ROSE RAVEN
Ricatto a regola d'arte
Ricatto a regola d'arte © 2021 Rose Raven Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. Harmony è un marchio registrato di proprietà HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved. © 2022 HarperCollins Italia S.p.A., Milano Prima edizione I Grandi Storici Seduction febbraio 2022 Questo volume è stato stampato nel gennaio 2022 da CPI Black Print, Spagna, utilizzando elettricità rinnovabile al 100% I GRANDI STORICI SEDUCTION ISSN 2240 - 1644 Periodico mensile n. 138 del 22/02/2022 Direttore responsabile: Sabrina Annoni Registrazione Tribunale di Milano n. 556 del 18/11/2011 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distribuzione canale Edicole Italia: m-dis Distribuzione Media S.p.A. Via Carlo Cazzaniga, 19 - 20132 Milano HarperCollins Italia S.p.A. Viale Monte Nero 84 - 20135 Milano
Prologo
Bologna, Palazzo Gozzani, 1600 Lo spazio infinito di una tela bianca le provocava sempre un misto di panico ed ebbrezza. La tela era un luogo sconfinato, senza principio e senza fine, bianco come il deserto, un universo privo di stelle, senza nulla a cui rivolgere lo sguardo per aggrapparsi salda a una direzione da seguire. Quello era il potere che sentiva quando prendeva un pennello in mano. Una paura inebriante connessa all'ansia di perdersi e di non ritrovare la strada, vagando senza meta lungo quello spazio infinito. Lavinia fissò la tela vergine e, prima di intingere le setole nel colore, chiuse gli occhi e sospirò. Sapeva bene che una volta sfiorata la superficie, una minuscola pennellata avrebbe indicato per sempre l'origine di un disegno più grande, il punto cardinale a cui fare riferimento, da cui far partire il resto. Poi, Lavinia disegnò una traccia azzurra e la osservò. In fondo, anche lei si sentiva così: una macchia di colore in uno spazio bianco. Era già in età da marito, ma sperava ancora nella possibilità di avere una scelta, di decidere da sola 5
il proprio destino. Peccato che proprio quel giorno fosse stata turbata dalla notizia che presto qualcuno avrebbe disegnato il futuro al suo posto. Lavinia non era come le altre. Pur di non sottomettersi a una decisione altrui, avrebbe preferito fuggire lontano senza una meta precisa. Tuttavia, aveva già imparato a proprie spese quanto ogni scelta priva di confini portasse inevitabilmente alla perdizione. Era successo a sua madre. Si era innamorata di un uomo sposato. Aveva perso il lavoro quando era rimasta incinta ed era fuggita per non rovinargli la vita, ma poi si era ridotta alla fame, fino alla morte. Era questo che l'avrebbe attesa, se fosse fuggita davvero, dalla casa che in fondo l'aveva accolta? Come avrebbe mai potuto sopravvivere da sola? Guardò fuori dalla finestra. Al di là del vetro, il rosso dei tetti di Bologna si mescolava al riflesso di quella stanza rischiarata appena dalla luce fioca delle candele. A quell'ora, ogni cosa appariva assopita nel buio, persino l'aria. Tutto tranne la luna, che vegliava sui palazzi sorridendo a coloro che restavano svegli a lungo. Lavinia sapeva che l'unica fuga sicura era quella nello studio di suo padre. Ci andava di notte, per dipingere. Suo padre era il solo a conoscere il suo segreto e, in genere, tutto ciò che di lei non poteva essere rivelato a nessun altro. Gli occhi della giovane tornarono alla tela e, mentre la sua mano pallida e schiva scivolava lentamente disegnando i contorni di un viso, lanciarono un'occhiata veloce allo 6
specchio che si trovava lì accanto. Quando vuoi esercitarti, usa uno specchio, le aveva detto suo padre, è il miglior alleato di un ritrattista. Potrai osservare ogni dettaglio del tuo viso e del tuo corpo, per ritrarne alla perfezione la bellezza anche senza che qualcuno posi per te. Era da tempo che nessuno posava per lei. Ed era impossibile che qualcuno potesse farlo, ormai, da quando aveva lasciato la bottega del padre, dove era cresciuta sotto mentite spoglie, per andare a vivere a Palazzo Gozzani, come una signorina perbene. Suo padre aveva fatto di tutto per aiutarla a sopravvivere, ma non l'aveva mai riconosciuta come figlia, e questo perché la sua nascita era stata il dono imprevisto di un amore illegittimo e segreto. Suo padre era Prospero Reni, uno dei più illustri pittori di Bologna. La sua fama era pari a quella dei suoi colleghi più noti, i Carracci, e poteva vantare una squadra di apprendisti numerosa, anche se non aveva mai ritenuto opportuno istituire una scuola presso la sua bottega. La sua carriera era iniziata molto presto, ma in cuor suo sapeva quanto il favore della moglie, Elisabetta Gozzani, ricca ereditiera imparentata con le più floride famiglie del bolognese, l'avesse aiutato a farsi un nome tra i committenti più prestigiosi. Da lei dipendeva non solo la sua fortuna, ma anche la sua reputazione. Per questo, quando anni prima una donna si era presentata in bottega accompagnata da una ragazzina, il panico l'aveva subito investito. Lavinia non avrebbe mai dimenticato il momento in cui aveva conosciuto il padre, ma, più di ogni altra cosa, non poteva dimenticare l'odore che l'aveva colpita appena varcata la soglia della sua bottega. 7
Quello era stato il giorno in cui Lavinia aveva conosciuto le due cose che più di tutto, almeno fino a quel momento, aveva amato nella sua vita: gli occhi buoni di suo padre e il profumo intenso dei colori. Più tardi, avrebbe anche imparato i loro nomi.
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Bologna, Bottega Reni, dieci anni prima Prima di bussare, sua madre rimase qualche minuto a guardarla negli occhi. Il suo volto, seppure ancora giovane, era segnato dai colori della sua malattia. Le occhiaie scure, livide e violacee, le labbra pallide come gigli, le vene bluastre come fiumi pronti a straripare e quei contorni così purpurei delle palpebre, ormai appesantite dalla stanchezza. Sua madre le porse una mano. Lavinia temeva sempre di stringerla, perché le sue dita erano così gelide e sottili che avrebbero potuto spezzarsi, come i sottili candelotti di ghiaccio che pendevano al mattino dai cespugli. «Busso io?» chiese, ma sua madre aveva scosso la testa, colpendo il portone con il pugno chiuso Lavinia sapeva ogni cosa. Sapeva che era lì per restarci, in un modo o nell'altro. Sapeva che sua madre l'avrebbe lasciata perché non poteva più prendersi cura di lei. Sua madre non era cattiva, era solo povera. «Un tempo ero così bella che i volti delle Madonne e9
sposte in giro erano tutti ispirati a me» le aveva detto una volta. «Che significa?» aveva domandato Lavinia. «Che tutti i pittori della zona facevano a gara per avermi. Posavo per loro.» «E poi che è successo?» «Ho messo al mondo te.» Lavinia era convinta che il solo fatto di essere venuta al mondo avesse portato scompiglio nella vita di molte persone. Sua madre non gliel'aveva mai rinfacciato, ma lei lo aveva letto nel suo sguardo molte volte, e comunque sentiva di avere un certo talento nel cogliere i dettagli sui visi delle persone. Quando la porta si aprì, un giovane garzone apparve sulla soglia, guardandole appena. «Maestro!» gridò. «C'è una donna con un ragazzino!» Poi si rivolse nuovamente a loro. «Che cosa volete?» domandò. La voce di Prospero Reni si sentì attraverso la porta. «Chi?» si informò da lontano. Il garzone alzò le spalle. «Sei uno dei nuovi apprendisti?» chiese a Lavinia, che si limitò a sollevare lo sguardo verso la madre. Quel garzone l'aveva appena scambiata per un ragazzino. Ma in fondo non aveva tutti i torti: sua madre le aveva rasato i capelli e le aveva fatto indossare il vecchio mantello del nonno che le arrivava fino ai piedi. «Devo parlare con Prospero» disse la donna, «fammi entrare. Si congela, qui fuori.» Il garzone attese un momento, poi rientrò in bottega. 10
«E tu copriti» le disse sua madre, «mettiti questo.» Dopodiché le annodò un fazzoletto sulla testa, prima di rivolgere di nuovo lo sguardo alla porta. Era appena apparso un uomo. «Non accetto più apprendisti, per adesso» disse, «tornate fra qualche mese.» Ma poco prima di chiudere la porta, incrociò lo sguardo della donna. Lavinia lo osservò, sembrava essersi fatto di pietra. «Continua a lavorare» ordinò l'uomo al garzone che fissava la scena senza capire, poi si rivolse a entrambe, sbirciando subito dopo la bambina. «Entrate» mormorò a bassa voce. Lavinia avanzò per prima. Si guardò intorno meravigliata, attratta dall'odore che inebriava l'aria, così intenso che quasi le sembrò di poterlo toccare. Osservò la polvere che gravitava nella stanza: il pulviscolo vorticava a lungo per poi posarsi lieve sulle tele accatastate in ogni dove. Ognuna di loro sembrava custodire un segreto. Quando si avvicinò per sbirciarle, quell'uomo alzò la voce. «No!» Lavinia ritirò subito il braccio. Ma non era a lei che quell'uomo si rivolgeva. «Non posso occuparmene, Artemisia. Sai bene perché» disse alla donna. Lei lo pregò con le lacrime agli occhi. «Ti supplico, non ha che te al mondo» replicò, prima di riprendere a tossire. «Non fatela agitare, signore» lo rimproverò Lavinia, snodandosi il fazzoletto dalla testa e porgendolo alla madre. L'uomo la fissò con gli occhi carichi di stupore, e un mo11
to di compassione incrinò la sua aria risoluta. «Non avevo idea che le tue condizioni... perché non me l'hai detto prima?» domandò alla donna. «Avrebbe fatto differenza?» L'uomo non rispose. «Appunto» continuò lei. Lavinia li osservò. C'era un dipinto proprio alle spalle di sua madre, il cui soggetto era una Venere seduta a una fontana. Non riuscì a fare a meno di notare quel tono intenso delle labbra scarlatte e il nero profondo di uno sguardo malinconico che conosceva molto bene. «Quella sei tu?» chiese a sua madre. La donna si limitò a tamponarsi le lacrime, pronunciando con un filo di voce: «Anch'io non ho altra scelta», dopodiché abbracciò la figlia e corse via. Lavinia la vide sparire oltre la soglia. L'uomo la seguì, ma non riuscì a raggiungerla. Poi guardò quella ragazzina senza un capello in testa, rimasta lì da sola a fissare il dipinto di una donna che non esisteva più. Non poteva piangere. Lo aveva promesso a sua madre. Così restò in silenzio, davanti a quell'uomo che continuava a fissarla, con gli occhi bassi e inumiditi dalla tristezza. Lui non aveva il coraggio di cacciarla via. «Tu sai chi sono io?» le chiese poi. Lavinia alzò le spalle. «Mia madre ha detto che mi avrebbe lasciata da mio padre» disse, «siete voi?» L'uomo sospirò. Era stato innamorato di quella donna, l'aveva amata sul serio. Poi lei era sparita. «Io ho una moglie» le rispose, «ho una famiglia. Non posso tenerti con me.» Se Prospero Reni avesse potuto dipingere in quel mo12
mento lo sguardo di Lavinia, avrebbe usato lo stesso identico tratto con cui aveva disegnato il volto della madre tante volte. Riconosceva nei lineamenti di quella ragazzina la stessa dolcezza della donna che gli aveva fatto conoscere l'amore, quello vero, che arriva solo una volta nella vita. «Dove vivete tu e tua madre?» le chiese. Lavinia ruotò i suoi occhi bruni e rotondi verso quelli del padre. «A casa del nonno» rispose, «ma ora è morto» aggiunse con lo sguardo fermo su di lui. «Devi tornarci. Devi stare con tua madre. Io non...» «Morirà anche lei. Muoiono tutti in quel posto. Lo so come vanno certe cose» continuò la ragazzina. Poi si guardò intorno. «So lavorare, signore. Mio nonno mi ha insegnato alcuni mestieri.» «Ma tu sei... sei una...» «Non mandatemi via, vi prego. Posso rendermi utile» insistette lei, «come loro.» Allungò il braccio verso gli apprendisti. «Posso farlo. So che posso farlo.» E improvvisamente si avvicinò a un bancone e afferrò un pennello. Lo bagnò in una ciotola d'acqua posta lì vicino e poi imitò uno degli apprendisti che aveva adocchiato poco prima, intingendo la punta del pennello sulla tavola piena di macchie e colori incrostati. «Usa questa» le suggerì il padre, porgendole la sua tavolozza. Era senza dubbio incuriosito dalla gestualità sicura della bambina, da come ruotava il polso per simulare il tratto che aveva visto eseguire agli altri allievi, dal volto che tratteggiò, semplice, appena abbozzato, ma con due occhi che custodivano la luce della vita. L'uomo sospirò. «Va bene, fermati» le disse, poi le sfiorò il mento, solle13
vandole il volto. «Perché sei combinata in questo modo?» le chiese. «I pidocchi» rispose Lavinia, senza mollare il pennello, «mi hanno tagliato i capelli l'altro ieri.» L'uomo sospirò un'altra volta. «Ascoltami bene. Andrò a cercare tua madre, nel frattempo puoi restare qui. Mi sembri sveglia. Se non ti fai notare troppo in giro, puoi lavorare insieme agli altri» mormorò in preda al dubbio e all'incertezza, «ma bada bene. Non devi dirlo ad anima viva. Né che sei una femmina» aggiunse abbassando la voce, «né che sei mia figlia. Hai capito?» Lavinia annuì. Ancora non sapeva che in realtà, da quella bottega, non sarebbe più andata via.
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A nozze con un libertino ELLA QUINN LONDRA,
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Ricatto a regola d'arte ROSE RAVEN ROMA,
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Sensuale vendetta SARAH RODI BRITANNIA,
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