Louise Fuller
è da sempre una persona fuori dagli schemi: da bambina non amava il colore rosa, che tutte le sue amiche ovviamente adoravano, e sognava di potersi trasformare in un principe piuttosto che in una principessa, mentre ora che è diventata adulta costruisce meravigliose storie d'amore intorno a donne forti, determinate, dalla spiccata personalità . Prima di diventare scrittrice ha studiato lettere e filosofia, quindi ha lavorato come reporter per un quotidiano locale. Louise vive a Tunbridge Wells con il suo bellissimo marito e i loro sei adorabili figli.
LOUISE FULLER
Ricatto e seduzione
Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: Blackmailed Down the Aisle Harlequin Mills & Boon Modern Romance © 2017 Louise Fuller Traduzione di Erika Nessi Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Books S.A. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. Harmony è un marchio registrato di proprietà HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved. © 2018 HarperCollins Italia S.p.A., Milano Prima edizione Collezione Harmony gennaio 2018 Questo volume è stato stampato nel dicembre 2017 da CPI, Barcelona COLLEZIONE HARMONY ISSN 1122 - 5450 Periodico bisettimanale n. 3239 dello 05/01/2018 Direttore responsabile: Chiara Scaglioni Registrazione Tribunale di Milano n. 22 del 24/01/1981 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - Via Mondadori, 1 - 20090 Segrate (MI) Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 045.8884400 HarperCollins Italia S.p.A. Viale Monte Nero 84 - 20135 Milano
1 La festa era affollata e chiassosa. La gente ballava in ogni angolo, ridendo e alzando le braccia in aria. Tutti si stavano divertendo, tranne Daisy Maddox. Appoggiata al muro, con i capelli biondi illuminati dalle luci stroboscopiche, se ne stava in disparte, osservando con occhio critico la sala. Nessun luogo al mondo era vivo come Manhattan a notte fonda e nessun posto era più alla moda della Fleming Tower, il sottile grattacielo in vetro e acciaio di proprietà del capo di suo fratello David: Rollo Fleming, magnate milionario e organizzatore di quella festa. Daisy sospirò. Era proprio un gran bel party, se solo avesse fatto parte degli invitati! Soffocando uno sbadiglio, osservò la propria uniforme. Per lei, che doveva servire invece i calici di champagne, quello era soltanto l'ennesimo turno di lavoro. Non le piaceva lavorare come cameriera, a prescindere dalla bellezza del luogo o degli invitati. Lanciò uno sguardo al ragazzo che le era stato addosso per tutta la serata. Magro, moro e affascinante, era esattamente il suo tipo. In una situazione normale avrebbe flirtato un po', ma quella sera aveva fatto fatica persino ad accorgersi della sua presenza. «Dai!» Lui le sorrise speranzoso. «Solo un bicchiere non potrà fare del male!» 5
Alle sue spalle Joanne, un'altra cameriera, alzò gli occhi al soffitto. Daisy fece un respiro profondo. Sei mesi prima si era trasferita nell'appartamento di David sperando di sfondare a Broadway solo che, esattamente come il resto della sua vita, le cose non erano andate secondo i piani previsti e i suoi sogni si erano infranti in una sequela di audizioni e rifiuti. Tuttavia gli anni alla scuola di recitazione non erano stati vani pensò mentre, abbozzando un'espressione delusa, rispondeva con un sorriso di rammarico: «È molto carino da parte tua, Tim, ma non posso. Te l'ho già detto. Non bevo mentre lavoro». Indicò poi con lo sguardo la propria uniforme, ma il ragazzo non sembrava aver accettato quella risposta. «Mi chiamo Tom, non Tim. Dai, solo un bicchiere! Prometto che non lo dirò a nessuno.» Ridacchiò. «Il grande capo non è qui a sgridarti.» Il grande capo era Rollo Fleming. Daisy fu percorsa da un fremito nel ricordare la foto del suo viso affascinante che faceva capolino con aria sprezzante dal sito web della Fleming Organisation. Era proprio vero. Nonostante il fatto che la festa fosse stata organizzata nel suo grattacielo e per il suo staff, Rollo aveva preferito non parteciparvi. Voci di corridoio dicevano che si sarebbe presentato all'improvviso. Qualcuno sosteneva addirittura di averlo visto nell'atrio. Daisy era invece certa che non sarebbe venuto. Rollo Fleming si trovava a Washington per affari e quando avesse fatto ritorno la festa sarebbe stata già conclusa, pensò, lanciando un'occhiata furtiva all'orologio al muro. «Quindi lavori per lui?» chiese una voce femminile, Sorpresa, si voltò e vide Joanne che osservava Tom incuriosita. Annuì. «Sì, da circa un anno.» 6
«Davvero?» le chiese Joanne stupita. «Lui è davvero bellissimo. Com'è di persona?» Quella domanda era rivolta a Tom, ma Daisy dovette mordersi la lingua per evitare di rispondere. Le ore passate a navigare sul web l'avevano resa la più esperta conoscitrice di Rollo Fleming. Non che ci fosse molto da sapere, dato che rilasciava raramente interviste, e a eccezione delle foto che lo ritraevano con svariate modelle, la sua vita privata non era molto documentata. Tom fece spallucce. Sul viso comparve un misto di timore e ammirazione. «Non lavoro a stretto contatto con lui, ma per quanto riguarda gli affari ha il tocco di re Mida. Inoltre, si becca tutte le donne più belle.» Aggrottò la fronte. «Però è anche inquietante. Intendo dire che lavora come un pazzo e ha manie di controllo. Conosce tutto quello che succede, ogni singolo dettaglio! Ed è ossessionato dall'onestà...» Fece una pausa. «Un giorno ero con lui a una riunione quando è sorto un problema. Qualcuno aveva cercato di insabbiarlo e lui si è arrabbiato. Diciamo solo che nessuno desidererebbe mai averlo contro.» Daisy provò un nodo allo stomaco. Le parole di Tom confermavano tutto quello che David le aveva già riferito. Rollo Fleming era uno stakanovista esigente e un donnaiolo impenitente, in pratica una versione potenziata del suo ex, Nick, esattamente il tipo di uomo che detestava. Alzando lo sguardo si lasciò sfuggire un sospiro, non per colpa del ricordo della sua ultima relazione fallita ma per le lancette dell'orologio: il suo turno era quasi finito. In una serata qualunque si sarebbe sentita sollevata, ma quella notte era diversa. Quella notte sarebbe stata la prima, e sperava anche l'ultima, in cui avrebbe dovuto scegliere tra infrangere una promessa o la legge. «Stai bene?» Joanne le diede una gomitata. «Hai un aspetto alquanto malaticcio.» 7
Daisy deglutì. Si sentiva esattamente in quel modo. Il solo pensare a quello che stava per compiere le faceva venire la nausea. Si sforzò di sorridere. «So che questa è la città che non dorme mai, ma qualche volta vorrei tanto che New York andasse a letto presto.» «Senti...» Joanne si guardò intorno poi abbassò la voce. «Perché non torni a casa? Finisco io qui.» Daisy scosse il capo. «Sono solo stanca. Non voglio piantarti in asso.» «Non è vero. Smettila di far finta di stare bene.» Daisy esitò. Odiava dover mentire a Joanne, specialmente quando era così gentile con lei. Tuttavia non poteva dirle la verità. Stava ancora cercando di venire a patti con se stessa. Riandò con la mente a quattro giorni prima quando, una volta ritornata all'appartamento di David, l'aveva trovato in lacrime. Dopo molti sforzi le aveva confessato di avere un problema con il gioco d'azzardo. Solo che non era un semplice problema: a quanto pareva, infatti, scommetteva e perdeva denaro da mesi e i suoi debiti erano ormai fuori controllo. I loro genitori avevano insegnato a entrambi l'importanza di vivere con i propri mezzi. I debiti erano però l'ultimo dei problemi di David. Facendo cadere alcuni fogli nell'ufficio di Rollo Fleming, infatti, aveva notato un orologio di marca sul pavimento. Non si era quindi limitato a guardarlo e basta, ma l'aveva preso e se l'era pure intascato, sperando di poterlo vendere per ripagare i propri debiti. Una volta tornato a casa, però, si era reso conto di quello che aveva fatto ed era crollato. Daisy aveva quindi dovuto promettergli che l'avrebbe rimesso al suo posto. Quel pensiero la riportò alla realtà. Abbozzò una smorfia. «In effetti non mi sento molto bene. Forse è meglio che vada. Grazie, Joanne, sei un tesoro.» L'amica annuì. «Sì, lo sono, ma non esagerare con i ringraziamenti: martedì dovrai coprire il mio turno. 8
Cam mi vuole portare fuori a cena, è da sei mesi che stiamo insieme!» Anche lei avrebbe desiderato avere un appuntamento, rifletté Daisy mentre si faceva strada tra gli invitati alticci per raggiungere l'ingresso deserto. Certo, il requisito sarebbe stato quello di avere un ragazzo, ma giusto cinque settimane prima Nick aveva deciso di aver bisogno all'improvviso dei propri spazi. Spazi! Si fermò tristemente davanti all'ascensore. Romeo non aveva mai detto a Giulietta di aver bisogno di spazi. Fissò il proprio riflesso sulla porta d'acciaio lucido. Tutti gli uomini erano inaffidabili ed egoisti o, più probabilmente, era lei che non riusciva a comprenderli. A ogni modo, ne aveva abbastanza. Nel prossimo futuro sarebbe rimasta felicemente single. Infilando una mano nell'ampia tasca del proprio grembiule estrasse un tesserino magnetico e osservò la foto del fratello. Per fortuna aveva David: lui era sempre al suo fianco, la aiutava a prepararsi per le audizioni e le aveva anche trovato quel lavoro da cameriera. Fece strisciare la tessera e rimase senza fiato quando la spia verde si illuminò e le porte si aprirono lentamente davanti a lei. Gli doveva ogni cosa. Ora aveva finalmente l'occasione per potersi sdebitare. Le tremavano le mani. Ce l'avrebbe fatta? Esitò per un secondo. Il pensiero di David che l'aspettava all'ingresso e il sollievo sul suo volto quando fosse tornata da lui la incoraggiarono ad avanzare. Nell'ascensore venne sopraffatta dalla paura e dal panico, ma in men che non si dica le porte le si aprirono davanti e con il cuore che batteva all'impazzata si avviò lungo un corridoio buio. David le aveva indicato quale fosse l'ufficio di Rollo. Ticchettando delicatamente sul pavimento in parquet attraversò la sala di ricevimento e si fermò di fronte a una porta di legno. Rimase a fissarla in silenzio. Non c'era alcuna targa identificativa, nulla che po9
tesse distinguerla dalle altre. Si chiese quale fosse il motivo. Sembrava un atto stranamente modesto per un milionario che non faceva nulla per nascondere di ritenersi non solo un uomo d'affari, ma anche un costruttore d'imperi finanziari. Dopotutto, un uomo come Rollo Fleming non aveva certo bisogno di presentazioni, a maggior ragione in un grattacielo che portava il suo stesso nome. Daisy si sentiva come se stesse per entrare nella tana del lupo. Ma il lupo non era in casa e quando fosse tornato lei se ne sarebbe andata già da un pezzo. Facendo quindi un respiro profondo, strisciò nuovamente il tesserino e aprì la porta. L'interno era silenzioso e buio. Attraverso le finestre, si intravedeva il panorama familiare della città illuminato da mille luci. Rimase a osservarlo meravigliata. Rollo Fleming godeva davvero della vista più spettacolare di New York. Tuttavia, ogni minuto trascorso in quell'ufficio avrebbe aumentato il rischio di essere sorpresa e perciò, spronata da quella prospettiva, fece inconsciamente un passo in avanti. «Ahi!» Il suo ginocchio aveva colpito qualcosa di duro nell'oscurità, ma quel dolore venne presto dimenticato non appena si rese conto che quella strana cosa aveva cominciato a tremare. Con il cuore in gola allungò una mano nel tentativo di evitare che quell'oggetto cadesse. Era però troppo tardi: un rumore sordo echeggiò nell'ufficio. «Brava Daisy...» borbottò sottovoce. «Perché già che ci sei non accendi anche qualche fuoco d'artificio?» Digrignando i denti, si piegò e si massaggiò con cautela il ginocchio. All'improvviso raggelò: dall'altro lato della porta giunse il rumore chiaro e inconfondibile di passi in avvicinamento. Rallentarono e si fermarono. Il cuore di Daisy batteva all'impazzata. Sollevò il capo 10
non appena la porta si spalancò e la stanza venne invasa dalla luce. Per un lungo attimo rimase ad aspettare, sperando e pregando che, come lei non riusciva a vedere chi fosse, la stessa cosa accadesse alla persona che era appena entrata nella stanza. Quella speranza venne però cancellata da una voce, fredda e profonda, che ruppe il silenzio. «Ho avuto una giornata lunga e deludente, quindi spero per il tuo bene che tu abbia una buona scusa che giustifichi la tua intrusione.» Daisy sbatté le palpebre. Quelle parole le avevano fatto provare un fremito lungo la schiena, ma non fu nulla a confronto dello sgomento che ebbe nel riconoscere il viso dell'uomo che si trovava davanti alla porta aperta. Rollo Fleming sarebbe dovuto essere a Washington, per affari. Tuttavia, a meno di non avere delle allucinazioni, quelle indiscrezioni non erano vere. L'essere rimasta abbagliata dalla bellezza che aveva davanti agli occhi l'aiutò a non cadere nel panico. Sullo schermo e sui giornali, Rollo Fleming era stupendo come una star del cinema, eppure in carne e ossa il suo fascino era ancora maggiore, enfatizzato da un'aria decisa e mascolina che la fece arrossire. Non era però il suo tipo, pensò in fretta. Era troppo biondo, troppo posato, troppo freddo. Era solo a causa dello shock che non riusciva a smettere di guardarlo. Con i tratti del volto decisi e i capelli corti e biondi, non somigliava affatto a un magnate milionario. Solo la giacca palesemente molto costosa faceva presagire che fosse più ricco del PIL di qualche piccolo stato. Quando la guardò dritto negli occhi, raggelò. I suoi occhi erano straordinari: chiari e verdi, brillanti come il vetro. Tuttavia, fu la bellissima curva delle labbra carnose ad attrarre la sua attenzione. Immaginò quella bocca piegarsi in un sorriso seducente... Sobbalzò. Non stava affatto sorridendo. Aveva piut11
tosto le labbra serrate, che rispecchiavano la rigidità minacciosa dell'intero corpo che bloccava l'uscita. Daisy scrutò nervosa l'ufficio, cercando altre vie di fuga. Tuttavia, nonostante quella stanza fosse enorme, non c'era un'altra uscita. Era in trappola. Fremette. Non sarebbe dovuta andare a finire in quel modo. Non era pronta per affrontarlo o fornire delle spiegazioni. Non poteva far altro che improvvisare. «Io... io posso spiegare» balbettò. «Allora ti suggerisco di cominciare a farlo.» Sembrava un attore sul palcoscenico: il viso illuminato dalla luce era impassibile, ma il tono minaccioso della voce la fece tremare. «Basta che sia breve e conciso. Come ho già detto, ho avuto una lunga giornata... Daisy.» Notò che aveva pronunciato il suo nome dolcemente, quasi con affetto, prima che la sua mente potesse rendersi conto del fatto che lui sapesse come si chiamava. Alzando lo sguardo lo fissò scioccata, mentre lui scuoteva il capo con sdegno, osservando il tesserino appuntato sulla sua divisa. «Quindi è proprio il tuo nome. Pensavo che l'avessi rubato a qualche povera cameriera al piano inferiore.» Il guizzo di scherno nei suoi occhi era evidente. Daisy sollevò istintivamente la mano per coprire il tesserino, mentre quelle accuse la colpivano con forza. «Non l'ho rubato. Mi chiamo veramente Daisy, e per tua informazione sono una di quelle povere cameriere. Ecco perché sono qui.» Lo guardò dritto negli occhi. Infilando le mani in tasca strinse il tesserino di David, provando un improvviso e tenace istinto di protezione verso il fratello. «Ero impegnata con la festa al piano inferiore e stavo andando a prendere i tovaglioli in cucina» mentì. «Ma ho premuto il bottone sbagliato nell'ascensore.» Per un attimo, Rollo la fissò con freddezza. Poi, sen12
za voltarsi, chiuse la porta con una spinta. In meno di tre secondi aveva già attraversato la stanza, fermandosi davanti a lei. Daisy era immobilizzata dal panico. «Ti avevo detto di farla breve. Forse era meglio che ti avessi ordinato di dire la verità.» Lo sguardo si indurì. «Ti prego di non prendermi in giro con la scusa di aver premuto il bottone sbagliato...» Lei si sentì soffocare. Con quell'abito scuro e le ampie spalle che oscuravano la luce, Rollo Fleming dominava la stanza. Tuttavia non poteva permettergli di dominare anche lei. Se l'avesse fatto, la verità sarebbe venuta a galla e la vita di David sarebbe stata rovinata. Cercò di fare un respiro profondo senza dare troppo nell'occhio. «Non sei l'unico che ha avuto una lunga giornata» ribatté. «È da ore che sono in piedi e anch'io sono stanca. Ecco perché mi sono sbagliata.» Lui scosse il capo. «Dubito che intrufolarsi nel mio ufficio possa essere considerato un errore e credo che i giudici sarebbero d'accordo con me.» La sua espressione era dura e la rabbia rendeva severi i suoi lineamenti. «Quindi smettila di tergiversare e dimmi la ragione per cui ti sei introdotta nel mio ufficio all'una di notte.» «Non sapevo che fosse il tuo ufficio.» Si sforzò di guardarlo in viso. «Come avrei potuto saperlo? Non so nemmeno chi sei!» Lui la fissò incredulo. «Lavori in questo palazzo e non sai chi sono?» Quel tono derisorio, unito alla supposizione arrogante che lei non potesse fare a meno di conoscerlo, la fece infuriare. «Lavoro per molte persone» rispose testarda. «Non posso ricordarmi tutti i nomi e i visi.» Notando le labbra di lui che si serravano, provò una fitta di soddisfazione per essere riuscita a colpirlo nell'orgoglio. Seguì un lungo attimo di silenzio carico di tensione, 13
poi lui fece spallucce: «Ecco perché sei solo una semplice cameriera». Le guance le si accesero, colpite da quella battuta mordace come uno schiaffo. Una semplice cameriera! «Non trattarmi con condiscendenza!» proruppe furibonda. «Allora non mentirmi» l'ammonì lui. «D'accordo, so chi sei, e con questo? Non fa alcuna differenza...» «Quindi o tu sei pazza o sei solo imprudente, dato che questo è il mio ufficio e tu non dovresti essere qui.» Quel tono le punzecchiò la pelle, facendola fremere di paura. Guardandola impallidire, Rollo provò una stretta allo stomaco. Nonostante la spavalderia, era davvero spaventata: forse non era la criminale incallita che aveva creduto che fosse. Nonostante ciò, era comunque colpevole. Conosceva infatti il potere della propria bellezza ed era disposta a sfruttarlo per ingannarlo e indurlo ad abbassare le sue difese. La osservò attentamente, notando il profilo del mento e il rossore sulle guance perfette. Aveva conosciuto donne come lei in passato. Una in particolare non aveva esitato a ingannare e manipolare le persone a lei vicine, gettandole nello scompiglio e nella devastazione, per poi giocare a fare la vittima. Daisy stava compiendo l'errore più grande della sua vita se pensava che la sua bellezza potesse fare effetto su di lui. La ragazza rimase in silenzio per un po' fino a quando, con un misto di sfrontatezza e nonchalance, ribatté: «Ero curiosa, volevo solo dare un'occhiata». «Capisco» fece sarcastico, «eppure non hai acceso le luci. Devi avere proprio un'incredibile vista notturna.» Daisy si morse la lingua. Odiava quel sorrisetto, il modo in cui sollevava le sopracciglia e il bagliore verde 14
in quello sguardo ironico. Si era naturalmente già immaginata cosa sarebbe potuto accadere in caso fosse stata scoperta, ma aveva ipotizzato di incappare in qualche goffo addetto alla sicurezza. Non si sarebbe mai aspettata di essere messa sotto torchio da Rollo Fleming in persona, il proprietario dell'orologio e l'uomo che pretendeva da lei una sincerità che non poteva garantirgli. «Non ho acceso le luci perché temevo che qualcuno potesse vedermi» borbottò. Le era troppo vicino. Il calore e il profumo del suo corpo le confondevano i sensi, rendendole difficile formulare frasi di senso compiuto. «So bene che l'accesso a questo piano è interdetto, ma ho lavorato qui un paio di volte e volevo vedere...» Si interruppe. Cosa avrebbe verosimilmente potuto desiderare di vedere in un ufficio al buio? Con il cuore che le batteva all'impazzata guardò disperatamente oltre l'uomo, verso i grattacieli illuminati, fino a quando il suo sguardo venne catalizzato dall'Empire State Building. «... la città, di notte» concluse, con un sospiro di sollievo. «Tutti dicono che la vista da quassù sia fantastica, quindi avevo pensato di venire a dare un'occhiata.» Rollo la fissò così a lungo che lei dovette farsi forza per non abbassare lo sguardo. «Come?» Sbatté le palpebre. «Cosa?» «Non cosa. Come. Come hai fatto ad accedere a questo piano? Chi lavora nella ristorazione ha l'autorizzazione ad accedere solo al piano in cui lavora.» Daisy deglutì a fatica. Falla semplice, disse a se stessa. «Non lo so, ho solo premuto alcuni tasti» mentì. Cominciava ad avere mal di testa ed era sul punto di crollare. Era giunto il momento di darsi alla fuga. David avrebbe compreso e insieme avrebbero potuto pensare a un modo meno umiliante per restituire l'orologio 15
a Fleming. Fece un respiro profondo, cercando di restare calma. «Signor Fleming, sono veramente dispiaciuta per essere salita qui, okay? È stata una pessima idea, un errore, e prometto che non farò mai più una cosa simile. Quindi, se potessi semplicemente dimenticarti di avermi vista qui, ti sarei molto grata.» «Daisy. Bel nome...» mormorò lui. Lei riuscì a percepire come Rollo si stesse sforzando di non perdere le staffe. «Antico, dolce, decoroso.» Sorrise freddamente, facendola fremere. «È un peccato che non ti rispecchi affatto.» «Non capisco cosa intendi dire.» Scosse il capo. «Allora lasciami spiegare. Ho avuto una lunga giornata...» Fece una pausa. Non era stata solo lunga, ma anche frustrante e fallimentare. La sua offerta era stata generosa, avendo proposto una cifra ben superiore a quella del mercato immobiliare, ma nonostante ciò James Dunmore si era rifiutato di vendere. Non riusciva proprio a capirne il motivo. Serrò le labbra. A dire il vero lo aveva capito... solo che non sapeva come rimediare. Dunmore non approvava né lui, né la sua reputazione di seduttore incallito. Rollo fece un respiro profondo. Pretendeva quel palazzo, lo desiderava da diciassette anni ormai e non aveva alcuna intenzione di gettare la spugna. Se solo avesse potuto in qualche modo persuadere Dunmore del fatto che era cambiato... Sentì il battito del suo cuore accelerare. Quella faccenda lo confondeva. Per di più, come se non avesse già abbastanza problemi, quella donna, Daisy, stava cercando di raggirarlo. Chiama la sicurezza, ammonì se stesso con irritazione. Non c'era alcun motivo per cui dovesse gestire quel problema in prima persona. Tuttavia, guardando Daisy, sentì una stretta allo stomaco. Eccolo il motivo: una bellissima donna con gli occhi castani e un corpo che 16
rendeva quella sciatta uniforme sofisticata e sexy allo stesso tempo. La fissò in viso. A parte un leggero tocco di rossetto rosa sulle labbra, era struccata. Una tale bellezza non aveva bisogno di migliorie. Tutto, dalle morbide curve della bocca agli occhi scuri, era progettato per sedurre. Aveva cercato di legare i capelli biondi in una specie di coda bassa, che si era quasi disfatta, facendogli desiderare di slegarli completamente. Riusciva quasi a immaginare la sensazione di toccarli con le dita e di come sarebbero ricaduti sul viso quando l'avesse baciata... Alzò di scatto il capo. «Come stavo dicendo, ho avuto una lunga e difficile giornata...» «Allora perché non posso andarmene semplicemente?» Quindi indietreggiò, con il cuore in gola. «Dovrei tornare al lavoro.» Lanciò quindi un'occhiata oltre quell'uomo, concentrata unicamente sul raggiungere la porta e la libertà. Tremò quando lui scosse di nuovo il capo. «Non penso proprio.» La afferrò quindi per la vita. «Non andrai da nessuna parte finché non mi dirai la verità.» «Lasciami andare!» Diede uno strattone al braccio, cercando di non farsi prendere dal panico. «Ti ho già detto la verità.» «Basta così!» La sua voce era tagliente e decisa e Daisy sentì la presa farsi ancora più forte. «Non hai fatto altro che mentire. Ora, molti uomini potrebbero capitolare di fronte a una ragazza come te, che fa gli occhi dolci e finge di essere ingenua, ma io non sono come loro. Quindi risparmiami il broncio e dimmi cosa stavi combinando qui.» «Non sto facendo il broncio.» Si liberò il braccio. Ficcandosi le mani in tasca, strinse forte il tesserino del fratello. «Molti uomini perbene non mi metterebbero mai sotto torchio per uno sbaglio ingenuo.» 17
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