggiato lei e Sean a frequentarsi. Un giorno le aveva confessato di sentirsi in colpa perchÊ aveva pochi interessi in comune con lei, data la differenza di età tra loro, di ventiquattro anni. Max non si era mai dimostrato geloso perchÊ Genevieve e Sean andavano insieme in bicicletta sul lungolago o agli incontri di baseball dei Cubs, la squadra di Chicago. Sean le aveva persino insegnato a sparare al poligono di tiro privato nei sotterranei della ditta. La loro era una frequentazione innocente, almeno a prima vista... Fino al Capodanno di tre anni prima, quando Max aveva proposto a Genevieve e a Sean di concedersi una notte di passione tutti e tre. E fino a cinque giorni dopo, quando Sean l'aveva ucciso.

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Seduzione e vendetta di Simona Liubicich Scappata dal barone di Torrebruna che vuole sposarla per porre le mani sul suo patrimonio, la marchesa Costanza Balbi si rifugia a Roma. Lungo la strada incontra il colonnello Simone Aldobradini Colonna, arrogante romano dal fascino tenebroso, e per la prima volta Costanza avverte i brividi di un'eccitazione sconosciuta...

Tocco proibito di Beth Kery La sensuale Genny è vedova di un affascinante imprenditore, Max, che percorreva il mondo con il passo del padrone e manovrava tutti come pedine. Era stato proprio lui a notare per primo l'attrazione che si era sviluppata tra Genny e il suo aitante braccio destro, Sean, fino a proporre a entrambi una torbida trasgressione...

Travolgente piacere di Portia Da Costa L'alta società londinese di fine Ottocento è scossa da uno scandalo che vede protagonista Beatrice Weatherly, una sensuale fanciulla dagli occhi di smeraldo e dai capelli fulvi, che ha posato nuda per delle foto lascive. Sono proprio quelle immagini licenziose ad attrarre l'attenzione del torbido libertino Edmund Ritchie...

Il bacio dell'angelo di Eden Bradley Una guardia forestale, l'affascinante Declan, trova sulla spiaggia una bellissima fanciulla nuda e priva di sensi, con il corpo coperto di strani segni rituali. Declan la prende sotto la sua ala protettrice mentre lo sceriffo indaga per cercare di svelare il mistero che avvolge il suo passato. Quando tra loro nasce una passione sfrenata...


ritorna a SETTEMBRE con 2 romanzi intensi e passionali delle autrici pi첫 amate e apprezzate. PREPARATI A UNA LETTURA... INCANDESCENTE! IN USCITA DAL 27 SETTEMBRE


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