Scandali nel ton

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L’ULTIMO AVVINCENTE CAPITOLO DELLA SERIE

THE DARK ELEMENTS IL GRANDE RITORNO DI JENNIFER L. ARMENTROUT

Roth o Zayne, Layla chi sceglierà? È il momento di ascoltare il cuore, qualunque siano le conseguenze.

“Una serie perfetta per i fan di Vampire Diaries.” MTV “Jennifer Armentrout è un vero talento, non smetteresti mai di leggerla.” Gena Showalter, autrice nella classifica del New York Times.

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Anne O'Brien

Scandali nel ton


Titoli originali delle edizioni in lingua inglese: The Disgraced Marchioness The Outrageous Debutante The Enigmatic Rake Harlequin Mills & Boon Historical Romance © 2005 Anne O'Brien © 2005 Anne O'Brien © 2006 Anne O'Brien Traduzioni di Maddalena Milani Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Books S.A. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. Harmony è un marchio registrato di proprietà HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved. © 2006 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prima edizione Harmony History Special ottobre 2006 dicembre 2006 dicembre 2006 Seconda edizione Harmony Special Saga febbraio 2016 HARMONY SPECIAL SAGA ISSN 1825 - 5248 Periodico bimestrale n. 93 dello 05/02/2016 Direttore responsabile: Chiara Scaglioni Registrazione Tribunale di Milano n. 332 del 02/05/2005 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - Via Mondadori, 1 - 20090 Segrate (MI) Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 045.8884400 HarperCollins Italia S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano


Sommario

Pagina 7

La marchesa degli scandali

Pagina 197

Scandalosa debuttante

Pagina 387

L'enigmatico Lord Faringdon



La marchesa degli scandali



1 Il visitatore sapeva di non essere atteso a Burford Hall. Senza lasciarsi scoraggiare dall'atmosfera silenziosa che regnava sulla dimora e dalle sue finestre chiuse, scese con agilità dalla carrozza e attese ai piedi della scalinata mentre il suo valletto saliva a suonare alla porta. Voltando le spalle all'edificio, ne approfittò per contemplare quella vista a lui assai familiare, notando subito che quasi nulla era cambiato durante la sua assenza. Davanti a lui si stendevano giardini ben curati, attraversati da vialetti ombreggiati perfetti per il passeggio, e un roseto dove i boccioli si stavano schiudendo al calore del sole. All'orizzonte distese verdi e alberi, piantati più di un secolo prima per conferire al paesaggio un effetto prospettico ben preciso. Il gentiluomo non aveva nemmeno bisogno di voltarsi a guardare la facciata dell'edificio per apprezzarne i dettagli, dato che ricordava a memoria ogni colonna, ogni loggia, ogni fregio scolpito nella pietra proveniente dalle cave locali. Era una splendida dimora, una casa accogliente, resa ancora più cara dai mille ricordi d'infanzia che la popolavano. Eppure due anni prima aveva deciso di abbandonare tutto, rinunciando agli agi e ai privilegi che gli spettavano per nascita, nonché all'approvazione dell'alta società a cui apparteneva. Due anni prima aveva infatti deciso di crearsi una nuova vita. Fino a quel momento non aveva mai avuto motivo di pentirsi di tale scelta, ma di recente la sua esistenza era stata buttata sotto9


sopra da un crudele scherzo del destino. Tutto ciò che si trovava davanti a lui, infatti, ora gli apparteneva: la casa, la terra, il titolo e quello che ne conseguiva. La precoce morte di suo fratello l'aveva reso Marchese di Burford. L'idea non gli procurava alcun piacere, solo irritazione e insofferenza. Nonostante ciò, quando si apprestò a salire i gradini di pietra che conducevano all'entrata, lo fece ostentando una perfetta, imperturbabile calma. Dopo numerosi squilli del campanello, la porta venne aperta da un giovane valletto vestito interamente di nero. Questi si inchinò per salutare il visitatore, senza dimostrare in alcun modo di averlo riconosciuto. «Se volete darmi il cappotto, signore, informerò Lord Nicholas del vostro arrivo.» L'ospite guardò il giovanotto. Un nuovo arrivo tra le fila della servitù, dato che non lo aveva riconosciuto. Gli sorrise con distacco, porgendogli l'alto cappello a cilindro e l'elegante pastrano che indossava. «Certo.» «Che nome devo dire, signore?» Prima che il nuovo arrivato potesse replicare, un passo esitante risuonò sul pavimento marmoreo dell'ingresso. Un uomo anziano era sbucato dalla porta che conduceva alle stanze dei domestici. Si arrestò di colpo, sbattendo le palpebre come se la vista lo stesse ingannando, infine corse in avanti. «Milord, milord! Grazie a Dio siete qui! Non vi aspettavamo.» Nonostante l'età avanzata gli rallentasse non poco i movimenti, il vecchio si precipitò a togliere dalle mani del valletto gli indumenti del visitatore, poi si voltò a fissare quest'ultimo con occhi lucidi per l'emozione. «Non eravamo sicuri che le nostre lettere vi avessero raggiunto. Temevamo che non sapeste nulla della tragedia.» 10


«Le ho ricevute, sì» rispose Henry, sfilandosi i guanti di pelle. «Circa due mesi fa, ma il tempo inclemente ha rallentato molto il mio viaggio, dunque ho impiegato più del previsto.» «Siamo davvero lieti di rivedervi, milord. Sollevati. Se posso permettermi di dirlo, non siete cambiato affatto in tutto questo tempo.» «Sono solo due anni, Marcle. Non è poi tanto.» Quelle parole furono accompagnate da un sorriso cortese, ma che intendeva prevenire altri commenti. «Per noi è stato fin troppo, milord. Si è sentita parecchio la vostra mancanza, da queste parti.» «E voi, Marcle, come state?» Il gentiluomo si avviò spontaneamente verso la biblioteca. «Vedo che tenete ancora le redini della baracca, nonostante le vostre continue minacce di ritirarvi in campagna con vostra sorella!» «Non potrei mai lasciare la casa... di certo non in un momento simile. Che terribile occasione per rivedersi, signore. Un incidente del tutto imprevisto...» «Lo so.» L'ospite sfiorò il braccio dell'anziano maggiordomo, cercando di confortarlo, ma al tempo stesso d'impedirgli di aggiungere altri, dolorosi dettagli. «Mr. Hoskins mi ha informato. E lo ha fatto anche mio fratello. Le loro lettere mi sono arrivate quasi contemporaneamente.» «Che triste ritorno a casa, per voi, milord...» Marcle sembrava proprio non capire che il nuovo arrivato non aveva alcun desiderio di sentirne parlare. «Penserò a tutto io, Marcle» tagliò corto Henry. «Presumo che Lord Nicholas sia a casa.» «Sì, milord.» Il maggiordomo fu così costretto a tornare a svolgere il proprio ruolo. «Ha dovuto trascorrere un po' di tempo a Londra, con gli avvocati, ma è tornato la settimana scorsa. È nella sala delle armi, credo. Lo informo subito del vostro arrivo.» Richiamò il giovane valletto con un gesto della mano deformata dall'artrite. «Silas!» 11


«No» lo prevenne il nuovo arrivato. «Non disturbatevi, Marcle. Andrò direttamente nella sala delle armi.» «Come volete, milord. Volevo soltanto avvertirvi che...» Ma quelle parole erano state rivolte a un ingresso ormai vuoto: il visitatore si era infatti già avviato lungo il corridoio.

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2 La porta della sala delle armi di Burford Hall si aprì a rivelare una scena familiare. Un giovane uomo in maniche di camicia, calzoni di velluto e stivali, ossia la tipica tenuta del gentiluomo di campagna, era seduto con le spalle rivolte all'entrata. In compagnia di uno spaniel nero accucciato ai suoi piedi, Lord Nicholas Faringdon era intento a pulire e oliare la sua vasta collezione di armi da caccia. Con il capo chino su una pistola particolarmente preziosa, fischiettava un motivetto stonato, convinto che nessuno potesse udirlo. «Dunque è così che occupi il tuo tempo, invece di badare alla tenuta!» lo apostrofò il nuovo arrivato, cogliendolo del tutto alla sprovvista. A quelle parole il giovane sollevò la testa di scatto e smise di fischiare. Per un secondo rimase in silenzio, immobile. Poi depose l'arma e saltò in piedi, voltandosi e mostrando il suo bel viso, illuminato da un sorriso caloroso. «Hal! Non avevo idea...» Si avvicinò al nuovo arrivato, dapprima tendendogli la mano con fare formale ma poi, ripensandoci, stringendolo in un abbraccio, senza smettere per un attimo di rivolgergli delle domande. «Da quanto tempo non ci si vede, vecchio mio? Quando sei arrivato? Sei in Inghilterra da molto? Ti fermerai a lungo?» Henry, noto come Hal soltanto a chi lo conosceva davvero bene, ricambiò l'abbraccio con pari entusiasmo, poi se ne sciolse e si scostò, ma solo per poter studiare con attenzione il fratello mi13


nore. La somiglianza tra i due era evidente: erano entrambi due Faringdon fatti e finiti. Capelli scuri, quasi neri, naso dritto, mento deciso e sopracciglia ben disegnate li rendevano estremamente affascinanti. Ma mentre gli occhi di Henry erano più grigi che azzurri e animati da una luce severa, a volte addirittura cinica, quelli di Nicholas, più giovane di tre anni, mantenevano nelle proprie profondità turchine un che di entusiastico e innocente. Anche i loro sorrisi si assomigliavano, sebbene quello di Nicholas non fosse segnato dalla sardonica amarezza che contraddistingueva quello del fratello maggiore. «Hai un bell'aspetto, nonostante tutti i tuoi viaggi» commentò Nicholas, dandogli una pacca sulla spalla. «Hai già fatto fortuna? Sei venuto qui a vantarti delle tue imprese?» «Non esattamente.» Henry scosse il capo, ben abituato alle affettuose provocazioni del fratello minore. Nicholas tornò all'attacco. «Scommetto che ora ti dai un mucchio di arie, vergognandoti di provenire da una famiglia di proprietari terrieri. Come si chiama quella tua impresa? Faringdon & Bridges? Non c'è bisogno di chiedere chi ne tenga le redini! Sei già diventato il padrone di New York?» «No, e non dovresti parlare così» si schermì il fratello. «Io e Nat Bridges siamo soci alla pari. Vedo che nemmeno tu sei cambiato, Nick.» Henry lo scrutò, notando solo un vago alone di stanchezza sul bel viso del giovane. A quel punto uno strofinio insistente contro la gamba dello stivale richiamò la sua attenzione. «E questo chi è?» domandò, chinandosi ad accarezzare la testa dello spaniel. La bestia gli si era accucciata ai piedi, come se avesse già capito che si trattava di una persona di famiglia. «Questa è Bess. Giovane, ma promettente. Deve solo imparare a non rincorrere gli uccelli da preda, facendoli scappare.» Neanche avesse intuito che si stava parlando di lei, Bess eruppe proprio in quel momento in un sonoro starnuto, strappando una risata ai due fratelli. 14


«Hal, non so proprio che cosa dirti...» riprese poi Nick, tornando di colpo serio. Il dolore gli aveva rapidamente strappato il sorriso dalle labbra, come una nuvola che oscuri il sole. Henry scosse il capo e si allontanò di qualche passo, guardandosi attorno. Era tutto così familiare, in quella stanza... Era difficile pensare che invece le loro esistenze erano cambiate in modo irreparabile. «Ci sono dei problemi con la tenuta?» gli chiese, assumendo un tono volutamente distaccato. «No.» Nicholas colse al volo l'occasione di spostare l'argomento sugli affari. «Tutto procede a meraviglia e non ci sono stati problemi con la successione. Hoskins e io abbiamo sistemato ogni cosa durante la mia recente permanenza a Londra. Sai bene quanto fosse scrupoloso Thomas. Ha lasciato la tenuta in perfetto ordine.» Nel sentir nominare il fratello defunto, Henry girò sui tacchi, osando per la prima volta manifestare il proprio sconcerto. «Come diavolo è potuto accadere, Nick? Un incidente a cavallo? Diamine, non ho mai visto nessuno sedere in sella con più maestria di Thomas! E non era nemmeno uscito a caccia, da quanto mi hai detto nella tua lettera.» «No.» Il viso di Nick si accigliò nel ricordare quei tragici eventi. «Era uscito a cavallo per incontrare un nuovo fittavolo. Non è mai arrivato a destinazione, purtroppo. Il cavallo è tornato alle scuderie senza cavaliere e Thomas è stato poi ritrovato al limitare del bosco. Nessuna ferita evidente, ma aveva il collo spezzato.» «Che modo assurdo di morire.» «Lo so. Stento ancora a credere che non lo vedrò mai più entrare da quella porta per chiedermi se voglio andare a...» Sopraffatto dall'intensità di quei ricordi, Nick si ritrovò senza parole. Henry capì subito e afferrò con vigore la spalla del fratello minore. «Coraggio. Andiamo in biblioteca e raccontami tutto con calma. Abbiamo bisogno di un bel brandy.» «Sì, hai ragione. E anche tu devi raccontarmi che cosa hai combinato negli ultimi due anni.» Recuperato il controllo di sé, Nicho15


las si infilò la giacca e seguì Henry fuori dalla sala. Proprio mentre si accingeva a chiudere a chiave la porta, però, fu colto da un pensiero improvviso. «Hai già parlato con Lady Faringdon?» Henry, che si era avviato per il corridoio, si arrestò bruscamente e si voltò a fissarlo, le sopracciglia inarcate in segno di sorpresa. «Chi?» «Lady Faringdon. La marchesa.» «Vuoi dire che Thomas era sposato?» Henry era sbigottito. «Non lo sapevo. Non avevo idea...» «Be', è proprio così. Ha anche un figlio, un bambino adorabile di poco più di un anno.» «Questa è bella!» Henry si appoggiò al muro ed emise un profondo sospiro. Si vergognava dell'intenso sollievo che l'aveva pervaso nell'apprendere quella notizia. «Dunque sarà il bambino a ereditare tutto. Sarà lui il Marchese di Burford!» «Certo. Chi altri?» Nicholas studiò perplesso l'espressione del fratello. Quando poi la verità si fece strada in lui, si lasciò sfuggire una risata. «Ora capisco! Tu non sapevi nulla, non è così? Le lettere che Thomas ti aveva spedito dopo il matrimonio non ti sono mai arrivate! Eri convinto di essere l'erede, vero?» «Sì.» Henry chiuse gli occhi, sentendosi come un condannato a cui è appena stata revocata una sentenza al carcere a vita. «E ora sei infinitamente sollevato di scoprire che non è così» proseguì Nick, prendendolo per il braccio e guidandolo verso la biblioteca e il sospirato brandy. «Infinitamente è dir poco» precisò Henry. «Non riuscivo nemmeno a pensare a me stesso come al Marchese di Burford. In America mi sono abituato a non essere altro che Mr. Faringdon, il che mi piace parecchio.» «Sei sempre il solito repubblicano» lo stuzzicò Nick. «Ma ora sei al sicuro da ogni rischio di ereditare. Ti abbiamo scritto per informarti del matrimonio di Thomas, avvenuto poco dopo la tua partenza, ma le lettere devono essere andate smarrite.» «Deve essere andata così, giacché non le ho mai ricevute.» 16


Henry stentava ancora a credere a quel colpo di fortuna. «Non capisco perché Thomas non mi abbia detto di aver intenzione di sposarsi prima che io partissi. Se si è sposato subito dopo, doveva aver già conosciuto la fortunata signorina!» Nick sorrise. «Non credo. Penso sia stato amore a prima vista, perché è tutto accaduto con una rapidità sorprendente.» «Non riesco a immaginarmi Thomas che perde la testa così, di punto in bianco.» Henry si accigliò. L'idea si adattava poco al ricordo che aveva di suo fratello, un uomo parco e controllato, interessato più ai purosangue e alla caccia che al matrimonio. «So che è difficile crederci» ammise Nick con un sorriso triste, «ma forse è meglio che ti presenti subito la sua vedova, posticipando il nostro brandy. Ti avverto, la morte di Thomas è stata un duro colpo per lei, ma si sta lentamente riprendendo. Immagino che sia nel salottino azzurro, con sua madre e il bambino.» «Ti prego, allora, fammi strada.» Attraversarono la casa in silenzio. Hal continuava a ringraziare Dio, tra sé e sé, per avergli concesso quella grazia. Ora se ne sarebbe potuto tornare in America con la coscienza pulita, lasciando la tenuta nelle capaci mani di Nicholas. Si accinse quindi a incontrare la cognata, provando per lei un'istintiva benevolenza... nonché una sconfinata gratitudine per aver generato così rapidamente un erede. «Che tipo è?» domandò a Nick mentre salivano le scale che conducevano al piano superiore. «È graziosa?» «Non proprio. Sarebbe dir poco, Hal. È una vera bellezza. Un diamante di prima qualità. Ma ora potrai constatarlo di persona.» Nicholas aprì la porta che conduceva nel salottino azzurro, un locale accogliente dalle tende di seta color del mare, che richiamavano la tappezzeria a righe azzurre e argentee. La stanza, notò Henry, era stata rimessa a nuovo dai tempi in cui era stata occupata da sua madre. Nel camino ardeva il fuoco e la luce del sole entrava a fiotti dalla finestra, facendo luccicare il lampadario di cristallo e la sagoma 17


nera di un piccolo pianoforte. Era senza dubbio la stanza perfetta per ospitare una signora, una signora di gran classe e di ottimo gusto. La scena che accolse i due nuovi arrivati era altrettanto incantevole. Una giovane donna era seduta sul tappeto davanti al camino, con le ampie gonne nere sparse tutt'attorno. Un bambino, che doveva aver da poco iniziato a gattonare, si protendeva per prendere dalla mano della madre una palla rossa. Un gattino grigio giocava ai loro piedi. La donna sorrideva ai tentativi del figlioletto, con il viso illuminato dall'affetto e dall'orgoglio che provava per lui. Poi lo prese tra le braccia e lo strinse a sé, premendo le labbra contro i suoi ricci scuri. Una scena tale da intenerire perfino il più cinico dei cuori. Poi la donna si volse verso la porta appena aperta. «Eleanor!» esordì Nick. «Sapevo di trovarvi qui. Posso presentarvi a...» La tensione calata nella stanza fu d'un tratto palpabile, mentre tra i presenti scendeva il silenzio più profondo. Soltanto il gattino si mosse, inarcando la schiena e soffiando alla vista dello spaniel. La giovane vedova, già per natura dotata di una carnagione chiara, divenne pallida come un cencio, mentre gli occhi le si dilatavano per la sorpresa, fissi sui due gentiluomini che avevano appena varcato la soglia del salotto. Ogni traccia del riso di poco prima le era del tutto svanita dal volto. Dal canto suo, Lord Henry Faringdon era rimasto semplicemente impietrito, con i sensi raggelati e i muscoli tesi come corde di violino. Con uno sforzo sovrumano, si impose di riprendere a respirare in modo regolare, con calma. Nick guardò da Eleanor ad Hal e viceversa. Che diavolo stava succedendo, lì dentro?, si domandò perplesso. Non ne aveva idea. Per un lungo, imbarazzante momento, Nicholas rimase in piedi tra i due, indeciso sul da farsi. Studiò il volto di sua cognata, ancora inginocchiata sul tappeto, per cogliere qualche segno rivela18


tore che gli spiegasse il perché del gelo che si era creato. Se prima lei era stata pallida, ora era di colpo arrossita. Nei suoi occhi Nick lesse il balenio di un'emozione intensa, che però gli riuscì difficile interpretare. Imbarazzo? Rabbia? O semplicemente un postumo del dolore di cui era rimasta in balia fin dalla morte di Thomas? Impossibile dirlo. Nel frattempo Hal, notò poi Nick, era riuscito a cancellarsi dal viso qualsiasi espressione. I suoi lineamenti si erano trasformati in quelli di una statua di pietra. Rendendosi sempre più conto dell'anomalia della situazione, Nicholas decise di completare comunque le presentazioni. «Eleanor, come forse avrete già immaginato, questo è mio fratello Henry. Ha da poco ricevuto la triste notizia e ora è venuto qui, cosa di cui sono assai lieto e sollevato.» L'occhiata gelida con cui la marchesa accolse quelle parole era tutto, fuorché un incoraggiamento a proseguire. «Hal... Questa è Eleanor, la moglie di Thomas.» Il silenzio parve volersi protrarre in eterno. Poi, a un tratto, il rispetto per l'etichetta e le buone maniere tornarono a farsi valere. La gentildonna depose il bambino sul tappeto e si alzò con grazia, sistemandosi le gonne. Hal le andò incontro e si inchinò con impeccabile eleganza. Nonostante ciò, Nicholas continuò a percepire un'inspiegabile tensione nell'aria. «Milady» disse Henry con voce atona. «Sono lieto di conoscervi, anche se mi rincresce farlo in simili circostanze. Permettetemi di porgervi le mie condoglianze. È una grave perdita per voi, come lo è per me.» «Grazie, milord. Vostro fratello mi manca molto, ma sappiate che in questo triste momento ho ricevuto l'appoggio più sollecito da parte della vostra famiglia.» Era come se un copione di ineccepibile cortesia venisse recitato con grande maestria. Ma c'era qualcosa che non andava. Ai loro piedi il bambino, stanco di giocare con la palla e irritato 19


di non essere più al centro dell'attenzione, iniziò a piagnucolare. Subito la dama si chinò a prenderlo in braccio. «Questo è il figlio di Thomas.» La marchesa girò il piccolo in modo che i due uomini potessero vederlo in faccia. Seppure contro il proprio volere, Henry si sentì istintivamente spinto verso il bambino. Come sempre, i tratti distintivi dei Faringdon avevano prevalso. L'infante aveva inconfondibili ricci folti e scuri, che si sarebbero poi fatti più lisci con l'età. E un giorno, una volta che il suo viso paffuto si fosse assottigliato, avrebbe avuto gli zigomi ben definiti e il naso dritto di suo padre. L'unica eccezione erano gli occhi. Quelli non erano stati ereditati dal ramo paterno. Erano gli occhi di sua madre, chiari e luminosi come il cristallo, del colore delle ametiste più preziose. Il bimbo sorrise e protese una manina paffuta verso lo sconosciuto. Aveva deliziose fossette, notò Hal, permettendo al nipotino di stringergli il dito indice. «Come avete detto che si chiama?» domandò con voce controllata. Certo non si poteva dire altrettanto di quella stridula di Eleanor. «Thomas, il nome di suo padre. Ma noi lo chiamiamo Tom.» Henry carezzò la morbida capigliatura del bambino, sentendo il dolore per la perdita di suo fratello gonfiarglisi nel petto fino quasi a esplodere. Subito Eleanor indietreggiò, sempre con il figlio tra le braccia, interponendo una notevole distanza tra sé e il cognato. «Perdonatemi» mormorò poi, «il bambino è stanco. Se volete scusarmi, lo porto nella sua camera.» Si voltò bruscamente, senza mai permettere al proprio sguardo d'incontrare quello di Lord Henry, quindi si avviò verso la porta. «Milady.» La voce di Henry la costrinse ad arrestarsi, ma non a guardarlo in faccia. Eleanor rimase invece rivolta verso la porta ancora aperta, come se non desiderasse altro che attraversare quella soglia in tutta fretta. 20


«Posso chiedervi un incontro privato?» proseguì lui. «Si tratta di affari, ovviamente, essendo io uno degli amministratori della tenuta di vostro figlio.» «Certo.» «Tra un'ora, forse, se vi può risultare conveniente. Nella biblioteca?» «Certo» si limitò a ripetere lei. «Un'ora.» La marchesa lasciò dunque la stanza, portando il figlio con sé. Lo sguardo di Lord Henry non abbandonò la figura snella di lei finché non fu scomparsa in fondo al corridoio. Per la Marchesa di Burford quella fu una delle ore più lunghe della sua vita. Dopo aver lasciato il figlio con la bambinaia, si recò in biblioteca, dove si mise a camminare nervosamente sul lussuoso tappeto Aubusson, insensibile allo splendore di quella stanza, che pure non mancava mai di catturare l'ammirazione di chi la visitava per la prima volta. Nello stato d'animo in cui si trovava, le era impossibile apprezzare gli splendidi arazzi che ornavano le pareti, come pure le centinaia di preziosi volumi rilegati in pelle allineati sugli scaffali. Né era dell'umore di sedersi presso la finestra per godere del panorama offerto dal parco, dai boschi e dalle colline in lontananza. Aveva lo stomaco contratto per la tensione, le mani gelide e tremanti. Aveva a lungo temuto che quel giorno sarebbe infine giunto, anche se aveva pregato Iddio che le risparmiasse quella sofferenza. Aveva sperato che, allorché la temuta evenienza si fosse verificata, ciò sarebbe accaduto in un futuro tanto distante da rendere le sue emozioni un po' più blande, meno devastanti. E invece, quando aveva sollevato il capo e aveva scorto Henry in piedi sulla soglia del salotto, alto, bruno e quantomai attraente, era stato come se tutto quel tempo non fosse nemmeno trascorso. Il cuore le era sobbalzato nel petto, mettendosi poi a battere a 21


un ritmo forsennato. La sua mente era stata invasa da una fiumana di ricordi, che tornavano a tormentarla anche adesso, mentre aspettava nervosa che lui si presentasse al quel fatidico incontro. Insieme ai ricordi, però, in Eleanor si presentò al contempo una rabbia cieca e incontenibile. Che cosa avrebbe potuto dirgli? O piuttosto, che cosa desiderava dirle lui, dal momento che aveva richiesto quel colloquio? Nel ricordarsi l'espressione comparsa sul suo volto nel vederla seduta sul tappeto del salottino azzurro, Eleanor si rese conto che anche per Henry si era trattata di una sorpresa, perfino più grande di quella provata da lei. Lei infatti aveva perlomeno avuto modo di prepararsi all'evenienza, mentre era evidente che fino a un'ora prima lui non aveva nemmeno saputo di averla come parente. Doveva sfruttare quel minimo vantaggio che aveva su di lui, decise, se voleva mantenere la calma in sua presenza. Perché quella era la sua priorità: controllare le emozioni e apparire perfettamente a posto con la propria coscienza. Non era il momento di lasciarsi sopraffare dai sensi di colpa. Eleanor aveva dei segreti da proteggere e l'avrebbe fatto a ogni costo, fino alla morte. Li aveva condivisi soltanto con un'altra persona, e quella persona li aveva ormai portati con sé nella tomba. Quando lui la raggiunse, Eleanor era pronta ad affrontarlo. Si fece trovare in piedi accanto all'alta finestra, composta e sicura di sé come si confaceva al suo rango di marchesa. Henry si richiuse con delicatezza la porta alle spalle e avanzò di qualche passo, ma poi si fermò. Avrebbero potuto essere due perfetti sconosciuti, al massimo conoscenti, con l'unica differenza che, almeno in tal caso, si sarebbero sforzati di mantenere una parvenza di affabilità. Date le circostanze, invece, Hal non tentò nemmeno di dissimulare il proprio astio, mentre squadrava la cognata da capo a piedi, con sfacciata, deliberata lentezza. 22


Nicholas aveva perfettamente ragione, fu costretto ad ammettere. La marchesa non era soltanto graziosa. Si era quasi dimenticato di quanto fosse bella. Bella da togliere il fiato. Con quelle sue folte chiome castane, accese da mille riflessi autunnali, ora acconciate in modo impeccabile. Ogni uomo degno di essere definito tale avrebbe dato qualsiasi cosa per poter affondare le mani tra quei capelli, e lui non era certo un'eccezione. Ricordava perfettamente la sensazione suscitata da quelle ciocche seriche a contatto con la pelle. Il viso di Eleanor, poi, era calmo e armonioso come quello di una Madonna rinascimentale, con il suo ovale perfetto, il piccolo naso diritto e le labbra morbide e invitanti. Fu nel suo sguardo che Henry colse il cambiamento maggiore. Lo sguardo pudico e innocente di un tempo era sparito, sostituito da una luce fredda e determinata che rendeva le sue iridi violette due specchi impenetrabili. Non vi era più alcun dubbio: la timida debuttante che Henry aveva conosciuto anni prima era stata sostituita da una donna sofisticata, la cui figura slanciata e altezzosa era messa in risalto da un abito nero fin troppo elegante per una normale tenuta a lutto. Suo fratello Thomas aveva saputo scegliere bene la propria moglie, pensò Hal con una punta di amarezza. Eleanor si sentì ardere sotto l'intensità di quello sguardo, tuttavia tenne ben alto il mento, decisa a non lasciarsi confondere. Il silenzio stava durando da troppo tempo, tanto che la dama era ormai sul punto di capitolare, rompendolo. Fu invece lui a farlo, mettendosi a parlare di colpo. «Lady Burford. Prima vi ho porto le mie condoglianze, adesso permettetemi di farvi i miei complimenti.» Si inchinò con un ossequio esageratamente ostentato. In verità, la stava insultando di proposito. «Perlomeno ora mi avete svelato uno dei grandi misteri della vita, ossia fino a dove una donna possa spingersi per soddisfare la propria ambizione.» «Milord?» 23


«Non assumete quell'aria sorpresa, Eleanor.» Il sorriso di Henry trasudava disprezzo. «Semplicemente, ho capito perché decideste di ignorare la mia proposta di matrimonio, tempo fa, nonostante il vostro precedente... incoraggiamento della mia corte, se così vogliamo chiamarlo. Mi risulta ora chiaro che avevate già appuntato le vostre mire su una preda ben più grossa... e molto più ricca.» Quelle parole attraversarono l'aria come frustrate, esternando tutto il suo rancore. «Io non potevo nemmeno reggere il confronto con mio fratello. Mi dispiace solo che la sua precoce morte abbia mandato all'aria i vostri piani ben calcolati, milady. In qualità di vedova del Marchese di Burford, la vostra posizione sociale sarà meno in vista di quanto lo sarebbe stata se mio fratello non vi avesse fatto lo sgarbo di morire!» Eleanor si ritrovò del tutto senza parole. Nulla l'aveva preparata alla crudeltà di quell'attacco. «Non vi capisco» riuscì infine a replicare. «Dovrete spiegarvi meglio, milord.» «Ammiro il vostro contegno» continuò lui, in un tono che si sarebbe piuttosto adattato a una piacevole conversazione. «Ma di certo voi sapevate che ci saremmo incontrati, prima o poi, e avete dunque avuto modo di prepararvi. Diversamente da me, che non avevo idea di ciò che eravate riuscita a ottenere in mia assenza. Davvero vi illudevate che, in nome delle buone maniere, io non avrei accennato ai nostri... passati trascorsi? Che mi sarei comportato come se non fosse accaduto nulla tra di noi?» Ignorando quel pesante sarcasmo, Eleanor reagì, passando al contrattacco. «Una proposta di matrimonio, avete detto?» ribatté. «Una vaga promessa, a quanto mi ricordo, e mai mantenuta. Non ho potuto che dedurre che aveste cambiato idea.» Lo fissò dritto negli occhi, come per sfidarlo. «Avreste perlomeno potuto avvisarmi. Invece avete lasciato me, e addirittura il paese, senza una parola, senza una spiegazione. Sono venuta a sapere della vostra partenza da altri. Devo ammettere, milord, che mi aspettavo un poco più di considerazione da parte vostra.» 24


«Avete la memoria corta, signora» fu la breve, pungente risposta di Henry. «La mia memoria è ottima, milord! Attesi a lungo e invano di ricevere vostre notizie. Avevate promesso di scrivermi, una volta che vi foste procurato un passaggio fino in America.» Eleanor lottò per controllare la voce, affinché non ne trasparisse la disperazione rievocata da quei ricordi. «Invece l'unica notizia che ricevetti fu quella che eravate già partito, senza alcuna intenzione di ritornare.» «Vi mandai una lettera, informandovi del luogo e dell'ora della partenza e chiedendovi di raggiungermi, come d'accordo.» Lord Henry le diede le spalle, voltandosi a contemplare le fiamme nel camino. Quando poi si girò di nuovo a guardarla la vide talmente bella e affascinante, che per un attimo fu tentato di crederle. Ma così facendo avrebbe solo causato la propria rovina. Inoltre, sapeva per certo che lei stava mentendo. «Almeno non negate l'evidenza, milady» le ingiunse a denti stretti. «So che quella missiva fu consegnata a casa vostra. Me lo confermò il valletto cha pagai per farlo. Un giovane fidato.» «Non l'ho mai ricevuta» insistette Eleanor. «Ma certo, è ovvio che questa sia la vostra difesa» argomentò Henry. «D'altra parte è perfettamente plausibile che le lettere vadano smarrite. Ne ho avuta io stesso la prova, dal momento che non ho ricevuto quella in cui Thomas mi informava del vostro matrimonio.» Dalla mensola sovrastante il camino, Henry prelevò una delicata statuetta di porcellana, rappresentante una pastorella con un agnellino tra le braccia. Per un attimo contemplò l'idea di scagliarla a terra e mandarla in frantumi, pur di sfogare l'ira che lo pervadeva. Invece la rimise a posto con la massima cautela. «Ma so per certo che la mia lettera fu consegnata a casa vostra» tornò a insistere, «lasciandovi tutto il tempo di raggiungermi all'imbarco. Avevo scelto con cura il mio messaggero, data la delicatezza dell'incarico.» 25


«Tale lettera, se davvero è esistita, non raggiunse mai le mie mani.» Eleanor non trovò altro da dire in propria difesa. Per tutta risposta, Henry scrollò le spalle, un gesto che denotava in pieno la sua cinica incredulità. «E allora ditemi, signora: conoscevate mio fratello prima della mia partenza, o avete aspettato che io mi togliessi di torno, per poi gettarvi tra le sue braccia?» «Io... io...» Eleanor non riusciva nemmeno a credere che lui avesse potuto insultarla con tanta sfrontatezza. «Non sarà stato difficile per voi irretire Thomas, spingendolo al matrimonio» continuò lui, come parlando ad alta voce con se stesso. «È difficile resistere alla vostra bellezza, come del resto ho imparato a mie spese.» «Io non ho irretito vostro fratello!» protestò lei, ferita. «No? Vi ha pur chiesto di sposarlo.» «Sì, l'ha fatto.» «Immagino che la vostra cara madre ne sarà stata estasiata. Un risultato al di sopra delle sue più rosee aspettative.» Sollevò le braccia, indicando la stanza e i preziosi oggetti che li circondavano. «E ora eccovi qua, padrona di Burford Hall, di una casa di città nella zona più elegante di Londra e di un casino di caccia nel Leicestershire. I miei complimenti, milady.» «Non nego la mia buona fortuna e ne sono grata.» «Non deve esservi parso vero, da principio. Invece di un secondogenito dai riprovevoli interessi repubblicani vi siete ritrovata per le mani un marchese, ricco e rispettato da tutti.» Ecco, dunque!, pensò Eleanor con stizza. Henry credeva che lei lo avesse abbandonato in favore della ricchezza e dell'ascesa sociale. Indignata da tanta ingiustizia, mosse un passo verso di lui, pronta ad affrontarlo. «Io avrei rischiato tutto pur di venire con voi, se soltanto me lo aveste permesso!» gli rinfacciò. «La mia casa, la mia famiglia. Vi avrei seguito ovunque! Come osate dubitarne?» «Come oso? Io oso, oso fare ciò che voglio con voi!» In preda all'ira e all'intensità dei ricordi, Henry permise per un attimo alle 26


emozioni di prendere il sopravvento sulla sua proverbiale sicurezza. Un misto di furia, frustrazione e desiderio offuscava i suoi sensi. Vedere Eleanor davanti a sé, così bella eppure tanto irraggiungibile, lo spingeva a desiderare di punirla, di farla soffrire. «Dunque vi ritenete contenta dello scambio?» In due lunghi passi le fu di fronte, trafiggendola con uno sguardo fiammeggiante. «Mio fratello ha saputo soddisfarvi? Ha saputo darvi lo stesso piacere che dicevate di aver trovato tra le mie braccia?» Nemmeno il dolore che dilagò negli occhi di Eleanor a quelle vili provocazioni riuscì a fermarlo. «Oppure mi avevate semplicemente mentito, sopportando di malavoglia i miei baci, le mie carezze?» Indugiò solo un breve istante, sfiorato da un'ispirazione perversa. «Perché non lo verifichiamo qui, subito?» bisbigliò con voce minacciosa. Le balzò addosso con l'agilità di un gatto che sorprende un topolino indifeso. Con le mani le afferrò le spalle, stringendola con foga selvaggia. Lei avrebbe dovuto respingerlo, lottare; invece la sorpresa di quell'attacco l'aveva svuotata di ogni forza. Henry avrebbe senz'altro catturato la sua bocca in un bacio furibondo, dettato più dal desiderio di vendetta che dalla passione, se la sua attenzione non fosse stata attratta, proprio in quel momento, dal gioiello che adornava il petto di Eleanor. Si trattava di un ciondolo appeso a una catena d'oro, un delicato intrico di filigrana al centro della quale splendeva una grossa ametista, scelta apposta per richiamare il colore dei suoi occhi. «Lo portate ancora?» le domandò in un sussurro. «Sì.» «Mi sorprende» commentò Henry in tono amaro. «Considerando il modo in cui avete trattato chi ve l'ha donato, avreste dovuto relegarlo in fondo a un cassetto.» «Forse lo farò, dopo il modo in cui voi avete trattato me oggi.» Sconvolta com'era, Eleanor pronunciò quelle parole con rabbia, quasi gridandogliele in faccia. «Meglio ancora, ve lo restituirò se27


duta stante, così potrete regalarlo a una delle vostre amiche, a New York.» Quella provocazione mandò miseramente in frantumi il poco autocontrollo che Hal era riuscito a riconquistare. Senza mai smettere di guardarla negli occhi, chinò il capo, finché la sua bocca prepotente non catturò quella di Eleanor. Quando lei tentò di mormorare una debole protesta, Henry la zittì con i suoi baci avidi, tormentandole le labbra fino a costringerla a schiuderle. Eleanor dapprima giacque inerte tra le sue braccia, ma infine un singhiozzo disperato preannunciò il crollo di ogni sua difesa. Le mani che avrebbero dovuto puntarsi contro il petto di Henry per respingerlo si aggrapparono invece alla stoffa della sua giacca, attirandolo maggiormente verso di lei. Per tutta risposta, Henry la strinse finché i loro corpi non furono avvinghiati l'uno all'altro, le dolci curve di Eleanor premute contro i suoi muscoli guizzanti. Quando infine la lasciò andare, scoprì con disappunto che quel bacio non aveva affatto placato la sua rabbia, ma che l'aveva, se possibile, attizzata ancora di più. Trovandosi di colpo priva del supporto delle sue braccia, Eleanor barcollò e subito Henry fu pronto a sorreggerla. Le sue parole, tuttavia, non furono altrettanto clementi. «Ebbene, signora?» l'apostrofò in tono duro. «Che cosa ve ne pare? Meglio un titolo e un patrimonio o i piaceri che sanno offrirvi le mie labbra e le mie mani?» Respingendo l'appoggio offertole da lui, Eleanor si sforzò di restare in piedi da sola. Non riusciva a pensare né ad accettare quanto era appena successo tra di loro. Perché aveva permesso che accadesse? Rossa in volto per la vergogna, abbassò le ciglia, sperando di nascondergli le lacrime che le brillavano negli occhi. Henry se ne avvide comunque. «Vi chiedo scusa. Non avrei dovuto aggredirvi in quel modo. Sono stato imperdonabile.» Indietreggiò da lei, provando sincero disgusto per se stesso e per la 28


propria condotta vergognosa. «Vi porgo di nuovo i miei complimenti. Siete stata capace di suscitare passione in ben due dei fratelli Faringdon. Ma vi avverto» proseguì minaccioso, «tenete i vostri artigli di velluto ben lontani da Nicholas.» Il viso di Eleanor si contrasse in una smorfia di dolore, come se lui l'avesse appena schiaffeggiata. «Non intendo continuare questa conversazione» decretò, trattenendo a stento un singhiozzo. «Non posso che ringraziare il destino di avermi risparmiato il matrimonio con voi. Siete un uomo crudele e ingiusto.» Detto ciò gli passò accanto, decisa ad andarsene, ma quando ebbe raggiunto la porta fu fermata dalla sua voce. «Eleanor?» «Ebbene?» «Ancora una cosa. Vorrei sapere se siete addirittura riuscita a persuadere mio fratello della vostra verginità, la prima notte di nozze.» Sotto quell'ennesimo attacco, l'intero corpo della gentildonna si tese e si irrigidì. Tuttavia lei non osò voltarsi e fronteggiarlo, per paura di mostrargli le lacrime che avevano già iniziato a rigarle le guance. «La questione non è affar vostro» riuscì a sussurrare in risposta. «È vero, mia cara. Voi non siete più affar mio, grazie al cielo. A proposito, non avete bisogno di preoccuparvi, poiché non ho intenzione di rivelare il nostro piccolo, sordido segreto. Entrambi teniamo troppo a mantenere intatta la nostra preziosa reputazione, non è così?» A quell'ultima scudisciata verbale, ogni compostezza abbandonò la Marchesa di Burford. Spalancò la porta della biblioteca con violenza e corse fuori, sbattendosela poi alle spalle. Lord Faringdon rimase in piedi al centro della sala, con il capo chino, fissando nel vuoto. Ben fatto, davvero!, si congratulò con lui una sarcastica voce interiore. Quando era entrato nella biblioteca era stato deciso a condurre 29


il colloquio con una freddezza esemplare e un distacco supremo. Invece aveva finito per perdere del tutto il controllo, rivolgendo alla sua interlocutrice commenti volgari e meschini, davvero indegni di lui. Tanto per peggiorare le cose, poi, si era avventato sulla cognata, la vedova di suo fratello, come un bruto spinto solo dall'istinto. Certo, Eleanor si era pienamente meritata ogni singola accusa. Non l'aveva forse illuso e poi respinto senza farsi il minimo scrupolo? Eppure l'orrore che le era apparso sul volto nel sentirsi rivolgere quelle frasi taglienti gli era parso sincero. Non era rimasta insensibile alle sue parole, tanto quanto non lo era stata alle sue carezze. Hal chiuse gli occhi, ricordando il profumo dei suoi capelli, il sapore delle sue labbra, il fervore con cui esse avevano ricambiato i suoi baci. Nulla di strano, tentò infine di convincersi, le donne sono ottime attrici, questo è risaputo. Raddrizzandosi, Lord Henry uscì dalla biblioteca e percorse il corridoio deserto. Era giunto il momento di lasciarsi tutto alle spalle. Eleanor aveva ottenuto ciò che voleva: un futuro di agio e sicurezza per sé e per il figlio. Nicholas avrebbe volentieri fatto da tutore al ragazzo. E lui sarebbe stato libero di tornarsene nel Nuovo Mondo. Come aveva detto poco prima alla diretta interessata, la Marchesa di Burford non era più un suo problema.

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Le signore del mare di Ruth Langan Inghilterra, 1665. Quando il capitano John Lambert e il suo primogenito perdono la vita durante una terribile tempesta, Ambrosia, la maggiore delle tre figlie, decide di prendere il posto del padre... e non si tira indietro nemmeno quando scopre che lui, in realtà, era un corsaro al servizio di Re Carlo II. Ha però bisogno di qualcuno che prenda il comando del vascello che ha ereditato, e Riordan Spencer potrebbe essere la persona giusta. Solo che convincerlo sembra impossibile. Intanto Bethany, la seconda delle sorelle Lambert, è alle prese con uno spinoso dilemma: ha ricevuto dall'enigmatico Conte di Alsmeeth una proposta di matrimonio che sarebbe una follia rifiutare, eppure non può togliersi dalla testa il misterioso Signore della Notte e il bacio che lui le ha rubato. Seguirà il cuore o la ragione? La bellissima Darcy, dal canto suo, non riesce ad accettare la tragica scomparsa di Gray, il ragazzo che ama da sempre. Così cerca di dimenticarlo imbarcandosi in una pericolosa missione, ma durante una sosta su un'isola del Galles si imbatte in un giovane che assomiglia moltissimo al fidanzato. E anche se la mente le dice di non illudersi, lei non può impedirsi di sognare.

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Questo volume è stato stampato nel gennaio 2016 da Grafica Veneta S.p.A. - Trebaseleghe (Pd)


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