Londra, 1818 - Uomo d’onore, il maggiore Harry Brockley sta per sposare una giovane per salvarla da uno scandalo e si trova a doverne proteggere un’altra da parenti interessati alla sua eredità. Solo Samantha Scatterby potrà aiutarlo, l’unica donna di cui si sia mai innamorato.
Inghilterra - Scozia, 1727 - Uno scambio di identità, un contratto tra clan, una lenta opera di seduzione… ma cosa succederà quando Hugh McCallum si accorgerà di aver rapito la donna sbagliata? PRIMO APPUNTAMENTO CON SPOSE DELLE
HIGHLANDS.
Scozia, 1296 - Mairead Buchanan ha un solo obiettivo: trovare il responsabile della morte del fratello. Questo finché non si imbatte in Caird, nemico del suo clan e affascinante distrazione…
Inghilterra, 1822 - Benedict Lennox è affascinante, ricco e ambito da molte dame dell’alta società. Da molte, ma non da Penelope Weston, ma quando lei si ritrova in una situazione compromettente che potrebbe sfociare in uno scandalo, è proprio lui a correre in suo aiuto offrendosi di sposarla...
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Londra, 1851 - Uno scontro di volontà, una resa peccaminosa... Potrà Frannie Darling resistere al fascino magnetico di Sterling Mabry, Duca di Greystone? “Un romanzo che coinvolge e conquista, sin dalla prima pagina.” Goodreads Reviews Il terzo appuntamento con Gli irresistibili libertini di St. James vi aspetta.
Londra 1822 - Un duca, una cameriera, un futuro impossibile. “Un’autrice unica nel suo genere.” Library Journal Non perdete l’appuntamento con la serie Conti, scapoli e libertini.
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Joya Ryan
Quelle notti con lui
Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: Yours Completely Bear & Gunner Publishing, LLC © 2015 Joya Ryan Traduzione di Giorgia Lucchi Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. Harmony è un marchio registrato di proprietà HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved. © 2016 HarperCollins Italia S.p.A., Milano Prima edizione Harmony Passion settembre 2016 HARMONY PASSION ISSN 1970 - 9951 Periodico mensile n. 119 del 29/09/2016 Direttore responsabile: Chiara Scaglioni Registrazione Tribunale di Milano n. 71 dello 06/02/2007 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - Via Mondadori, 1 - 20090 Segrate (MI) Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 045.8884400 HarperCollins Italia S.p.A. Viale Monte Nero 84 - 20135 Milano
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Feci un respiro profondo e bevvi un altro sorso di soda. L'avevo versata in un bicchiere di plastica rosso, così la guardiana della festa, alias la mia migliore amica Harper, non si sarebbe accorta che non partecipavo ai festeggiamenti, per l'ennesima volta. Era la terza festa cui mi trascinava nelle ultime due settimane e benché apprezzassi il suo aiuto nel cercare di muovere le chiappe e uscire dalla depressione, non ero felice. Jack era partito da un mese. Per la precisione da quattro settimane e tre interminabili giorni, ma, per quante volte mi fossi ripetuta che sarebbe stato più facile con il passare del tempo, mi faceva ancora male respirare oltre la soglia del dolore. A volte trattenevo il respiro quanto più potevo, solo per evitare che i bordi frastagliati e taglienti del mio cuore mi lacerassero il petto. Stasera, però, avrebbe dovuto essere diverso, una distrazione, me lo aveva promesso Harper. Era Halloween, l'unico momento dell'anno in cui la gente poteva fingere di essere qualcun altro. Più forte, più veloce, più sexy, più intelligente o più... coraggiosa. Una persona completa. Nonostante la mantellina rossa – ero vestita da Cappuccetto Rosso – non riuscivo a sottrarmi al fatto devastante che ero ancora io, con tutto il bagaglio che ciò implicava. «Lan!» gridò Harper, dirigendosi verso di me attra5
verso la calca. Indossava un costume da poliziotta sexy. «Questo posto è magnifico, non è vero?» chiese, sistemandosi le manette mentre mi si fermava accanto. Bevve un sorso dal suo bicchiere. A giudicare dal profumo, oltre alla soda c'era una quantità generosa di tequila. «Sì, è una casa davvero bella.» Rhett Simpson era uno dei pompieri che lavoravano nella caserma di fronte a casa nostra e che aveva messo gli occhi addosso a Harper da qualche tempo. Benché fosse relativamente riservata, quando si trattava della sua vita amorosa, ero riuscita a capire che Harper frequentava un paio di pompieri, ma non sapevo se stesse con uno dei due. Era la regina della noncuranza e aveva sempre un ragazzo di scorta, una cima di salvataggio che le impediva di avvicinarsi a qualcuno tanto da impegnarsi in una relazione seria. Consiglio che una volta aveva dato anche a me e che avrei dovuto seguire; forse non mi sarei ritrovata a una festa dove ero circondata da persone, ma allo stesso tempo mi sentivo sola, fuori posto. La casa era piena zeppa di gente in costume, per la maggior parte persone che lavoravano alla caserma dei pompieri o la frequentavano, e Harper riceveva una quantità di occhiate. «Sei venuta vestita da agente di polizia per fare un dispetto ai pompieri che conosci?» le domandai. Si spazzolò via dal costume un capello inesistente e si strinse nelle spalle. «È possibile.» Pareva che fra agenti di polizia e pompieri esistesse una grandissima competizione. E Harper era bravissima a giocare all'avvocato del diavolo, era il genere di donna che un uomo non conquista facilmente, e l'adoravo. Avrei tanto voluto condividere il gene responsabile di tutto il suo carisma. Bevvi un altro sorso di soda, desiderando che contenesse qualcosa di più forte. 6
«E così...» Harper sorrise, ondeggiando a tempo con la musica. La tequila evidentemente funzionava bene per lei. «Ti stai divertendo?» «Mmh, mmh» risposi, costringendomi a sorridere. «Comunque non penso che mi fermerò fino a tardi. Lunedì ho un incontro con la mia relatrice per la tesi e...» «È solo sabato sera.» «Voglio rivedere alcuni dettagli della mia proposta.» In capo a due giorni avrei presentato la bozza del mio progetto, e gli studi erano l'unica cosa che funzionasse, nella mia vita. Se volevo tenermi la borsa di studio, dovevo mantenere una media alta, ma c'era di più. Immergermi in quel progetto mi aiutava a tenere occupata la mente e a concentrare l'attenzione sui miei obiettivi. Harper sospirò, lasciò il bicchiere su un tavolo vicino e mi posò la mano sulla spalla. «Ti voglio bene, accidenti» borbottò. Battei le palpebre. «Lo so. Anch'io te ne voglio.» «Allora dimmi cosa ci vuole per tirarti fuori dal tunnel. Jack se n'è andato. È partito. Non hai sue notizie da un mese e, anche se adori Halloween e sei bellissima, te ne vai in giro come una zombie. Sarei stata felice di truccarti come tale. Ora che ci penso, Cappuccetto Rosso zombie mi sembra fantastico.» Sorrise e mi strofinò le braccia. «Però detesto vederti così.» «Questo detto dalla persona che non mi racconta niente della sua vita amorosa?» ritorsi. Abbassò lo sguardo e mi sentii subito orribile. «Mi dispiace, Harp. Io... Ho l'impressione che tutti abbiano dei segreti, che possano nascondere quel che vogliono nascondere, sentire quel che vogliono sentire, e magari mi piacerebbe poterlo fare anch'io.» Lei si rabbuiò. «Crogiolarsi nell'autocommiserazione è diverso da sentire quel che si vuole sentire. E non sto cercando di nasconderti un bel niente. In questo momento la mia vita amorosa è un po' incasinata, non ap7
pena ci avrò capito qualcosa, te ne parlerò. Promesso.» «D'accordo.» Harper era sempre stata così, prima aveva bisogno di capire le cose, doveva avere il controllo. Strano come nella mia vita io sembrassi gravitare intorno a persone come lei. Sì, sapevo che mi voleva bene, ma a volte detestavo dare l'impressione di essere sempre quella che aveva bisogno di consigli. Fino a Jack. Ormai avevo un'idea più precisa di cosa aspettarmi dagli uomini. Niente. Harper aveva ragione, donare il proprio cuore e la fiducia era pericoloso, lo avevo imparato nel peggiore dei modi. «Perché non bevi qualcosa e...» «No» la interruppi, perché in quel momento capii quale tipo di persona fossi e che genere di persone attirassi. «Ho capito» aggiunsi. «So che a te piace che le cose vadano come vuoi tu, secondo i tuoi parametri. Mi rendo conto che hai bisogno di mantenere il controllo, ma non sono la tua pedina.» Lei spalancò gli occhi. «Lana, non ti ho mai considerata una pedina. Desidero solo aiutarti.» Chiusi gli occhi per un momento. «Lo so, ma...» Ne avevo fin sopra i capelli di gente che voleva solo aiutarmi. Forse ero troppo dura con Harper, ma la verità era proprio lì, lampante, sotto il mio naso, e non potevo più ignorarla. «Ho bisogno di avere il controllo della mia vita. Da sola. Ti sembra sensato?» Lei annuì. «Sì, mi dispiace. So che non mi ci vuole niente a dire agli altri quale penso sia il loro problema.» Sorrisi. «E a volte mi è utile sentirmelo dire. Ma adesso che il casino con Jack, mio padre e Brock è finito, intendo riprendermi il controllo, non rinunciarci.» «Bene.» «So che Jack non tornerà, l'ho accettato.» Era la verità, mi ero concentrata sul dottorato, o perlomeno ci sta8
vo provando. Certo, negli ultimi tempi l'insonnia mi creava qualche problema e la mancanza di sonno non aiutava il mio cervello. Poi avevo quella voragine nel petto, che non aveva proprio intenzione di richiudersi... Forse Harper aveva ragione, forse ero davvero uno zombie. «Sei riuscita davvero ad accettarlo?» mi domandò sottovoce. «Ci sto provando» risposi. «Ci ho provato per un mese.» Provare a non pensare a Jack, provare a non ricordare come mi avesse devastata in tutti i modi possibili. Provare a non ricordare l'immagine della sua schiena, mentre si allontanava senza voltarsi indietro. Mi aveva aiutata a trovare la mia forza. Anche se Brock viveva ancora a Denver, con mio padre e Anita, non avevo più avuto notizie dei miei cosiddetti familiari. Avevo sentito che mio padre si recava regolarmente presso la filiale di New York della sua società, ma non sapevo né quando né quanto a lungo si fermasse. Capire a chi andasse la sua lealtà – non a me – era stato doloroso, ma in fondo lo sapevo già da tempo. L'incidente con Jack mi aveva aiutata a capirlo e a lasciar andare un sogno sciocco che non si sarebbe mai avverato. Mio padre non avrebbe mai preferito me al mio fratellastro e non mi avrebbe mai creduta. Peggio ancora, non avrebbe mai creduto in me. Per il momento Brock si trovava a una trentina di chilometri da me, in una città che non frequentavo, essendo troppo occupata con lo studio. Avevo perso i contatti con loro e potevo starmene tranquilla. Jack mi aveva aiutata in quel frangente, mi aveva aiutata ad affrontare i fantasmi del mio passato e a voltare pagina. Aveva assunto il controllo quando ne avevo avuto bisogno, per poi lasciarmi a capire chi fossi senza di lui né la sua rigida disciplina. L'ironia di tutto ciò era che potevo aver accettato il mio passato, ma avevo un 9
bagaglio nuovo. Che si chiamava Jack Powell. Invece di guarire, avevo sostituito un problema con un altro. Io ero sola, lui se n'era andato. Andato, andato, andato. Il dolore era diminuito un po', ma il vuoto era ancora ben presente, e una nuova emozione stava crescendo: la rabbia. Mi ero lasciata alle spalle la tristezza, la devastazione, il tentativo di capire dove, come o perché. Ero solo arrabbiata. E vuota. Evidentemente andavo matta per le fasi del lutto. «Sono contenta che tu ci stia provando, anch'io mi sforzerò a non essere così... bisbetica.» Harper mi strizzò l'occhio. «E di togliermi la fissa del controllo. Però lo sai che vorrei soltanto aiutarti, vero?» Annuii. «Lo so.» «Grande!» approvò. «Allora continuiamo a provare, perché mi manca il tuo sorriso.» Mi sistemò dietro le spalle la mantellina del costume, scoprendo la gonna da contadinella e il bustino. «Le ragazze sono in gran forma stasera!» commentò, guardandomi il petto, prima di voltarsi verso la piccola folla di persone riunita nell'ampio soggiorno. Non volendomi presentare come Cappuccetto Rosso sexy, mi ero fatta da sola il costume, motivo per cui la gonna era lunga. Tuttavia il seno, in effetti, era un po' in mostra, contrariamente alle mie intenzioni, motivo per cui lo nascondevo sotto la mantellina. «Cosa vogliamo continuare a provare?» domandò una voce rauca alle mie spalle. La conoscevo, mi dava i brividi fin dalla prima volta in cui l'avevo sentita e avevo la consapevolezza che sarebbe sempre stato così. Mi voltai e vidi Callum Malone con il suo magnifico costume da... «Sei vestito da... pompiere!» mi stupii. Lungi da me l'intenzione di criticarlo. Cal era alto, tutto muscoli e riempiva la sua tuta come pochi altri. I suoi 10
occhi blu ebbero un lampo quando mi scrutò dalla testa ai piedi, trasmettendomi brividi roventi. Sì, la trasmissione dei brividi roventi era qualcosa che doveva aver imparato durante l'addestramento come pompiere ed era una delle ragioni che mi aveva indotto a evitarlo, durante l'ultimo mese. Abbassò lo sguardo su di sé. «Non ti piace il mio costume, gattina?» «Fai il pompiere per lavoro, quindi come costume non vale.» «A Halloween tutti possiamo essere qualcun altro» intervenne Harper con un sorriso, appoggiandosi una mano sul fianco per mettere in mostra il costume da poliziotta. Cal la guardò. «Vedo che hai deciso di mascherarti da gran seccatura.» «Molto divertente» ribatté lei, sistemandosi il distintivo. Lui avanzò di un passo e l'odore di spezie, uomo e materiali immersi nel fuoco e nel fumo alzò la mia temperatura interna di svariati gradi. «Perché mascherarsi da qualcun altro?» domandò a Harper, tenendo lo sguardo fisso su di me. «Alla fine di questa notte, sarò ancora io, e questo è qualcosa che tutti devono accettare. Tanto vale farlo fin dall'inizio.» Deglutii, in quella frase c'era più di quanto sembrasse in superficie. Cal era il migliore amico di Jack e sapeva cosa avessi passato con lui, quantomeno a grandi linee. Sono certa sapesse che lo evitavo perché lui mi faceva... Be', mi faceva sentire cose. Cose come la speranza. Forse addirittura la speranza in qualcosa di meglio del dolore sordo e della furia che negli ultimi tempi mi dominavano. Il che era stupido. Percorrere quella strada con qualunque genere di uomo con una speranza qualunque era del tutto stupido. 11
Avevo preso la mia decisione, volevo trovare il controllo, non un'altra persona. Gli occhi di Cal si soffermarono sul mio petto, poi lui mi sorrise e mi guardò negli occhi. «Impersonare qualcun altro non fa per me, ma ho cambiato idea sul fatto di mascherarsi. Dovresti indossare quel bustino tutte le volte che vuoi.» Harper roteò gli occhi e io mi rimisi la mantellina sulle spalle. Non mi dispiaceva che mi guardasse, ma non volevo che vedesse i brividi che mi trasmetteva trasformarsi in pelle d'oca lungo le mie braccia. Cal era l'unico uomo che esercitasse quell'effetto su di me dopo Jack, e ciò era irritante, dal momento che quei due erano come fratelli. Harper spostò lo sguardo sugli altri ospiti e qualcuno attirò la sua attenzione. «Voi due continuate a chiacchierare, io mi allontano un momento» disse, battendomi una mano sulla spalla. «Divertiti.» Divertirmi? Cal era l'epitome del divertimento, ma non era facile stargli vicino, perché ogni volta che lo guardavo la mia mente si avventurava in territori proibiti. Come il tempismo e i se, che andavano dal se lo avessi incontrato prima di Jack, al se i suoi muscoli fossero compatti come sembrano e se gli mordessi il bicipite... Meglio pensare a qualcos'altro. Cal era il migliore amico di Jack, e Jack era il mio ex. Faticavo ancora a dirlo. Per un bizzarro scherzo del destino avevo baciato entrambi nel corso della medesima settimana. Poi avevo scoperto che anche Cal si trovava nello stesso locale la notte in cui avevo incontrato Jack. Ed era proprio quella la notte che continuavo a rivivere. Perché, benché ignorassi che i due si conoscevano, entrambi si erano trovati nel medesimo luogo, nel medesimo momento in cui c'ero anch'io. E quella notte sarebbe potuta andare in un milione di modi diversi. 12
Ma niente di tutto ciò era successo. Avevo visto Jack per primo. Tuttavia più di recente avevo scoperto che non avevo visto Cal perché lui aveva fermato l'uomo che per poco non aveva ribaltato il tavolo cui sedevo. Era a quel punto che Jack era arrivato a salvarmi e... No. Mi ripetei per l'ennesima volta che non dovevo farlo. Immaginare tutte le opportunità che mi ero persa, i momenti, le esperienze e tutto ciò che sarebbe potuto andare in modo diverso mi faceva sentire più vuota e rabbiosa. Non avevo bisogno di incasinarmi la vita ancora di più, dal momento che già una singola emozione mi stava facendo impazzire. Il desiderio. Avevo assaggiato quella caramella e non riuscivo più a togliermi il sapore dello zucchero dalla lingua. Il mio corpo si era risvegliato di recente al sesso, pertanto adesso sapevo cosa mi perdessi, sapevo cosa significasse sentirsi bene. Per la verità era stato anche meglio di così, mi ero sentita viva e desiderata. Sì, Jack era stato la fonte principale dei miei desideri e li aveva soddisfatti, ma restava un momento, un unico bacio con Cal, che aleggiava ancora nella mia mente. Il ricordo rovente della sua bocca, del suo calore e della sua forza, mentre mi abbracciava. Un altro pensiero che avrei dovuto soffocare, eppure non riuscivo a bandirlo. Cercavo un modo per sfogare la mia rabbia, ma allo stesso tempo correvo più veloce che potevo nella direzione opposta. Non volevo stare in mezzo alla gente non perché la mia ansia fosse peggiorata, ma perché non mi importava un accidente. Strano come distruggere la fiducia di qualcuno e la sua fede nell'amore potesse avere conseguenze del genere. Il mio corpo, tuttavia, era in crisi di astinenza da contatto. La situazione ideale per una tempesta di irritabilità. 13
E Cal? Benché sapessi che era meglio evitarlo, era l'unico che mi inducesse a domandarmi... e se? «Mi guardi come se avessi appena preso a calci il tuo cane» affermò. Abbassai lo sguardo, rilassando i muscoli del viso, dovevo essermi accigliata parecchio. «Scusa, pensieri.» «Ti va di parlarmene?» No, meglio di no. Seguendo rabbia e vuoto avrei potuto farlo, comunque, perché negli ultimi tempi ben poco mi turbava. Avevo l'università di cui mi importava. E Harper. Ma non avevo più una famiglia, né una carriera in erba, né Jack. «Non sono dell'umore.» Sollevò un sopracciglio. «Un po' impreciso.» I miei occhi puntarono nei suoi avvampando di rabbia. Le parole di Jack emersero nella mia memoria: Sai che detesto l'imprecisione... «D'accordo, vuoi qualcosa di più diretto?» ribattei in tono tagliente. «Sì, grazie.» «Detesto tutto questo.» Ecco, ero stata precisa e diretta. «Quando dico che non sono dell'umore, intendo dire che non vorrei essere qui, non vorrei cercare di divertirmi. Non vorrei neppure essere me, e il costume dovrebbe aiutarmi, invece non serve.» La consapevolezza mi strinse la gola, soffocando l'ultima parola. Lui mi fissò con determinazione ferrea e comprensione gentile allo stesso tempo. «Non vorrei pensare a certe cose, non vorrei che tu pensassi a certe cose e non vorrei neanche che te ne stessi lì.» Agitai la mano verso di lui. «Così come sei.» La sua bocca perfetta si imbronciò, e lui annuì come se avessi detto una cosa sensata. Solo che non era così. Ero arrabbiata e parlavo a vanvera, detestando il fatto che le sue parole mi avessero ricordato Jack. Che mi avessero ricordato che erano amici e anche tutti i modi in cui ero stata manchevole, insieme con tutte le ragioni 14
per cui Jack sarebbe potuto restare. Invece aveva scelto di andarsene. Mai più. Non potevo più essere così debole, ero certa che il mio corpo non lo avrebbe sopportato. Jack aveva voluto il controllo e glielo avevo lasciato, adesso toccava a me controllare il mio mondo. Non sapevo come riuscirci, se non cedendo alla sensazione bruciante ed esplodere dicendo quel che mi passava per la testa. «Mi sembra giusto» osservò, assecondandomi mentre si toglieva l'elmetto. «Prima che cominci a spogliarmi, però, potresti chiarire come vorresti che fossi, se non così.» «Non voglio che ti spogli» ribattei. Un mezza bugia... be', più di mezza, perché Cal era sexy come il peccato e l'idea che si togliesse i vestiti faceva pulsare il nucleo del mio corpo e l'impazienza mi scorreva nelle vene tanto impetuosa da farle vibrare. «Hai appena detto che non vuoi che me ne stia qui così come sono.» «Non è quel che intendevo.» E lo sapeva bene, ma era molto bravo a rendere le cose facili e più rilassate. «Ahi, gattina. Sai, dal momento che ho il completo adatto...» Posò l'elmetto e cominciò a sfilarsi la giacca con lentezza esagerata. «Ragazzi! Malone si esibisce!» gridò in quel momento un suo collega pompiere vestito da James Bond, prima di alzare il volume della musica. «Ehi, questa è una festa privata» esclamò lui da sopra una spalla, poi si voltò e mi strizzò l'occhio. Mi coprii il viso con le mani e scossi la testa. «Ehi, hai detto...» «Lo so quello che ho detto» gemetti. Cal era la persona ideale per distrarmi, come aveva cercato di fare da quando Jack era partito, ma io lo avevo evitato. Posò la giacca sul tavolo accanto all'elmetto, restan15
do con addosso i pantaloni con le bretelle rosse e una maglietta bianca attillata. Ogni muscolo era definito e quelle povere maniche di cotone contenevano a malapena i bicipiti. Mi sospinse verso l'angolo più vicino per avere una parvenza di privacy. La sua altezza torreggiante e le spalle larghe mi impedivano di vedere chiunque altro, era come un... Mi si chiuse di nuovo la gola. Muro. Era come un muro. Come Jack la notte in cui lo avevo conosciuto. Solo Cal non era Jack, né avrei voluto che lo fosse. Perché muro o no, a parte tutte le analogie, restavano differenze enormi. Mi si stringeva il petto ogni volta che Cal mi ricordava qualcosa di familiare, e lui non poteva saperlo. Non aveva idea di cosa mi stesse facendo la mia mente, ma mi lasciava blaterare ed essere rabbiosa nei suoi confronti. I suoi occhi blu erano come un oceano all'alba e morivo dalla voglia di dirgli che detestavo il modo in cui mi sentivo. Detestavo il vuoto che mi seguiva ovunque e che non riuscivo a colmare. Detestavo che i momenti in cui lo guardavo o lo avevo vicino fossero gli unici in cui mi sentissi vagamente intiepidita. Non volevo pensarci. E lui? «Più che altro non vorrei che pensassi che sono distrutta.» La sua espressione divenne seria. «Gattina, tu non sei affatto distrutta.» Le sue parole gli rotolarono fuori della bocca in un modo talmente sincero che non potei fare a meno di credergli. «Comunque, dal momento che non mi è concesso pensare in tua presenza, non ti dirò che, mentre di norma non sono d'accordo con la tua amica Harper, sono del parere che non ha tutti i torti quando ti esorta a darti una mossa.» 16
«Mi sono data una mossa. Sono andata oltre» mi affrettai a difendermi. «Questo potrebbe non succedere mai.» La sua sincerità mi colpì come uno schiaffo. Aveva sbugiardato la mia menzogna perché, in effetti, non ero passata oltre, non mi ero lasciata Jack alle spalle, e lui aveva appena confermato la mia più grande paura, cioè che forse non sarei mai riuscita a farlo. «Prova a prendere in considerazione l'ipotesi di andare in una direzione diversa.» La sua voce era rauca e me ne resi conto perché, non so bene quando, si era avvicinato. Il mio naso gli sfiorò quasi il petto quando alzai la testa per guardarlo negli occhi. «E quale potrebbe essere?» gli domandai. Anche la mia voce era leggermente arrochita. «Lontano da qui.» Cercai di respirare, ma il suo profumo mi avvolse e mandò in cortocircuito i miei sensi. Il desiderio che avevo cercato di scacciare in quel momento si risvegliò con prepotenza. Non si trattava solo di sesso, ma di sentire una connessione, mi mancava l'essere toccata, sentire la pelle di un altro sulla mia. Per me il sesso era stato un concetto orrendo e terrificante, ma era diventato magnifico e intimo, e ne sentivo la mancanza, accidenti. A parte l'intimità. Non volevo cadere vittima dei sentimenti, perché faceva troppo male quando il sipario calava e la beatitudine finiva, e tutto ciò che restava era un gelo dell'anima che mi spezzava le ossa. No... niente intimità. Ma il toccare? Le mie mani prudevano per la smania di farlo. «Hai detto che non vorresti essere qui» riprese Cal. «Posso portarti via. Dimmi solo di sì e lo farò.» Deglutii. Volevo che Cal mi portasse via? Sì. Ma dir17
lo ad alta voce lo avrebbe reso più concreto, avrebbe rinforzato i sentimenti che avevo scelto di ignorare. «Prima devo avvertire Harper che me ne vado.» «Va bene.» Lui si fece da parte. Mi guardai intorno, ma della mia amica non c'era traccia. «Vado a cercarla» annunciai. «Ci vediamo all'ingresso. Aspettami là.» «Sissignora» replicò lui con un sorriso. Quando lo disse in quel modo, mi resi conto che gli avevo dato un ordine. Uh. Interessante. Era una sensazione non del tutto sgradevole. Anzi, mi sorprese quanto apprezzassi il tono autoritario della mia voce. Mi feci largo nella calca, cercando Harper. Guardai fuori della finestra: nessuno sul portico dietro la casa. Salii le scale, imboccai il corridoio e la chiamai. Niente. Un suono soffocato uscì da una delle camere da letto. La porta era socchiusa, e io bussai. «Harper?» chiamai, prima di guardare dentro. Eccola lì. Era chinata sul letto mentre qualcuno con un costume da vichingo la penetrava da dietro. Boccheggiai e chiusi la porta. Udii una serie di imprecazioni soffocate, poi Harper uscì e mi guardò di traverso, mentre si sistemava il costume. «Scusa» mormorai. «Non volevo interrompere. Volevo solo avvertirti che me ne sto andando.» «Oh» disse, il respiro affannoso. «Con chi?» «Cal mi accompagna a casa.» Annuì. Non era il momento per domandarle con chi fosse e cosa stesse succedendo. Non ero riuscita a vedere l'uomo in faccia e non mi ricordavo chi indossasse il costume da vichingo. A ogni modo, tecnicamente non erano affari miei. Tuttavia volevo bene a Harper, era la mia migliore amica ed eravamo andate insieme alla festa. «Non avrai problemi per tornare a casa?» 18
Sorrise e si guardò dietro le spalle. «Nessun problema.» Annuii e mi allontanai. Sì, non erano né il momento né il luogo adatti per parlare, Harper si stava facendo i fatti suoi e in quel momento i fatti suoi erano un vichingo, quindi era meglio che mi togliessi di torno. Mentre scendevo al piano inferiore, scorsi Cal accanto alla porta, come gli avevo chiesto o, per meglio dire, ordinato. Una scintilla di calore mi accese. Avevo il controllo o, quantomeno, ci provavo.
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Lo smeraldo di Londra di Simona Liubicich Londra, 1904.È una notte di pensieri, quella di Jude Arkell di FitzRoy, fratello del duca di Grafton. Di ritorno da una battuta di caccia nell'Hampshire, presta soccorso a una carrozza incidentata. Non crede ai suoi occhi quando, aprendo lo sportello, si trova dinnanzi la donna più bella su cui abbia mai posato lo sguardo. Lei è Evangeline Rosewood ed è in fuga da Londra e dal suo ex amante, Brock Grummermore, un malvivente che la considerava di sua proprietà. Evangeline ha bisogno di un posto dove passare la notte e Jude si offre di ospitarla nella villa di proprietà del fratello. Da subito tra i due la passione è palpabile, tanto che esplode selvaggia appena rimangono soli nelle lussuose stanze. Lei si lascia trascinare in un turbine irrefrenabile di sensazioni mai provato, convinta che...
Quelle notti con lui di Joya Ryan Lana sa bene cosa significhi essere messi da parte. Nella sua vita però non si è mai sentita così abbandonata come dal giorno in cui Jack se ne è andato, lasciandola con la sensazione di non essere degna dell'amore di un uomo. Il mondo è andato in frantumi, insieme all'illusione di aver trovato il tipo giusto per lei. Come se non bastasse, gli attacchi di uno stalker, deciso a non lasciarla in pace, le rendono la vita impossibile, costringendola ad accettare l'aiuto di un gentile vigile del fuoco. Callum Malone ha mille difetti, è esaltato dal suo lavoro, un vero playboy... senza contare che è il miglior amico di Jack. Ma quando lui le offre la sua protezione ospitandola a casa propria, l'attrazione fra i due diventa irresistibile e Lara si scioglie come ghiaccio al sole. Nel letto di Callum scopre che...
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Questo volume è stato stampato nell'agosto 2016 da CPI, Moravia