Ricatti d'amore M. MAYO - C. SHAW - K. ROSS - J. PORTER
Titoli originali delle edizioni in lingua inglese: The Twelve-Month Marriage Deal His Unknown Heir The Mediterranean's Wife by Contract A Dark Sicilian Secret Harlequin Mills & Boon Modern Romance © 2009 Margaret Mayo © 2011 Chantelle Shaw © 2009 Kathryn Ross © 2011 Jane Porter Traduzioni di M. Draghi, C. M. De Bello, S. Indinimeo e F. Tonni Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Books S.A. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. Harmony è un marchio registrato di proprietà HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved. © 2012 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prime edizioni Collezione Harmony marzo 2012; maggio 2012; luglio 2012; dicembre 2012 Questa edizione Harmony Maxi dicembre 2017 Questo volume è stato stampato nel novembre 2017 da CPI, Barcelona HARMONY MAXI ISSN 2036 - 3230 Periodico mensile n. 91 dello 09/12/2017 Direttore responsabile: Chiara Scaglioni Registrazione Tribunale di Milano n. 121 del 16/03/2009 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - Via Mondadori, 1 - 20090 Segrate (MI) Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 045.8884400 HarperCollins Italia S.p.A. Viale Monte Nero 84 - 20135 Milano
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Un segreto da svelare Pagina 305
Contratto all'altare Pagina 465
In fuga all'altare
Proposta in abito bianco
1 «Mi state chiedendo di sposare Vidal Marquez?» Elena guardava i genitori come fossero impazziti. Era l'ultima cosa che si sarebbe aspettata quando le avevano chiesto di tornare a casa. L'ultimissima cosa. Non poteva nemmeno passarle per la mente che volessero convincerla a sposare Vidal. I suoi occhi marroni già grandi si fecero enormi di shock e sospetto, e il cuore prese a batterle impazzito. Era assolutamente incredibile, follia allo stato puro. Come potevano chiederle una cosa del genere? Come potevano anche solo pensarla? Doveva essere sua sorella a sposare Vidal. Erano stati fidanzati per mesi. Ma ora Reina era fuggita e nessuno sapeva dove fosse. Cos'era successo? Ma soprattutto: perché volevano che lei prendesse il suo posto? Perché era così importante? Non aveva senso. Il sole del pomeriggio filtrava dalla finestra facendo luccicare i suoi capelli corvini. Era quasi ironico che in una giornata così meravigliosa tutto il suo mondo stesse lentamente andando in pezzi. «È ridicolo.» Si alzò, col viso acceso di rabbia e indignazione e gli occhi dorati pronti a lanciare saette di fuoco. I capelli, tagliati appena sotto le orecchie con una frangetta diagonale, danzavano liberi ogni volta che 9
scuoteva la testa. «Per prima cosa, non ho intenzione di sposarmi a breve. Ho un'azienda da mandare avanti, nel caso l'abbiate dimenticato. Ci ho messo anni per arrivare dove sono e non intendo rinunciarci per sposare...» inspirò a fondo, travolta dall'enormità di quella richiesta, «l'ex di mia sorella!» L'enfasi sulla parola ex fu intenzionale. Elena adorava i suoi genitori, ma non riusciva proprio a comprendere perché le stessero chiedendo di prendere il posto di Reina. Tante coppie si separavano, ma mai aveva visto qualche parente prenderne il posto. A dire il vero, faticava anche a credere che Reina avesse fatto una cosa simile. Perché sua sorella non sbagliava mai. Era lei la pecora nera, quella che a volte faceva disperare i genitori. Quando si era trasferita a Los Angeles, si erano molto preoccupati per lei. Eppure ora era una wedding planner di successo, mentre sua sorella pareva aver dato un calcio al matrimonio dell'anno. Doveva essere stato un duro colpo per loro, e anche per la famiglia di Vidal. I preparativi per il matrimonio erano già iniziati e la lista degli invitati doveva includere chiunque fosse un po' famoso in Spagna. «Mi spiace che Reina vi abbia fatto questo» disse, pensando che in fondo era meglio che si fosse accorta di non amare Vidal prima di sposarlo. «Ma avete paura di perdere la faccia? Come vi è potuto venire in mente di farmi prendere il suo posto? L'accordo non si può concludere senza un matrimonio?» «Temiamo che senza il matrimonio salti tutto» rispose il padre con calma. «Non te ne abbiamo mai parlato» aggiunse con imbarazzo, «ma si trattava di un matrimonio combinato. Credevamo tutti che Reina ne fosse felice. Credevamo che amasse davvero Vidal, ma...» Sollevò le spalle, facendole subito ricadere con un'espressione di tristezza e di timore per il futuro. 10
«Combinato?» Elena non credeva alle sue orecchie. La situazione si stava facendo sempre più assurda. «Ci credo che Reina sia scappata. Che cosa credevate? E ora volete che io prenda il suo posto? Mai! Vidal non mi è nemmeno simpatico. Anzi, se volete saperlo, lo ritengo uno sbruffone, arrogante bas...» «Elena!» La voce del padre rimbombò nella stanza. «Non ammetto questo linguaggio in casa mia!» «È quello che è, papà» dichiarò decisa. Dio, che rabbia! Quello era il peggiore degli incubi. Come potevano pensare di chiederle di sposare quel... quel... Le mancavano persino le parole. Non aveva mai nemmeno capito perché avessero voluto unire le due banche. «C'è un altro motivo» disse il padre mettendo un braccio sulle spalle della madre, quasi a formare un fronte unito. «Detesto dovertelo dire, ma» inspirò quasi a fatica «la banca è in difficoltà. Temiamo che se Vidal non ci darà una mano rischiamo la rovina.» Elena vide profondi segni di tensione sul viso del padre, e la preoccupazione nei suoi occhi – che lei aveva attribuito alla fuga della sorella – pareva indicare qualcosa di serio. Persino il viso della madre era carico di paura, gli occhi più velati e offuscati che mai. Subito Elena corse ad abbracciare il corpo tremante della madre. Era sempre stata una donna forte, e faceva impressione vederla in quello stato. La banca di famiglia era privata, mentre quella di Vidal si occupava di corporate banking. E la loro non sarebbe certo stata la prima che lui acquistava. Si parlava di una fusione, ma Elena sapeva che se Vidal ci metteva su le mani per loro era la fine. C'era solo da sperare che offrisse un accordo accettabile. Ma le restava comunque oscuro il motivo per cui lei dovesse far parte dell'accordo. «Allora» disse il padre pochi secondi dopo, «lo farai? Non è solo per noi, ma anche per tutti i dipendenti della 11
banca. Alcuni ci lavorano da molti anni, e abbiamo il dovere di proteggerli.» Elena si accigliò scuotendo la testa. «Non posso. Mi spiace, ma mi chiedete una cosa impossibile.» Non si rendevano conto di quanto fosse assurdo chiederle di sposare un uomo che non amava, che non vedeva da anni e che non aveva mai fatto nulla per lei? Ricordava Vidal Marquez solo come uno che si riteneva al di sopra degli altri, anche da bambino. Vivere con lui doveva essere insopportabile. Aveva fatto bene Reina a liberarsene finché era in tempo. Le si appesantì il cuore nel vedere il braccio del padre stringere le spalle della madre. Le stavano rendendo le cose davvero difficili. Li amava da morire, non voleva assolutamente ferirli, ma sposare un uomo che nemmeno le piaceva era troppo. Quando però vide che persino il padre aveva le lacrime agli occhi, dovette cambiare tono. «Siete sicuri che non ci sia un altro modo per salvare la banca?» Il padre scosse la testa. «Nessuno.» Elena chiuse gli occhi, lasciandosi sfuggire un profondo sospiro. «È una cosa che proprio non voglio fare» disse piano. «Ma detesto vedervi così preoccupati. Ci penserò su, ma non posso promettervi nulla. Spero possiate comprendere.» Un pallido sollievo illuminò i loro occhi, ed entrambi la abbracciarono. Non aveva idea di come riuscire a farli contenti. Significava mettere in sospeso tutta la propria vita, se non cancellarla completamente. Adorava il suo lavoro, e quando la madre le aveva chiesto di tornare a casa aveva creduto fosse per organizzare il matrimonio della sorella... non il proprio! Nei giorni che seguirono in casa Valero regnò una 12
certa tensione. Elena odiava assistere all'ansia dei genitori, ma odiava ancora di più il pensiero di sposare un uomo che non amava. Doveva esserci un altro modo per salvare la banca. Vidal l'aveva sempre guardata con sufficienza. C'erano otto anni di differenza fra loro, e da bambini lui l'aveva sempre considerata insignificante. Il fratello di Vidal, Fernan, più vicino a lei per età, era invece sempre stato il suo compagno di giochi, mentre sua sorella Reina lo era stata per Vidal. E quando i due avevano annunciato il loro fidanzamento, nessuno si era particolarmente stupito. Mai le sarebbe passato per la mente il pensiero che non fosse un'unione d'amore. «Ci verrai questa sera?» le chiese il padre sabato mattina a colazione. «Alla cena di beneficenza?» Lui annuì. «Io e tua madre pensiamo sia importante esserci, per mantenere le apparenze. Non vogliamo si sappia che abbiamo dei problemi.» «Certo, verrò.» disse immediatamente. «Ci saranno anche i Marquez?» «Immagino di sì» rispose il padre. Il cuore di Elena sobbalzò. Significava che ci sarebbe stato anche Vidal. Chissà se sapeva di quel tentativo di accoppiarli. E se lo sapeva, cosa ne pensava? Immaginava che ne sarebbe stato inorridito quanto lei. A meno che mettere le mani sulla loro banca non fosse per lui molto più importante che sposarsi senza amore. In giro si diceva che si era sistemato piuttosto bene. La sua organizzazione bancaria era ormai la più grossa in Spagna. E si sarebbero incontrati fra poche ore... Vidal non riusciva a levare gli occhi dalla splendida donna appena entrata nella stanza. Il suo cuore ebbe un sobbalzo, e gli venne subito il desiderio di andare a co13
noscerla. Era alta, magra, molto elegante e sicura di sé. I suoi corti capelli neri rivelavano un collo lungo e sinuoso, abbracciato da una collana di pietre nere. La sua pelle liscia era color del miele, e lui provava il bisogno di avvicinarla, toccarla, sentirla... Due spalline abbinate alla collana sostenevano un vestitino nero che le fasciava il corpo al punto che a ogni movimento risaltavano le rotonde curve dei seni e del sedere, sodo e perfetto. Vidal sentì tutto irrigidirsi in lui. Doveva assolutamente sapere qualcosa in più su quella donna, che ora gironzolava lentamente per la stanza, parlando e ridendo con le persone che conosceva e con quelle che le venivano presentate. Era vivace ed eccitante, e camminava con la grazia di una pantera. Chissà se aveva anche gli artigli del felino. C'era qualcosa in lei di vagamente familiare, ma non si ricordava di averla mai incontrata prima. «Si è fatta piuttosto carina, vero?» Vidal si voltò, notando che anche il padre la stava guardando. «Ma chi è?» «Elena. Davvero non l'hai riconosciuta?» Elena. Elena Valero? Certo! «Ma non viveva negli Stati Uniti?» Il padre annuì. «Sì. È venuta a trovare i genitori.» Ora, sapendo chi fosse, riconosceva in lei la ragazzina di un tempo. Ma che trasformazione! Da goffa a graziosa. Da insignificante a sensazionale. Da stecchino a corpo perfetto, con tutte le curve al posto giusto. Dios! Il cuore prese a battergli impazzito. Si era trasformata in una creatura magica, che minacciava di infilarglisi sotto la pelle con l'agilità di una vipera. Raramente Reina gli aveva parlato della sorella, e lui non ci aveva mai pensato in tutti quegli anni. Ora gli riempiva la mente, e non vedeva l'ora che finisse di girare per la stanza e gli passasse vicino. 14
L'avrebbe riconosciuto? Forse non era cambiato quanto lei. Da quanti anni non la vedeva? Lei era in America da sei, ma di sicuro non l'aveva più incontrata da prima, impegnato com'era a viversi la propria vita. Se ben ricordava, era una ragazzina odiosa. Dannatamente viziata, molto egocentrica, interessata soltanto a se stessa. Eppure non riusciva a toglierle gli occhi di dosso. Improvvisamente, lei si voltò a guardarlo. Fu solo un istante, uno sguardo furtivo, ma sufficiente per aumentare in lui il desiderio. Aveva due occhi enormi in un volto quasi elfico. Ma non pareva averlo riconosciuto. Di sicuro si era accorta che lui la guardava, e si era voltata incuriosita, ma probabilmente non aveva idea di chi fosse. Parve metterci una vita ad arrivare vicino a lui. Una vita in cui lui l'aveva portata in camera e svestita lentamente, gustandosi con gli occhi ogni centimetro di quel corpo da favola, prima di fare l'amore con lei in modo pazzesco e fantastico. Fortuna che il cuore impazzito non si riusciva a vedere sotto il vestito. «Vidal!» Esclamò lei porgendogli la mano. Allora lo conosceva! Per tutto quel tempo aveva avuto il vantaggio di sapere esattamente chi lui fosse! E l'occhiata d'oro che gli aveva lanciato era stata di condanna più che di curiosità. La cosa non gli faceva affatto piacere. Anzi, lo infastidiva. «Bene, bene, bene, guarda com'è cresciuta la ragazzina!» Non appena quelle parole gli furono uscite di bocca, Vidal capì che erano quelle sbagliate. Voleva portarsela a letto, non offenderla. Ma diamine, era stato colto alla sprovvista, e non c'era abituato. Elena sollevò il mento e fece roteare – in modo meraviglioso – quegli occhi più dorati che marroni, deliziosamente feroci. «Quanti anni sono passati da quando ci siamo visti l'ultima volta?» 15
«Un bel po'» ammise lui, chiedendosi come fosse avere quella donna fra le braccia. Cielo, non si sentiva così da quando era adolescente, innamorato per la prima volta. Il suo corpo era zuppo di un calore che minacciava di travolgerlo. «Infatti» replicò lei. «Tu sei cambiato. Io sono cambiata. È così strano?» «Quasi non ti riconoscevo.» Non le avrebbe detto che non l'aveva riconosciuta affatto. No, non aveva intenzione di sminuirsi ai suoi occhi. «Se mi è concesso, oserei dire che la trasformazione è sensazionale.» Non le toglieva gli occhi di dosso. E bastava il suono della sua voce per eccitarlo. Era dolce e cullante, come la migliore delle musiche. Dannazione! Quella donna emanava tentazione da ogni fibra del suo corpo. Non aveva mai incontrato nessuno che gli accendesse un fuoco così improvviso e intenso. «Grazie, signore.» Quella risposta irrisoria non gli piacque. «Mi hanno detto che sei stranamente in visita dai tuoi genitori.» «Stranamente?» Elena irrigidì la schiena, facendosi un po' più alta. «Solo perché tu e io non ci siamo mai visti, non significa che io non venga a casa spesso.» «Ma non quanto dovresti.» La guardava con i suoi freddi occhi grigi. «Sarei curioso di sapere per quale motivo sei dovuta andartene in America. La vita qui non ti soddisfa? Secondo tua sorella, hai spezzato il cuore ai tuoi genitori. Forse non te l'hanno mai detto. Tu la vedevi come un'avventura, ma per loro è stato come se avessi voltato le spalle alla famiglia.» «Cosa ne sai dei loro sentimenti? Come osi criticarmi?» replicò lei con occhi di fuoco. «Quel che faccio non ti riguarda. Vorrei dire che è stato un piacere rivederti, Vidal, ma non è affatto così. Se non hai nulla di gentile da dirmi, meglio se non ci parliamo affatto.» 16
Detto ciò, fece per allontanarsi, ma lui le afferrò il braccio. «Elena, abbiamo molte cose da raccontarci.» Attirandola a sé, il suo corpo parve incendiarsi. Sentire quelle gambe lunghe e sensuali scivolare contro le sue, più potenti, e quel seno scontrarsi col suo petto fu quasi un tormento. «Davvero?» chiese lei fredda. «Non mi stupisce che mia sorella ti abbia lasciato. Sei un porco arrogante che mette il naso in cose che non lo riguardano.» Divincolandosi – dopo avergli lanciato un ultimo sguardo di condanna – si allontanò. Vidal doveva lasciarla andare se non voleva provocare una scenata. Ma i suoi occhi la seguirono, fissando l'ondeggiare dei fianchi, i lunghi e graziosi movimenti delle gambe, aspettandosi che lei si voltasse a guardarlo. E così fu. E i loro occhi si incrociarono. Che begli occhi, un po' a mandorla, di un marrone scuro e dorato, incorniciati da lunghe e folte ciglia nere. Lo guardava con uno strano mix di superbia e interesse, e lui si concesse di abbozzare un sorriso. Non temere, Elena Benitez Valero, non ti allontanerai più da me in quel modo. E pensare che era stato sul punto di sposare Reina! Quel pensiero lo colpì con violenza mentre andava a dormire quella sera. Lui ed Elena non si erano più rivolti la parola, ma Vidal aveva controllato ogni suo movimento, notando la facilità con cui parlava con i presenti, flirtando spudoratamente con i due giovani seduti accanto a lei a tavola. E aveva notato anche il modo in cui evitava di guardarlo. Il che lo divertiva. Forse anche lei aveva sentito quella scintilla pronta ad accendersi? Era possibile che sotto quella maschera di arroganza fosse una donna caliente? Il suo corpo si irrigidì al pensiero di poterla conoscere... intimamente. Molto intimamente. Aveva accettato di sposare la sorella solo per conve17
nienza. Reina pareva d'accordo e nessuno, esclusi loro due, suo fratello e i rispettivi genitori, sapeva che non c'era amore fra loro. Ma ultimamente Reina si era fatta dubbiosa. Desiderava un matrimonio vero, aveva detto, voleva innamorarsi e vivere la favola. E lui, da gentiluomo, l'aveva lasciata andare. Naturalmente, per il suo bene, aveva fatto credere che avessero litigato, ma non vedeva motivo per non continuare ad aiutare i suoi genitori. Anzi, era già pronto a procedere con le pratiche... fino a quando non aveva incontrato Elena. In un istante aveva cambiato idea. Elena sarebbe stata proprio perfetta come moglie. Gli bastava pensare a quel corpo delizioso, a quei seni fantastici sotto le sue mani, a quelle lunghe gambe avvolte attorno a lui e a quelle splendide labbra carnose premute contro le sue, per sapere che non avrebbe avuto pace finché non se la fosse portata a letto. Era deciso. Niente Elena, niente fusione. Di certo i genitori di lei dovevano essere piuttosto preoccupati. Ancora non sapevano della sua intenzione di aiutarli comunque, indipendentemente dal matrimonio con Reina. Forse era per quello che Elena era tornata. Forse stavano cercando di convincerla a prendere il posto della sorella! Quell'idea lo fece sorridere. Doveva solo aspettare. O magari usare un briciolo di persuasione. Elena non avrebbe accettato subito, lo sapeva. Non le interessava affatto delle condizioni della banca di famiglia. Aveva voltato loro le spalle. Chissà cosa diavolo faceva in America. Non lo sapeva e non gli interessava. L'unica cosa che voleva era averla accanto a sé – ogni notte. Vidal andò a dormire con il sorriso sulle labbra. Dopo averlo rivisto, Elena era ancora più convinta che 18
il matrimonio con lui fosse fuori discussione. Era diventato quasi irriconoscibile. Non era più il giovane uomo che ricordava. Quell'uomo trasudava sofisticazione da ogni angolo. I suoi folti capelli scuri, che ricordava sempre ribelli, erano ora domati e impomatati, e il suo corpo scolpito suggeriva lunghe ore trascorse in palestra. Gli occhi non erano cambiati. Erano ancora di quell'incredibile color grigio, piuttosto attraenti. Ma la cosa che più la infastidiva era la sua arroganza. Certo, era il presidente del Banco de Marquez, ma i suoi modi e il suo atteggiamento verso di lei non erano migliorati affatto. Quei suoi occhi, rimasti incollati su di lei per tutta la sera, le avevano provocato brividi freddi lungo la schiena, risvegliando l'antipatia che aveva provato per lui quando era più giovane. Ma il modo in cui l'aveva salutata era stato inaspettato. Ragazzina! Era così che la vedeva? Certo, si era rifatto dicendole che era cresciuta molto bene, ma di sicuro solo per farsi bello ai suoi occhi. E il commento sulla sua famiglia era stato davvero irritante. Elena telefonava loro ogni giorno, e veniva a trovarli ogni volta che poteva. Non le avevano mai rimproverato nulla, insistendo su quanto fossero orgogliosi di lei e del suo successo. Proprio per quello non capiva perché le stessero chiedendo di rinunciare a ogni cosa per sposare Vidal. Che matrimonio poteva essere se lui la considerava solo la sorellina di Reina? Lui non avrebbe mai accettato che fosse una donna cresciuta e di successo. Non poteva immaginare nulla di peggio che essere sposata con lui. Forse era diventato più bello, e di certo era uno degli uomini più ricchi e ambiti di Spagna, ma quanto a tutto il resto...
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Romanzo
Un segreto da svelare
Prologo Il jet privato di Ramon Velasquez atterrò all'aeroporto di Londra in perfetto orario. In fretta l'uomo attraversò la dogana e uscì dall'edificio per raggiungere la limousine che già lo attendeva all'esterno. «Bentornato, signor Velasquez. Spero abbia fatto buon viaggio» lo salutò l'autista aiutandolo con i bagagli. «Gracias, Paul.» Ramon salì sul retro dell'auto e appoggiò la testa di capelli neri al sedile rivestito di pelle; poi, afferrando il bicchiere di whisky e soda già pronto per lui, si godette una ritrovata sensazione di benessere. «È bello essere di nuovo a casa.» Tuttavia, mentre l'auto scivolava via dolcemente, Ramon si ritrovò a meditare sul proprio involontario uso della parola casa. Perché, ovviamente, l'Inghilterra non rappresentava la sua patria. Lui era spagnolo, e immensamente orgoglioso di quel Paese e della propria lunga e nobile ascendenza. Proveniva da Castillo del Toro, e un giorno – probabilmente in un futuro non troppo lontano, considerate le condizioni di salute del padre – sarebbe diventato il nuovo Duca di Velasquez, nonché unico governatore del castello in cui avrebbe vissuto circondato da un'intera schiera di domestici al proprio servizio. Sapeva fin dall'infanzia che sarebbe stata una vita det163
tata dalle formalità e dal protocollo, una vita fin troppo lontana dalla rilassata atmosfera del suo attico di Londra e dal senso di libertà che gli procurava lo sfuggire all'avido sguardo dei media spagnoli. A un tratto, la scelta di aver lasciato New York al termine della riunione d'affari per tornare a Londra, anziché in Spagna, scatenò in lui un profondo senso di colpa. Amava sinceramente i propri genitori, ma l'idea di dover affrontare l'ennesima discussione a proposito della necessità per lui di sposare una nobildonna spagnola, e provvedere quindi alla continuazione del glorioso nome di famiglia, era un deterrente fin troppo valido. Così aveva affermato di dover tornare immediatamente a Londra per un'urgente questione d'affari. Ramon sapeva come il padre, il Duca, fosse compiaciuto da quella dedizione all'azienda di famiglia; ma dubitava che sarebbe stato altrettanto impressionato se avesse saputo che la vera ragione di quel precipitoso ritorno era invece l'impazienza di rivedere la propria amante inglese. Lo squillo del telefono sorprese Lauren alla propria scrivania, l'attenzione rivolta a un complicato contratto d'affitto. Con un tuffo al cuore cercò il cellulare nella borsa e un dolce sorriso le curvò le labbra quando sul display lesse il nome di Ramon. Era stata sulle spine per l'intera giornata, in attesa che lui la chiamasse, come un'adolescente alle prese col primo amore. Ma esisteva una ragione speciale se quel giorno era tanto ansiosa di parlargli, riconobbe con l'ennesimo sfarfallio allo stomaco. Stava ancora tentando di riprendersi dallo shock della settimana precedente, quello che l'aveva resa smaniosa di sentire la voce di Ramon e di essere rassicurata riguardo al fatto che la loro relazione fosse diventata qualcosa di più di una fortuita liaison sessuale. 164
L'intimità che aveva sentito crescere negli ultimi mesi non era stata semplicemente frutto della propria immaginazione o un bramoso pensiero, assicurò a se stessa. Quando aveva incontrato per la prima volta l'enigmatico spagnolo in un night club sei mesi prima, la sua amica e giornalista Amy le aveva raccontato di come Ramon Velasquez avesse sì una reputazione da vero playboy, ma era talmente discreto riguardo alla propria vita sentimentale da finire molto raramente sulle pagine delle riviste scandalistiche. Lauren non avrebbe mai potuto ignorare la potente alchimia che aveva sentito divampare fra lei e Ramon; tuttavia, memore dell'avvertimento dell'amica, si era imbarcata in quell'avventura con la consapevolezza che nessuno dei due stesse cercando una relazione seria e duratura. Si considerava troppo impegnata con la carriera e scettica riguardo all'amore. Eppure, a dispetto di qualunque previsione, quanto nato fra loro si era trasformato in qualcosa di ben più profondo di una semplice storia di sesso. Dichiaratamente Ramon scoraggiava le discussioni riguardo alla propria vita privata. Tutto ciò che Lauren sapeva a proposito della sua vita privata era che possedeva una famosa vineria nella regione di Rioja, a nord della Spagna. Per quanto concerneva il resto, invece, i due erano una vera e propria coppia che condivideva una vita insieme: compagnia, risate, un reciproco apprezzamento per le gallerie d'arte e il teatro e, spesso, l'appartamento di Ramon a Londra. Se c'era una cosa che Lauren aveva imparato nel corso di quella relazione, però, era come Ramon detestasse le manifestazioni emotive: ecco perché aveva deciso di nascondergli di essersi innamorata di lui. Per un istinto di autoprotezione. A ogni modo, in quel momento, era come se avesse dimenticato di indossare la corazza e prontamente rispose al telefono. 165
Quella profonda voce accentata le scatenò un brivido di piacere lungo la spina dorsale. «Buenas tardes, Lauren.» «Ramon.» La voce parve irritabilmente ansante, ma Lauren non era mai riuscita a controllare l'effetto che lui aveva su di lei. «Com'è andato il viaggio?» «Splendidamente. Dovresti conoscermi abbastanza bene ormai, querida, da sapere che non mi accontento mai.» Al suono della voce di Lauren, Ramon aveva sorriso. Era bello essere di nuovo a Londra, ancor meglio sapere che presto avrebbe fatto l'amore con la sua splendida amante inglese, il cui discreto sorriso celava invece una natura squisitamente appassionata. Gli affari lo avevano trattenuto negli Stati Uniti per due settimane, e ora era impaziente di sfogare il dolore per quella frustrazione sessuale che era andata aumentando ogni giorno di più. Lauren aveva dominato la sua mente più di quanto fosse abituato a sopportare, ma non era certo quello il momento di interrogarsi sul perché lei avesse un simile effetto su di lui. La desiderava con un'urgenza mai sperimentata prima ed era assolutamente certo che, quella sera, la ragazza sarebbe stata altrettanto impaziente di finire nel suo letto. Aveva quasi ceduto alla tentazione di chiederle di raggiungerlo nel proprio appartamento al termine del lavoro, poi però era riuscito a resistere. Una tranquilla cena in un ristorante esclusivo avrebbe fomentato l'anticipazione dei piaceri a seguire e comunque, a un livello ben più pratico, il fatto di aver rifiutato il pranzo sull'aereo lo aveva reso piuttosto affamato. «Ho prenotato un tavolo al Vine per le sette e mezza.» Con soddisfazione ripensò al viaggio appena concluso. Come al solito non aveva lasciato nulla al caso e l'affare era stato portato a termine con una rapidità così brutale 166
da lasciare esterrefatti gli altri concorrenti. «Dobbiamo festeggiare.» Il cuore di Lauren mancò un battito e per alcuni secondi il suo cervello si ritrovò in caduta libera. Era l'unica persona al mondo a conoscere il risultato di quel test di gravidanza effettuato solo una settimana prima. Ramon non poteva voler festeggiare il fatto che aspettassero un bambino, ragion per cui doveva essersi ricordato del loro sesto mesiversario dal primo incontro. Fissò la cravatta di seta che gli aveva comprato dopo un'intera pausa pranzo trascorsa ad agonizzare su cosa avrebbe potuto regalargli per un anniversario. Di certo aveva preso la decisione giusta. Ramon aveva ricordato lo speciale significato di quella data e, proprio quel giorno, dopo cena, gli avrebbe confessato del bambino. «Splendido» mormorò incapace di celare il lieve tremore della propria voce. Tentare di mascherare i sentimenti che nutriva per Ramon era sempre stata una dura lotta, e la consapevolezza di portare in grembo suo figlio non faceva che rendere il tutto ancor più difficile. «Ci vediamo al ristorante fra tre ore» le disse dopo un'occhiata all'orologio. Le era mancata molto, dovette riconoscere, e quel pensiero gli procurò un lieve cipiglio. Nessuna donna era mai stata tanto importante nella sua vita da indurlo a sentirne la mancanza, e la realizzazione di quanto l'avesse pensata mentre era lontano lo lasciò sconcertato. Ma non avrebbe condiviso una simile informazione con lei. Non voleva darle modo di pensare che avrebbe mai potuto diventare qualcosa di più che una semplice amante. Per l'ennesima volta ripensò al tumore del padre e a come si fosse ripresentato dopo un breve periodo di remissione. Questa volta era incurabile. Adesso capiva perché, ultimamente, il Duca fosse diventato tanto insistente riguardo alla necessità per lui di trovare una mo167
glie adeguata – con particolare enfasi sull'aggettivo adeguata, rifletté Ramon ripensando a come il padre avesse alluso alla precedente storia con Catalina durante la loro ultima conversazione. Catalina Cortez era un errore del passato che avrebbe preferito dimenticare, ma persino due decenni più tardi suo padre sembrava determinato a impedirglielo. Il ricordo di lei a letto con un altro e l'evenienza certa che non fosse altro che una sgualdrina desiderosa di mettere le mani sulla fortuna dei Velasquez erano ancora un nervo dolente, ma non più dell'umiliazione che aveva provato di fronte all'evidente ragione del padre. Ancor peggio del tradimento di Catalina era stata la consapevolezza di aver deluso la famiglia. Ma era stato tanto tempo prima e Ramon aveva ormai assicurato al padre che avrebbe portato a termine il proprio dovere sposando una donna adeguata al titolo di duchessa e provvedendo con lei a un erede. A un tratto, però, sembrava che le sue rassicurazioni non fossero più sufficienti. Il padre stava morendo e voleva vedere il figlio sposato. Il dovere pareva chiamarlo a gran voce, la libertà di divertirsi con le numerosissime amanti ormai giunta al termine. «Ramon, sei ancora lì?» La voce di Lauren lo strappò ai suoi pensieri. «Sì, ci sono» ribatté in tono mellifluo. «Ci vediamo stasera.» Mise fine alla telefonata e fissò lo sguardo sul traffico di Londra, conscio di come la precedente contentezza fosse ormai evaporata. Lauren arrivò al ristorante con dieci minuti di anticipo e si diresse al bancone del bar. Non vedeva l'ora di rincontrare Ramon e, con lo stomaco pieno di farfalle, si chiese come avrebbe reagito alla notizia che gli avrebbe per sempre cambiato la vita. 168
Nonostante fosse di spalle rispetto alla porta, la ragazza percepì il momento esatto in cui lui mise piede nel locale dall'attonito silenzio calato nella sala. Con quello sguardo magnetico e il viso che pareva scolpito, Ramon attirava sguardi ovunque andasse, soprattutto nelle donne, riconobbe Lauren mentre notava un'attraente brunetta che tentava di attirare la sua attenzione. Ma chi avrebbe potuto biasimarla? Ramon era davvero stupendo e, con il cuore a mille, lo guardò avvicinarsi. Con gli occhi fissi su di lei sembrava realmente ignaro di ogni altra donna nella stanza. L'abito cucito a mano ne enfatizzava l'ampiezza delle spalle, la pelle abbronzata e i lineamenti cesellati accarezzati dalle luci della sala. Una volta che le fu di fronte, le sue labbra si curvarono in un sorriso che le toccò l'anima, un sorriso che sapeva essere soltanto per lei e che la fece sentire speciale. Non aveva pianificato di innamorarsi di lui. Fino a quando Ramon non era piombato nella sua vita era sempre stata cinica riguardo all'amore. Ma Ramon era diverso. Si sentiva incredibilmente a proprio agio con lui: arguto e intelligente, possedeva anche uno spiccato senso dell'umorismo e lei adorava la sua compagnia. Il fatto poi che fosse un amante incredibile, e che le avesse dato modo di esplorare la propria passionale ma sconosciuta natura, era soltanto una delle ragioni che le avevano stregato il cuore, anche se tutt'altro che secondaria, considerato come i propri capezzoli stessero spingendo sfacciati contro il bustino di seta che indossava sotto la giacca. Le era talmente vicino da poter percepire distintamente il familiare aroma speziato della sua colonia, l'urgenza di gettargli le braccia al collo e cominciare a baciarlo assolutamente irresistibile. «Sei splendida, querida» la salutò Ramon con il corpo acceso di passione. «E anche molto sexy.» Il calore che aveva sentito nascere dentro si era ormai trasformato in 169
una bruciante vibrazione di desiderio capace di fargli pulsare il sangue nelle vene. Con quei capelli color oro e il corpo prosperoso Lauren era assolutamente irresistibile, e non c'era da stupirsi che le fosse mancata tanto. Desiderava soltanto prenderla fra le braccia e catturare le sue labbra scarlatte in un incandescente bacio, fino a quando non si fosse aggrappata a lui tremante e smaniosa, e gli ci volle uno sforzo enorme per controllarsi. Ma non era soltanto ai paparazzi spagnoli che voleva sfuggire. I media inglesi lo avevano etichettato come il miglior partito d'Europa, e un'immagine di lui che baciava una bionda al bancone di un bar era esattamente il tipo di pubblicità che sperava di evitare. E così, con le narici a inebriarsi del profumo di Lauren, le appoggiò una mano alla vita e la invitò a seguirlo. «Credo che il nostro tavolo sia già pronto e speriamo che il servizio sia davvero rapido, stasera, perché sono molto affamato.» Lo scintillio nei suoi occhi non lasciò a Lauren alcun dubbio riguardo a cosa volesse intendere, e un brivido di anticipazione le percorse la schiena in tutta la sua lunghezza. Dopo due settimane di lontananza sperava soltanto di fare l'amore con lui. Presto sarebbero tornati nel suo appartamento ma prima, rammentò a se stessa con il cuore che le scoppiava in petto, avrebbe dovuto confessargli di aspettare un bambino. Non aveva idea di come avrebbe reagito alla notizia di quella gravidanza. Indubbiamente si era trattato di un incidente: non aveva pianificato di avere un bambino a quel punto della sua vita, e aveva trascorso la settimana precedente tra il panico e l'incredulità. Tuttavia, nell'attimo stesso in cui aveva visto Ramon, quel bambino si era tramutato in qualcosa di reale: non più una semplice linea blu sul test di gravidanza, bensì una nuova vita che le cresceva dentro, creata da lei e dall'uomo che amava. 170
Si morsicò il labbro inferiore. Chissà se Ramon avrebbe provato le stesse emozioni. Non aveva mai fatto riferimento al futuro e, nonostante fosse un meraviglioso amante che la trattava con considerazione e rispetto, Lauren non sapeva davvero cosa pensasse di lei. A ogni modo l'aveva invitata a cena per festeggiare il loro mesiversario, rammentò a se stessa... possibile che tutto ciò non contasse nulla? Quando il cameriere ebbe portato loro da bere, Ramon sollevò il calice di champagne. «Vorrei fare un brindisi: a un altro successo della Velasquez Conglomerates!» Lauren rabbrividì. «Oh... certo... Alla Velasquez Conglomerates.» Toccò il bicchiere di Ramon e gli rivolse uno stentato sorriso che però vacillò quando Ramon non fece nessun altro commento a proposito della ragione per cui avrebbero dovuto festeggiare. «Allora, raccontami cos'hai fatto durante la mia assenza» la invitò lui un attimo dopo, ma Lauren ricordava davvero poco delle due settimane precedenti, a parte il panico che l'aveva attanagliata quando aveva scoperto di essere incinta. Non sapendo cosa dire prese a frugare nella borsa e allungò a Ramon un pacchetto. «È un regalo» gli disse di fronte all'aria sospettosa di lui. «Una sciocchezza, davvero.» Le sue guance erano imporporate di rossore. «Solo un pensiero per festeggiare il nostro anniversario.» Ramon si irrigidì e la sensazione di impellente disastro che aveva provato poco prima, parlando con Lauren al telefono, piombò su di lui come una nuvola scura. «Anniversario?» echeggiò freddamente. «Sono trascorsi sei mesi da quando ci siamo conosciuti. Credevo fosse questa la ragione per cui volevi festeggiare, la ragione per cui mi avevi invitata nello stesso ristorante del primo appuntamento.» La voce di Lauren si affievolì. La scioccante espressione di Ramon l'aveva ri171
empita di imbarazzo. «Credevo te ne fossi ricordato» strascicò mentre sperava che il pavimento si aprisse sotto la sua sedia fino a inghiottirla. Ramon la fissò in un rigido silenzio. «A dire il vero no, non lo ricordavo» ammise accigliandosi di fronte all'implicazione di quelle parole. Sei mesi! Possibile che fosse passato così tanto tempo senza che se ne rendesse conto? Non era mai uscito con la stessa amante per più di qualche settimana, ma con Lauren era stato diverso: quella ragazza non lo aveva mai stancato – né a letto né fuori – e neppure era mai stato tentato da qualcun'altra, dovette riconoscere con una punta di amarezza. Si era dimostrata la compagna perfetta, accomodante e felice di ricoprire un ruolo discreto nella vita di lui. Così, quel desiderio di festeggiare un anniversario lo aveva sorpreso come un fulmine a ciel sereno, la soddisfazione di qualche minuto prima rimpiazzata da una sorta di irritazione. Un'educazione impeccabile lo indusse a scartare comunque il pacchetto ma, quando vide quella cravatta di seta dalle sfumature grigie e blu, Ramon rimase senza fiato. Era esattamente il tipo di scelta che avrebbe fatto per sé; tuttavia la realizzazione che Lauren lo conoscesse a tal punto non migliorò certo il suo umore. «È splendida» affermò sforzandosi di sorridere. «È una scelta eccellente. Grazie.» «Te l'ho detto, è solo un piccolo pensiero.» Ma non erano certo la dimensione o il valore dell'oggetto a costituire un problema. Era la ragione per cui glielo aveva regalato a disturbare Ramon. Lauren non era mai sembrata il tipo che si abbandonava a gesti sentimentali, ed era sconcertante pensare che forse non la conosceva quanto credeva. Per fortuna il cameriere arrivò con i piatti e, mentre mangiavano, Ramon si curò di mantenere le distanze 172
dallo scottante argomento del loro cosiddetto anniversario. Terminato il pasto Lauren ordinò una camomilla e la sorseggiò affannosamente nel tentativo di contrastare il disagio provocato dall'aroma del caffè di Ramon. Solitamente adorava il caffè ma, nell'ultima settimana, il solo profumo di esso era stato sufficiente a scatenare in lei una sensazione di nausea. Di' a Ramon del bambino. Adesso, insisteva la sua coscienza. Tuttavia non avrebbe mai potuto dimenticare il tono aspro con cui lui le aveva comunicato di non essere solito festeggiare gli anniversari, e le parole sono incinta rimasero intrappolate nella sua gola. La reazione di Ramon a quell'innocuo regalo l'aveva fatta sentire come una criminale che voleva festeggiare il fatto che per lei quella relazione fosse speciale. Chiaramente per lui non era altrettanto ma restava il fatto che aspettava suo figlio e che, prima o poi, avrebbe dovuto comunicarglielo. Durante la cena Lauren era riuscita a sorridere e a chiacchierare come se nulla fosse successo ma, quando Ramon le cinse le spalle con il braccio nel retro della sua limousine e chiese all'autista di portarli nell'appartamento di Hyde Park, una sorta di rabbia lentamente rimpiazzò il precedente dolore. Se non avevano una relazione che fosse degna di essere festeggiata, cos'avevano allora?, si domandò amaramente. L'auto si fermò nel parcheggio sotterraneo dell'edificio e, qualche minuto dopo, i due entrarono in ascensore. «Finalmente soli» mormorò Ramon prendendola fra le braccia. Il profumo di Lauren gli inebriava i sensi. Dios! Smaniava letteralmente per lei. Era come una febbre nel sangue... Con un gemito le catturò le labbra e affondò la 173
lingua nel madido calore della bocca di lei. La scomoda sensazione sperimentata durante la cena si dissolse sotto l'immediata risposta della ragazza. La trascinò fuori dall'ascensore e poi fino all'appartamento senza mai staccare le labbra dalle sue. Le sfilò la giacca e prese a slacciarle il sensuale bustino di seta mentre freneticamente si dirigevano in camera da letto. E come avrebbe potuto resistergli?, si domandò Lauren con il corpo tremante di anticipazione. Presto le avrebbe accarezzato la pelle nuda. Con quei capelli che gli ricadevano sulla fronte e la camicia sbottonata a rivelare il suo muscoloso petto abbronzato, Ramon era l'uomo più sensuale che avesse mai visto ma, soprattutto, era tutto il suo mondo. Peccato che lei non fosse sua. Per l'ennesima volta quel pensiero le si insinuò nella mente e la bocca tremò sotto l'esigente pressione dei suoi baci. Urtò il bordo del letto e in quel medesimo istante lui le sfilò il bustino fino a prenderle i seni fra le mani. «Mi sei mancata, querida» gemette con un filo di voce però, invece che lenire il suo frustrato orgoglio, quelle parole la fecero irrigidire. «Ti sono mancata io o il sesso che fai con me?» azzardò con voce tremante. «Sai che è esattamente la stessa cosa. È ovvio che mi sia mancato il sesso con te. Dopotutto sei la mia amante...» Lauren sbiancò all'istante, il cuore lacerato mentre ogni patetica speranza si riduceva in polvere. «Io non sono la tua amante» proruppe digrignando i denti, quindi si divincolò dalla presa di Ramon e tentò di coprirsi col bustino. «Un'amante è una donna mantenuta. Io ho un appartamento, un lavoro e mi mantengo da sola.» «Però vivi da me quando sono a Londra» le ricordò 174
Ramon, frustrato dal fatto che Lauren stesse perdendo tanto tempo a discutere quando tutto ciò a cui lui riusciva a pensare era la sua pulsante erezione. Irritato oltre misura, si passò pensieroso una mano fra i capelli. Com'erano arrivati a una simile discussione quando, solo pochi minuti prima, erano stati sul punto di fare l'amore? Anzi, fare sesso, si corresse. L'amore non faceva certo parte della loro relazione. Quella donna era diventata importante per lui, non poteva negarlo, ma era e sarebbe rimasta soltanto un'amante. La sua vita era stata pianificata dalla nascita, e le responsabilità che derivavano dall'essere membro della nobiltà spagnola significavano che lei non avrebbe potuto essere nient'altro. La tensione crebbe e la parola amante prese a echeggiare nelle orecchie di Lauren. «Io... ho bisogno di capire dove stiamo andando.» Le sopracciglia di Ramon si sollevarono in un'espressione di arrogante divertimento, gli occhi insolenti sul bustino ancora slacciato con cui lei tentava di coprirsi i seni. «Credevo stessimo andando a letto» strascicò. Il dolore negli occhi di lei gli toccò però la coscienza inducendolo a maledire la propria impulsiva natura. Ma, Dios!, era stata lei a cominciare quella ridicola discussione! Si ritrovò tentato di prenderla di nuovo fra le braccia e baciarla fino a completa sottomissione, ma sembrava talmente fragile che qualcosa lo trattenne. Possibile che si sentisse male? Di certo era sconvolta, ma perché insistere nel voler definire la natura della loro relazione quando funzionava benissimo per entrambi senza bisogno di una spiegazione? «Intendo dire dove sta andando la nostra relazione...» In altre circostanze la torva espressione di Ramon l'avrebbe ammonita a non continuare, ma quella non era una circostanza normale. Era incinta di suo figlio, e l'i175
stinto a fare del proprio meglio per lui era certo più importante dell'orgoglio. «Dimmi, onestamente, credi che ci sia qualche possibilità di un futuro insieme o sono solo l'ennesima bionda con cui vai a letto?» L'imbarazzante silenzio che ne seguì confermò ciò che il cuore già sapeva. «Non ti ho mai fatto false promesse né indotto a credere che volessi più di una semplice relazione, e tu non hai mai nascosto il fatto che la carriera avesse per te un ruolo fondamentale. Credevo che entrambi fossimo soddisfatti di una relazione che non opprime nessuno dei due con la pressione di aspettative irreali.» Ma lei non aveva mai avuto aspettative, semplicemente sperava che quella storia fosse l'inizio di qualcosa di più. Come aveva potuto essere tanto ingenua? Si era lasciata accecare dall'amore per Ramon quando invece lui non la considerava altro che un'ennesima amante. Fissò il viso scolpito di Ramon. «Le cose cambiano. La vita cambia. Come vedi il tuo futuro, Ramon? Intendo dire... pensi che un giorno ti sposerai?» Ramon era seriamente adirato per il fatto di dover affrontare un simile argomento, ma non aveva nessuna intenzione di mentirle. «La famiglia Velasquez fa parte dell'antica nobiltà spagnola, e può tracciare la propria storia fino all'undicesimo secolo» spiegò. «In quanto unico figlio del Duca di Velasquez è mio dovere sposare una donna che appartenga al mio stesso rango sociale e provvedere con lei a continuare la dinastia.» «Sei figlio di un duca?» Quella rivelazione la lasciò allibita. «Erediterò il titolo alla morte di mio padre» spiegò con una stretta al cuore al pensiero della prognosi di quest'ultimo, poi fissò il viso di Lauren e il dolore che vi colse lo lasciò senza fiato. Non le aveva mai dato ragio176
ne di credere che un giorno l'avrebbe sposata e, a parte la preoccupazione per la volontà del padre, non aveva alcuna fretta di salire all'altare. «Perché preoccuparsi tanto del futuro quando il presente è così allettante?» mormorò avvicinandosi di nuovo a lei e scostandole una ciocca di capelli dal viso, ma la ragazza si divincolò con forza. Le sembrava di essere stata catapultata in un incubo. Ramon si era trasformato in un gelido estraneo che abitava il rarefatto modo della nobiltà spagnola, un mondo di cui lei non avrebbe mai potuto far parte. E com'era possibile che accettasse il figlio che lei portava in grembo? Un primitivo istinto materno la scrollò da capo a piedi, inducendola a vedere Ramon per quello che era. Possibile che non si fosse resa conto della sua vera, spietata natura? In quel preciso istante comprese di dovergli nascondere la verità sul bambino. Ramon aveva bisogno di un erede che perpetuasse il nome dei Velasquez, ma il suo bambino meritava un padre che lo amasse incondizionatamente. «Perfetto. È ovvio che vediamo le cose in modo diverso. Io non sono la tua amante» tornò a insistere, ma lui la fissò con aria sardonica e fissò lo sguardo sul sensuale bustino di seta che a stento le copriva i seni. «Però, esattamente come una buona amante, ti sei vestita per compiacermi» strascicò insolente. «Un'amante è tutto ciò che fino a ora sei stata per me, querida.» Quell'espressione affettuosa le lacerò il cuore, ma non avrebbe mai pianto di fronte a lui. «In tal caso sarà meglio che io torni a casa e... non credo che tornerò mai più.» Un'ondata di oltraggiata incredulità si impadronì di Ramon. Nessuna donna lo aveva mai piantato in asso prima di allora! «Dios! Che cosa ti aspetti da me? Che ti faccia promesse che già da ora so di non poter mantene177
re?» Non voleva perderla, ma di certo non l'avrebbe pregata perché cambiasse idea. La fissò con aria arrogante, il viso scolpito con tutta la grazia dei suoi illustri antenati. «Se davvero vuoi andare, farò in modo che il mio autista ti riaccompagni a casa. Ma, una volta fuori di qui, considera pure chiusa la nostra storia. Io non correrò certo a cercarti.» Quella relazione era davvero giunta al termine. «Voglio soltanto andarmene» mormorò, ma lui le prese il mento fra le dita costringendola a sostenere il suo sguardo adirato. Per un attimo credette che fosse sul punto di baciarla e pregò di trovare la forza di resistergli, ma improvvisamente lui imprecò e la allontanò da sé. «Allora vai!» le urlò selvaggiamente e, senza aggiungere altro, Lauren lasciò per sempre l'appartamento.
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Pagina
Romanzo
Contratto all'altare
1 Un appuntamento al buio non era esattamente il divertimento preferito di Carrie. Ma da quando la sua amica Jo aveva conosciuto Theo, il secondo giorno della loro vacanza insieme, la stava tormentando perché accettasse di incontrare il fratello del suo nuovo ragazzo. «Guarda... nell'istante in cui lo vedrai, capirai quello che voglio dire» aveva affermato senza ombra di esitazione. «Se non avessi perso la testa per Theo, ci farei un pensierino. Andreas è bellissimo e anche molto gentile.» «Jo, se stai cercando di piazzarmi perché ti dispiace lasciarmi sola, ti sbagli» aveva scherzato. «Dopo gli ultimi mesi di lavoro sulla tesi, sono felicissima di godermi un completo relax. Sole, mare...» «Sì, lo so. Me l'hai detto mille volte, ma devi conoscerlo, Carrie. È davvero... un dio greco! Dai, fammi contenta! Incontralo almeno una volta. Organizziamo una serata a quattro. Andiamo a bere un aperitivo giù alla taverna poi, se vuoi, ceniamo insieme. Se invece non ti va, puoi sempre dire di avere un impegno e andartene. Ma non credo proprio che lo farai...» Dopo due giorni di incessante tortura, in un attimo di debolezza, Carrie aveva accettato. Ora se ne stava tutta sola al tavolo della taverna, in preda all'agitazione. Jo e Theo erano in ritardo e di Andreas, nemmeno l'ombra. 307
Forse se l'era data a gambe, se suo fratello aveva insistito tanto quanto Jo, per trascinarlo lì. Non avrei mai dovuto accettare, pensò Carrie guardandosi intorno imbarazzata. Ma se non altro la taverna sul mare era un posto idilliaco, dove aspettare. Il sole stava tramontando in un tripudio di porpora e arancio, dando l'addio a un altro lungo giorno, trascorso pigramente sull'isola greca di Pyrena. Carrie inalò una boccata d'aria fragrante di gelsomino e si rilassò. Con un pizzico di fortuna, Andreas non si sarebbe presentato e lei sarebbe stata libera di andarsene, lasciando che Jo e Theo si godessero la serata. Avevano bisogno di passare del tempo insieme perché, di lì a dieci giorni, lei e Jo sarebbero tornate a Londra. Sapeva che per Jo sarebbe stato un dramma. Non aveva mai visto la sua amica così innamorata. Quei due si erano fulminati al primo sguardo e guardandoli, anche se si conoscevano da pochi giorni, sembrava che fossero sempre stati insieme. Carrie si chiese se fosse quello il vero amore. La sera calava rapidamente e un cameriere stava accendendo le candele sui tavoli. Uno o due coppie avevano già preso posto per la cena. Diede uno sguardo all'orologio. Dieci minuti di ritardo. Carrie decise di aspettarne altri dieci prima di andarsene. Era contenta all'idea di tornare in camera sua a leggere. Non aveva voglia di incontrare nessuno. «Aspetti qualcuno?» Carrie sollevò lo sguardo di colpo e rimase scioccata da ciò che vide. Se quello era Andreas, allora Jo non aveva per niente esagerato! Era assolutamente stupendo. L'uomo più bello che avesse mai visto in vita sua. Alto e possente, indossava con noncuranza un elegante abito scuro e una camicia di seta blu, aperta sul collo. I folti capelli neri tagliati corti, mettevano in risalto la per308
fezione dei lineamenti. Ma ciò che lasciava senza parole, erano gli occhi che la fissavano con una punta d'arroganza. Erano profondi e penetranti, di un incredibile color melassa. Quando si rese conto che lui aspettava una risposta, cercò di ricomporsi. «Sì... degli amici.» «Tu devi essere Carrie.» Annuì. Era la sua immaginazione o tra loro stava scorrendo un flusso di corrente? Andreas fece un rapido e imbarazzante inventario, passandole lo sguardo sui capelli, sul corpo fasciato nell'abito leggero, di un azzurro intenso e sulle lunghe gambe accavallate. Carrie rimase scioccata dal brivido di calore sensuale che l'attraversò. «Andreas Stillanos.» Carrie gli strinse la mano e il contatto con la sua pelle sancì l'innegabile, incontrollabile attrazione che serpeggiava tra loro. È pazzesco, pensò in preda al panico. Nessun uomo le aveva fatto quell'effetto e poi... non lo conosceva nemmeno! Non riusciva a spiegarselo. Lei era una persona con i piedi ben piantati per terra e quello era il genere di follia da cui voleva stare alla larga. Andreas spostò una sedia e si sedette di fronte a lei. «Jo e Theo devono essere in ritardo» disse Carrie dopo un attimo di imbarazzato silenzio, cercando di darsi un contegno. «Immagino di sì» rispose, sorridendo divertito. Ma è ovvio, no?, pensò Carrie detestandosi. Cercò qualcos'altro da dire, ma sembrava che ogni traccia di pensiero razionale avesse disertato la sua mente. Un cameriere si fermò accanto al loro tavolo e si rivolse ad Andreas in greco. Che voce sensuale, pensò Carrie. Ed ecco un altro fremito lungo la schiena! «Posso offrirti un altro drink?» le chiese in un perfetto inglese. 309
«No, sto bene così, grazie» gli rispose, indicando il bicchiere di vino, ancora pieno sul tavolo. Rimasero di nuovo soli. «Credo che siano in ritardo perché Theo ha accettato di far fare un'escursione extra ad alcuni clienti che domani tornano in Inghilterra» gli rivelò Carrie. Andreas la guardò sarcastico. «Io invece penso che questo ritardo sia un espediente per lasciarci un po' soli.» Quel pensiero la fece arrossire. «No!» affermò decisa. Ma in fondo, cominciò a chiedersi se non avesse ragione. «Davvero?» la provocò con un accenno di sorriso, osservando attentamente il suo viso. Anche se erano in penombra, Carrie sapeva che l'aveva vista arrossire e questo non fece che peggiorare le cose, facendola avvampare. «Be', Jo mi ha telefonato per scusarsi. Sembrava sinceramente dispiaciuta... e poi è una che ama la puntualità.» «Allora, non ti sei sentita obbligata a incontrarmi?» la prese in giro. «Perché, per essere onesto, negli ultimi giorni Theo non ha fatto che cantare le tue lodi!» «Alla fine hai accettato per recuperare la pace?» gli chiese. Perché la terra non si apre e mi inghiotte? «Va bene, lo ammetto! Jo ha fatto lo stesso con me. Credo che le dispiacesse lasciarmi sola, anche se le ho ripetuto mille volte che stavo benissimo così...» «Si sono innamorati e ora pensano che il resto del mondo debba seguire il loro esempio» disse Andreas, con una traccia d'ironia. Il cameriere arrivò con la sua ordinazione e Carrie gli fu grata per l'interruzione. A giudicare da quelle parole, Andreas aveva apprezzato l'idea del loro appuntamento al buio almeno quanto lei! Quando rimasero soli, Andreas la fissò negli occhi. «Purtroppo ho un appuntamento di lavoro domani mattina, ad Atene. Non potrò restare a lungo.» 310
«Bene... nemmeno io» rispose Carrie, lasciando spazio all'orgoglio ferito. «Stavo proprio pensando di prendere un aperitivo in fretta, così Jo e Theo si potranno godere una serata romantica.» «Sì, credo che useranno il loro tempo nel migliore dei modi» convenne Andreas. Cosa significa?, pensò Carrie, che noi stiamo sprecando il nostro? «Ti piace questa vacanza a Pyrena?» si informò, appoggiandosi allo schienale della sedia. Ora stava cercando di intavolare un'educata conversazione? Che strazio! Pensò alla sua amica e si sforzò di sorridere. «Sì, molto bella, grazie. L'isola è splendida.» «Sei stata a esplorare i fondali?» Carrie scosse la testa. «Theo e Jo mi hanno invitata ieri, ma non so immergermi.» «Potresti fare snorkeling.» «Non sono una grande nuotatrice e non amo molto andare oltre le mie possibilità.» «Dovresti provare con una persona esperta. È davvero stupendo.» Il suo cellulare squillò. «Scusa, Carrie» disse, rispondendo al telefono. Lo osservò mentre parlava in greco, con la voce professionale e l'espressione seria. Carrie approfittò della sua distrazione per un'ulteriore, lunga occhiata esplorativa. Era davvero bello. Pericolosamente bello. Provò a immaginare la sensazione di quelle splendide labbra sulle sue e delle sue mani sulla pelle. Andreas chiuse il cellulare e tornò a guardarla. «Scusami... questioni di lavoro.» «Nessun problema» lo rassicurò sollevando il bicchiere, infastidita dai suoi stessi pensieri. Andreas le aveva appena dimostrato un completo disinteresse e lei sogna311
va a occhi aperti di baciarlo? «Se devi andare, non farti scrupoli. Farò le tue scuse a Jo e Theo.» «Non sarà necessario. Stanno arrivando.» Carrie seguì il suo sguardo e vide Theo che scendeva dalla sua macchina sportiva nera. Notò il modo in cui raggiunse Jo e la prese per mano. C'era qualcosa di molto toccante nel modo in cui si guardavano. «Sembrano proprio fatti l'uno per l'altra...» Carrie non si rese conto di aver parlato a voce alta, fino a quando Andreas non le rispose. «Sì, penso che sia una cosa seria.» Carrie lo guardò, mentre le sue parole le risuonavano dentro. Aveva ragione. Cosa sarebbe accaduto quando alla fine della vacanza Jo sarebbe dovuta tornare a casa? Nessuno meritava più di lei di essere felice e Carrie lo sapeva bene perché erano cresciute insieme, affidate alla stessa famiglia. Jo fingeva di essere dura, ma aveva un cuore dolce e gentile. Carrie la osservò mentre si avvicinava. Il corto abito nero sembrava disegnato sul suo corpo snello e la cascata di riccioli biondi le danzava sulle spalle a ogni passo. «Scusate per il ritardo» mormorò, fermandosi accanto al loro tavolo. «È colpa mia!» dichiarò Theo, abbassandosi per baciare Carrie sulle guance. «Sono felice di rivederti! Non ci siamo accorti che il tempo stava volando. Ma credo che voi due abbiate trovato un modo per riempire l'attesa, no?» Carrie avrebbe preferito non incontrare lo sguardo di Andreas proprio in quel momento. Aveva un'aria così divertita che Carrie si sentì fremere di collera. «Non preoccuparti per questo» disse con noncuranza, alzandosi in piedi per salutarli. «Io e Carrie abbiamo socializzato.» 312
«Oh, bene!» Jo lanciò a Carrie uno sguardo eloquente, del tipo te l'avevo detto, io! Carrie cercò di non mostrarsi turbata. Ma davvero la sua amica era tanto cieca da non vedere che Andreas avrebbe voluto essere da qualunque parte anziché lì? «Allora va tutto bene?» insistette Jo a bassa voce, sedendosi accanto a lei. «Assolutamente» rispose Carrie un po' distratta, osservando Andreas e Theo che si salutavano. Erano molto simili, ma Theo aveva un viso aperto, un'espressione solare. Era meno minaccioso del fratello, con quella sua aria da bello e dannato. Era evidente che oltre a essere fratelli erano anche grandi amici. Andreas si informò sul suo negozio di attrezzature subacquee, dove organizzava escursioni e lezioni d'immersione. Theo non mancò di chiedergli consiglio su alcuni dispositivi che voleva comprare. «Ecco che attaccano a parlare di lavoro!» Jo sorrise a Carrie. «Ehi! Ho bisogno di buoni consigli» protestò Theo. «Soprattutto quelli di mio fratello che ha un tocco magico per gli affari. Non so cosa avrei fatto senza di lui.» «Te la sei cavata benissimo, Theo. Mi sembra che i tuoi affari vadano a gonfie vele» gli disse Andreas con convinzione. «Non senza il tuo aiuto.» Theo si guardò intorno in cerca del cameriere. «Chiediamo il menu? Non so voi, ma io sono affamato.» «Purtroppo io non posso restare» rivelò Andreas, guardando l'orologio. «Devo andare ad Atene. Domani mattina presto ho un appuntamento.» «Oh, no! Non puoi fermarti ancora un po'?» Jo non riuscì a mascherare il suo disappunto. «Ho paura di no.» Andreas lanciò un'occhiata a Carrie. «Ma è stato un vero piacere conoscerti.» 313
Quel commiato asettico la fece ribollire. «Sì, anche per me» rispose, ricambiando il sorriso. I loro occhi si incontrarono per un attimo. Andreas notò un breve lampo di fierezza ed ebbe la conferma che Carrie si sentiva a disagio in quella situazione, almeno quanto lui. Era stupenda. Theo non aveva esagerato. Ma oltre a questo, aveva un'aura di fragilità e di riserbo che lo affascinava almeno quanto la bellezza. La maggior parte delle ragazze che incontrava, flirtavano apertamente con lui, elargendogli falsi sorrisi e risatine idiote. Carrie no. Lo guardava con una punta di sfida e quando sorrideva, lo faceva anche con gli occhi, senza traccia di ipocrisia. Ma non aveva tempo per certe cose, ricordò a se stesso. Era nel bel mezzo di una serie di trattative difficili e non era il momento ideale per un flirt. Poi, quella situazione poteva rivelarsi un campo minato. Theo era profondamente innamorato della migliore amica di Carrie, mentre lui non era alla ricerca di una relazione seria. Anzi, non lo sarebbe mai stato. Quindi era meglio evitare di agitare le acque. «Godetevi la serata!» augurò, alzandosi. «Accidenti!» imprecò Jo a denti stretti, fissando la schiena di Andreas che si allontanava. «Mi dispiace tanto, Carrie. Pensavo proprio che vi sareste intesi alla perfezione.» «Infatti, Jo. È stato bello prendere l'aperitivo insieme» la rassicurò Carrie. «Non fatevi guastare la serata da questo!» «Andreas è nel pieno di una negoziazione complicata» si intromise Theo. «Ha venduto la sua casa editrice e ora sta comprando le azioni di un quotidiano. Una guerra più che una trattativa... Se deve essere ad Atene domani mattina presto, deve per forza prendere l'ultimo traghetto di questa sera.» 314
«Theo, non devi darmi spiegazioni.» Odiava vederli così dispiaciuti. «Io e Andreas abbiamo fatto una bella chiacchierata, mentre vi aspettavamo. Siamo arrivati alla stessa conclusione» aggiunse. «Voi due avete bisogno di stare insieme. Per essere sincera, sono contenta di tornare a casa. Credo che me ne andrò a letto, a leggere.» «Tu non vai da nessuna parte!» le intimò Jo. «Ceni con noi. Insistiamo!» «Ma, sinceramente, io...» «Non discuterei, se fossi in te» l'avvertì Theo con un sorriso. «Perché non vinceresti comunque.»
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2 Carrie, stesa sulla sdraio a leggere un libro, si sollevò per bere un sorso d'acqua. Era magnificamente rilassata, ma forse avrebbe dovuto trovare l'energia per spostarsi all'ombra. Londra sembrava un altro pianeta. C'era poca gente intorno alla piscina del residence, immersa nel vasto giardino lussureggiante e ben curato. Jo era andata nel negozio di Theo per bere un caffè con lui. Le aveva chiesto di accompagnarla ma dopo lo spiacevole incontro con Andreas della sera prima, lei aveva preferito restare sola. Era stata la mezz'ora più imbarazzante della sua vita. Però, era davvero bello... Per un istante ricordò i suoi inconfessabili pensieri e quello sconcertante senso di languore che aveva provato accanto a lui. Aveva ventidue anni ed era molto corteggiata, ma nessun uomo le aveva fatto quell'effetto prima di allora. Col tempo, si era convinta di non riuscire a provare emozioni. Forse dipendeva dalla sua dannata abitudine di analizzare tutto razionalmente. Jo aveva ipotizzato che mancasse di fiducia in se stessa, quando si trattava di uomini e forse aveva ragione. Suo padre l'aveva abbandonata quando era molto piccola e probabilmente lei non avrebbe mai permesso a se stes316
sa di lasciarsi andare alle emozioni. Eppure, quando Andreas l'aveva guardata, si era sentita viva e vibrante, per la prima volta in vita sua. Troppo sole... si disse, tornando a concentrarsi sul libro. Andreas non nutriva il benché minimo interesse per lei e in questo lo ricambiava al cento per cento. Il telefono squillò all'improvviso, facendola sobbalzare. Non si diede la pena di guardare il display. Era sicuramente Jo che insisteva perché la raggiungesse... «Ciao, Jo... Vuoi smetterla di preoccuparti? Sono in piscina e mi sto godendo un dolce far niente» disse con un tono lieve. «Sono felice di saperlo.» L'allegra voce maschile la colse tanto di sorpresa che il telefono rischiò di caderle di mano. Lo riconobbe subito. Era strano che avesse chiamato proprio mentre stava pensando a lui. Forze oscure stavano tramando contro di lei? Cercando di cancellare quel pensiero idiota, scattò a sedere sulla sdraio facendo cadere il libro e disse la prima cosa che le passò in testa. «Andreas, come diavolo hai avuto il mio numero?» «Be', ci sono solo due possibilità» la prese in giro. «Ma se proprio lo vuoi sapere, sono andato in negozio da Theo per parlare delle nuove attrezzature. Voleva un consiglio e...» «E ti sei fatto convincere a telefonarmi! Andreas, so che tieni molto a Theo, ma questo va oltre i doveri fraterni e...» «Ehi, puoi star zitta un attimo?» la interruppe. «Per una volta, Theo non ti ha nemmeno nominata. Sono io che gli ho chiesto il tuo numero.» Ci fu un momento di silenzio durante il quale Carrie si chiese se aveva sentito bene. «E perché?» «Ho del tempo libero oggi pomeriggio e mi chiedevo 317
se ti andrebbe di esplorare i fondali con me.» L'invito era davvero molto allettante, ma si sforzò di pensare razionalmente. «Grazie, apprezzo la proposta, ma sono impegnata.» «Non hai appena detto che non avevi niente da fare?» Sembrava ancora più divertito. «Sì, mi sto godendo il dolce far niente!» «E dai, un po' di energia! Vieni con me. Sono sicuro che ti divertirai.» Quelle parole le fecero scorrere una scarica di adrenalina nel sangue. «Vengo a prenderti tra dieci minuti.» «Dieci minuti? Pensavo che fossi ad Atene, stamattina» rispose, alzando un po' la voce. «Lo ero, ma abbiamo finito prima del previsto. Ho preso il primo traghetto. Sono stato da Theo e ora sto arrivando al tuo residence.» «Andreas, non riuscirò a essere pronta in...» «Aspetterò. Ma non troppo. Quindi... sbrigati!» La comunicazione venne interrotta e Carrie rimase a fissare il telefono per qualche secondo come se fosse una creatura viva. Ma come aveva osato dare per scontato che avrebbe accettato? Cosa pensava? Che lei fosse una specie di caso pietoso? Ah, lo avrebbe sistemato subito! Non sarebbe uscita con lui. Che arrivasse pure. Lei sarebbe rimasta lì a leggere. Carrie si calcò in testa il cappellino e cercò di concentrarsi sul libro, ma tutto ciò a cui riusciva a pensare era Andreas. Perché le aveva telefonato? Avrebbe giurato che non l'avrebbe più sentito. Focalizzò lo sguardo sulla pagina. La sera prima, Andreas aveva dimostrato di non essere minimamente interessato a lei. Cos'era successo? Cercava di dare un contentino a suo fratello, che era rimasto deluso quanto Jo, per la sua fuga dal ristorante? 318
Pagina
Romanzo
In fuga all'altare
1 Pace. Finalmente. Jillian Smith respirò a fondo mentre camminava lungo la scogliera frastagliata che dominava l'Oceano Pacifico in tempesta, godendosi l'aria fresca, il panorama mozzafiato e un raro momento di libertà. Le cose stavano iniziando ad andare per il meglio. Non vedeva gli uomini di Vittorio da oltre nove mesi ed era sicura che, se avesse fatto attenzione, non l'avrebbero mai trovata in quell'isolata cittadina costiera a pochi chilometri da Carmel, in California. Prima di tutto, aveva smesso di usare il nome Jillian Smith. Ora aveva una nuova identità, April Holliday, e un nuovo look: bionda, abbronzata, come se fosse una vera californiana anziché un'attraente mora di Detroit. Ma tanto Vittorio non sapeva nemmeno da dove venisse. E nemmeno poteva scoprirlo. Doveva assolutamente tenere Vittorio, il padre di suo figlio, il più lontano possibile da lei. Era troppo pericoloso, una vera minaccia per lei, per Joe e per tutto ciò che più le stava a cuore. Lo aveva amato fin quasi a immaginare un futuro con lui, solo per scoprire che non era affatto un cavaliere dall'armatura lu467
cente, ma un uomo come suo padre, che si era arricchito con la criminalità organizzata. Jillian fece un altro respiro e sentì la tensione accumularsi nelle spalle. Rilassati, pensò, non hai nulla da temere, il pericolo ormai è passato. Lui non sa dove sei, non può portarti via il bambino. Sei al sicuro. Si fermò sul ciglio della scogliera per guardare l'acqua azzurro intenso ornata di schiuma. Le alte onde si infrangevano sulle rocce scure con potenza e passione, il mare sembrava arrabbiato, quasi inconsolabile, e per un istante anche lei si sentì così. Aveva amato Vittorio. Nonostante avessero trascorso assieme solo due settimane, in quei giorni aveva immaginato con lui una vita piena di possibilità. Iniziò a piovere. Jillian si scostò i lunghi capelli biondi dal volto, decisa a lasciarsi il passato alle spalle per concentrarsi sul presente e sul futuro di Joe. Avrebbe dato a suo figlio quello che lei non aveva mai avuto: stabilità, sicurezza, una casa felice. Aveva già affittato un'adorabile villetta a mezzo chilometro da lì, su una tranquilla via residenziale, e trovato un lavoro fantastico all'Highlands Inn, uno dei migliori hotel sulla costa nord della California, dove si occupava di marketing e vendite. E, cosa migliore di tutte, aveva trovato una bravissima babysitter che le permetteva di andare al lavoro. La dolce Hannah era con Joe proprio in quel momento. Pioveva a dirotto, le raffiche di vento le scompigliavano i capelli e gonfiavano il suo maglione nero, ma il tempo impetuoso le piaceva, amava la sua intensità. Non poté fare a meno di sorridere davanti all'oceano, all'orizzonte sconfinato, immaginando le infinite possibilità della vita. «Hai intenzione di buttarti giù, Jill?» Una profonda voce maschile risuonò dietro di lei. 468
Smise di sorridere e si irrigidì per lo spavento, riconoscendo subito il leggero accento e il tono suadente. Vittorio. Non sentiva la sua voce da quasi un anno, ma era impossibile dimenticarla. Profonda e calma, aveva l'intonazione adatta a dominare la vita in ogni sua forma, ed era quello che faceva. Vittorio Marcello di Severano era una forza della natura, un essere umano che suscitava ammirazione o paura praticamente in chiunque. «Possiamo cercare delle soluzioni» aggiunse piano, così piano che Jillian si sentì rabbrividire e fece un passo indietro, avvicinandosi all'orlo della scogliera. Il suo piede incerto fece precipitare alcuni sassi dallo scosceso dirupo fino alla baia sottostante. A Jill il suono sembrò quello del suo cuore che si spezzava, e le si serrò la gola. Proprio quando si credeva al sicuro, quando pensava che non fossero in pericolo... Incredibile. Impossibile. «Non ne accetterei nessuna» rispose secca, voltandosi appena ma facendo attenzione a non guardarlo in faccia. Non era così stupida da posare gli occhi su di lui, men che meno incrociare il suo sguardo. Vittorio era un prestigiatore, un vero incantatore di serpenti, riusciva a convincere chiunque solo con il sorriso. Ecco quanto era bello e potente. «Non hai nient'altro da dirmi dopo tutti questi mesi passati a farti dare la caccia?» «Credo che ci siamo detti tutto, non penso di avere dimenticato nulla» ribatté lei, sollevando il mento con aria di sfida nonostante le tremassero le gambe. Oscillava tra la rabbia e il terrore. Vittorio era solo un uomo, tuttavia aveva la possibilità, e l'intenzione, di distruggere la sua vita se ne avesse avuto l'occasione. 469
E nessuno avrebbe potuto fermarlo. «Io invece penso di sì. Potresti provare a chiedere scusa» disse quasi con dolcezza. «Sarebbe un buon inizio.» Jillian raddrizzò le spalle e si fece scudo contro quella sua voce profonda e roca abbassando lo sguardo al collo. Che effetto avrebbe mai potuto farle? Eppure era impossibile guardare il suo collo, solido e abbronzato, senza vedere il mento squadrato o le ampie spalle coperte dal cappotto nero carbone. Ma anche solo limitandosi a quella zona ristretta, il suo stomaco sussultò, perché Vittorio aveva ancora tutte le sue caratteristiche irresistibili. Era di una fisicità incredibile e primordiale, il vero maschio alfa. Nessuno era più forte di lui, né più potente. Si era buttata nel suo letto poche ore dopo averlo conosciuto, e non lo aveva mai fatto prima. Anzi, non era nemmeno stata vicina a fare l'amore con qualcuno, ma c'era qualcosa in Vittorio che le aveva fatto abbassare la guardia. Con lui si sentiva al sicuro. «Se c'è qualcuno che deve chiedere scusa, sei tu.» «Io?» «Mi hai ingannata, Vittorio.» «Mai.» «E mi hai dato la caccia come a un animale per gli ultimi undici mesi» disse con tono secco e severo. Non aveva alcuna intenzione di arrendersi, né di implorare. Avrebbe combattuto fino alla fine. Lui alzò le spalle. «Sei tu che hai deciso di scappare. Avevi mio figlio, come pensavi che avrei reagito?» «Chissà che piacere ti dà avere tutto questo potere su donne e bambini indifesi!» replicò lei, alzando la voce per farsi sentire sopra la furia del vento e delle enormi onde che si abbattevano sulla spiaggia sottostante. «Sei tutt'altro che indifesa, Jill. Sei una delle donne 470
più forti e astute che abbia mai conosciuto, e hai l'abilità di un truffatore professionista.» «Non sono una truffatrice.» «Allora perché farsi chiamare April Holliday? E come hai fatto a creare una falsa identità? Servono molti soldi e le giuste conoscenze per fare quello che sei quasi riuscita a fare.» «Quasi. È quella la parola chiave, vero?» Alzò di nuovo le spalle. «Questo è un altro discorso. Adesso vorrei andare in un posto asciutto...» «Vai pure.» «Non vado da nessuna parte senza di te. Vieni via, mi spaventa vederti sul ciglio della scogliera» ribatté, tendendo la mano verso di lei. Jillian la ignorò e si concentrò invece sulla mascella scolpita, lo zigomo pronunciato, le labbra sensuali sopra al mento solido, e bastò a farla avvampare. «Sei tu che mi spaventi» rispose aspra, spostando in fretta lo sguardo, consapevole che quelle labbra l'avevano baciata ovunque, esplorando il suo corpo con un'accuratezza sconvolgente. L'aveva portata al suo primo orgasmo con la bocca e la lingua e si era sentita mortificata quando aveva urlato mentre veniva. Non aveva mai immaginato un piacere così intenso o sensazioni così forti, né che qualcuno potesse mandare il suo autocontrollo in mille pezzi. D'altronde, non aveva mai immaginato un uomo come Vittorio. Ma in realtà non era lui che temeva: aveva paura di se stessa quando era con lui. A Bellagio, Vittorio l'aveva distrutta. Era bastato uno sguardo a piegare la sua determinazione, un bacio a disintegrare la sua indipendenza. Dalla prima volta in cui avevano fatto l'amore, lei lo aveva voluto fin troppo, accorgendosi che lo desiderava più di chiunque altro prima d'allora. «Sei ridicola» commentò lui con tono esasperato. «Ti 471
ho mai fatto del male, ti ho mai toccata anche solo con una mano, se non per darti piacere?» Jillian chiuse gli occhi e vacillò. Nelle due incredibili settimane passate insieme era sempre stato gentile, dolce e passionale. È vero, a tratti era stato misterioso, ma lei aveva ignorato ogni dubbio e ascoltato il cuore. «No.» «Però sei scappata via. E peggio ancora, mi hai tenuto nascosto il mio unico figlio. Ti sembra giusto?» Lei non riuscì a rispondere perché quella voce seducente stava già annullando ogni sua difesa, come aveva fatto quando si erano conosciuti nella hall dell'albergo a Istanbul. Si erano presentati, avevano parlato un po', lui l'aveva invitata a cena e poi lei aveva perso completamente la testa. Aveva chiesto un'aspettativa al suo datore di lavoro per trasferirsi nella sua villa sul lago di Como. Aveva immaginato di essere innamorata benché non credesse nell'amore romantico, lo ritenesse una cosa stupida, distruttiva, fatta per chi era abbastanza ingenuo da crederci, non per gente come lei. Ma poi era arrivato Vittorio, e addio razionalità. Era più pericoloso di quanto si potesse immaginare. Li avrebbe annientati, lei e Joe. Ma Jillian non gli avrebbe mai lasciato prendere suo figlio, Joe non sarebbe mai diventato come Vitto. «Non è siciliano, Vittorio, è americano; inoltre è solo un bambino, ed è mio figlio.» «Sono stato paziente in questo anno, ti ho lasciato stare sola con lui, ma adesso tocca a me.» «No!» Jillian serrò i pugni, sul punto di perdere il controllo. «Non puoi averlo, mai e poi mai.» Oscillò sull'orlo della scogliera, consapevole che la pioggia aveva reso il terreno scivoloso e instabile, ma non aveva intenzione di cedere: meglio precipitare nel vuoto che permettere a Vittorio di prendere suo figlio. 472
Perché almeno lui era al sicuro con Hannah. La babysitter sapeva che, se fosse successo qualcosa a Jillian, avrebbe dovuto portare Joe da Cynthia, la sua compagna di stanza all'università che viveva a Bellevue, nello stato di Washington. L'amica aveva accettato di diventare tutrice di Joe se fosse stato necessario e Jillian aveva già fatto preparare i documenti per l'adozione, perché il suo più grande desiderio era che suo figlio crescesse in una famiglia amorevole, normale, senza legami con la criminalità organizzata. Non come la sua, né come quella di Vittorio. «Jill, dammi la mano, quella terra rischia di franare da un momento all'altro.» «Non importa, se serve a proteggere mio figlio.» «Proteggerlo da chi, cara? Da cosa?» La nota di preoccupazione nella sua voce le fece venire le lacrime agli occhi, e sentì stringersi il cuore. Si impose con tutte le sue forze di essere dura con lui. Non l'avrebbe ingannata un'altra volta, era cresciuta, era più astuta, e adesso era anche una madre. Avrebbe potuto evitare tutto questo se solo avesse saputo con chi aveva a che fare quando aveva accettato l'invito a cena di Vittorio, venti mesi prima. Ma non lo sapeva. Al contrario, lo aveva dipinto come il principe azzurro in sella al cavallo bianco e aveva pensato che l'avrebbe salvata, o che perlomeno l'avrebbe portata a una cena romantica e sfarzosa, facendole vivere una serata da principessa. La cena si era rivelata un idillio, l'aveva fatta sentire così bella e desiderabile che era finita subito a letto con lui. Ricordava ancora che incredibile amante fosse stato, ricordava la sua pelle liscia e calda tesa sui muscoli compatti e vigorosi, i suoi fianchi asciutti e i peli crespi e scuri alla base dello stomaco. Ricordava come la teneva ferma, facendole allargare le braccia, mentre entrava len473
tamente dentro di lei e poi usciva ancora più lentamente. Sapeva come usare il proprio corpo, e cosa fare con quello di una donna. Aveva padroneggiato quello di Jillian sin dalla prima volta. Per due favolose settimane, lei aveva sognato una vita insieme. È vero, a volte Vittorio riceveva telefonate a strani orari, ma lei le sminuiva dicendosi che era solo lavoro, dando la colpa al fuso orario, o pensando che essendo il presidente di una grossa multinazionale doveva lavorare a qualsiasi ora. Lui le aveva anche raccontato della sua società, e lei era rimasta colpita dalla recente acquisizione di tre prestigiosi hotel cinque stelle nell'Europa dell'Est, fantasticando sulla possibilità di lasciare il suo posto in Turchia per andare a lavorare per lui e aiutarlo a riorganizzare le nuove proprietà. Dopotutto, era esperta nella gestione alberghiera. Ma poi, il quattordicesimo giorno, una delle giovani domestiche di Vittorio aveva infranto le sue illusioni sussurrando la domanda: «Non ha paura del mafioso?». Mafioso. Quella parola le aveva gelato il sangue. «Chi?» aveva chiesto Jill, fingendo indifferenza mentre la domestica indicava con lo sguardo il bagno dove Vittorio stava facendo la doccia. «Il suo uomo» rispose la domestica, posando la pila di asciugamani bianchi che era venuta a portare. «Il signor di Severano.» «Non è...» «Sì. Lo sanno tutti.» Ed era scappata via come un topolino spaventato. Poi la realtà aveva preso forma. Ma certo, tornava tutto. Come aveva fatto a non arrivarci? La ricchezza smodata, il lusso sfrenato, le misteriose telefonate. Jillian era stata assalita dalla nausea. Con il cellulare aveva fatto una rapida ricerca su internet e il nome di Se474
verano aveva prodotto pagine e pagine di link, storie e fotografie. La domestica aveva ragione: Vittorio di Severano, di Catania, era un uomo molto famoso, ma per tutte le ragioni sbagliate. Jillian era fuggita il pomeriggio stesso, portando con sé solo il passaporto e la borsa. I vestiti, le scarpe e i cappotti avrebbe potuto ricomprarli, ma non la libertà, la sicurezza e la sanità mentale. Così aveva abbandonato l'Europa e tutti i suoi amici, svanendo nel nulla come se non fosse mai esistita. Sapeva come fare. Aveva imparato a dodici anni quando la sua famiglia era entrata nel programma di protezione testimoni del governo americano. Jillian era diventata Heather Purcell residente a Banff, in Canada, dove per quattro mesi aveva lavorato all'Hotel Fairmont sul lago Louise, nelle Montagne Rocciose canadesi. E lì aveva scoperto di essere incinta. «Dovevi immaginarlo che prima o poi ti avrei trovata» aggiunse lui con dolcezza. «Che avrei vinto io.» Intrappolata. La parola le balenò in mente con la potenza delle onde implacabili che si infrangevano sulla sabbia. Ma non si sarebbe arresa, non era da lei. La dura esperienza le aveva insegnato a essere forte, e da quando aveva scoperto di essere incinta aveva combattuto con tutta se stessa per proteggere suo figlio da una vita che lo avrebbe distrutto, perché lei conosceva quel genere di vita. Suo padre l'aveva vissuta, e aveva trascinato l'intera famiglia all'inferno con sé. «Non hai vinto» disse, battendo i denti. «Perché non hai Joe, e puoi anche torturarmi o uccidermi, o fare quello che fai di solito alla gente, ma non ti dirò mai dov'è.» «Perché mai dovrei farti del male? Sei la madre del mio unico figlio, sei preziosa per me.» «So cosa sono per te: superflua. Lo hai dimostrato 475
chiaramente undici mesi fa quando mi hai fatta inseguire dai tuoi scagnozzi.» «I miei uomini non sono degli scagnozzi, e sei tu ad avermi trasformato in nemico, cara, quando hai portato via mio figlio.» Vittorio indurì il tono per un istante, prima di addolcirlo di nuovo. «Ma sono disposto a mettere da parte le discordie per il bene di nostro figlio. Quindi, per favore, vieni qui, è pericoloso stare così vicino al precipizio.» «E stare con te, invece?» «Suppongo che dipenda dalla definizione che ne dai. Ma non mi interessa parlare di semantica, è ora di levarci da questo freddo.» E avanzando deciso verso di lei, allungò il braccio e la prese per mano. Ma Jillian non poteva, non voleva, lasciarsi toccare, né allora né mai. Si scostò con tale violenza che perse l'equilibrio, urlando mentre cadeva giù. Vittorio, dotato di riflessi scattanti, l'afferrò per il polso stringendo forte. Per una frazione di secondo, Jillian penzolò nel vuoto, sotto a lei solo la spiaggia e il mare in tempesta, poi avvolse le dita attorno al suo polso. Poteva salvarla. Voleva salvarla. Vittorio la sollevò oltre il ciglio, la rimise in piedi e la strinse a sé. Jillian fremette al contatto con il suo corpo. Anche da bagnato, era solido e possente, tanto che lei ci si accasciò contro desiderosa, bramosa di calore e sicurezza, e lui la strinse forte a sé. Per un istante, Jillian si chiese se provasse ancora qualcosa per lei, se potessero trovare il modo per crescere Joe assieme, poi la realtà si abbatté su di lei. Era impazzita? Aveva perso del tutto la ragione? Era fuori discussione. Non avrebbe mai permesso che Joe venisse trascinato nel mondo dei di Severano, ma in quanto primogenito di Vittorio era esattamente quello 476
che sarebbe stato preteso da lui, e da suo padre. Aveva il cuore a pezzi. «Non posso farlo, Vittorio» singhiozzò mentre lui le cingeva la vita con un braccio. «Non sarò parte della tua vita, non posso esserlo.» Lui le accarezzò la guancia, scostandole dal volto gelido i capelli biondi gocciolanti. Il caldo tocco della sua mano le provocò un brivido in tutto il corpo. «E cos'ha la mia vita che non va?» chiese, cupo. Per un istante, Jillian non riuscì a pensare a nulla. Cosa poteva succedere di male quando Vittorio l'abbracciava in quel modo e la faceva sentire così bene? Si sforzò di mettere assieme una risposta coerente. «Lo sai» sussurrò, ripensando al proprio padre, ai suoi legami con la criminalità di Detroit e alle terribili conseguenze che avevano subito, anche se chi l'aveva pagata più cara di tutti era sua sorella. «Spiegamelo.» «Non ci riesco.» Tremava contro di lui, sensibile a ogni punto di contatto tra i loro corpi: il petto contro il suo seno, le anche contro il suo bacino, le cosce contro le sue cosce. Era una sensazione meravigliosa e straziante al tempo stesso, il suo corpo l'amava, chiedeva molto di più, ma la sua mente si ribellava. «Perché no?» Le accarezzò i capelli spostandoli dietro le spalle in lunghe onde bagnate. Lei indietreggiò per guardarlo negli occhi. Fu un errore, perché le si fermò il cuore. Era bello, bellissimo. Ma anche letale. Poteva distruggerla in un batter d'occhio. «Sai chi sei» sussurrò. «Sai cosa fai.» Lui arricciò le labbra sensuali e carnose. «Si direbbe che mi hai processato e condannato senza darmi la possibilità di difendermi, perché sono innocente, cara. Non sono l'uomo che pensi.» «Neghi di essere Vittorio di Severano, capo della famiglia di Severano di Catania?» 477
«Non rinnego affatto le mie origini. Amo la mia famiglia e mi prendo cura di lei, ma da quando essere un di Severano è un reato?» Lei sostenne il suo sguardo. «La tua famiglia riempie le pagine di cronaca. Estorsione, ricatto, associazione a delinquere... e sono solo i reati minori.» «Ogni famiglia ha il suo scheletro nell'armadio.» «Ma la tua ne ha centinaia!» I suoi occhi castani scintillavano con screziature dorate. «Non insultare i miei familiari, sono le persone che rispetto di più. Sì, siamo un'antica stirpe siciliana, il nostro albero genealogico risale fino a mille anni fa. Non credo tu possa dire lo stesso, Jill Smith.» Il modo in cui pronunciò il suo nome la fece sentire una persona qualunque, da poco. Ma non era quello che intendeva dire? Lui era Vittorio di Severano, e lei non era nessuno. Ed era vero. Non aveva nessuno a cui rivolgersi che fosse abbastanza forte e potente da proteggerla: chi si sarebbe messo contro la mafia per lei? Chi avrebbe affrontato Vittorio, quando né il governo italiano né quello americano potevano fermarlo? Ma anche sapendo di non avere possibilità, doveva continuare a combattere. Che alternativa aveva, lasciare che Vittorio le portasse via Joe? Mai e poi mai. Quel pensiero la riportò alla realtà. Cosa stava facendo tra le sue braccia? Era una follia. Jillian si dimenò per riprendere il controllo. «Forse dimentichi» disse a denti stretti, «che qui siamo in America, non in Sicilia, e io non sono tua. Lasciami.» Lui la liberò e lei iniziò a indietreggiare, camminando alla cieca sotto la pioggia torrenziale, in direzione opposta alla sua casa perché non voleva assolutamente che la seguisse fin là. «Dove vai?» 478
«Riprendo la mia passeggiata, ho bisogno di fare un po' di movimento.» «Ti accompagno.» «No, grazie.» Ma lui la seguì lo stesso, anche se a passo più lento. Jillian, con un nodo in gola e mille pensieri in testa, camminava tra le pozzanghere schizzandosi di fango mentre pensava a come seminare Vitto. Non aveva il cellulare con sé, quindi non poteva chiamare Hannah per avvertirla; non aveva nemmeno il portafoglio, perciò non poteva prendere un taxi dal centro. Così continuò a camminare, mentre continuava a piovere e Vittorio continuava a seguirla. «Per quanto hai intenzione di proseguire, Jill?» le domandò lui mentre si avvicinavano a un semaforo e il sentiero diventava un marciapiede. «Finché non mi stanco» rispose, sperando che scattasse il verde prima che la limousine la raggiungesse. L'auto nera avanzò fino all'angolo e si fermò a metà svolta, bloccandole il passaggio sulle strisce pedonali. All'improvviso le portiere si aprirono e uscirono due guardie del corpo. In una situazione diversa avrebbe riso. Chi altri poteva avere dei bodyguard vestiti come modelli italiani? I suoi uomini indossavano completi eleganti, splendide scarpe e cinture di pelle, e occhiali da sole firmati all'ultima moda. Erano raffinati e impeccabili, e attiravano sempre l'attenzione di tutti. Ma lui ne era certamente consapevole, perché Vittorio Marcello di Severano non lasciava mai nulla al caso. Le guardie del corpo la osservavano attenti. Era chiaro che stavano aspettando il segnale del loro capo. «Falli spostare» disse Jillian, rivolgendosi a Vitto. «Ma li ho appena fatti fermare.» «Sì, ma così non riesco ad attraversare la strada.» 479
«Lo so, ma non possiamo camminare tutto il giorno, abbiamo cose da discutere, decisioni da prendere.» «Per esempio?» «Come gestire l'affidamento congiunto di nostro figlio.» «Non credo proprio. Lui è mio.» «E in che paese andrà a scuola.» «In America. È americano.» «E anche siciliano» ribatté lui con garbo. «E per metà è mio, non hai diritto di tenerlo separato da me.» «E tu non hai diritto di portarlo via da me.» «Cosa che non farei mai.» Si mise una mano sul petto. «Per fortuna mi sono già preso cura di tutto negli ultimi mesi, avvalendomi dei migliori avvocati americani e siciliani. Tutti i documenti sono pronti, li ho qui con me. Tu lo hai tenuto per i primi undici mesi, quindi i prossimi undici spettano a me.» «Cosa?» «Dobbiamo dividerlo equamente, cara, altrimenti rischi di perderlo del tutto.» «Mai!» «Ti dichiareranno madre indegna se cerchi di fuggire con lui un'altra volta, e non ti conviene infrangere gli ordinamenti del giudice se non vuoi annullare ogni possibilità di riottenere l'affidamento.» Jill lo fissò terrorizzata. «Ti stai inventando tutto.» «Non ti mentirei mai, non l'ho mai fatto. Se entri in macchina, ti mostro i documenti all'asciutto.» A sentire lui era tutto molto semplice. Bastava che entrasse in macchina, guardasse i documenti... Forse pensava che si fosse dimenticata del potere che aveva, e di quanto lei lo considerava seducente. Se avesse fatto quel piccolo passo, avrebbe rischiato di perdere la sicurezza, e la ragione, per sempre. Jillian deglutì con fatica, i sensi già sovraccarichi. 480
Vittorio, alto e massiccio, era innegabilmente attraente, ma non era solo il suo corpo che l'aveva fatta innamorare venti mesi prima. Era anche un uomo geniale, con ogni probabilità il più intelligente che avesse mai conosciuto e quello con cui aveva avuto le conversazioni più piacevoli. Rivederlo le aveva ricordato che non era mai stata immune al suo fascino. «Non mi fido di te» disse, la voce rotta dall'emozione. «Ecco il nocciolo della questione.» «Non prendermi in giro.» «No. Ma la tua mancanza di fiducia ha causato a entrambi enormi problemi.» Lei distolse lo sguardo, mordendosi il labbro così forte che lo fece sanguinare. «Voglio vedere i documenti, ma non entrerò in macchina» disse reprimendo ogni emozione. «Non cercare di obbligarmi.» Vittorio stava ancora camminando verso di lei e infilò le mani nelle tasche del cappotto nero. «Non volevo arrivare a questo, cara, non volevo usare le maniere forti.» Era a solo un passo di distanza e Jillian si spostò di lato. Lui la superò, dirigendosi verso la portiera dell'auto. «Ma se insisti» aggiunse con un'eloquente alzata di spalle, «non mi dai alternativa.» Vittorio chinò il capo e si sistemò sul sedile posteriore della limousine con i vetri oscurati. Jillian vide le guardie del corpo salire a loro volta. Non l'avrebbero inseguita, allora, l'avrebbero lasciata in pace. Avrebbe dovuto provare sollievo, e invece si sentì soffocare dalla paura. C'era qualcosa che non andava, perché Vittorio non si sarebbe mai arreso, e se la stava lasciando andare poteva significare solo che aveva già vinto. Aveva trovato Joe. Aveva suo figlio. Si precipitò verso la macchina, bloccando la portiera 481
prima che potesse chiudersi. «Che cosa hai fatto?» Vittorio la guardò dall'interno dell'auto. La luce gialla induriva i suoi tratti, facendo sembrare i suoi occhi quasi neri e dandogli un'espressione crudele. «Te la sei cercata.» «Voglio solo che mio figlio stia con me. Voglio...» «No, hai avuto la tua possibilità e l'hai sprecata. Hai detto che volevi stare da sola, e ora sei sola.» Jillian non ricordava di essersi mossa né gettata su di lui, ma all'improvviso si ritrovò sul sedile di pelle nera e l'auto era partita, e lei era di fianco a Vittorio con i due scagnozzi seduti di fronte a loro. «Datti una calmata. Joseph sta bene, è in mia custodia e, con il permesso del giudice, prenderà l'aereo per Paternò insieme a me questa sera.» In preda al panico, Jillian scrutò negli occhi di Vittorio per cercare la verità. «Stai bluffando.» «No, cara, non è un bluff. Abbiamo pranzato insieme poco fa. È un bimbo adorabile e intelligente, però, se fossi in te, non lo vestirei di giallo, non gli dona.» Per un attimo, Jillian non riuscì a respirare né a pensare. Si sentì congelare dentro e morire poco a poco. Quella mattina aveva messo a Joe una maglietta giallo oro e dei carinissimi jeans da bebè. Era come un piccolo sole e le aveva fatto venire voglia di sorridere e dargli un bacio sul collo che profumava di dolce. «Cosa gli hai fatto?» «Oltre a fargli preparare un pasto sano prima di metterlo a dormire? Niente. Perché, avrei dovuto?» «Vittorio.» Aveva la voce fioca. «Non è un gioco.» «Sei stata tu a iniziare, Jillian, la colpa è solo tua.» «E Hannah?» chiese. «È con lui?» «Sì, ma non ti serve più. Assumeremo una balia in Sicilia, qualcuno che possa aiutarci a insegnare a Joseph la sua lingua madre.» 482
«Ma Hannah è brava...» «Lo so. È stata un'ottima dipendente, ha fatto tutto quello che le ho domandato.» Jillian fu attraversata da un'orrenda sensazione di freddo che le fece venire i conati. «Cosa significa, quello che le hai domandato?» Vittorio incurvò le labbra, e il suo bellissimo volto si indurì. «Lavorava per me. Ma ovviamente non lo avresti dovuto scoprire.»
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Il dottor Dante Gates è una star della TV dove spiega la Chimica della Seduzione. Quando, però, applica le sue teorie al rapporto con la sua migliore amica Harper Livingston la realtà si rivela più complicata del previsto. Il Dottor Sexy avrà una ricetta per quando le cose nella pratica vanno in maniera tanto diversa dalla teoria?
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