Quel viaggio dopo le nozze

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Cara Connelly

Quel viaggio dopo le nozze


Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: The Wedding Band AVON BOOKS An Imprint of HarperCollinsPublishers US © 2015 Lisa Connelly Traduzione di Sabina Di Luigi Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Books S.A. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. Harmony è un marchio registrato di proprietà HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved. © 2017 HarperCollins Italia S.p.A., Milano Prima edizione Harmony Romance aprile 2017 Questo volume è stato stampato nel marzo 2017 da CPI, Moravia HARMONY ROMANCE ISSN 1970 - 9943 Periodico mensile n. 179 del 14/04/2017 Direttore responsabile: Chiara Scaglioni Registrazione Tribunale di Milano n. 72 dello 06/02/2007 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - Via Mondadori, 1 - 20090 Segrate (MI) Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 045.8884400 HarperCollins Italia S.p.A. Viale Monte Nero 84 - 20135 Milano


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Dakota Rain si guardò attentamente allo specchio del bagno e fece l'inventario dei propri punti di forza. Occhi azzurri penetranti? Sì. Barba incolta sexy? Sì. Capelli striati di biondo? Sì. Sorriso da stella del cinema? Mmh... non proprio. La sua assistente, sulla porta, roteò gli occhi e premette un tasto di chiamata rapida sul telefono. «Sono Emily Fazzone» disse. «Il signor Rain ha bisogno di vedere il dottor Spade stamattina. Un'altra capsula.» Rimase un attimo in ascolto, poi rise. «A chi lo dice. Tanto varrebbe incapsularli tutti e togliersi il pensiero.» Dallo specchio, Dakota le rivolse una delle sue occhiate assassine. «Non metto altre capsule.» «Fifone» rispose lei riponendo in tasca il telefono. «Tanto oggi non puoi. Spade sta cercando di inserirti fra altri appuntamenti, come al solito. Poi alle undici devi andare allo studio per registrare la voce fuori campo. Hai dei tempi molto stretti, perciò sbrigati.» Dakota invece tornò a guardare la propria immagine riflessa e si toccò le guance come se stesse valutando se farsi o no la barba. Emily roteò gli occhi un'altra volta. Borbottando qualcosa che avrebbe potuto essere tanto Datti una mossa quanto Che idiota, andò nella cabina armadio e ne uscì poco dopo con jeans, maglietta e boxer attillati. Li mise sul piano in granito del bagno, poi estrasse di nuovo il telefono e scorse il calendario. 5


«Hai un appuntamento alle dodici con Peter nel suo ufficio per il contratto come testimonial della Levi's, poi la prova dell'abito da cerimonia all'una e mezzo. Alle due e mezzo viene Mercer per parlare del piano di sicurezza per il matrimonio...» Dakota smise di ascoltarla. Il programma della giornata non lo preoccupava. Ci avrebbe pensato Emily a portarlo dove avrebbe dovuto trovarsi. Se fosse stato un po' in ritardo e avessero dovuto aspettarlo, be', la gente sapeva com'erano le stelle del cinema. Insomma, sarebbe rimasta delusa se l'avesse visto comportarsi come i comuni mortali. Prendendosela comoda, Kota si tolse i boxer del giorno prima e girovagò nudo fino alla doccia senza pensarci due volte. Sapeva che Emily non avrebbe battuto ciglio. Dopo dieci anni passati ad accudirlo, che si trattasse di ferite o malattie, di vomito o dolori, aveva visto tutto ciò che c'era da vedere. Spalle larghe? Natiche sode? Emily era immune. E, tra l'altro, omosessuale. Kota fece scorrere l'acqua bollente e infilò la testa sotto il getto, sussultando quando gli colpì il bernoccolo dietro la testa. Lo toccò con le dita per verificare quanto fosse grande. Cinque centimetri. Lo stesso gancio destro che gli aveva fatto saltare il dente gli aveva anche fatto sbattere la testa contro il muro. Emily diede dei colpetti sul vetro del box. Lui lo ripulì dal vapore e la guardò innervosito per essere stato importunato sotto la doccia. Lei era immune anche a quello. «Ti ho chiesto se stai prendendo in considerazione la possibilità di una causa.» «Puoi giurarci.» Era pieno di indignazione mentre le rispondeva. «Denunciamo The Combat Zone. Tubby mi ha fatto saltare un dente e mi ha dato pure uno spintone.» Emily emise uno sbuffo. «Intendevo dire la possibilità che ci facciano causa. Tubby è un bravo buttafuori. Se ti ha colpito, è perché gliene hai dato motivo.» Dakota caricò di dispiacere la sua pronuncia strascicata. «Perché prendi sempre le parti degli altri? Non c'eri. Non sai cosa è successo.» «Certo che lo so. È ottobre, no? Il mese in cui perdi le staf6


fe e te la prendi con chiunque. Succede ogni anno. Gli avvocati sono già in preallarme. Voglio solo sapere se è il caso di chiamarli.» Lui digrignò i denti nel modo che di solito spaventava buoni e cattivi. Emily incrociò le braccia sul petto. La testa di Dakota spuntò oltre l'anta della doccia. «Tocca» disse indicando il bernoccolo. Lei lo colpì. «Ahi! Accidenti, Em, sei infida come una serpe.» Chiuse l'acqua, attraversò il bagno gocciolando sul pavimento e si contorse davanti allo specchio per cercare di guardarsi dietro la testa. «C'era Montana con te?» «No.» I tempi della discoteca erano finiti per il fratellino. Montana trascorreva le serate con la futura sposa, ormai. «Testimoni?» «Tanti.» «Paparazzi?» «Stai scherzando?» Dakota se le ritrovava ogni volta tra i piedi, quelle sanguisughe. Ottobre di solito finiva sempre con uno di loro steso e Dakota che gliele dava di santa ragione mentre gli altri parassiti trasmettevano tutto in tempo reale. Em riprese il telefono. «Ciao, Peter. Sì, Dakota ha litigato un'altra volta con Tubby ieri sera. Solo un dente rotto e un bernoccolo sulla testa dura. Ma c'erano i fotografi, perciò aspettiamoci che escano delle immagini. Okay, a dopo.» Dakota lasciò perdere il bernoccolo. I capelli erano troppo folti. E troppo lunghi, oltre il mento, per via del western che avrebbe cominciato a girare il mese successivo. Gli sembrava una fatica esagerata per un film a base di sparatorie, identico all'ultimo, e a quello precedente. In quel caso ci sarebbero stati i cavalli al posto delle auto truccate e i revolver a sei colpi al posto dei mitra, ma niente di nuovo, solo un sacco di morti. Em gli porse un asciugamano. «Macchina?» Lui lanciò un'occhiata fuori dalla finestra. Niente di nuovo, anche lì. Un'altra giornata di sole a Los Angeles. «La Porsche. Quella nera.» 7


L'assistente uscì dal bagno maneggiando il telefono. «Tony, puoi portare la Porsche nera, per favore? E apri la cappotta.» Spingendo sull'acceleratore Dakota sfrecciò tra una Lexus lucente e una Civic modificata, passò con il giallo e sgommando svoltò a destra in un In-N-Out Burger, frenando poi davanti all'ingresso. «Un tre-per-tre, patatine e un frappè al cioccolato, cara, grazie.» Guardò Em. «Il solito?» Lei fece cenno di sì col capo, il telefono attaccato all'orecchio. «Aggiungi un panino al formaggio per la donna che non mangia carne. E una cannuccia in più.» Avanzò mettendosi dietro un Hummer giallo. Mentre parlava al telefono, Em aprì l'iPad, digitò qualcosa e poi gli mostrò lo schermo. Le foto della scazzottata con Tubby. Kota scrollò le spalle come se per lui non fosse un problema, invece lo era, eccome. Oh, non gli importava che la gente sapesse che era stato umiliato. Inevitabile, nessuno batteva Tubby. Quello che lo faceva imbestialire erano i dannati paparazzi. Tutti – Peter, Em, perfino Montana – gli avevano fatto presente che essere preso di mira dai media faceva parte dell'essere famosi. Un male necessario. E forse era vero. Ma lui non li aveva mai perdonati per ciò che era successo a Charlie. Per aver portato una brava persona al suicidio ed essersi contesi i suoi resti come avvoltoi. E non erano stati soltanto i paparazzi a ricavare soldi e fama dalla vita e dalla morte di Charlie. Anche giornalisti ritenuti seri ne avevano approfittato, sfruttando la brutta fine del suo migliore amico, sacrificando senza scrupoli l'umanità in nome dello scoop. Il giorno in cui avevano sbattuto il cadavere di Charlie in prima pagina, Dakota aveva giurato di non seguire più le notizie. Niente giornali, niente riviste, niente CNN. Mai più. Si fermò davanti allo sportello dell'In-N-Out Burger, mise da parte il rancore e davanti alla ragazza dai capelli rossi al8


l'interno esibì un sorriso collaudato. «Ciao, bella? Che mi racconti?» «Ciao, Kota.» Con l'accento del New Jersey, lei scandì il suo nomignolo prolungando le sillabe. «Mi piace come porti i capelli.» «Posso farteli avere, quando li taglierò.» Le allungò cinquanta dollari e lei gli lanciò un bacio. Mentre usciva dal parcheggio, Dakota passò la busta a Em e vedendo che era ancora al telefono, intenta ad ascoltare, glielo strappò di mano. «Ehi! È Peter.» «L'abbiamo visto appena venti minuti fa» le disse e agitò la busta. «Sì, ma insomma!» Gli scartò il panino e gli mise un tovagliolo aperto sulle gambe. Poi infilò le due cannucce nel frappè, ne bevve un lungo sorso e glielo passò, girandosi un po' verso di lui per guardarlo meglio. «Allora, che è successo ieri sera?» Lui aspirò una buona parte di frappè, poi se lo mise tra le gambe. «C'era un cretino che stava importunando una ragazza. La stava palpeggiando.» Aveva messo le mani addosso alla poveretta. Spingendola contro il muro e strusciandosi su di lei. «Non dirmi che lo hai colpito.» «Stavo per farlo.» E non sarebbe stata una bellissima sensazione stendere quel bellimbusto? «L'ho staccato da lei. Poi è arrivato Tubby e mi ha rovinato il divertimento.» «E così inizia la follia d'ottobre.» Em abbandonò la testa all'indietro e fissò il cielo. «Perché, perché? Montana non poteva sposarsi a settembre? O a novembre?» «Perché mai deve sposarsi, in ogni caso?» Non aveva senso. Montana – o Tana, come lo chiamavano la famiglia, gli amici e l'infinità di seguaci su Twitter – aveva il mondo in pugno. Le donne lo amavano. Hollywood lo amava. I critici lo amavano. Era il prediletto delle case cinematografiche indipendenti, gli venivano offerti di continuo ruoli impegnativi, in cui esprimersi a tutto tondo, mentre Kota si ritrovava ancora a far saltare in aria città intere e a mitragliare con una mano sola. 9


Certo, lui aveva più successo al botteghino, ma era Tana ad avere il talento in famiglia. «Sasha è una ragazza fantastica» gli fece notare Em. «È un amore. Ma perché accontentarsi di una sola quando le belle ragazze abbondano come le pesche sugli alberi in California?» Em gli diede un colpetto sulla spalla. «Questo è per tutte le pesche che ci sono in giro, specialmente in California.» Kota fece un ghigno e le passò il frappè. «Chiama Mercer, per favore, e digli che stiamo arrivando con un po' di ritardo. Non voglio che si arrabbi con noi.» «Ma dai, non ti preoccupi mai di quello che pensano gli altri!» «Perché gli altri non sono capaci di ucciderci con lo sguardo.» «Ti rendi conto? Anche tu hai paura di lui» gli disse incrociando le braccia. «Vorrei che non lo avessi assunto.» «L'hai ripetuto circa un milione di volte, ma Tana mi ha incaricato della sicurezza, e Mercer è il migliore.» I suoi uomini sono ex ranger ed ex marine. «Dice che terrà lontana la stampa, e io gli credo.» «Be', buona fortuna. Qualcuno riesce sempre a intrufolarsi.» «Non questa volta» dichiarò Kota. Un matrimonio sulla spiaggia avrebbe potuto essere un incubo dal punto di vista della sicurezza – oltre che del tutto inutile, visto che tanto si ritrovavano tutti chiusi dentro dei padiglioni e non vedevano il mare – ma Mercer aveva tutto sotto controllo. Perimetro ermeticamente chiuso e a prova di infiltrazione, spazio aereo interdetto. Avrebbero fatto arrivare gli invitati alla cerimonia di sabato e gli addetti al servizio da un parcheggio lontano, a bordo di navette, e li avrebbero controllati prima dell'ingresso. Chiunque fosse stato sorpreso con un dispositivo capace di registrare sarebbe stato giustiziato... ehm, cacciato. Kota esibì un sorriso visibilmente spietato. «Credimi, Em, Mercer ha isolato tutta la zona. Al matrimonio di Tana, non ci sarà un solo, viscido, sudicio giornalista che riuscirà a infiltrarsi.» 10


«Devi infiltrarti tra gli invitati a quel matrimonio a tutti i costi.» Reed puntò il dito contro Chris. «Niente discussioni. O lo fai o liberi la scrivania.» «Che stronzata, Reed! Archie ha ammesso di aver combinato lui il casino.» «La sua scrivania è già vuota, infatti. Ma tu rischi il culo, Christine, c'è il tuo nome su quel pezzo.» «Gli avevo detto di non andare in stampa finché non l'avessi controllato! Se avesse aspettato che gli dessi l'okay...» «Non stai afferrando il concetto. La senatrice Buckely ha visto il tuo nome – Christine Case – in prima pagina. Tu l'hai accusata di aver fatto un uso improprio dei contributi elettorali. È il tuo sangue quello che vuole.» Reed spinse indietro la sedia che emise un rumore stridulo. «Hai voluto scrivere un articolo scottante di cronaca, ora devi subirne le conseguenze.» Chris si massaggiò la tempia. «La mia firma me la sono guadagnata, Reed.» Scrivendo per due anni articoli frivoli per la rubrica di costume. Alla fine sembrava essere servito allo scopo quando uno degli addetti stampa della senatrice Buckley – un tipo che Chris conosceva per i suoi servizi su eventi di beneficenza da mille dollari a coperto – le aveva fornito la notizia del secolo. Di quelle che andavano di sicuro in prima pagina, taglio alto. La più grande occasione che le fosse capitata. Reed non aveva la minima comprensione. «Avresti dovuto tenere in sospeso la notizia finché non l'avessi verificata. Hai messo una bomba nelle mani di Archie.» Sì, era vero. E le era scoppiata in faccia. Reed aveva ragione. Era in gran parte sua la colpa. Ed era fortunata che non l'avesse licenziata su due piedi. «Stammi a sentire, Chris.» Reed si spostò dall'altra parte della scrivania e si appoggiò al bordo. «Tua madre è un esempio per un'intera generazione di giornalisti. Il servizio di Emma Case sul Vietnam ha cambiato la storia. È per questo che sei ancora seduta qui e ti viene data una seconda possibilità. Per questo e perché tuo padre si esibisce al matrimonio di Montana Rain.» 11


«Facciamo concorrenza all'Enquirer adesso? Ci intrufoliamo ai matrimoni delle star? Per l'amor di Dio, siamo il Los Angeles Sentinel. Si è ridotto a questo il giornalismo?» Domanda sbagliata. Reed si innervosì. «Non farmi la predica, signorina. Ci sono cresciuto in questo ambiente, e so che il mondo è cambiato. In tutto il Paese, le testate giornalistiche sono appese a un filo.» «L'esclusiva su questo matrimonio non decreterà il successo o la fine del Sentinel.» «Forse no. Ma decreterà il tuo futuro qui. Ho lottato con le unghie e con i denti per te, e ora mi restituirai il favore. Ho promesso un'esclusiva a Owen. Dove sono le star esce tra due settimane e una cosa è certa: il matrimonio di Montana Rain occuperà l'inserto centrale.» «Dai, Reed. Siamo al livello della stampa scandalistica...» Lui la interruppe in modo brusco. «La tua opinione è irrilevante. L'editore è Owen e il giornale è roba sua. Vuole aumentare le vendite della domenica e se non dovesse riuscirci, non sarà perché questo ufficio non ha fatto l'impossibile.» Chris cercò di sostenere il suo sguardo, ma Reed era un maestro nel farlo. Lei incrociò le braccia sul petto. Lui fece altrettanto. Passarono diversi secondi. Chris abbassò gli occhi. Pensò a sua madre, a quanto era stata orgogliosa della figlia che si era laureata in giornalismo alla Columbia University. Com'era rimasta delusa quando aveva messo da parte il diploma e aveva scelto invece di fare la vita da cantautrice con il padre. Be', era troppo tardi per redimersi agli occhi della madre. L'Alzheimer aveva annebbiato completamente la mente brillante di Emma Case. La donna che Chris aveva ammirato, odiato e amato con tutto il cuore era, sotto molti aspetti importanti, ormai perduta. Emma non avrebbe mai saputo che Chris stava finalmente seguendo le sue orme. O che il suo vecchio amico Reed, caporedattore del Sentinel, le aveva dato quell'opportunità. Ma Chris lo sapeva. Senza referenze, a parte il cognome che portava, Reed aveva avuto fiducia che avrebbe profuso 12


nel Sentinel lo stesso impegno che aveva portato Emma a vincere il premio Pulitzer. Certo, intrufolarsi tra gli invitati ai matrimoni delle star, spettegolare su chi indossava cosa e chi si sbaciucchiava con chi... be', nessuno vinceva dei premi per quella roba. Eppure, era in debito con Reed. E con il bilancio che non andava, cosa avrebbe potuto fare se non ingoiare il rospo, cantare col gruppo di suo padre al grandioso matrimonio di Montana Rain e riportare qualche sciocco pettegolezzo per assecondare il personale progetto di Owen? Poi, con quella macchia sul curriculum, avrebbe superato il periodo di castigo fino a che non le fosse capitato un altro scottante servizio di cronaca. La prossima volta, avrebbe usato più giudizio e verificato meglio le fonti. La prossima volta, sarebbe stata l'orgoglio di sua madre. Non volendo guardare Reed negli occhi, Chris digitò il numero privato del suo famoso papà. Lui rispose al primo squillo. «Ciao, dolcezza.» «Ciao, papà.» Lei andò dritta al punto. «Senti, l'offerta è ancora valida? Posso partecipare al matrimonio con te questo fine settimana?» «Stra-assolutamente sì!» Zach Gray non ebbe il minimo tentennamento. «Preparo una nuova scaletta e te la mando. Andiamo alle due. E, tesoro, il livello di sicurezza è più severo che mai. Niente telefoni, niente di niente. Aspettati che ti perquisiscano fino a lasciarti in mutande.» Si metteva sempre peggio.

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Gli invitati al matrimonio si presentarono alla spicciolata; superstar e relativi accompagnatori, persone normali che saltavano all'occhio come mosche bianche. Attraverso una piccola apertura del sipario, Chris li osservava dal palco occupare i tavoli con pochette e scialli, poi allontanarsi con calma per andare a prendere da bere. Come gli invitati di qualsiasi altro matrimonio, solo che quello non era un matrimonio qualsiasi. All'interno del padiglione un quartetto d'archi suonava Mozart, mentre aspiranti attori offrivano aperitivi recitando la parte di un ossequioso personale di servizio. Be', anche lei stava recitando una parte, no? La differenza stava nel fatto che il suo ruolo non era sempre stato una finzione. Molto prima di diventare una giornalista impegnata, Christine Case era stata la sensuale cantante Christy Gray, che andava in tournée con Zach e il suo gruppo a esibirsi in Europa, a Las Vegas e a matrimoni da milioni di dollari come quello. Zach le si avvicinò. «Tutto okay, dolcezza? È da un pezzo che non...» Lei si sforzò di rivolgergli un sorriso da lo spettacolo deve continuare. «È come andare in bicicletta.» Lui le accarezzò il braccio. «Sei una professionista, tesoro.» Evitò di aggiungere altro, ma Chris sapeva cosa intendesse, perché glielo aveva sentito dire altre volte: Tu sei fatta per il palcoscenico, per cantare davanti a migliaia di persone, non per scrivere storie noiose che verranno lette distrattamente a stento da un centinaio di persone. 14


Per lui era facile parlare così: non sapeva cosa volesse dire essere la figlia di Emma Case. Per Zach, Emma era solo una delle tante avventure di una notte, degna di nota perché a letto era stata una bomba, perché aveva il doppio della sua età all'epoca e perché era una giornalista famosa, in quell'esatto ordine di importanza. Probabilmente tutto di lei sarebbe finito nel dimenticatoio se non gli avesse dato Chris: la sua unica figlia e, come le ripeteva spesso, la migliore cantante melodica con cui avesse mai avuto il piacere di lavorare. Desiderava che la figlia seguisse le sue orme proprio come Emma voleva che seguisse le sue. Il risultato era che la vita di Chris non era mai stata sua, solo una scelta da fare tra gli opposti che i suoi genitori rappresentavano. Quel giorno, però, Chris e Christy avrebbero condiviso il palcoscenico, la cantante e la giornalista che sfregavano l'una contro l'altra come lana e seta, creando una carica elettrostatica. Facendola sudare. Con una mano si massaggiò il collo per allentarne la tensione. Se voleva riuscire a superare quel momento senza coprirsi di vergogna, doveva restare calma. Evitare sorprese, complicazioni e situazioni imbarazzanti... Zach spiò da dietro il sipario e gli uscì un sorriso compiaciuto. «Bene, bene. Dovrebbe essere interessante» commentò, e si ritrasse. Il sipario si aprì e un uomo imponente ci passò in mezzo. Imponente davvero. Con i tacchi, Chris era un metro e ottantadue, ma lui la superava di altri dieci centimetri, e aveva un torace immenso e spalle che avrebbero potuto reggere il padiglione intero se avesse cominciato a cedere. Dakota Rain. Wow. «Zach, giusto?» Lui tese una mano che sembrava fatta apposta per brandire il martello di Thor. «Sono un tuo grande fan.» La sua parlata strascicata era come un rombare di tuoni in lontananza. E poi gli occhi – più azzurri di un cielo di montagna – si spostarono da Zach a lei. E schizzarono fuori dalle orbite. 15


Per un attimo quegli occhi allarmati la fissarono. Poi scesero giù fino alle caviglie spogliandola dell'abito, lasciandolo lì ammucchiato mentre risalivano lentamente, eliminando anche le mutandine, il reggiseno, infiammandole la pelle, indugiando sulle labbra, finché non si fermarono sul suo volto e rimasero lì, mentre il pomo di Adamo andava su e giù. «Mia figlia, Christy» udì Zach dire sopra il ronzio che aveva nelle orecchie. «Notevole... il vestito.» Le parole di Dakota uscirono con un tono aspro, come se avesse difficoltà a parlare. Anche lei era in imbarazzo, travolta dall'ondata di testosterone che Dakota Rain emanava da ogni poro. Si strinsero la mano in modo prolungato, avvinti dallo stesso incantesimo, finché una donnina in miniatura dai capelli corti e neri gli piantò il gomito appuntito fra le costole. «Rimetti dentro la lingua prima di inciamparci.» Dakota la ammonì con lo sguardo. «Questa è Em. Una volta era la mia assistente, adesso è in cerca di lavoro.» «È un piacere conoscervi.» Em strinse loro la mano. «Se avete bisogno di qualcosa, basta che me lo diciate e provvederò.» «Grazie mille» disse Zach, «ma abbiamo tutto ciò che ci serve.» «Okay, allora vi lasciamo soli.» Prese Dakota per il polso e tentò di dirigersi verso il sipario, uscendo da dove erano entrati. Lui lasciò che gli tirasse il braccio fino a distenderlo, ma il corpo non voleva saperne di muoversi. Era come trainare una Cadillac. «Zach...» Ecco di nuovo il rombo di tuono. «Mia madre è sempre stata una tua fan, sin dall'inizio. Ti dispiace se la faccio venire dietro le quinte?» «Certo che no. Ci farebbe molto piacere conoscerla.» Dakota annuì, poi rivolse un ultimo sguardo di fuoco a Chris prima di lasciarsi trascinare da Em. «Dolcezza, sta' attenta a lui. Ricordati che è un attore» l'avvertì il padre. A Chris sfuggì una risatina tremolante. «Ci vuole un tipo pericoloso per riconoscerne un altro.» 16


«Verissimo. Ma perfino io non arrivo ai suoi livelli. Il ragazzo trasuda sesso. Me lo sento, le donne devono cascarci come pere mature.» «Non la donna che hai davanti.» Chris aveva già abbastanza persone famose nella sua vita. A parte qualche eccezione, erano tutte egocentriche, permalose, tanto narcisiste da essere disposte a prostituirsi per un po' di attenzioni. E Dakota Rain, la stella di Hollywood che sbancava ai botteghini più di chiunque altro, era il non plus ultra delle persone famose. Perciò, se riusciva a spogliarla con lo sguardo, non faceva testo. C'era un motivo se lo pagavano milioni di dollari solo per le sue occhiate. Zach le mise un braccio intorno alle spalle. «Sono sicuro che se sfrutta il suo fascino, riuscirà a stenderti sulla schiena prima che tu possa aprire bocca.» Chris si mise una mano sul petto. «Dio, papà, adoro le nostre conversazioni tra padre e figlia.» Il padre le prese il mento tra le dita. «So che non c'è bisogno che io ti dica come nascono i bambini. Però, tesoro, il re della giungla ti ha appena annusato. Fidati, tornerà.» «Che diamine, Em! Perché?» «Perché le stavi sbavando addosso.» «Ma l'hai vista?» Altezza da modella, curve strepitose, una cascata di capelli castani e un viso che avrebbe fatto commuovere Da Vinci. «Sì, l'ho vista. Ho visto che te la mangiavi con gli occhi sotto lo sguardo di suo padre.» Kota cominciò a negare, ma poi cambiò tattica. «Lei ha ricambiato.» «Lei ti ha più che altro fatto gli occhi dolci. Chiaramente non è sgualdrina quanto te.» Punto a suo favore. «Com'è che non l'ho mai vista?» «Perché non fa più molti concerti.» Em continuava a trascinarlo, passando tra i tavoli e schivando eventuali persone che potessero fermarli. «Sasha l'ha vista cantare a Las Vegas con Zach un paio d'anni fa. Faceva venire giù i muri. Poi è scomparsa dai radar.» 17


«Per fare cosa?» «Avrà avuto un bambino. O un esaurimento nervoso. Comunque, Zach era al settimo cielo quando ha saputo che sarebbe venuta oggi.» Kota era rimasto al bambino. «È sposata?» Era rimasto troppo colpito per controllare se avesse un anello. «Non conosco bene la sua storia. Sasha l'ha solo nominata con Mercer stamattina. Lui è andato in crisi, naturalmente. Farla entrare così, senza avere il tempo di eseguire tutti i controlli sul suo passato, e via dicendo. Perciò, attento a te, potrebbe essere una terrorista.» «Quindi farei bene a perquisirla.» «Sono sicura che lo farai. Prima, però, fammi la cortesia e fai passare il ricevimento; risparmia ai tuoi genitori lo spettacolo.» Giusta considerazione. La sua esperienza con i matrimoni non era stata il massimo. Si mettevano male quando, per dire, il papà della sposa lo trovava con i pantaloni abbassati e gli spaccava una sedia in testa. «Mi riserverò la cosa per la festa di stasera» decise lui. «Vieni, sì?» «Resto mezz'ora, al massimo. Dopo» proseguì con un ghigno, «sono in ferie.» Come gli era venuto in mente di darle la settimana libera? «Lascia stare le ferie» le disse. «Ho bisogno del tuo aiuto per la fuga.» Un piano elaborato che prevedeva un numero cospicuo di sosia che lasciavano la festa per volare in Italia a bordo del suo Cessna, mentre i novelli sposi fuggivano con discrezione sul Gulfstream di un amico per la luna di miele senza paparazzi sull'isola privata di Kota. «Non hai bisogno di me» gli disse Em. «Mercer ha tutto sotto controllo. Sarei solo d'intralcio.» Lo condusse verso il tavolo d'onore. «Ora diamo inizio allo spettacolo. Ti voglio su quell'aeroplano.» «Potresti venire con noi.» Cercò di allettarla. «Una settimana al mare. Niente telefono, niente Internet...» «Proprio quello di cui ha bisogno Tana, altra gente che si intromette nella sua luna di miele.» 18


«Non mi intrometto. Starò nella dépendance, dall'altra parte dell'isola. E poi, hai detto che faccio bene a rintanarmi nel mese di ottobre.» «Intendevo un mese in una stazione spaziale o su una slitta trainata dai cani al Polo Sud. Non al seguito di tuo fratello e sua moglie.» «Non sapranno nemmeno che sono lì.» «Figurati! Ti sentirai solo e comincerai a importunarli dopo venti minuti.» Forse aveva ragione. Una settimana da solo a leggere copioni e a guardare il tramonto sul Pacifico sembrava una situazione idilliaca fino a un mese prima, quando stava portando sulle spalle dei lanciarazzi nel caldo umido della giungla e caricando corpi a peso morto sugli elicotteri. Ma terminato l'ultimo film e tornato a Los Angeles, tutto quel tempo in solitudine cominciava a pesargli. Em lo costrinse a sedersi al suo posto. Il tavolo d'onore era vuoto, lo sposo e la sposa ancora impegnati con il fotografo. Appoggiandosi al bordo, Em lo guardò negli occhi. Quando riprese a parlare, il tono fu più delicato e gentile del solito. «Starai bene. Tana resta sempre il tuo fratellino. Non lo perderai.» A volte Em capiva fin troppo. «Tu e Tana» gli disse, «avete il rapporto più stretto che abbia mai visto tra due persone. Nessuno può intromettersi fra voi. E dev'essere chiaro perfino a un testone come te che Sasha non intende farlo. Le piaci.» «Anche lei mi piace.» E non poteva negare che la novella sposa incoraggiasse Tana a uscire con lui. Non era colpa di Sasha se il fratello preferiva stare in compagnia della moglie il più delle volte. Ne era pazzo. «Lo so che sei abituato ad avere Tana tutto per te» proseguì Em. «Che siete abituati a prendere il jet e andare a Las Vegas, a Miami o a New York solo per capriccio. Portando schiere di donne sull'isola, altro che moglie e una noiosa serie di copioni. Ma Kota, insomma, il mese prossimo avrai trentacinque anni.» Ahi. «Non sono mica tanti.» 19


«No, ma è un'età matura, o dovrebbe esserlo.» Inclinò la testa da un lato. «Credo che una settimana da solo sia proprio ciò che ti ci vuole. Puoi liberarti la mente. Pensare al futuro.» Era proprio quello il problema. Lui non voleva pensare al futuro! La disperazione lo rese avventato. «Ti do un mese di ferie quando torniamo.» Lei sorrise senza allegria. «Stronzate. Non dureresti neanche un giorno a Los Angeles senza di me. E inoltre, ho degli impegni con Jackie questa settimana.» «Porta anche lei.» Se prima era stato avventato, ora di più... Jackie lo faceva diventare matto. «Non posso. Andiamo a Houston. Si è decisa a dirlo ai suoi genitori.» Lui sbuffò con il naso. «Come minimo ti sparano. Nella migliore delle ipotesi vi chiudono in camere separate. Niente sesso per tutta la settimana.» «Probabile. Ma io ci posso stare una settimana senza sesso. Tu sull'isola avrai bisogno di una bambola gonfiabile.» Le sorrise, come lei si aspettava. «Hai una mente malata, Em. È per questo che ti voglio bene.» «Anch'io ti voglio bene» rispose lei. E con un'incoraggiante pacca sulla spalla per compensare la dichiarazione sdolcinata, lo lasciò a cavarsela da solo. Un'impresa non facile, quando arrivò la coppia felice. «Congratulazioni» riuscì a dire Kota, guadagnandosi una nomination agli Oscar. Non che non fosse felice per loro. Lo era. Era per se stesso che provava tristezza. «Grazie.» Intorno agli occhi di Tana, dello stesso azzurro cangiante di quelli di Kota, si formarono delle piccole rughe negli angoli, quando sorrise. Tana scostò la sedia di Sasha facendola accomodare come una principessa sul trono e poi prese posto accanto a lei. Kota si sporse oltre la figura massiccia del fratello. «Sasha, cara, sei la sposa più bella che sia mai andata all'altare.» «Oh, Kota.» Una grossa lacrima scese da uno degli occhi color smeraldo. «Grazie. Sono davvero felice.» Gli tese la mano affusolata, che lui strinse delicatamente. 20


Era davvero una brava ragazza. Se Tana doveva proprio avere una moglie, non avrebbe potuto scegliere di meglio. Era gentile, premurosa e dolce come... sì, come una pesca. Le pesche abbondavano in California, ma quante ce n'erano come lei? Qualcuno batté il cucchiaio sul bicchiere. Un altro centinaio di persone fece lo stesso e gli sposini tornarono a dedicarsi a ciò che riusciva loro meglio... baciarsi come se fossero le ultime due persone rimaste sulla terra. Kota li interruppe alzandosi in piedi. Era ora di togliersi il pensiero del discorso. All'improvviso ci fu il silenzio e un migliaio di occhi puntati verso di lui. Addirittura i neosposi staccarono le labbra l'uno dall'altra. Kota non aveva preparato niente. Non ne aveva sentito il bisogno, perché nelle sue intenzioni avrebbe dovuto essere breve e conciso. Una punzecchiata a Tana, poche parole di benvenuto in famiglia a Sasha, poi il brindisi e sarebbe finita lì. Avendo ciò in mente cominciò con le frasi di rito, ringraziando gli ospiti per la loro presenza, rivolgendo un saluto speciale all'uno o all'altro. Invitando tutti alla festa dopo il ricevimento, nella sua villa di Beverly Hills. Poi mise una mano sulla spalla del fratello, indugiando mentre esaminava i visi di amici e colleghi, per lo più persone con le quali lavoravano da quindici anni, da quando stavano nel cinema. Quella gente apprezzava la suspense. Dopotutto, quella era la parte divertente, in cui Kota avrebbe tirato fuori una delle centinaia di storie esilaranti che riguardavano Tana. Gli ospiti se l'aspettavano. Erano tutt'orecchi. Poi lo sguardo incontrò gli occhi di sua madre, colmi di lacrime. E per la prima volta fu colpito dal fatto che mentre lui aveva sentimenti contrastanti rispetto al matrimonio di Tana, sua madre aveva realizzato un sogno. La donna aveva quasi rinunciato all'idea che i suoi ragazzi mettessero su famiglia e le dessero dei nipoti. Ora Tana era a metà strada, e lei si aspettava che Kota festeggiasse quel momento speciale con qualcosa di più commovente di una presa 21


in giro da addio al celibato. E lui non se la sentì di deluderla. Respirò a fondo e riprese a parlare. «Conoscete tutti la storia dei fratelli Rain. Una coppia di delinquenti che non si adeguavano al sistema. Cacciati da una famiglia adottiva dopo l'altra. E sempre con dei buoni motivi, purtroppo. Eravamo un guaio con la G maiuscola.» Allargò le braccia ed esibì il suo sorriso da mascalzone. «Alcune cose non sono cambiate.» Il padiglione rimbombò di risate. Lui lasciò passare qualche istante, poi il sorriso divenne mesto. «Eravamo difficili da gestire, questo è sicuro. Grossi e cattivi e arrabbiati col mondo. Il nostro motto era Picchia per primo e picchia forte, e poi pensa alle conseguenze. Gli assistenti sociali non sapevano più cosa fare con noi. Cercavano di dividerci. Ci mandarono perfino in Stati diversi.» Evitò di parlare della paura, della rabbia, di quanto fosse stato vicino alla follia quando gli avevano strappato via Tana. Aggiunse invece con leggerezza: «Il che ci fece proprio incazzare», e scatenò un'altra risata. «Ma essendo più intelligenti di quanto sembrassimo, elaborammo un piano. Era semplice, ed era più o meno questo. Ovunque ci mandassero, noi scappavamo, poi tornavamo nel Wyoming in autostop, al ranch di Roy e Verna Rain.» Gettò un'occhiata ai genitori, seduti al posto d'onore lì accanto. Con le rughe mai ritoccate e il vestito dei grandi magazzini, Verna avrebbe dovuto sembrare fuori luogo in mezzo a quelle persone dall'eleganza sfarzosa. Agli occhi di Kota, invece, oscurava tutto il resto. E Roy, con il suo metro e ottanta di sostanza, ingessato nel completo nero, era l'uomo più forte e autentico che Kota avesse mai conosciuto. «I Rain erano brave persone senza figli propri. Avevano provato a fare i genitori con noi all'inizio, ci avevano dato amore e gentilezza. Ma io e mio fratello, da ragazzini scontrosi quali eravamo, avevamo mandato tutto all'aria e loro ci avevano rispedito al mittente. Non li abbiamo mai dimenticati, però. E nemmeno loro ci hanno dimenticati. Come avrebbero potuto, dato che ci ripresentavamo sempre alla loro porta nei mo22


menti meno opportuni? Due ragazzoni robusti che ce l'avevano col mondo intero, eravamo troppo orgogliosi per chiedere esplicitamente un'altra possibilità e troppo disperati per non volerne una.» Hollywood svanì mentre ricordava ciò che era stato. «Le prime volte che ci ripresentavamo, Verna ci dava un pasto abbondante: il tacchino con la salsa, o bistecca e patate. Avevamo sempre fame. Poi, finita la cena, Roy ci caricava sul pick-up e ci riportava all'istituto, pensando che non ci avrebbero più visto. Ma Tana e io eravamo ostinati come muli. Sapevamo che al ranch c'era lavoro per dieci persone, perciò pensavamo che se ci fossimo messi a trasportare balle di fieno e a spalare mer...» Lanciò uno sguardo imbarazzato a Verna, che suscitò qualche altra risata. Poi scrollò le spalle e con un mezzo sorriso continuò. «A ogni modo, o perché c'era tanto da trasportare e spalare o forse perché si erano semplicemente stancati di fare quasi centocinquanta chilometri per riportarci indietro, un giorno papà lasciò l'auto nella rimessa. Un paio di mesi dopo ci adottarono. E fu allora che tutto cambiò per me e Tana.» Si fermò un momento. «Certo, salvare una persona non significa cambiare il mondo, ma il mondo cambierà per quella persona. Vale anche nel caso dei bambini.» All'interno del padiglione era sceso il silenzio, interrotto solo da gente che tirava su col naso. Kota strinse la spalla del fratello. «Siamo sopravvissuti» disse con commozione, «perché ci siamo stati vicini. E siamo cresciuti bene grazie a Roy e Verna Rain. Ecco perché, per Tana e me, la famiglia viene sempre prima di tutto.» Aggirando il fratello, Kota prese la mano di Sasha e tirandola con delicatezza la fece alzare. Solenne come un predicatore le disse: «Benvenuta in famiglia, cara». E poi la strinse fra le braccia scatenando uno scroscio di applausi.

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Quel viaggio dopo le nozze di Cara Connelly La giornalista Christine Case crede che un giornale debba prima di tutto informare, e non divertire. Ma quando un servizio le si rivolta contro mettendo a rischio l'intera carriera per cui ha lavorato tanto, il compromesso è d'obbligo e decide di fare l'unica cosa che aveva giurato di non fare mai: infiltrarsi sotto mentite spoglie al matrimonio della celebrità più in vista del momento. L'immobiliarista Dakota Rain detesta la stampa, così quando si convince a ospitare il matrimonio del suo famoso fratello nella sua proprietà a Berverly Hills, la priorità assoluta è quella di tenere lontani gli avvoltoi in cerca di uno scoop. Durante il party di nozze però ad attirare l'attenzione di Dakota è lo sguardo della cantante del gruppo ingaggiato per la festa.

Ancora più stretto a te di Gena Showalter Lincoln West, milionario e creatore di videogames, ha un oscuro e tragico passato che si guarda bene da rivelare a chicchessia. Vive seguendo un rigido schema e un'unica imprescindibile regola: una sola relazione all'anno della durata massima di un paio di mesi. Questo fino a quando non incontra Jessie, bella ed esuberante ragazza in grado di sondare nel suo cuore alla ricerca di emozioni che lui pensava scomparse. Lei è determinata a seguire la retta via dopo i bagordi del passato, ma lo sfrigolio che sente al cuore e che la fa oscillare tra verità e bugie quando si trova accanto a Lincoln è un richiamo davvero troppo forte per resistere. Il fatto poi che entrambi non riescano a stare vicini senza strapparsi gli abiti di dosso...


La vita che desidero di Robyn Carr Dopo il suicidio del marito, la vita newyorkese di Emma Shay si frantuma in mille pezzi. Il patrimonio miliardario dell'uomo si fondava infatti sulla truffa e, benché Emma non ne sapesse nulla, deve sopportarne le conseguenze. Solo un amico le rimane accanto, un amico che conosce dai tempi del liceo: Adam Kerrigan.

Giochi di potere di Penny Jordan Non basta nascondersi, fingersi diversa da quella che si era un tempo. Il passato ritorna sempre e, quando accade, la vita può mutare radicalmente. Taylor lo sa, e proprio perché teme il suo passato si è sforzata di cancellarlo. Ha mortificato la sua natura ed è diventata fredda e distante. Bram sa vedere oltre la maschera che...

Le radici profonde della passione di Diana Palmer Wolf Patterson e Sara Brandon si conoscono fin dall'infanzia, ma il rapporto che li ha uniti è sempre stato un mix esplosivo di odio e amore. Dopo anni di lontananza, il destino ha voluto che il bell'allevatore dagli occhi di ghiaccio rincontrasse la sua vicina di proprietà, all'inizio solo in maniera virtuale, e poi di persona.

Stringimi forte di Lori Foster Denver Lewis è un affermato lottatore di arti marziali. A lui piacciono le sfide, anche quelle pericolose, ma odia dover condividere con altri il premio della vittoria. Per questo ha tentato di evitare di avvicinarsi a una donna come Cherry Peyton, capace di atterrare con un solo sguardo la maggior parte degli uomini.

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