Scelte d'amore

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Susan Meier

Scelte d'amore


Titoli originali delle edizioni in lingua inglese: The Baby Project Second Chance Baby Harlequin Mills & Boon Romance © 2011 Linda Susan Meier Traduzioni di Paola Picasso Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Books S.A. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. © 2012 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prime edizioni Harmony Serie Jolly giugno 2012 Questa edizione myLit luglio 2016 Questo volume è stato stampato nel giugno 2016 da Grafica Veneta S.p.A. - Trebaseleghe (Pd) MYLIT ISSN 2282 - 3549 Periodico mensile n. 36 del 21/07/2016 Direttore responsabile: Chiara Scaglioni Registrazione Tribunale di Milano n. 162 del 31/05/2013 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - Via Mondadori, 1 - 20090 Segrate (MI) Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 045.8884400 HarperCollins Italia S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano


Una moglie da sposare



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«I fratelli Andreas sono arrivati» annunciò la segretaria, attraverso l'interfono. L'avvocato Whitney Ross che stava guardando fuori dalla finestra dell'ufficio di suo padre, si voltò. Le pesanti nubi che si stavano ammassando sui grattacieli di New York City l'allarmavano, ma prevedeva che l'incontro con i fratelli Andreas sarebbe stato altrettanto tumultuoso. Gerald Ross premette un pulsante del suo telefono. «Di' loro che mi servono cinque minuti.» «Te la stai godendo, papà?» domandò Whitney. «Godendo non è il termine esatto» replicò lui, ruotando il corpo rotondo sulla poltrona dell'ufficio, e battendo ritmicamente le dita sulla scrivania. «Quando fai esplodere una bomba di questo genere non puoi prevedere le conseguenze. È chiaro che Stephone con il suo testamento ha voluto mettere a posto alcune cose importanti.» Whitney non aveva mai conosciuto i figli di Stephone Andreas, ma sapeva che il defunto era stato un caro amico di suo padre. L'uomo era andato a cena a casa loro almeno una volta al mese da quando lei aveva sei anni e aveva sempre parlato dei suoi figli, affermando senza mezzi termini che avrebbero avuto bisogno di un bel calcio nel sedere. Probabilmente adesso aveva trovato un modo per darglielo. 7


«Congratulazioni, papà. Sei riuscito a convincere Stephone ad avvalersi del suo testamento per costringere i figli a maturare.» «Non si tratta solo di maturare. Tutti e tre sono intelligenti e sono abili uomini d'affari. Ciascuno di loro potrebbe assumersi le redini del loro impero economico, ma nessuno dei tre conosce il valore della lealtà e nessuno possiede il senso della famiglia.» «Ed è al fine d'inculcarglielo che mira il testamento?» «Sì. Stephone ha nominato il figlio primogenito, Darius, presidente e CEO della proprietà Montauk. Se questa decisione li dividerà per sempre, o li costringerà a restare uniti dipenderà dalle capacità di Darius.» Gerald Ross si alzò e andò a sedersi sul divano di pelle nera del suo studio legale, facendo segno a Whitney di prendere posto su una delle poltrone vicino a lui. «Prima di far entrare i fratelli, c'è una cosa che devi sapere. Missy aveva espresso il desiderio di lasciarti qualcosa e Stephone ha incluso quella clausola nel suo testamento.» Whitney si sedette. «Missy mi ha lasciato qualcosa?» domandò. In fondo non era sorpresa. Missy Harrington era stata la sua compagna di stanza da quando erano entrate all'università, entrambe iscritte a Giurisprudenza. Avendo una madre alcolizzata e un padre che era scomparso da molto tempo, Missy aveva adottato la famiglia di Whitney che, a sua volta, l'aveva accolta sotto la sua ala. Per sette anni aveva trascorso tutte le vacanze con i Ross. Da quando Missy aveva conosciuto Stephone, Whitney non l'aveva quasi più vista, ma il loro legame era rimasto molto forte. «Non ti ha lasciato un bene materiale» specificò suo padre. «D'accordo con Stephone, ha stabilito che tu e Darius sarete i custodi del loro figlioletto.» 8


Whitney impallidì. «Che cosa?» «Ascolta. Sono passati tre anni da quando Burn e Layla morirono in quell'incidente. Quando io inclusi quella clausola nel testamento di Missy e di Stephone, non immaginavo lontanamente che anche loro se ne sarebbero andati così presto.» Suo padre tirò fuori una busta da uno schedario. «Ha lasciato questo messaggio per te.» Incredula e sgomenta, Whitney prese la lettera e la strinse tra le mani. «Nel caso che lui e sua moglie morissero, Stephone voleva che fosse Darius ad allevare il loro bambino, ma Missy ha preteso che tu avessi la custodia congiunta. I fratelli Andreas sono ricchi e viziati. Non sanno neppure che il loro padre aveva un altro figlio e tutti ci domandiamo come reagiranno a questa notizia. Secondo me, Missy voleva che Gino, il suo bambino, fosse seguito da una persona che sapeva si sarebbe presa cura di lui.» «Ma io non ho mai visto Gino! Quando Missy e Stephone si sono trasferiti in Grecia abbiamo perso i contatti. Come posso seguire quel bimbo meglio di suo fratello?» Il padre le prese una mano. «Tu non conosci Gino, ma Missy conosceva te. Sapeva quanto tieni alla famiglia, conosceva la tua rettitudine e sei stata mamma. Imparerai a conoscere Gino e lui, piccolo com'è, si abituerà a te. Inoltre» aggiunse, stringendole le dita, «ti farà bene.» Whitney si voltò a guardarlo con aria battagliera. «No!» replicò con foga. «Non ho bisogno di prendermi cura di un bambino. Sto bene così.» «Non stai affatto bene. Altrimenti la custodia di Gino non ti sconvolgerebbe tanto.» Gerald Ross premette un pulsante del telefono posato sul tavolino in mezzo alle poltrone. «Cynthia, porta qui Gino.» Il cuore di Whitney si fermò. Negli ultimi tre anni a9


veva evitato accuratamente di avvicinarsi a un bambino. L'odore di borotalco e di latte e la vista di un essere così piccino, fragile e bello l'avrebbero sconvolta. E adesso suo padre voleva che accogliesse un bambino a casa sua? La porta laterale si aprì e Cynthia Smith entrò con un trasportino che conteneva Gino Andreas di sei mesi, tenendo nell'altra mano una sacca e una confezione di pannolini. Il padre le strinse di nuovo la mano. «Tua madre e io abbiamo tenuto con noi Gino durante i funerali, adesso è ora che lo prenda tu.» Alzandosi, tolse il trasportino dalle mani della segretaria. «Grazie, Cynthia.» Lei annuì. «Non c'è di che, signore.» Mentre la segretaria lasciava la stanza, Gerald Ross mise il trasportino sul divano e sollevò Gino, presentandolo a sua figlia. «È tuo, cara.» Sapendo di non potersi opporre a suo padre, Whitney mise la lettera in tasca e con mani tremanti prese il bambino che si mise subito a piangere. «Non piangere, tesoro» gli sussurrò premendosi la sua testolina sulla spalla. «Va tutto bene.» La reazione che aveva avuto sentendolo piangere la sorprese, mentre non la stupì la fitta di dolore che le trapassò il petto. Sua figlia era stata bionda di capelli e aveva avuto due grandi occhi azzurri. Tranquilla di carattere, piangeva solo quando sentiva la mancanza della mamma. Le piacevano le banane e le bambole. A lei era sembrata la bambina più intelligente della terra. Gli occhi le si colmarono di lacrime e lo stomaco le si contrasse. Non poteva farlo. Forse le servivano delle altre sedute con la sua terapista. Stava per dirlo a suo padre quando la porta si aprì. Per primo entrò Cade Andreas in jeans e stivali da cowboy. Dietro di lui apparve Nick, il fratello scuro di pelle e di ca10


pelli, il più somigliante al padre. Ultimo era Darius. Alto, anche lui, scuro di occhi e di capelli, elegante in un completo costoso, aveva l'aria di essere il capo del gruppo. L'espressione dei tre fratelli era solenne e un po' arrogante. Il capofamiglia era morto e adesso la gestione della compagnia di navigazione più importante del mondo era caduta sulle loro spalle. O almeno lo credevano. Whitney abbassò lo sguardo sul bambino che teneva tra le braccia e, per la prima volta da tre anni a quella parte, avvertì quel senso di protezione che solo una madre sente. A quel punto comprese perché Missy avesse voluto che lei condividesse con Darius la custodia del suo figlioletto. Gli Andreas erano uomini forti. Forse troppo. I bambini avevano bisogno d'amore. La domanda era: lei ne aveva ancora da darne? «Sta scherzando?» Darius Andreas fissò Gerald Ross, l'avvocato di suo padre, poi spostò lo sguardo su sua figlia Whitney, una bionda alta e fredda, con immensi occhi grigi che non assomigliava per niente al padre, piccolo e rotondo. I due sedevano sul divano di pelle e i tre fratelli Andreas avevano preso posto sulle poltrone, davanti a loro. Accanto a Whitney c'era un trasportino per neonati con dentro un bambino di pochi mesi. I suoi capelli e gli occhi neri lo marchiavano come un Andreas al pari dell'affermazione di Gerald Ross. «Vi assicuro che non scherzo» affermò Gerald, appoggiandosi comodamente contro lo schienale del divano. «Quel piccino è l'ultimo figlio di vostro padre. Adesso siete quattro.» Poi prese in mano il testamento e cominciò a leggerlo: «È mio preciso volere che i due terzi delle proprietà Andreas siano divisi equamente tra i miei quattro figli: Darius, Cade, Nick e Gino». 11


Gino. Un neonato. Il suo fratellastro era un bambino di pochi mesi. Darius cercò di farsene una ragione, ma non ci riuscì. Il suo cervello era paralizzato e lui stava lottando per non perdere la calma. Nick e Cade sembravano scioccati quanto lui. Alla fine quel senso degli affari che lo aveva guidato per tutta la vita, lo soccorse. «Voglio il test del DNA» dichiarò. Gerald si protese in avanti, facendo gemere il divano. «Forse vostro padre non ha sposato Missy Harrington, ma sul certificato di nascita c'è scritto che Gino è suo figlio. Se Missy non fosse morta insieme a Stephone, dovreste dividere l'eredità anche con lei.» «Voglio ugualmente il DNA.» «Comprendo la sua sorpresa...» «Sorpresa? Meglio dire lo shock. Dapprima nostro padre ci ha telefonato dall'ospedale, dopo l'incidente, per dirci che intestava un terzo delle proprietà a una persona non bene identificata cosicché non avremmo mai goduto il pieno possesso della compagnia. Ci ha accusati di non avere il senso della famiglia e ha detto che se non ci fossimo uniti, avremmo perso tutto quello che lui aveva creato. Poi, d'improvviso è morto e adesso lei viene a dirci che abbiamo un quarto fratello?» «Signor Andreas, il fatto che ignoraste d'avere un quarto fratello, dimostra che il vostro senso della famiglia lascia molto a desiderare.» Darius per poco non si mise a imprecare. Chi era quel donnaiolo di suo padre per accusarlo di non avere il senso della famiglia? Stephone aveva abbandonato sua madre quando lui era piccolo ed era ricomparso nella sua vita solo perché aveva voluto assicurarsi che entrasse in una buona università, in modo da essere preparato a lavorare per la Compagnia Andreas. «Nostro padre ha predicato per decenni che le storie 12


della famiglia dovevano restare in famiglia.» Darius si alzò. «Ma lui ha fatto esattamente il contrario.» Parlando, si avvicinò al trasportino. Adesso che cominciava a calmarsi, capiva di non aver bisogno che il DNA gli dicesse che quello era suo fratello. Suo padre aveva convissuto con una donna di trent'anni. Non c'era da meravigliarsi che fosse rimasta incinta. Gino possedeva tutti i tratti somatici, caratteristici degli Andreas. Con il nome di suo padre sul certificato di nascita e il nome di Gino nel suo testamento, quel bambino faceva parte della famiglia. Se suo padre voleva che fosse lui a prendersene cura, l'avrebbe fatto. Diversamente dai suoi fratelli, Darius aveva sempre ubbidito a suo padre. «Prendiamo nostro fratello e andiamocene.» Whitney posò una mano sul trasportino. «Papà?» «C'è dell'altro» disse Gerald. Darius trattenne a stento la collera. «Dell'altro?» «Sì, lei ottiene la custodia di Gino ma deve condividerla con mia figlia Whitney.» Darius si voltò a guardarla. Con quei capelli biondi sarebbe stata graziosa, se non li avesse annodati in un crocchio assurdo sulla nuca. Inoltre si vestiva come una vecchia. L'abito grigio che indossava non permetteva di capire quali forme avesse il suo corpo. Tuttavia quando incrociò i suoi occhi grigi, avvertì un fremito di attrazione. La sensazione fu reciproca perché vide il lampo che le accendeva lo sguardo. «Dipenderà da voi stabilire i giorni in cui terrete Gino. Mia figlia esporrà i suoi desideri alla prossima riunione dei dirigenti della vostra compagnia.» Questa volta Darius si lasciò sfuggire un'imprecazione, ma si controllò, e quando tornò a guardare Whit13


ney il brivido di attrazione che aveva avvertito divenne una forte scossa elettrica. Se fossero stati in un luogo diverso, in circostanze diverse, l'avrebbe corteggiata. Anzi, l'avrebbe svestita, le avrebbe sciolto i capelli ed era quasi certo che avrebbe trovato il paradiso. Ma quegli occhi grigi da gatto persiano gli dicevano di dimenticarselo. Anche se erano attratti l'uno dall'altro, avevano un compito da svolgere: allevare Gino. Insieme. Whitney rimase immobile sotto lo sguardo intenso di Darius e cercò d'ignorare il senso di calore che le si stava diffondendo nelle membra. Oltre a essere molto bello, quell'uomo trasudava forza e personalità. Qualunque donna avrebbe subito il suo fascino. Dal semplice fatto che dopo le presentazioni i suoi fratelli non avessero aperto bocca, risultava evidente che il capo era lui. Un capo molto sensuale. Lo sguardo dei suoi occhi color onice la faceva fremere, ma non aveva paura di cadere vittima del suo fascino. Spesso l'attrazione portava a una relazione e la relazione rendeva le persone vulnerabili. Il dolore che aveva provato alla morte di suo marito era stato indescrivibile. Non intendeva provarlo mai più. Disgustato, lui socchiuse gli occhi. «D'accordo» disse, facendole cenno di seguirlo. «Andiamo.» «Andiamo?» «Se questo bambino fa parte della famiglia, deve guadagnarsi da vivere.» Gerald Ross scoppiò a ridere. «Molto divertente, Darius.» «Non sto ridendo. Mio padre ha lasciato la compagnia in pessimo stato. Le cose da fare sono molte e nessuno è scusato. Visto che sua figlia ha il diritto di voto, dovrà accollarsi la sua parte di responsabilità.» «Questo è ridicolo...» 14


«Papà» lo interruppe Whitney. «Va bene. Non mi sono mai sottratta alle mie responsabilità.» Squadrando le spalle, guardò Darius negli occhi, accettando la sfida. Se lui pensava d'intimidirla, si sbagliava. «Se tutti lavorano, lavorerò anch'io.» «D'accordo» convenne suo padre. «Ma prima che andiate via c'è ancora una cosa.» Gli occhi di Darius mandarono lampi. «Se qualcun altro possiede un terzo delle proprietà Andreas e quattro fratelli si dividono gli altri due terzi, nessuno di voi ha il pieno controllo della compagnia.» Gerald guardò dall'uno all'altro. «Vostro padre mi ha detto di lasciare che la proprietaria di un terzo resti anonima finché deciderà che cosa fare. Ha più di settant'anni perciò è probabile che voglia starsene seduta a godersi i profitti. Ma se decidesse di lavorare attivamente nella ditta, è bene che voi siate uniti, altrimenti potrebbe succedere che la direzione delle proprietà Andreas passi nelle mani di un estraneo.» «Abbiamo bisogno di consultarci» dichiarò Darius appena ebbe superato lo sconcerto. «Le saremmo grati se ci cedesse il suo ufficio per qualche minuto.» Gerald Ross si alzò. «Whitney e io porteremo Gino nel suo ufficio. Quando avrete finito, Cynthia ci avvertirà.» Appena padre e figlia furono usciti, Darius affrontò i fratelli. «Non è quello che ci aspettavamo dalla lettura del testamento di nostro padre» dichiarò. Nick rise a denti stretti. Cade si alzò. «Con l'eccezione di Gino, niente di quello che è successo mi ha colto di sorpresa. Tu hai ottenuto la fetta maggiore, Darius. La proprietà Montauk e la presidenza, ma il contrappeso di tutto questo è rappresentato dal bambino.» Salutò e andò alla porta. «Ti auguro buona fortuna.» Tipico di Cade, il ribelle. Darius sospirò. Avrebbe 15


dovuto prevedere che Cade non si sarebbe sognato di dargli una mano. E probabilmente nemmeno Nick. Non c'era amore, né lealtà tra i fratelli Andreas. Ciascuno di loro era andato per la sua strada, gestendo i propri fondi e facendo fortuna. E ognuno aveva la sua vita. Ma, adesso, dopo gli avvertimenti dell'avvocato Ross cominciava a capire qualcosa dei discorsi fatti da suo padre sul letto di morte. Se loro tre non fossero stati uniti e solidali nel momento in cui la misteriosa beneficiaria sarebbe saltata fuori, avrebbero potuto perdere tutto. «Andiamo. Non puoi andare via» disse, facendo cenno a Cade di tornare indietro. Ma Nick scosse la testa e si alzò. «Certo che possiamo. Sei tu il presidente e il CEO. Sei tu che stabilisci tutto. Devi aver convinto il signor Ross a remare per te, ma noi non ci caschiamo. Ci presenteremo alla riunione dei direttori per intascare la nostra parte di profitti.» «Siete decisi ad andarvene anche dopo che papà ha lasciato detto che voleva vederci uniti? Anche dopo aver saputo che c'è un'altra erede?» «Sì. Da piccolo pensavo che mio padre mi sarebbe stato vicino, ma non è successo.» Nick guardò Darius. «Tu eri il figlio d'oro. La compagnia, il bambino, i problemi sono tutti tuoi.» I due fratelli uscirono dalla stanza e Darius si lasciò cadere sul divano. Aveva sempre accusato suo padre d'aver generato tre figli diversi. Adesso erano quattro. Ora capiva che cosa avesse turbato suo padre negli ultimi dieci anni. I fratelli Andreas non erano una famiglia. Avendo tre madri diverse, provenienti da tre Paesi diversi degli Stati Uniti, potevano avere dei tratti somatici molto simili e un comune senso degli affari, ma tra loro non c'era alcun affetto. Adesso i suoi genitori erano morti. Non aveva cugini, 16


zii, o parenti. Aveva solo due fratelli adulti che non volevano avere niente a che fare con lui. Durante le festività natalizie era andato a molte feste, ma la mattina di Natale si era ritrovato da solo. I suoi passi avevano echeggiato nell'appartamento vuoto e silenzioso. Se, nel crescere Gino, non avesse fatto un lavoro migliore di quanto suo padre aveva fatto con lui, con Cade e con Nick, quel silenzio avrebbe dominato la sua vita. Benché gli riuscisse incomprensibile, era contento d'aver ottenuto la custodia di Gino anche se doveva condividerla con Whitney Ross. Ricordando il momento in cui i loro sguardi si erano incrociati, un fremito di eccitazione lo percorse dalla testa ai piedi. Oh, sì, quella donna lo tentava. Rappresentava una sfida. Era un regalo incartato che chiedeva d'essere aperto. Ma sarebbero stati solo guai. Doveva tenere presente che aveva il compito di allevare un bambino insieme a lei. Del resto, comprendeva il desiderio della signorina Harrington che Gino avesse accanto una figura materna. Era noto a tutti che i fratelli Andreas non erano degli uomini teneri, perciò Missy era stata costretta a scegliere Whitney. Ma che cosa significava condividere la custodia di un bambino? Avrebbero stabilito quando e per quanti giorni occuparsi di lui, tenendo presente il bene di Gino, o se lo sarebbero rimbalzati avanti e indietro come una pallina da tennis? Darius si passò le mani sul viso. Non aveva la più pallida idea di che cosa dovesse fare. Anzi non aveva idea di come prendersi cura di un bambino. Di come fare il padre, visto che non ne aveva mai avuto uno per prendere esempio. Whitney avrebbe avuto un secondo ruolo, forse il più importante. Avrebbe dovuto insegnargli a fare il padre.

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Appena Whitney e suo padre uscirono dalla stanza, Cynthia si avvicinò a Gerald Ross. «L'aspettano urgentemente nella sala delle conferenze, avvocato.» «Ma... sto ancora lavorando al caso Andreas...» «Le cito le parole di Roger: "Il caso Mahoney sta andando a carte quarantotto. Gerry deve raggiungerci immediatamente".» Il vecchio avvocato guardò la figlia. «Pensi di potertela cavare da sola?» Whitney si sforzò di sorridere. «Sì. Vai. Se avrò bisogno di te, ti avvertirò.» «Grazie.» Il padre le passò la sacca e la confezione di pannolini, le diede un bacio sulla guancia e scappò via. Mentre entrava nel suo ufficio, Whitney abbassò lo sguardo e vedendo che Gino succhiava il ciucciotto e la fissava con quei suoi grandi occhi scuri e luminosi, si sentì stringere il cuore. Layla aveva avuto gli occhi azzurri e i capelli biondi, sottili come fili di seta, impossibili da trattenere con un fermaglio, perciò aveva dovuto adottare delle fasce elasticizzate di vari colori. La gola le si chiuse. Avrebbe dato tutto quello che aveva, ogni giorno della sua vita, per poter toccare di nuovo quei capelli. Gino sputò il succhiotto e si mise a piangere. Whitney posò il trasportino sul divano a fiori nell'angolo del suo ufficio e si passò una mano sul viso. «Non piangere, te18


soro» mormorò automaticamente. Quando ci si è presi cura di un bambino, non lo si dimentica più, ma per lei ogni ricordo portava con sé la memoria della figlioletta perduta. Rammentava le notti in cui Layla si lamentava per una colica e lei l'aveva tenuta in braccio, camminando avanti e indietro. Il suo primo compleanno. Il bagnetto serale, le coccole, l'amore. Non piangere, tesoro. Serrò forte gli occhi, cercando di ricomporsi, ma Gino gridò ancora più forte. Sospirando, Whitney si sedette sul divano, lo prese in braccio e mentre lo cullava, il bambino smise di singhiozzare e le nascose la faccia contro il collo. Profumava di lavanda per bambini ed era morbido come le piume delle ali di un angelo. Whitney tornò a chiudere gli occhi, ricordando i momenti felici, i piani che avevano fatto per il futuro di Layla. La mamma che avrebbe voluto essere. Benché lottasse per respingere quei ricordi, le immagini le sfilarono nella mente come un arcobaleno, accompagnate da suoni felici: risa di bambini, parole balbettate: mamma, papà, nanna. Sapeva che era il profumo delicato di Gino a riportarla indietro nel tempo. Per difendersi prese una copertina dalla sacca, la stese sul divano e vi piazzò sopra il bambino. Le memorie retrocessero, il tremito diminuì e il battito cardiaco rallentò, ma lo sguardo di Gino continuò a seguirla. «Suppongo che tu sia spaventato» sussurrò, rivolgendosi a lui come a un adulto perché non osava adottare quel linguaggio infantile che l'avrebbe calmato. «So che mia madre è stata buona con te in questi giorni, ma scommetto che senti la mancanza della tua mamma...» Sentire la mancanza non poteva descrivere il senso di 19


perdita che quel bimbo doveva avvertire. Anche se non capiva che i suoi genitori erano morti, lei sapeva che cosa volesse dire perdere due persone tanto care. Gino era solo. Spaventato. Voleva la sua mamma. O qualcuno che lo facesse sentire al sicuro. Da tre anni lei non si sentiva al sicuro. Il suo mondo era andato in pezzi il giorno in cui suo marito aveva ucciso la loro bambina e si era tolto la vita. Mentre controllava il pannolino di Gino per capire se fosse bagnato e se fosse quella la causa del suo disagio, le sembrò di udire sua figlia piangere, chiamarla, e di colpo si sentì sommergere da quel terribile senso di colpa che la sua terapista considerava assurdo. Nessuno sapeva se Burn avesse volutamente portato Layla con sé quando si era chiuso nella macchina, all'interno del garage pieno di monossido di carbonio. Qualcuno ipotizzava che avesse sistemato la bimba sul suo seggiolino per andare da qualche parte; ma che preso il volante, non avesse avuto la forza di uscire e fosse rimasto seduto mentre il fumo dello scappamento lo intossicava, facendogli dimenticare d'avere la figlia con sé. Quella spiegazione era stata di conforto per tutti, ma non per lei. Se era stata la depressione a far dimenticare a Burn che la sua figlioletta era nell'auto, lei avrebbe dovuto rendersi conto che era troppo malato per prendersi cura della bambina. Perché non si era accorta dello stato mentale di suo marito? Perché non aveva protetto sua figlia? Che cosa in quel periodo l'aveva presa tanto da impedirle di capire che Burn stava andando in pezzi? Il pianto di Gino la riportò al presente. Avrebbe voluto prenderlo in braccio, coccolarlo, ma il ricordo di Layla, del suicidio di Burn, della loro morte, la paralizzava. Cambiò il pannolino di Gino, ma invece di 20


prenderlo in braccio, lo rimise nel trasportino e mentre lo sistemava, le sembrò che lui le rivolgesse uno sguardo colmo di tristezza. Scacciando le lacrime, sperò che il turbamento provato nello stringerlo al petto fosse solo temporaneo. Non era colpa di quella creatura se i suoi genitori erano morti. E Missy aveva espresso il desiderio che lei si prendesse cura di suo figlio. Ricordando la lettera che le aveva dato suo padre, la tirò fuori dalla tasca della giacca e lesse... Whitney, spero che non dovrai mai leggere queste parole, ma qualcosa mi spinge a scriverti. Il fatto è che oggi abbiamo fatto testamento e avendo un figlio dovevamo stabilire chi si prenderà cura di lui nel caso ci succedesse qualcosa. Stephone desidera che se ne occupi Darius, ma a me non sembra una buona idea. So che Darius non si sposerà mai e ciò significa che Gino non avrà mai una mamma. Non potendomi opporre alla volontà di Stephone, gli ho suggerito di affidare congiuntamente a Darius e a te la custodia di Gino. È quello che abbiamo fatto. Se dovesse accaderci qualcosa, Darius sarà il papà di Gino e tu la sua mamma. Amalo, Whitney, perché non sono sicura che Darius sappia amare. Missy Whitney si curvò su se stessa. Il messaggio era breve e diretto. La supplica di una madre. Missy la pregava di voler bene al suo bambino perché temeva che Darius non sapesse amare. Non lo aveva sospettato anche lei? Guardò Gino che le rivolse uno sguardo dubbioso. Quel piccino era stato spostato dalla sua casa in Grecia a quella di due estranei, e adesso era passato a lei. Senza 21


dubbio trovarsi davanti tanti visi sconosciuti doveva averlo spaventato. Era necessario che si trovasse in un ambiente stabile e toccava a lei assicurarglielo, altrimenti sarebbe stato affidato a delle bambinaie, o sistemato in un asilo nido. Era facile supporre che Darius l'avrebbe considerato più come un voto durante le assemblee dei dirigenti che come un infante. Era quindi suo dovere far parte della vita di quel bambino, prendersi cura di lui e amarlo. «Questi giorni sono stati difficili per te» mormorò, rimettendogli in bocca il succhiotto. «Ma adesso sei al sicuro. Baderò io a te.» Ma, si domandò con una fitta di dolore, come poteva promettergli una cosa simile quando non era stata in grado di proteggere sua figlia dal suo stesso padre? Darius si concesse un minuto per calmarsi, poi andò nell'atrio e disse alla receptionist di avvertire l'avvocato Ross che era pronto. Mentre aspettava, si mise a camminare avanti e indietro, ma quando la porta laterale si aprì, vide arrivare Whitney che portava una sacca sulle spalle e una confezione di pannolini. «So bene che oggi avrei dovuto cominciare a lavorare per lei, ma mi sono resa conto che non c'è nessuno che possa prendersi cura di Gino. A parte questo, a casa non ho nessuna delle cose che servono a un bambino: una culla, un seggiolone, un dondolo...» I sensi di Darius si destarono, forse perché era la prima volta che lui e Whitney erano soli. Per prima cosa sentì il suo profumo, poi notò che le sue gambe erano lunghe e affusolate. «Pensavo di farmi mandare a casa tutto.» Darius fu sul punto di dirle che era giusto perché il suo obiettivo era rendersi gradito, ma capì di dover resistere. Voleva quel bambino nella sua vita e aveva biso22


gno che Whitney gl'insegnasse a fare il padre. Il solo modo perché ciò avvenisse era che lei e il bambino si trasferissero a casa sua, almeno per le prime settimane. «Ho riflettuto sulla situazione e sono giunto alla conclusione che non sarebbe giusto che uno di noi due tenesse il bambino a turno. Penso che dovremmo stabilire un piano.» «Lo faremo di sicuro, ma questa notte Gino ha bisogno di un posto in cui dormire. Sono quasi le cinque e nessuno di noi due possiede una culla. A meno che lei non sia esperto di bambini.» Darius avvertì una vampata di calore. Non sarebbe stato facile ignorare l'attrazione che provava per lei, ma era sempre stato un uomo forte. «In verità ho bisogno di un piccolo aiuto per abituarmi a lui.» Whitney si mise a frugare dentro la sacca. «Ne abbiamo bisogno tutti all'inizio.» Dannazione! Non voleva capire, e lui non intendeva dirle che non sapeva un accidente di bambini perché una tale ammissione l'avrebbe svantaggiato. Da molto tempo era avvezzo a trattare qualunque affare da una posizione di forza, ma a volte la strategia migliore per vincere era avvalersi dell'elemento sorpresa. «Oppure potremmo vivere insieme» buttò là con indifferenza. Lei si voltò di scatto. «Che cosa?» «Mi ascolti. Ho ereditato da mio padre la proprietà di Montauk. La casa è così grande che non c'incontreremo nemmeno. In questo modo vedremo il bambino tutti i giorni e potremo risolvere i problemi via via che si presentano.» Lei non disse niente. Non sapendo se la sorpresa l'aveva lasciata senza parole, o se la sua proposta le sembrava tanto assurda da non meritare una risposta, Darius proseguì in fretta. «Non dev'essere per sempre. Solo per 23


le prime settimane, in modo che Gino non debba essere spostato dall'uno all'altro prima ancora di cominciare a conoscerci. Inoltre avremo della servitù che ci darà una mano.» Whitney lo sorprese, domandandogli. «Quanti sono i domestici?» Lui si strinse nelle spalle. «Se ricordo bene ci sono diverse cameriere e una cuoca. Mio padre aveva anche una governante, la signora Tucker.» Lei parve sorpresa e compiaciuta. Darius cominciò ad avvertire una piacevole sensazione di trionfo ma la battaglia non era conclusa. Bisognava stipulare un patto, qualcosa che la vincolasse al suo fianco. Accostandosi al trasportino, guardò Gino che ricambiò il suo sguardo, sbattendo le ciglia. «È grazioso.» «È molto grazioso.» Whitney esitò. «Vuole prenderlo in braccio?» «Oh, sì! Sarebbe bello.» Ma ci sarebbe riuscito? Doveva fare buona impressione su quella donna e nello stesso tempo diventare un padre per quel bambino. Prima avesse cominciato a esercitarsi e meglio sarebbe stato. Whitney posò il trasportino sul divano di pelle nera di suo padre, tolse la cintura di sicurezza e sollevò Gino all'altezza dei suoi occhi. «Gino, sto per darti al tuo fratello maggiore» dichiarò. Darius rise. «Era una specie di presentazione?» «No. Lo preparavo a essere preso da uno sconosciuto.» «L'avrà capito?» I loro occhi s'incrociarono sopra la testa del bambino. «Certo che ha capito.» Quelli di lei avevano un colore grigio azzurro, bel24


lissimo e il suo sguardo era innocente e tuttavia sensuale. Darius stava lottando contro l'impulso di toccarle il viso quando lei gli porse il bambino. A quel punto una paura irragionevole spazzò via tutte le altre sensazioni. Nel passargli Gino, Whitney gli sfiorò la mano e un brivido gli fece accapponare la pelle. Darius pensò di non essere mai stato attratto in quel modo da una donna. Un campanello d'allarme squillò nella sua mente, ma a quel punto teneva Gino tra le braccia e non poteva pensare ad altro. «Ehi! È più pesante di quanto immaginassi.» Whitney sorrise. «Sì. Di solito a sei mesi i bambini non sono così robusti.» Darius cercò di mostrarsi disinvolto. «Siamo una famiglia di grandi mangiatori» dichiarò. Poi vedendo che lei abbassava gli occhi, forse imbarazzata dalla sua vicinanza, continuò: «Che cosa ne dice di passare da casa sua per prendere quello che le serve e andare a Montauk per il fine settimana? Mio padre e Missy vi trascorrevano solo qualche settimana all'anno, ma credo che dopo la nascita di Gino abbiamo fatto preparare una nursery. Se non altro il nostro pargoletto avrà un posto in cui dormire, e lei vedrà che ho detto la verità riguardo alle dimensioni della casa». Whitney tremò di paura, di emozione e di sollievo. Non riusciva a immaginarsi da sola con Gino quella sera. Sarebbe stata paralizzata dal dolore e l'avrebbe sistemato nella culla, singhiozzando. La proposta di Darius, di passare insieme il fine settimana, sarebbe stata la risposta alle sue preghiere se lui non fosse stato inesperto di bambini fino a quel punto. Tuttavia c'erano delle cameriere che avrebbero potuto darle una mano e al bisogno avrebbero assunto una bambinaia. Ma per trovarne una ci sarebbe voluto molto tempo; e intanto quella notte sarebbe risultato lampante che lei 25


aveva dei problemi a stare vicino a Gino, a cullarlo, a stare nella stessa camera con lui. La sua speranza era che con poche lezioni sarebbe riuscita a trasformare Darius in un vicepadre accettabile. Quasi a rassicurarla, Darius fece saltellare Gino sulle braccia, gli parlò e il bambino gli toccò la faccia con le manine. Si piacevano. Sembrava che avessero un legame di famiglia del tutto naturale. Whitney respirò di sollievo. Forse non era la soluzione migliore, ma di sicuro era preferibile piuttosto che restare da sola con Gino. Con la scusa d'insegnare a Darius i primi rudimenti, gli avrebbe fatto eseguire tutte quelle incombenze che rischiavano di farla sciogliere in un mare di lacrime. A parte questo c'era la servitù. Gino sarebbe stato circondato da persone che si sarebbero prese cura di lui finché avessero trovato una bambinaia, e se lei avesse giocato bene le sue carte, avrebbe evitato gli attacchi di panico. Gino era così adorabile che ogni domestico, cameriera, o cuoca sarebbe stato felice di cullarlo, dargli da mangiare e vezzeggiarlo. «Va bene» acconsentì. «Passeremo il fine settimana a casa sua.» Darius sorrise e a quel punto lei rammentò un dettaglio: loro due si piacevano molto e stavano per vivere insieme. Per fortuna la sua casa era grande e lei non era certo stupida. Avrebbe tenuto a posto la testa e sarebbe andato tutto bene.

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3

Lungo la strada per Montauk, mentre Whitney dava un biberon di latte a Gino, Darius telefonò per avvertire la servitù del loro arrivo. Al termine della conversazione, si voltò verso Whitney. «C'è una nursery» annunciò. «Davvero? Magnifico.» «Sì. Mio padre e Missy erano là quando ebbero l'incidente.» Il ricordo della sua amica minacciò di rattristarla, ma Whitney lo allontanò e si concentrò sulle cose che Missy le aveva chiesto di fare. «C'è per caso anche una bambinaia?» domandò. «No. La loro bambinaia era una giovane greca che è tornata subito a casa dopo i funerali.» «Peccato.» «Non credo che sarà difficile trovarne un'altra.» Whitney non commentò e, guardando Gino, vide che si era addormentato sul suo seggiolino. Avrebbe dovuto impartire la prima lezione a Darius appena erano saliti sulla limousine, ma ormai il piccolo dormiva e probabilmente si sarebbe svegliato solo all'arrivo. A quel punto si sarebbe messo a piangere e Darius l'avrebbe vista impallidire e tremare di terrore. Non fasciarti la testa prima del dovuto, si disse. Calmati e andrà tutto bene. La limousine oltrepassò una cancellata di ferro che 27


l'autista aprì con una tessera magnetica. Mentre percorrevano il lungo viale ricurvo in direzione della villa, il cuore di Whitney accelerò i battiti. I rami nudi dei grandi alberi secolari stormivano nel vento di gennaio e la proprietà sembrava deserta, fredda, pervasa da un senso di tristezza. Aveva fatto bene ad accettare l'offerta di Darius? Lo conosceva appena eppure aveva accondisceso a coabitare con lui. Mentre l'autista apriva gli sportelli, slacciò la cintura del seggiolino di Gino. L'uomo lo tirò fuori e Darius prese in braccio il bambino. Lottando per dominare il panico e scacciare un opprimente senso di vuoto, Whitney lo seguì fino al portone d'ingresso. Darius digitò su un pannello la combinazione per escludere l'allarme e aprì la porta. Entrarono in un ampio ingresso dal pavimento di marmo in fondo al quale una scala ricurva portava al piano superiore. Darius accese un grande lampadario di cristallo e in quel momento una donna anziana, in un decoroso abito nero, si fece loro incontro. «Questa è la signora Tucker» spiegò Darius. «Signora Tucker, le presento Whitney Ross, la figlia di Gerald Ross.» La donna annuì. «È un piacere conoscerla, madame.» Whitney sorrise. Sebbene quando era piccola a casa sua non ci fossero stati dei servitori, adesso i suoi genitori avevano cameriere e cuoca nella loro casa a Park Avenue. «Il piacere è mio, signora Tucker.» «Le abbiamo preparato la suite degli ospiti nell'ala destra. Geoffrey le porterà i bagagli.» «Grazie.» La governante stava per andare via quando a Whitney venne un dubbio. «Dov'è la nursery?» domandò. 28


«Nell'ala sinistra, vicina alla stanza padronale e a quella del signor Andreas.» «C'è anche la camera della bambinaia vicina alla nursery?» «Sì, madame. Si trova accanto a quella del bambino, opposta a quella del signor Andreas.» Quella soluzione non funzionava, pensò Whitney. La faceva sentire esclusa. Era stato Darius a invitarla a Montauk, ma perché voleva confinarla dall'altro lato della casa? Che cosa aveva in mente? «Per quale ragione non mi è stata assegnata una camera vicino alla nursery?» domandò. Tenendo in una mano il trasportino, Darius le afferrò un braccio e la spinse verso la scala mentre la signora Tucker si allontanava in fretta, ben contenta di lasciare che fosse lui a rispondere. «Ho pensato che desiderasse stare tranquilla. Tra l'altro, la signora Tucker si è detta disposta a dormire nella stanza della bambinaia in attesa che ne assumiamo una per Gino.» Sembrava sincero, pensò Whitney, ma era un abile uomo d'affari ed era dotato di un grande fascino. Atterrita dalla prospettiva di dover accudire Gino, aveva lasciato a lui le direttive, ma adesso la situazione doveva cambiare. «Non c'è un'altra suite vicino alla nursery?» «Certo che c'è.» «In tal caso preferisco quella.» Darius si fermò e la fissò con sfida, quasi volesse farle capire chi era il più forte, ma un attimo dopo lo sguardo di quegli occhi neri e penetranti, da imperioso divenne sensuale. Poi, come se solo in quel momento si rendesse conto che erano soli a metà della scala, inspirò. Whitney si sentì percorrere da un brivido. 29


Sentiva di piacergli e non c'era afrodisiaco più potente per una donna che accorgersi che un uomo forte, bello e sensuale la voleva. Voleva lei. E lei aveva appena insistito per alloggiare in una stanza vicino alla sua. Stava per dirgli di lasciar perdere, ma Missy l'aveva pregata di voler bene al suo bambino; forse aveva voluto proteggerlo dalle prepotenze del fratello maggiore e lei intendeva farlo, anche se per riuscirci avrebbe dovuto stargli vicino. Cercando di sembrare indifferente al suo modo di guardarla, sorrise. «Io prendo sul serio le mie responsabilità, Darius. Sono contenta di assumere una bambinaia per Gino, ma voglio stargli vicina anch'io. Il testamento c'impone di condividere la custodia. Mi è stato assegnato un compito e io intendo svolgerlo.» L'espressione di lui divenne maliziosa. «Dunque vuole dormire di fronte alla mia camera?» Benché avesse i nervi tesi allo spasimo e avvertisse uno strano formicolio in tutto il corpo, Whitney lo guardò dritto negli occhi. «Sì» rispose. «Così sia. Chiederò alla signora Tucker di dire a Geoffrey di portare i bagagli nella suite davanti alla mia.» Detto questo, Darius tirò fuori il cellulare e riprese a salire la scala. Profondamente turbata, Whitney lo udì ordinare di preparare la stanza dirimpetto alla sua e immaginò che si rivolgesse alla governante. Seguendolo con le gambe che le tremavano, entrò nella nursery, ma compiuti i primi passi s'impietrì. Avrebbe potuto trovarsi nella nursery di Layla. Le pareti erano di colore diverso, ma i mobili e molti giocattoli erano identici. Come pure l'odore... Darius portò dentro il bambino. «Credo che abbia bisogno d'essere cambiato. Vorrei farlo io» dichiarò sorridendo. «Ma non ho mai cambiato un pannolino in tutta la mia vita.» 30


Assalita dai ricordi di sua figlia, Whitney non riuscì né a muoversi, né a parlare. Le sembrava di vedere Layla nella culla, aggrappata ai bordi, che piangeva perché voleva la mamma e tutto intorno, sparsi per la camera, i giocattoli che le aveva comprato per Natale. Era passato un anno prima che riuscisse a entrare nella nursery e a sgomberarla. Apparentemente ignaro della paralisi che l'aveva colta, Darius sollevò Gino dal trasportino. «Sarei felice di farlo, se è disposta a insegnarmi.» Whitney si schiarì la gola. «Certo» rispose, sentendosi inondare dal sollievo. Per quanto non volesse lasciare il posto a Darius, sentiva che in quel momento non avrebbe sopportato di toccare Gino. Guardandosi intorno, vide il fasciatoio in un angolo. «Lo adagi là sopra» indicò. Darius ubbidì e depose sul fasciatoio il bambino addormentato. Whitney si accigliò. «Abbiamo lasciato la borsa con i pannolini in macchina.» «Ci penserà Geoffrey, ma dovrebbero esserci dei pannolini da qualche parte. Avevo ordinato che provvedessero a comprare tutto il necessario.» Tenendo fermo Gino con una mano, Darius aprì i cassetti sottostanti. «Ah, eccoli qui!» esclamò, tirandone fuori uno. «La servitù è davvero efficiente. E adesso?» Allontanando i ricordi, lei inspirò a fondo. «Slacci il pigiamino e glielo tolga.» Darius eseguì la manovra, ma quando si trattò di liberare un braccio del bimbo dalla manica fu troppo brusco. «Adagio» lo esortò lei, posandogli una mano sul polso. «Va bene.» Rallentando i movimenti, lui le rivolse un sorriso incerto. «La sua pelle è morbida come seta.» 31


Whitney ricordò d'aver pensato la stessa cosa la prima volta che un'infermiera le aveva messo Layla tra le braccia. «Lo so» mormorò. Quando Gino rimase con addosso solo il pannolino, insegnò a Darius come aprirlo. «Caspita!» esclamò lui, vedendo che era inzuppato di pipì. Whitney non poté fare a meno di ridere. «Lo butti in quel contenitore di fianco al fasciatoio. Faccia scivolare un pannolino pulito sotto Gino, chiuda le linguette, gl'infili un altro pigiama e abbiamo finito.» Darius seguì le sue istruzioni punto per punto e quando lei gli ricordò di essere delicato quando gli muoveva le gambe e le braccia, si limitò ad annuire. Era troppo ubbidiente, troppo gentile, pensò lei, insospettita. Mirava forse a escluderla? «Mi sorprende che voglia imparare tutte queste cose» commentò. Lui la guardò. «Adesso Gino fa parte della mia famiglia.» «Oh. Sta cercando di assumere la mentalità di un padre?» domandò lei, senza riuscire a escludere una nota di scetticismo dalla sua voce. Uno scapolo ricco e potente che voleva prendersi cura di un bambino era un'anomalia. «Mio padre non ha mai avuto molto tempo per me» rispose lui. «O per i miei fratelli, e io non voglio che questo accada a Gino. Se devo essere il suo modello maschile, voglio farlo al meglio delle mie capacità.» «Quindi vuole imparare a fare tutto?» Invece di offendersi, lui scoppiò a ridere. «Ehi, ho solo cambiato un pannolino. Volevo dimostrare il mio impegno.» Un impegno eccessivo, per i suoi gusti, pensò lei. Certo non desiderava che Gino crescesse senza un pa32


dre, ma il suo istinto di avvocato le diceva che qualcosa le stava sfuggendo. «Benissimo. Domattina cominceremo le lezioni.» Darius rise, ma lei non scherzava. Non solo voleva evitare di toccare troppo Gino, ma voleva mettere Darius con le spalle al muro, assegnandogli tanti compiti da fargli capire quale fosse l'impegno che lo aspettava. Quando il bambino fu pronto, Darius lo baciò su una guancia e lo consegnò a Whitney. «Buonanotte, piccolo.» Appena Whitney lo prese tra le braccia e lo strinse al petto, i ricordi tornarono ad aggredirla, insieme a una profonda tristezza e a un orribile senso di vuoto. Le sembrava di udire i gridolini di Layla, di sentire il suo profumo e d'improvviso rivide il suo piccolo corpo senza vita. Sopraffatta dal dolore, allontanò Gino dal petto, poi, pentita, gli rivolse un sorriso tremulo. «Buonanotte, cucciolo» mormorò, sperando che Darius non si fosse accorto che tremava. Aveva voglia di piangere perché sentiva la mancanza della sua bambina, della vita che aveva perduto. Era così sbagliato? Così difficile da capire? No. Non era sbagliato e neppure difficile da capire. La cosa più giusta da fare sarebbe stato spiegare a Darius di Layla e di Burn. Non voleva la sua pietà, ma era chiaro che avrebbe incontrato molte difficoltà ad abituarsi ad allevare un bambino. Prima o poi Darius si sarebbe accorto che qualcosa non andava. Meglio raccontargli tutta la storia e sollecitare il suo aiuto, piuttosto che farsi vedere incapace e restia a prendersi cura del suo fratellino. Ma quella sera non era il momento giusto per intavolare quei discorsi. Prima di aprirgli il proprio cuore doveva aspettare e cercare di capire quale fosse la sua strategia. Se Darius mirava a sottrarle Gino, non vole33


va offrirglielo su un piatto d'argento. Doveva aspettare, sperando che lui le dimostrasse d'avere delle buone intenzioni. Quando il bambino fu nella culla, lui le prese un gomito. «È tardi. Le mostrerò la sua stanza, poi andremo a mangiare.» «Sono troppo stanca per mangiare» rispose lei, provata dalla tensione e dalla lunga giornata. «Davvero?» Darius chiuse la porta della nursery e si voltò. «Ho ordinato alla signora Tucker di far cucinare dalla cuoca le lasagne e un pollo.» Whitney si meravigliò. «Le lasagne e un pollo?» Lui sorrise. «Esatto.» Come faceva a sapere quali erano i suoi cibi preferiti? «Mentre lei stava preparando la valigia a casa sua, ho telefonato a suo padre» spiegò Darius, vedendo il suo stupore. «Ho pensato che se lei era tanto gentile da permettermi di avervi miei ospiti per almeno un fine settimana, potevo essere così cortese da farla mangiare bene.» Whitney accelerò il passo lungo il corridoio. Avrebbe preferito che lui non fosse tanto garbato quando lei era così stanca, tuttavia cominciava a sentirsi più a suo agio con lui. «Credo che assaggerò tutto domani a pranzo.» Si aspettava che lui insistesse, invece vide che annuiva. «Come desidera.» Poi si fermò davanti a una porta. «Vuole vedere la sua suite?» Nervosa come una ragazzina al primo appuntamento, Whitney lo raggiunse. Le gambe le tremavano e il cuore le batteva all'impazzata. Era da tanto tempo che un uomo non le faceva un tale effetto che aveva dimenticato quel meraviglioso senso di disagio. Darius abbassò la maniglia e aprì la porta. La came34


ra era tutta sui toni del verde tenero e del giallo. Oltre a un salotto arredato con un divano, alcune poltrone, un armadio di ciliegio e dei tavoli dello stesso legno, s'intravedeva la camera da letto. Whitney notò che la coperta del letto era verde e gialla e che le tende gialle erano chiuse. In quella suite si respirava un'atmosfera così calma e rilassante, così diversa dalla sua camera da letto anonima, che le sembrò di entrare in un altro mondo. «Qualcosa non va?» domandò lui. «No!» gli rispose, voltandosi di scatto. «È...» Calda, invitante, confortevole. «Molto bella. Sono sicura che starò benissimo qui.» «Mi permetta di assicurarmi che non manchi niente.» Darius attraversò il salotto e si diresse verso la camera da letto, guardando a destra e a sinistra. Confusa, lei lo seguì. Da un primo sguardo risultava evidente che mentre lei e Darius erano nella nursery, la signora Tucker aveva mandato le cameriere a preparare la camera. Che ragione aveva lui di controllare tutto? Stava temporeggiando, o non si fidava della servitù perché la conosceva poco? Quando lo vide entrare nella stanza in cui lei avrebbe dormito, avvertì un forte senso di disagio. Le sembrava strano che un uomo si fermasse accanto al suo letto. Forse era da troppo tempo che non si trovava da sola con un uomo. Lui però si muoveva con disinvoltura, toccando il letto matrimoniale, il cassettone, le seggiole disposte sotto la finestra per leggere. Dopo aver ispezionato il bagno, le sembrò di vedere un'espressione perplessa sul suo viso ma non ne comprese il motivo. La toeletta era bianca con il ripiano di vetro. I pavimenti erano di marmo di Calcutta. Una parete di vetro lavorato separava la doccia, ma fu la 35


vasca enorme che le strappò un sospiro di gioia. Avrebbe fatto un lungo bagno per smaltire la tensione e la fatica. Quella vasca sarebbe stata il suo paradiso. Darius le lanciò uno sguardo veloce, poi si voltò. La sua espressione era così strana da indurla ad affacciarsi di nuovo nel bagno. Guardò di nuovo la vasca e avvampò. Se a una donna quella vasca sembrava il paradiso, a un uomo doveva apparire come un posto perfetto per dei giochi erotici. I loro sguardi s'incrociarono e l'emozione che aveva provato, quando l'aveva visto la prima volta, tornò a chiuderle la gola. Darius era bello e il fatto che le piacesse era normale. Avrebbe dovuto rallegrarsi se finalmente dopo tre anni di vedovanza, si sentiva di nuovo attratta da un uomo. Tuttavia non voleva più lasciarsi coinvolgere emotivamente. Non avrebbe mai più concesso a un'altra persona un tale potere sulla sua vita. Inoltre aveva la custodia di Gino e alla riunione dei dirigenti sarebbe stata lei a esprimere il voto del bambino. Darius avrebbe fatto bene a tenersela buona. «Dato che lei è stanca e io ho molte cose da sbrigare» mormorò lui, massaggiandosi la nuca. «La lascio sola.» «Oh!» Whitney si meravigliò. Strano che non insistesse per restare, che non facesse qualche avance. Sembrava che non vedesse l'ora di andare via. La fitta di delusione che provò, la sorprese. Non voleva che Darius fosse attratto da lei, ma visto che lo era, il fatto che riuscisse a controllarsi avrebbe dovuto destare il suo apprezzamento. Non deluderla. «Va bene» disse, sforzandosi di sorridere e accompagnandolo in salotto. Arrivato alla porta, lui sembrò ancora più nervoso e guardandolo, Whitney comprese perché. Erano a pochi centimetri di distanza e si guardava36


no. La tentazione di dargli il bacio della buonanotte era così forte da paralizzarla. Per la prima volta dal suicidio di suo marito, non pensava alla sua vita distrutta. La presenza di Darius dominava la sua mente. L'unico suo timore era che lui la baciasse. Poi capì che non aveva paura. Voleva che lui la baciasse. L'emozione che provava era un senso di esaltante aspettativa. Non paura. Dio del cielo! Com'era possibile che quell'uomo le piacesse tanto da non riuscire più a ragionare? Da desiderare i suoi baci e le sue carezze? Ma lui non la baciò. Non tentò neppure. Afferrò la maniglia insieme a lei e le loro dita si toccarono. Whitney strappò via la mano ma quel contatto era bastato a scatenare un tornado. Burn era morto da tre anni, ma in precedenza da molti mesi non aveva più manifestato alcun interesse per lei. Da quanto tempo un uomo non la toccava? Le sensazioni che provava erano così forti da imbarazzarla. Darius si affrettò a uscire. «Ci vediamo domattina a colazione.» Poi chiuse la porta prima che lei potesse rispondere. Whitney strinse i pugni cercando di annullare l'idea stessa della delusione prima che la sua mente la formulasse in modo completo. Era ridicolo e insensato. Ormai aveva capito di piacere molto a Darius, ma dal modo in cui era scappato, capiva anche che non voleva essere attratto da lei. Meglio così. O no? Quell'ambiguità la disgustò. Quei giorni non dovevano servire ad allacciare una relazione, bensì a stabilire in che modo allevare Gino e a permettere al bambino di abituarsi a loro. Poco prima aveva pensato di raccontare a Darius 37


quello che era successo alla sua famiglia, ma ripensandoci, temeva di apparirgli come una donna triste, svuotata, incapace di stare vicino a un bambino. Una parte di lei la spingeva a essere sincera, ma un'altra le suggeriva di essere cauta. Darius era ricco e potente. Se gli avesse mostrato la sua debolezza, l'avrebbe portata davanti a un giudice e accusandola d'incompetenza, avrebbe preteso la custodia completa. A quel punto Gino sarebbe stato allevato solo da lui e lei non avrebbe potuto adempiere alla volontĂ di Missy. Non poteva permetterlo. Darius l'aveva portata a casa sua e aveva cercato di sistemarla nell'ala opposta rispetto alla nursery. Quanto tempo, quindi, avrebbe impiegato prima di piazzare il povero Gino in un asilo nido? Quel pensiero fece insorgere il suo senso di protezione. Avrebbe lottato fino all'ultimo respiro prima di permettere che Gino finisse in un asilo. Poco ma sicuro, lei e Darius avrebbero dovuto combattere molte volte prima di giungere a un accordo. Un pensiero la colpĂŹ all'improvviso, facendola cadere di colpo su una seggiola. Volenti o nolenti, Darius e lei erano legati dalla responsabilitĂ di quel bambino. Avrebbero potuto essere sposati. O divorziati. Dio del cielo, in che guaio l'aveva messa Missy? Eccola lĂŹ, in casa di un quasi sconosciuto con un bambino che le faceva rivivere i momenti migliori e peggiori della sua vita, e con un uomo che l'attirava a tal punto da toglierle il respiro. Se fosse riuscita a sopravvivere a quel fine settimana sarebbe stato un miracolo.

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4

Il pianto di Gino, alle tre di mattina, fece sobbalzare Darius nel letto. Per qualche secondo rimase disorientato, poi ricordò che stava dormendo nell'orribile camera matrimoniale tutta fiori e pizzi della villa di Montauk. Quando si rese conto che Gino dormiva nella stanza vicina alla sua, il pianto era già cessato. Scese comunque dal letto, s'infilò un paio di jeans che gli avevano mandato da casa sua insieme ad altri oggetti personali, una t-shirt e uscì nel corridoio. Pochi passi e raggiunse la stanza adiacente che immetteva nella nursery. La signora Tucker stava dando il biberon a Gino che succhiava con avidità. Darius entrò in punta di piedi, ma la governante rise. «Non c'è bisogno che non faccia rumore. Il bambino è sveglissimo.» Chinandosi sulla culla, Darius lo guardò. «E si direbbe che è affamato.» La governante sorrise. «Lo sono sempre.» «Sempre? Intende dire che non si tratta di un episodio isolato? Che lui si sveglierà tutte le notti alle tre?» «Non in punto, ma si sveglierà quasi tutte le notti finché imparerà a fare un lungo sonno senza bisogno di succhiare un biberon di latte.» «Mmh» mormorò Darius, fissando gli occhi scuri del bambino. Il suo pancino rotondo tendeva la stoffa del pigiama verde intero e i suoi capelli neri, dritti e punta39


ti in tutte le direzioni lo rendevano ancora più grazioso. Gino smise di succhiare e la signora Tucker posò il biberon sul tavolino vicino alla seggiola a dondolo e lo prese in braccio. Il ruttino immediato del bimbo la fece ridere. «Adesso va tutto bene» dichiarò, prendendo un fazzolettino di carta e pulendo il rivolo di latte che colava dalle labbra di Gino. Darius rabbrividì. «Dovrò imparare a fare queste cose?» domandò. «Certo e quando avrà imparato, le regole cambieranno.» «Quali regole?» La governante prese in braccio Gino e si mise a cullarlo. «Non si tratta di regole vere e proprie ma di cose che dovrà fare. Adesso questo piccolino è un lattante. Tra qualche mese comincerà a camminare e poi verranno i terribili due...» «Terribili due?» «Non credo che voglia saperlo adesso.» Darius non ne fu sicuro. Voleva sapere e non voleva. In quel momento, addormentato tra le braccia della signora Tucker, Gino sembrava un angelo e lui sentì insorgere un istinto di protezione più intenso di quanto avesse mai provato. Turbato, cercò di soffocarlo. Voleva occuparsi di Gino, stargli vicino, accudirlo, ma quei sentimenti erano troppo forti per non essere sbagliati. La signora Tucker si alzò dalla seggiola a dondolo e mise il bambino addormentato nella culla. «È meglio che torni a letto. Il mattino arriva presto quando si ha un bebè.» Darius annuì e uscì con lei dalla stanza. «Buonanotte» mormorò, dirigendosi verso la sua camera. Non gli piaceva l'idea che la signora Tucker dovesse compiere un lavoro doppio, pensò, e prima d'infilarsi 40


sotto le coperte, puntò la sveglia alle sei, sperando di svegliarsi prima di Gino. Poche ore dopo, quando la sveglia suonò, non si attardò nemmeno un minuto. Sceso dal letto, s'infilò i jeans che aveva indossato la sera prima, una maglietta e senza prendersi la briga di mettersi le scarpe, corse verso la nursery. «Buon giorno.» In jeans, maglietta azzurra che s'intonava al colore dei suoi occhi, Whitney era ritta accanto alla culla e osservava Gino che dormiva ancora. «Vuole imparare a dargli da mangiare?» gli propose. Darius fece istintivamente un passo indietro. La scena avvenuta la sera prima davanti alla porta della sua camera era stata densa di emozioni, ma a quanto sembrava lei voleva ignorare la tensione che era nata tra loro. Stava per rispondere che gli sarebbe piaciuto dare il biberon al bambino, quando Gino spalancò gli occhi, sbadigliò, stiracchiò le braccia e lanciò un vagito. «È un avvertimento per lei» disse Whitney, ridendo. «Gli cambi il pannolino mentre preparo il latte.» Poi aprì il piccolo frigorifero, tirò fuori un biberon e lo mise a scaldare nello scaldavivande. Non volendo rovinare quei momenti di pace e nemmeno che Gino svegliasse la povera signora Tucker, Darius adagiò Gino sul fasciatoio e ripetendo i gesti compiuti la sera precedente, gli cambiò il pannolino. Insoddisfatto del modo in cui veniva sballottato, Gino si mise a piangere. Darius si voltò per chiedere aiuto e vide che Whitney fissava con estrema attenzione lo scaldavivande, che in realtà non avrebbe avuto bisogno di alcun controllo. Strano che il pianto di Gino non la facesse reagire. Tuttavia, si disse, doveva imparare a prendersi cura del bambino e a superare le difficoltà iniziali. Solo a quel 41


punto lui e Whitney sarebbero diventati una vera squadra. Quando la luce dello scaldavivande si spense, era già seduto sulla seggiola a dondolo con Gino sulla spalla che strillava. «Vuole sempre dargli il biberon?» domandò lei con voce incerta. «Sicuro, ma dovrà dirmi quello che devo fare.» «Lo adagi sulle sue ginocchia in modo che posi la testa sul suo braccio.» Darius eseguì, ma il bambino s'irrigidì, rifiutandosi di sedersi. Whitney gli diede il biberon. «Prenda questo e glielo faccia vedere. Quando capirà che il latte sta arrivando, si calmerà.» Dovendo tenere fermo il bambino, Darius non seppe in che modo afferrare la bottiglia, ma alla fine, stringendolo con un braccio, liberò una mano e afferrò il biberon. Avrebbe voluto criticare Whitney per non averlo aiutato, ma appena vide il latte, Gino cominciò a calmarsi. «Adesso prema la tettarella contro le sue labbra e lui farà il resto.» Con stupore di Darius, appena il succhiotto sfiorò la bocca del bambino, Gino non solo lo prese tra le labbra, ma cominciò a succhiare rumorosamente. «Caspita!» esclamò lui, ridendo. «Così va meglio.» «I bambini hanno un linguaggio tutto loro che bisogna interpretare. Se li ascolta, le faranno capire perché piangono.» «Ci sono molte cose da imparare.» Mentre Gino succhiava con foga, Whitney si allontanò dalla poltrona a dondolo e si mise a camminare per la stanza. Darius la osservò, perplesso. Quella giovane donna aveva un atteggiamento distaccato. Dava l'impressione 42


di volerlo aiutare ma sembrava un'estranea passata da lì per caso. Del resto la conoscenza che aveva di Gino era limitata quanto la sua. «Come mai Missy le ha affidato suo figlio?» le domandò. Whitney si voltò di colpo. «A parte il fatto che voleva assicurarsi che Gino avesse accanto una presenza femminile?» «Sì» ammise lui. «Perché lei?» «Missy e io abbiamo fatto l'università insieme e siamo state molto unite fino a quando lei ha conosciuto suo padre.» «Davvero?» «Il padre di Missy scomparve quando lei aveva sei anni e sua madre, alcolizzata, entrava e usciva dalle cliniche, lasciandola in mano a delle cameriere. Missy era sempre stata molto sola così, quando ci conoscemmo, cominciò a venire a casa mia durante le vacanze e i fine settimana. Eravamo come due sorelle.» «Poi incontrò mio padre e nessuno di noi li ha più rivisti.» «Già» ammise Whitney con un sorriso amaro. «Missy amava suo padre.» «E lui amava la Grecia.» «Dove infatti si erano stabiliti.» Gino finì di mangiare e Darius sollevò il biberon vuoto. «E adesso?» «Deve fargli fare il ruttino.» «Il ruttino?» «Lo tenga così.» Whitney sollevò il bambino e glielo sistemò sulla spalla. «Ora gli batta una mano sulla schiena.» Mentre gli dimostrava come fare, Gino ruttò rumorosamente. Sorridendo, lei glielo rimise in grembo. «Adesso ti senti bene, vero, piccolo?» 43


La sua voce dolce e carezzevole gli risuonò vicino all'orecchio e Darius chiuse gli occhi, turbato. Anche il modo in cui la sera prima lei aveva rifiutato di scendere a cena gli era sembrato carico di sensualità. Per non parlare della grande vasca da bagno e dello sguardo che si erano scambiati. Meglio non pensarci, si disse, balzando in piedi. «Dobbiamo portarlo con noi mentre facciamo colazione, o che cosa?» «C'è un seggiolone in sala da pranzo?» «Sì.» «Allora possiamo portarlo con noi.» «D'accordo.» Abituato ormai a stare con il bambino, Darius, non avvertì alcun disagio nel tenerlo in braccio, ma d'improvviso la sensazione di appartenenza che aveva provato la sera prima tornò a inondargli il cuore. La morte di suo padre era stata così improvvisa che non aveva avuto il tempo di raccapezzarsi. Ma di colpo tutto sembrava molto reale. Aveva un bambino da crescere, aveva delle nuove responsabilità. Quel frugoletto avrebbe richiesto tempo e attenzioni, lo avrebbe costretto a cambiare le sue abitudini lavorative, a dedicargli le serate. Il compito che lo attendeva gli parve così gravoso da togliergli il respiro. «Può tenerlo un momento?» domandò, porgendo Gino a Whitney. «Vado a mettermi un paio di scarpe.» Lei esitò, come se sospettasse che lui non volesse farsi carico del bambino. Il contrario di quello che voleva apparire. «Non importa» aggiunse in fretta. «Lo porterò con me.» Con sua sorpresa, lei sorrise. «E che cosa gli farà fare mentre calza le scarpe?» «Bella domanda.» Whitney gli tolse allora Gino dalle braccia. «Coraggio, vada a mettersele.» 44


Respirando di sollievo, Darius si precipitò nella sua camera, s'infilò calze e scarpe e in due minuti tornò nella nursery. Notando che Gino era nel box, corrugò la fronte. «Pronta per la colazione?» «Sì.» Whitney si chinò, sollevò Gino e glielo diede con naturalezza, tuttavia evitò di guardarlo. Darius si era meravigliato che lei avesse messo il bambino nel box e che glielo avesse consegnato appena era tornato, ma la cosa che lo disturbava di più era che evitasse di guardarlo. La sera prima aveva vinto la tentazione di baciarla benché lei inviasse dei chiari segnali d'invito, sperando in quel modo di dimostrarle che, benché fosse attratto da lei, era deciso a mantenere le distanze tra loro. Tuttavia Whitney continuava a comportarsi con una cautela eccessiva. Lei andò alla porta come se tutto fosse a posto e gliela tenne aperta. Scendendo la scala dietro di lei, Darius notò la sua postura rigida. Non aveva mai conosciuto una donna che a tratti manifestasse tanta passionalità e subito dopo diventasse gelida. Sembrava che spegnesse le sue emozioni con un interruttore. In un certo senso era meglio così, si disse. Nessuno dei due desiderava essere coinvolto in una storia perciò la cosa da fare era imitarla e soffocare ogni emozione. Arrivati nella sala da pranzo esposta sul lato est della casa, Whitney sollevò il vassoio del seggiolone e gli spiegò in che modo sistemare il bambino. «Ma non lo lasci andare» si raccomandò, cercando la cintura per legarlo. «Ho capito» assicurò lui, ansioso d'imparare. Ecco un'altra ragione per convincerla a trasferirsi lì in pianta stabile e non solo per qualche settimana. La cuoca entrò nella stanza con un bricco di caffè e chiese che cosa desiderassero mangiare. Darius ordinò 45


il pancake e Whitney del pane e del formaggio fuso. «Devo preparare i cereali per il bambino?» Darius guardò Whitney che trasalì. «Caspita. È da tanto tempo che non sto con un bambino che ho dimenticato che molti, arrivati a sette mesi, mangiano i cereali.» «Sono già alcune settimane che li mangia» annunciò la cuoca con orgoglio. «Allora li porti» rispose Whitney. Poi si voltò verso Darius. «Mi dispiace.» «Io non sapevo nemmeno che i bambini mangiassero i cereali.» La cuoca tornò con una piccola ciotola e un minuscolo cucchiaio. Come se riconoscesse che era cibo per lui, Gino sbatté le manine e Darius, avvicinando la seggiola a lui, prese in mano ciotola e cucchiaino. «Sei pronto per questa pappa?» domandò. Il bambino emise un gridolino di gioia. «Prenda un po' di cereali con il cucchiaio e lo imbocchi adagio» istruì Whitney. Darius ubbidì e Gino aprì subito la bocca. La seconda cucchiaiata andò meno liscia, ma lui riuscì a rimediare e a infilare i cereali tra le labbra del bambino. Dopo tre o quattro volte, quando Gino invece di mangiare cominciò a fare delle bollicine con le labbra, capì che non aveva più fame. «Se giochi, significa che sei sazio» commentò, posando il cucchiaio. La signora Tucker arrivò in quel momento. «La cuoca ha detto che comincerà a cucinare quando sarete pronti a mangiare, perciò ho pensato di portare Gino di sopra e di giocare un po' con lui. Passando, dirò alla cuoca di cominciare a darsi da fare.» «Bene» approvò Darius, alzandosi per sollevare il bambino dal seggiolone. 46


Uscita la governante con il bambino, nella sala scese un piacevole silenzio. «È bello qui» dichiarò Whitney. Darius guardò fuori dalla finestra la distesa dell'oceano di un grigio metallico e il cielo di un azzurro ingannevole. Sapeva che quando il vento veniva dal mare, fuori doveva essere molto freddo. «Sì» rispose. «L'avevo dimenticato.» «È venuto qui spesso?» «Solo dopo aver compiuto diciotto anni.» «Come mai ho la sensazione che sia stato costretto a farlo?» La sua capacità di percezione lo mise a disagio. «Perché è vero. Quando compii diciotto anni, mio padre mi aprì un conto di cinque milioni di dollari. Mi disse che erano miei ma che voleva che andassi all'università e lavorassi per le Industrie Andreas. In precedenza, dopo che aveva lasciato mia madre, non l'avevo visto quasi mai; poi, di colpo, era entrato di prepotenza nella mia vita e mi dettava quello che dovevo fare. I giorni che ho trascorso qui non sono stati molto piacevoli.» Whitney giocherellò con la saliera. «Suo padre mi piaceva.» Lui rise ma s'interruppe vedendo arrivare la cuoca con il suo pancake e il panino caldo per Whitney. Quando la donna se ne andò, si servì dello sciroppo di mele. «Alle persone che non avevano mio padre come amante, o genitore, lui piaceva molto.» «Sì, suppongo che sia vero.» Sorpreso da quella risposta, lui posò lo sciroppo. «Credevo che si sarebbe messa a cantare le sue lodi.» Whitney rise. «So cosa vuol dire avere a che fare con una persona che in pubblico si comporta in un mo47


do e in privato in un altro. Io avevo un marito che tutti adoravano.» Darius corrugò la fronte. Dunque era stata sposata? Poiché aveva mantenuto il cognome del padre, non aveva pensato a quella possibilità. Il fatto che fosse stata sposata, e che magari avesse sofferto per il divorzio, spiegava perché con lui fosse tanto nervosa. Fino a quel momento, assorbito dal bambino, non si era posto molte domande su di lei, a parte la curiosità di sapere perché Missy l'avesse scelta come custode di Gino. «Tutti amavano suo marito a parte lei?» domandò, fingendosi interessato al suo piatto. «Oh, l'amavo anch'io. E lui amava se stesso.» Whitney prese il bricco con la panna liquida. «Che programmi ha per oggi?» Era ovvio che voleva cambiare argomento. Aveva aperto uno spiraglio sul suo passato, ma doveva averlo fatto involontariamente. Benché fosse curioso di sapere altre cose, Darius non volle apparirle troppo invadente. Inoltre se desiderava convincerla di non essere pericoloso in alcun modo, doveva assecondarla e cambiare discorso. «Per la verità voglio stare il più possibile con Gino.» Whitney posò il pane nel piatto e lo studiò. Il suo sguardo era sospettoso e scettico. «Dunque non scherzava? Vuole davvero essere un buon papà?» «Voglio essere un papà fantastico.» Quelle parole gli uscirono dalla bocca spontaneamente. Adesso che era stato vicino a Gino, poteva pronunciarle con assoluta sincerità. Non era più confuso come la sera precedente, o spaventato come quel mattino nella nursery, benché sentisse tutto il peso della responsabilità che gli era caduta addosso. Aveva dichiarato di non voler essere un padre 48


part-time come era stato suo padre, ma non era del tutto certo di poterci riuscire. Il solo modello che aveva avuto non era stato un gran che valido. Tuttavia non poteva confessarlo a Whitney. In pratica lei era un'estranea. Così, imitando quello che aveva fatto lei quando l'argomento le era sembrato ostico, lo cambiò. «E lei che piani ha fatto per oggi?» «Sto lavorando su un caso con mio padre. Lui ha letto tutte le deposizioni. Io no. Non era mai successo prima.» Sapendo di poter chiedere alla signora Tucker di badare a Gino e ansioso di rendere confortevole quella casa per Whitney, Darius le rivolse un sorriso. «Ci sono tre uffici qui. Può scegliere quello che le sembra più adatto e passarci tutta la giornata. La signora Tucker e io ci occuperemo di Gino.» Whitney parve sollevata. «Grazie.» Lavorò tutto il giorno, interrompendosi solo per pranzare verso le due e cioè molto tempo dopo che Darius e il bambino avevano mangiato, così non dovette intrattenersi con loro. Ma non poté evitare la cena. Alle sette, ancora in jeans e maglione, scese in sala da pranzo. Darius, che era già seduto a capotavola, si alzò. Anche lui indossava i jeans e il maglione che si era messo quel mattino. Scostando la seggiola al suo fianco, le spiegò: «Ho immaginato che fosse troppo occupata per cambiarsi». Whitney si sedette. «Proprio così. Grazie.» «Mio padre esigeva che la sera ci presentassimo a cena vestiti in modo elegante. Io non sono tanto formale. Spero che le piacciano i piatti italiani» concluse, aprendo il tovagliolo. 49


«Non ho dei gusti difficili. Mi piace quasi tutto» rispose lei, lanciandogli un'occhiata. Quel mattino, vedendolo abbigliato in modo sportivo, lo aveva giudicato attraente, ma quella sera non si era fatto la barba e il velo scuro sul mento e sul viso lo faceva apparire ancora più sensuale. Quell'uomo era decisamente troppo bello e lei era vulnerabile. Da quando aveva conosciuto suo marito, non aveva più frequentato degli scapoli tanto attraenti e adesso ne subiva il fascino. Una situazione difficile, stando vicino a un uomo stupendo, soprattutto considerando che non voleva assolutamente legarsi a qualcuno. Tuttavia non poteva mostrarsi maleducata con un ospite tanto gentile. «Non deve preoccuparsi per quello che riguarda il cibo. Quando il lavoro non m'impegna, mangio in continuazione.» Lui rise e un brivido di piacere le corse lungo la spina dorsale. Era da tanto tempo che non faceva ridere un uomo, conversando con lui, da aver dimenticato com'era piacevole. «Non ci credo.» Lo sguardo di Darius le scivolò addosso, soffermandosi sul seno. «Ha una linea troppo bella.» Buon Dio! La stava corteggiando! Il desiderio d'imitarlo la sopraffece. Lo sentì percuoterle il cervello come un prigioniero sbatte le sbarre della sua cella nel tentativo di uscire. Era riuscita a farlo ridere e così facendo aveva ritrovato la gioia di essere normale. Ma era passato tanto tempo dall'ultima volta che aveva civettato ed era sbagliato cimentarsi con quell'uomo. Avevano entrambi troppo bisogno l'uno dell'altra per avventurarsi in un terreno così insidioso. La sera prima 50


lui aveva evitato di baciarla, dimostrandole di essere attratto da lei, ma di non voler percorrere quella strada. E lei era stata troppo scottata per andare oltre qualche sorriso civettuolo. Tuttavia Darius le sembrava la persona perfetta per fare un po' di pratica. Cercando di apparire semplicemente una donna libera che civettava con un uomo libero, sorrise. «Scommetto che lo dice a tutte le donne.» Lui rise. «Solo a quelle belle.» Whitney si sentì invadere dalla felicità. Ce l'aveva fatta! Era riuscita a tornare nel mondo reale. Se per lui quella era una semplice conversazione, per lei rappresentava un evento storico, ma sperava con tutto il cuore di non farglielo capire. La presenza di una giovane cameriera che li serviva, attenta a tutte le loro necessità, impedì che la conversazione assumesse dei toni intimi, perciò gli argomenti divennero banali e lei si rilassò. Terminata la cena, Darius si alzò. «Che ne dice di una partita a biliardo?» «Biliardo?» «Ha presente il tavolo verde, le biglie, le stecche e tutto il resto?» Whitney rise e si meravigliò. Forse suo padre aveva ragione. Forse era ora che uscisse dal suo isolamento, che tornasse a una vita normale. Che fosse di nuovo lei stessa. E le sembrava che Darius fosse capace di farle compiere i primi passi in quella direzione. Tuttavia non doveva esagerare. «Non lo so. Sono...» «Stanca? Davvero signorina Ross? Stavo per consigliarle di prendere delle vitamine.» Lei rise di nuovo e si sentì giovane, libera e spensierata come non le succedeva da moltissimo tempo. Ricordi cupi le si affacciarono alla mente, ma li respinse. Aveva bisogno di distrarsi. Voleva distrarsi. 51


«Andiamo» la esortò lui, guidandola verso una porta. «Questa casa è piena di cose per divertirsi. Sarebbe un peccato non approfittarne. Soprattutto sapendo che dovremo stare molto tempo insieme almeno per i prossimi diciotto anni. È bene che impariamo a conoscerci.» Paura ed emozione le fecero accapponare la pelle. Conoscersi non voleva dire arrivare a un'intimità fisica. Darius voleva quello che voleva lei. Niente di complicato. Solo una serata trascorsa insieme. Per conoscersi. Perché avevano entrambi la custodia di un bambino. Accettando la proposta, Whitney allontanò ogni timore, soffocò l'emozione e si disse che imparare a conoscersi non doveva essere difficile. Nessuno la obbligava a parlargli della sua famiglia proprio quella sera. Avrebbe aspettato un momento migliore. Quella sera avrebbero solo giocato a biliardo. La sala da biliardo era una specie di immensa grotta con le pareti rivestite di legno e le poltrone di pelle, lo stile prettamente maschile. «La stanza di suo padre, presumo» azzardò avvicinandosi alla rastrelliera per prendere una stecca mentre lui raccoglieva le palle. «Esatto.» Darius le si avvicinò per scegliere una stecca. «Ma prima che commiseri Missy, dia un'occhiata intorno. Benché lei e mio padre vivessero in Grecia, hanno trascorso del tempo qui. Il suo tocco è dappertutto.» «Sul serio?» «Missy ha arredato di nuovo almeno tre camere. Inclusa quella matrimoniale» concluse, rabbrividendo. «Non le piace il suo gusto?» «Se vuole sapere se mi piacciono le coperte a fiori e le tende di pizzo, la risposta è no.» Whitney scoppiò a ridere, rallegrandosi di aver accondisceso a passare del tempo con lui. Nella mezz'ora 52


successiva giocarono diverse partite e Darius la batté con grande facilità. «Lei ha barato.» «I bari sono coloro che le fanno credere di non saper giocare per convincerla a puntare dei soldi e poi a portarglieli via. Io non mi sono comportato così. Abbiamo solo fatto qualche partita amichevole.» «Sì e io le ho perse tutte» borbottò lei. Darius prese la mira, tirò una stoccata, la palla andò a colpire le altre con un forte clangore ma nessuna entrò in buca. «Sembra che tocchi a me.» Whitney aggirò il tavolo, cercando un punto buono per tirare. Quando lo trovò, sistemò la stecca ad angolo e si apprestò a colpire. «No, no, no. Non farà mai un buon colpo così.» Darius le si avvicinò. «Lasci che l'aiuti.» Si stese sopra di lei e circondandola con le braccia, guidò la sua mano, spiegandole come imprimere forza alla stecca. Quel contatto rese elettrici i suoi nervi e Whitney sentì che il suo corpo si risvegliava. Anche cementare la loro amicizia rappresentava un grosso rischio. L'attrazione che esisteva tra loro era esplosiva. Una scintilla e sarebbero scoppiate le fiamme. Rendendosi conto di starle addosso, Darius ruotò la testa. I loro visi erano vicinissimi. Gli aliti si mescolavano. Whitney tremò dal desiderio di toccargli le guance e la gola. Magari solo sfiorarle per avvertire il calore di un'altra pelle. Per sapere che era viva. Spostando le mani dalla stecca sulle sue spalle, Darius la aiutò a raddrizzarsi. Per alcuni secondi rimasero immobili e vicini, e lei notò le varie emozioni che affioravano sul viso di lui come se stesse dibattendo con se stesso se baciarla, oppure no. Le passò per la mente l'idea di dire qualcosa e anche 53


di scappare. Quell'attrazione così forte era sbagliata, ma la curiosità e il desiderio si scontravano con il buonsenso. Quella serata era stata un esperimento per lei. Un ritorno alla vita. Non voleva interrompere quel percorso. Non poteva. Aveva bisogno che lui la baciasse. Lo desiderava. La testa di Darius scese adagio come se volesse darle il tempo di respingerlo. Whitney lo considerò, ma restò ferma, ammaliata e la bocca di lui fu sulla sua. Una tempesta di desiderio le esplose dentro. Lui le afferrò i fianchi, attirandola contro di sé e Whitney capì che voleva essere abbracciata, amata, toccata. Avvinghiata a lui, i seni schiacciati contro il suo torace, aprì la bocca e lasciò che lui approfondisse il bacio. Un calore intenso le si diffuse nelle membra. Il respiro le mancò, ma la mente le mandò un messaggio imperioso. È sbagliato! È sbagliato! È sbagliato! Non era pronta per andare oltre un bacio, ma la notte precedente aveva percepito che Darius voleva qualcosa da lei. O forse la ingannava. Non avrebbe dovuto baciarlo perché adesso non riusciva più a ragionare. All'improvviso qualcuno si schiarì la voce e lei balzò all'indietro come un'adolescente colta in fallo. Joni Johnson, la cameriera che aveva servito la cena, era apparsa sulla porta. «Mi dispiace disturbarla, signor Andreas, ma la signora Tucker mi ha detto di chiamarla. Il bambino sta male.»

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Darius e Whitney rincorsero Joni che stava salendo la scala posteriore. Appena raggiunsero la nursery, Darius si precipitò dentro. Gino giaceva nella culla e piangeva. Lui allungò le braccia e lo sollevò. «Ehi, piccolino, che cos'hai?» «Ho già chiamato il pediatra» comunicò la signora Tucker, torcendosi le mani. «Ha detto che verrà il più presto possibile.» Gino si raggomitolò contro Darius, piangendo ancora più forte. «Non ha voluto il latte e non smette di piangere» spiegò la governante, pallida e ansiosa. «Non sono una bambinaia e il mio unico figlio ha più di trent'anni. È da molto tempo che non mi occupo di bambini piccoli e non capisco che cosa gli sia successo.» Whitney si avvicinò a Darius e sbirciò il bambino da sopra la sua spalla. «Posso tenerlo?» Darius incrociò il suo sguardo e se ne rammaricò subito. Il ricordo del bacio che si erano scambiati gli mozzò il respiro. Benché gli sembrasse impossibile, aveva rotto la promessa di non baciarla. Ma la tensione che esisteva tra loro era troppo forte. Se fossero stati liberi di seguire l'istinto, la loro camera da letto sarebbe andata a fuoco. Tuttavia se avessero ceduto al desiderio ci sarebbero state molte conseguenze, soprattutto per quel bambino. 55


«Tenga» mormorò porgendoglielo. Whitney lo distese sul suo braccio, lo osservò, gli tastò la fronte e lo guardò in bocca. «Penso che stia mettendo un dente» affermò. Irritato dal suo tono tranquillo, Darius le lanciò un'occhiataccia. «Io penso che sia meglio lasciarlo decidere al pediatra.» «Naturalmente» convenne lei, restituendogli Gino. «Volevo dire soltanto che è inutile farci prendere dal panico mentre aspettiamo che arrivi.» La signora Tucker parve sollevata. «Avrei dovuto pensarci anch'io» mormorò, lasciandosi cadere sulla poltrona a dondolo. Darius intuì che doveva essersi molto allarmata. Poi un sospetto gli attraversò la mente. Come mai Whitney sapeva tante cose sui bambini? Aveva detto di essere stata sposata, ma non aveva parlato di figli. Se invece li avesse avuti e il giudice li avesse assegnati a suo marito, doveva esserci una ragione. E se la ragione era tanto grave da convincere un giudice a togliere dei bambini alla loro madre, lui voleva sapere di cosa si trattava. «Allora torno in cucina» annunciò la signora Tucker, alzandosi e andando alla porta. «Va bene» rispose Darius, contento di rimanere da solo con Whitney. Dal giorno in cui l'aveva conosciuta nell'ufficio di suo padre, si era tanto concentrato sul tentativo di piacerle, d'aver sorvolato sulle tante sue incongruenze. Ma adesso era ora di finirla. Sedendosi sulla poltrona a dondolo, strinse al petto Gino che si raggomitolò contro di lui come se cercasse conforto. Il cuore gli si gonfiò di commozione. Si stava innamorando di quel piccolino. In soli due giorni, Gino gli aveva rubato il cuore. Un motivo di più per conoscere a fondo l'altra per56


sona a cui era stato affidato. A suo padre Whitney poteva essere piaciuta, ma suo padre non aveva previsto di morire. Era anche possibile che avesse semplicemente voluto accontentare Missy. Tra l'altro, dato che Whitney era figlia di un suo caro amico e amica della madre di Gino, poteva aver tralasciato d'indagare nel suo passato con l'accuratezza con cui avrebbe dovuto farlo. «Se sei d'accordo, direi di darci del tu. Sarà più facile conversare. Vuoi spiegarmi come mai sai tante cose sui bambini?» domandò. Whitney si avvicinò alla finestra e non rispose. «Posso far svolgere delle indagini su di te. O anche indovinare. Una donna che ha perso la custodia dei figli, a favore di suo marito, deve avere qualche scheletro nell'armadio.» Lei trasalì e si rifiutò di guardarlo. Darius socchiuse gli occhi. Dannazione! Se fin dal primo momento non avesse avuto tanto bisogno di lei, avrebbe capito che qualcosa non funzionava. «Sai una cosa? Non dirmi niente. Fai la valigia e torna da tua madre. Impugnerò il testamento e ti allontanerò dal bambino.» «Non farlo.» Whitney si voltò, l'espressione tormentata e addolorata. «Perché no? Non vuoi trovarti davanti a una giuria mentre dicono che non devi stare vicino ai bambini? Perché non hai tenuto i tuoi?» «Non è come pensi.» «Ti aspetti che mi accontenti di questo?» Whitney cominciò a tremare. Era certa che lui intendesse indagare nel suo passato. A quel punto avrebbe scoperto che sua figlia era morta. Aveva pensato di dirglielo, ma in modo da non apparire incompetente e troppo sconvolta da quel lutto. Adesso era giunto il momento di confessare la verità. 57


Aprì la bocca, domandandosi che cosa dire e come dirlo, ma l'unica frase che venne fuori fu: «Avevo una bambina». Darius non disse niente, solo chiuse le braccia intorno al suo fratellino come se volesse proteggerlo e lei, osservandolo, si sentì spezzare il cuore. «Non farei mai del male a Gino.» «Davvero?» «Mio marito lo fece.» Il tremito aumentò. «Mio marito ha ucciso mia figlia.» Darius smise di dondolarsi. «Voleva suicidarsi» continuò lei con le lacrime che le rigavano le guance. Ricordi di quei giorni tremendi, quando si era sentita sommergere da un senso di colpa, e si era posta mille domande, le colmarono la mente, impedendole di parlare. Dovette deglutire tre volte prima di poter continuare: «Nessuno sa se si fosse dimenticato d'avere la bambina legata sul seggiolino, quando decise di restare seduto nell'auto in funzione, dentro il garage e morire». I singhiozzi soffocati le facevano dolere il petto. «La sua azienda era fallita e benché i soldi non fossero un problema, il suo orgoglio ne patì.» Whitney spalancò le braccia in un gesto supplichevole. «Era la sua terza impresa. Aveva dichiarato che il numero tre gli avrebbe portato fortuna, ma non accadde. Suo padre era arrabbiato perché diceva che stava perdendo tempo. I suoi fratelli si erano fatti un nome a Wall Street e lui continuava a fallire. Era imbarazzante per la famiglia.» Darius deglutì, scosso da quello che aveva udito. «Mi dispiace.» «Dispiace a tutti» mormorò lei, singhiozzando. «Forse nessuno sa che cosa dire?» suggerì lui, alzandosi dalla poltrona a dondolo. 58


Whitney gli voltò le spalle. Sapeva che se avesse potuto piangere a volontà, la tensione che l'attanagliava sarebbe diminuita. I problemi sarebbero rimasti, ma i suoi nervi si sarebbero rilassati. «Non è stata colpa tua.» Lei si girò di scatto, rabbiosa. «Davvero? Non avrei dovuto accorgermi che la depressione di mio marito stava peggiorando? Non c'erano dei segni visibili? Ne sei sicuro?» «No, ma...» «Lascia perdere.» La porta si aprì ed entrò la signora Tucker seguita dal medico, un ometto piccolo, con i capelli grigi, che conosceva già da tempo il suo piccolo paziente. «Il dottor Sullivan» annunciò, facendosi di lato per lasciarlo passare. «Ehi, giovanotto» esordì il medico, prendendo Gino dalle braccia di Darius. «Ho saputo che qualcuno sta mettendo un dente» affermò, adagiandolo sul fasciatoio e cominciando a visitarlo. In silenzio, Whitney si spostò dietro il gruppo riunito intorno al bambino e uscì dalla stanza. Vedendola andare via, Darius si maledisse per averla costretta a parlare e maledisse suo marito. Whitney aveva avuto una figlia, una bimba piccola. Una bambina che doveva essere stata la luce dei suoi occhi e lui l'aveva obbligata a ricordare i giorni peggiori della sua vita. Il medico esaminò Gino e dichiarò di non poter fare molto per un bambino che stava mettendo i denti. Prescrisse un gel da passare sulle gengive per desensibilizzarle e consigliò di comprare un anello di gomma da mordere. Per fortuna Gino si addormentò appena il medico andò via, ma Darius restò accanto alla culla, arrabbia59


to con se stesso per aver costretto Whitney a parlare e ancora preoccupato per il bambino. Finalmente, verso la mezzanotte andò a letto, ma si era appena addormentato che udì Gino lamentarsi. Balzando in piedi, guardò l'orologio e vide che erano solo le due. Non volendo obbligare la signora Tucker a occuparsi di Gino da sola, s'infilò un paio di jeans, una felpa e corse nella nursery. Mentre entrava dalla porta laterale, Whitney varcò quella principale in pigiama e vestaglia. I loro occhi s'incrociarono sopra la culla e Darius impallidì. Poche ore prima l'aveva forzata a rivivere i momenti più drammatici della sua vita ma se non altro, adesso che tutto era stato spiegato, doveva sapere che lui non aveva più motivo di dubitare delle sue capacità. Gino si rimise a piangere. Darius si precipitò a prenderlo in braccio, precedendo di un soffio Whitney. Preoccupata, lei gli si avvicinò per vedere quello che succedeva, ma non tanto da toccarlo. Dopo quella conversazione sul suo passato, ritrovare la serenità sarebbe stato complicato, ma a un certo punto la tensione sarebbe diminuita... Se solo non l'avesse baciata, pensò lui. Non riusciva a credere d'averlo fatto, ma la tentazione era stata tanto forte da non poter resistere. Si era illuso che un bacio l'avrebbe appagato e invece sentiva ancora il suo sapore sulle labbra. «Vado a scaldare il biberon» annunciò lei, togliendo la bottiglia dal frigorifero e mettendola nello scaldavivande. Gli voltava le spalle e Darius, osservandola, venne preso dal rimorso. Avrebbe dovuto essere più gentile e più dolce con lei. 60


Tornando con il biberon, Whitney gli fece cenno di sedersi sulla poltrona a dondolo. «Dopo che avrà bevuto il latte, gli metteremo il gel sulle gengive, così si riaddormenterà.» Oh, Signore!, pensò lui, spaventato. Come poteva davvero dare da mangiare al bambino sapendo quanto male gli facesse la bocca? Accorgendosi della sua esitazione, Whitney gli rivolse un cenno d'incoraggiamento. «Adagia Gino sulle tue ginocchia e tienigli la testa un po' più alta del solito. Così» approvò, vedendo che lui compiva la manovra. «Adesso infilagli il succhiotto tra le labbra e lui farà il resto. La fame supererà il dolore.» Darius fece quello che gli aveva detto e il bambino prese a succhiare come se fosse affamato. Whitney si allontanò. «Mi rendo conto che vederlo soffrire ti rende nervoso.» Non si meravigliava che lei capisse, pensò lui. Aveva avuto una figlia e lui l'aveva costretta a ricordare. Doveva scusarsi. «Mi dispiace» mormorò. Whitney andò alla finestra e benché fuori fosse buio pesto, si mise a fissare l'oscurità. «Di non saperti prendere cura di Gino?» «No. Di averti spinta a parlare di quello che ti è successo.» «Non potevi saperlo» rispose lei, continuando a guardare fuori. «Ed eri in ansia per Gino. Lo capisco.» Molte altre persone dovevano aver commesso lo stesso errore con lei, pensò Darius, perciò Whitney non gli avrebbe fatto delle colpe e non avrebbe conservato del rancore verso di lui. Gino sputò la tettarella e lui posò da un lato il biberon. Attese qualche istante, poi gliel'offrì di nuovo e il bambino lo accettò. Nella stanza cadde uno strano si61


lenzio, non più imputabile al passo falso che aveva commesso. C'era un altro ostacolo da rimuovere e toccava a lui farlo. Controllando che Gino continuasse a succhiare, mormorò: «Mi dispiace anche d'averti baciata. Non succederà più». Lei restò voltata verso la finestra, in silenzio e a quel punto lui maledisse la propria stupidità. L'aveva baciata, cedendo all'impulso di un momento, mentre avrebbe dovuto controllarsi. Tuttavia, invece di mandarlo al diavolo, Whitney si strinse nelle spalle. «Come fai a sapere che non succederà più?» «Perché sarebbe sbagliato per entrambi. Per i prossimi diciotto anni dovremo stare molto tempo insieme per allevare Gino. Se cominciassimo una relazione così... volatile, uno di noi resterebbe ferito, rabbioso e questo non sarebbe un bene per Gino.» Whitney continuò a guardare fuori benché non vedesse niente. Era la seconda o la terza volta che lui dava la priorità a Gino. L'aveva già sorpresa quando aveva detto di voler essere un ottimo padre. Poi aveva visto l'ansia con cui aveva atteso il pediatra e sapeva che non stava fingendo, che non diceva quelle cose per sembrarle migliore. Intendeva essere un buon padre per il suo fratellastro. Lo sbirciò. In jeans e felpa era bellissimo. I suoi capelli corti non erano pettinati come quando andava in ufficio e un ciuffo gli cadeva sulla fronte. Il suo volto solitamente severo era rilassato, tranquillo. Non era accigliato, ma le sue labbra non sorridevano. Aveva baciato quella bocca. Lui l'aveva stretta tra le braccia. Aveva sentito il battito del suo cuore sotto il maglione. In quel momento avrebbe potuto commettere quasi 62


una follia, qualcosa che non le apparteneva, ma il fato era intervenuto e glielo aveva impedito. Lui aveva detto che non voleva che succedesse di nuovo e gli credeva. Non perché si preoccupasse di Gino, ma adesso Darius sapeva che lei aveva un passato tumultuoso e nessun uomo, soprattutto uno che poteva avere tutte le donne che voleva, si sarebbe lasciato coinvolgere da una con i suoi trascorsi. Era un peccato perché finalmente era riuscita a sciogliersi con un uomo, ma forse era un bene perché la notte precedente, stando tra le sue braccia, aveva temuto di non potersi più fermare. Se Joni non fosse arrivata in quel momento... Non voleva pensarci. Il suo compito era appagare i desideri di Missy e cercare di non allacciare una relazione sbagliata con l'uomo con cui divideva la responsabilità di Gino. Oltretutto non era pronta per una nuova relazione. Burn l'aveva privata della capacità di fidarsi di qualcuno. Per quanto Darius sembrasse buono e disposto a dare affetto e protezione a Gino, un legame intimo con lui sarebbe stata un'altra faccenda. Notando che il biberon era vuoto, glielo sfilò dalle labbra. «Ecco fatto» disse, rivolta a Darius. «Adesso deve fare il ruttino.» Darius restò immobile. Non avrebbe permesso al profumo di lei di stordirlo, non si sarebbe chiesto se la sua pelle fosse morbida come sembrava, e non avrebbe ricordato il bacio che le aveva dato. Aveva promesso che con lui sarebbe stata al sicuro e intendeva mantenere la parola data. «Appoggialo sulla tua spalla come ti ho mostrato ieri.» Lui eseguì, ma evitò di guardarla. La sua vicinanza costituiva una tentazione che non poteva evitare se 63


voleva che lei gl'insegnasse come comportarsi con il bambino. La sola alternativa era controllarsi. «Adesso battigli sulla schiena.» Bastò esercitare una lieve pressione sulla sua schiena e Gino ruttò. Whitney si allontanò. «Ha sempre appetito e digerisce bene. In un bambino significano una costituzione sana. Metterà i denti prima che ce ne accorgiamo.» Darius si alzò, pieno di sollievo. «Devo rimetterlo a letto?» domandò. Lei rise. «Speriamo che si addormenti, altrimenti sarà una lunga notte. Prima mettiamogli un po' di gel sulle gengive.» «Scusami. Me n'ero dimenticato.» «Per te sono tutte novità e ci sono molte cose da tenere a mente.» Whitney massaggiò con il gel le gengive del bambino che sputò e protestò, ma non riuscì a farla desistere. «Ora, se te la senti, dovresti sederti di nuovo sulla poltrona a dondolo, tenendolo nella posizione di prima, in modo che possa respirare meglio, e cullarlo finché si addormenta.» «Ubbidisco.» Darius si sedette con Gino in braccio e cominciò a dondolarsi. «Ehi, piccolino.» «Non parlargli, altrimenti non si addormenterà» l'avvertì lei, appoggiandosi contro la culla. «Che cosa devo fare?» «Continua a dondolare. Volendo, potresti cantargli una ninna-nanna.» «Mai nella vita!» assicurò lui. «Un giorno canterai. Lo fanno tutti.» «Non io.» «Aspetta a dirlo. Se sarai disperato, ti metterai a cantare anche tu.» Darius scosse la testa, ridacchiando. Whitney attese un momento, poi gli si piazzò davanti, evitando di 64


toccare sia lui sia il bambino e si mise a cantare. «Stai buono, piccolo mio, non dire una parola. Il papà ti comprerà un uccellino...» La sua voce era dolce e musicale. Gino sollevò le palpebre appesantite dal sonno e si girò a guardarla. «E se l'uccellino non canterà, il papà ti comprerà un anello di brillanti. E se l'anello si rivelerà di ottone, il papà ti comprerà un cannocchiale. Se il cannocchiale si romperà, il papà ti comprerà un caprone...» Le palpebre di Gino si chiusero come per magia e Whitney abbassò la voce, ma non s'interruppe. «Se il caprone non tirerà, il papà ti comprerà un carretto e un toro.» Il canto divenne una sorta di nenia. Le ciglia di Gino tremolarono un paio di volte, poi non si mossero più e Whitney si raddrizzò. «Si è addormentato.» Ammaliato dalla sua espressione dolce e dal modo in cui aveva modulato la voce per farlo assopire, Darius la fissò. «Davvero?» domandò. «Davvero» rispose lei, andando alla porta. «Buonanotte.» «Buonanotte.» Darius si alzò e posò il bambino nella culla con l'anima piena di tristezza. Era sicuro che lei era stata una madre perfetta. La domenica mattina, udendo Gino piangere, Darius balzò dal letto, si rimise i jeans e la felpa che aveva usato quella notte e si precipitò nella nursery. La signora Tucker stava cambiando il bambino. «Questa mattina sta molto meglio. Mi dispiace di non aver sentito che si è svegliato questa notte.» «Non si preoccupi. Siamo accorsi Whitney e io.» Prima che la governante potesse rispondere, apparve Whitney. I loro occhi s'incrociarono e lui ricordò 65


quando l'aveva udita cantare con tanta dolcezza, l'espressione tenera con cui aveva guardato Gino e d'improvviso comprese perché Missy avesse voluto affidarle suo figlio. Whitney era nata per essere madre. Sarebbe stata una vera mamma per Gino, non una sostituta, non una custode. Una vera madre. Come lui intendeva essere un vero padre. Riusciva a immaginare loro due tra qualche anno come due genitori perfetti, ritti uno accanto all'altro, le braccia intrecciate che incitavano Gino a percorrere in bicicletta il viale che girava intorno al giardino. Scosse la testa per allontanare quelle immagini. Per crescere un bambino non era necessario intrecciare le braccia. Non dovevano allacciare una relazione. Lui doveva gestire un'azienda colossale. Il lavoro lo avrebbe assorbito al punto da non consentirgli un attimo di pausa, ma avrebbe trovato del tempo per il suo fratellino. Gino sarebbe diventato la sua famiglia. A parte lui, nella sua vita non ci sarebbe stato posto per nessuno. Whitney avrebbe commesso un errore fatale ad attaccarsi a lui. Adesso che conosceva il suo passato, sapeva che lei aveva bisogno di un uomo che l'amasse, che la capisse, che si dedicasse a lei, mentre lui aveva troppe cose da fare. Non si sarebbe accorto se lei avesse avuto bisogno di parlare, se si fosse sentita triste, o se avesse voluto essere abbracciata. E l'avrebbe fatta soffrire. «Buongiorno» salutò lei, avvicinandosi al bambino. «Buongiorno» cinguettò la signora Tucker. «Ecco il biberon» disse, offrendole la bottiglia e il bambino. Sapendo ormai per quale ragione Whitney esitava, Darius si precipitò in suo aiuto. Essere la vicemadre di Gino doveva essere un tormento per lei, eppure aveva accettato quel compito e si accingeva a svolgerlo. «Lo prendo io.» 66


La governante gli diede il bambino e guardò l'orologio. «Se non vi dispiace, vado di sotto. Due delle cameriere sono nuove e non ho ancora spiegato loro quello che devono fare.» Poi sorrise con la sua solita aria felice e, per contrasto, Whitney gli sembrò ancora più triste. Darius si sedette sulla poltrona a dondolo con Gino in braccio e gli diede il biberon. Mentre il bambino succhiava con voracità, Whitney si aggirò per la nursery, toccando i giocattoli allineati sugli scaffali senza proferire parola. Non sapendo che cosa dire, anche lui tacque. Quando Gino ebbe finito di succhiare il latte, Darius gli fece fare il ruttino e si alzò. «Devo rimetterlo a letto?» domandò. Whitney scosse la testa, sorridendo. «Suppongo che si sia appena svegliato. Sarebbe meglio portarlo di sotto per un po'.» «Con le gengive che tra poco torneranno a fargli male?» domandò Darius, allarmato. «Certo. Deve mangiare i suoi cereali e poi prevedo che vorrà giocare. Tenerlo allegro gli può fare solo bene.» Come diavolo si faceva a far divertire un bimbo così piccolo?, si chiese lui, preoccupato. «Tu verrai con noi?» domandò. «Certo.» Fu allora che lui si accorse di una cosa. La tristezza che trapelava da tutti i suoi gesti, talvolta veniva celata da un atteggiamento normale, ma era sempre presente; e tutto quello che Whitney faceva per Gino senza dubbio le ricordava la figlia che aveva perduto.

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Darius aspettò di sedersi a tavola all'ora di pranzo, mentre Gino schiacciava un pisolino, per abbordare l'argomento che gli stava più a cuore: come suddividere la custodia del bambino. Attraverso le ampie finestre panoramiche della sala da pranzo si vedeva l'oceano, le onde lunghe che si frangevano contro la costa. Tecnicamente lui e Whitney sarebbero rimasti legati per i prossimi diciotto anni, o forse più. Gino avrebbe considerato lei la sua mamma e lui, sperava, il suo papà. Ma la vita che loro due conducevano era così diversa che dubitava di poter trovare un terreno comune. Whitney era stata sposata, aveva avuto una figlia. Adesso abitava in una mansarda a Soho e lavorava in uno studio legale, mentre lui aveva sempre rifuggito l'idea di sposarsi ed era stato istruito per dirigere una grande impresa. Possedeva un appartamento in città ma, pensando al benessere di Gino, meditava di venderlo e di trasferirsi in quella proprietà. Se, come credeva, anche Whitney desiderava creare un forte legame con il bambino, avrebbe dovuto vendere la mansarda e trasferirsi lì. Il fatto di vivere tutti e tre insieme, avrebbe comunicato a Gino la sensazione d'avere una vita normale e avrebbe dato ai suoi due custodi la possibilità di sorvegliarlo. Tuttavia, dopo le domande incalzanti che a68


veva rivolto la sera prima a Whitney, non si sentiva di farle una proposta brutale. Meglio convincerla a rimanere per due, tre settimane, poi trattenerla ancora finché lei si sarebbe resa conto che Montauk era la casa di Gino. Poiché il fine settimana era agli sgoccioli, doveva persuaderla a trattenersi lì una settimana o due, e doveva farlo subito. Con fare disinvolto, prese in mano il tovagliolo. «Sono contento che abbiamo deciso di venire qui per il fine settimana per cominciare a conoscere Gino» affermò. Lei lo guardò, l'espressione cauta. «È positivo per lui trovarsi in una casa bene organizzata, specialmente visto che questa è la sua casa, o almeno lo era quando i suoi genitori venivano a New York.» Whitney ne convenne senza esitare un istante. «Assolutamente.» «Ti dispiacerebbe trattenerti un po' di più?» «Per quanto tempo, esattamente?» La sua condiscendenza lo rese audace. Perché accontentarsi di una settimana? «Che ne dici di un mese?» «Un mese!» «O sei settimane.» Darius adottò una tattica collaudata che consisteva nel sorprendere il suo antagonista rincarando la dose, anziché diminuirla. «Questa è la casa di Gino e lui ha bisogno di vivere in un luogo in cui si sente al sicuro, di dormire nella sua culla, di svegliarsi e vedere la sua stanza. Noi siamo adulti e possiamo adattarci per il suo bene.» «D'accordo.» Darius restò così sorpreso che dimenticò che stava negoziando. «D'accordo?» «Sì. Dovremo assumere una bambinaia e a me serve del tempo per trasformare la stanza degli ospiti in una nursery. Perciò, sì. Mi sembra ragionevole che Gino re69


sti dove sta bene finché avrò fatto quello che devo fare.» Sconcertato, lui non replicò. Whitney si mise in bocca una cucchiaiata di zuppa. «A Layla piaceva stare nella sua culla. Soprattutto quando era ammalata.» Layla. Il tono assolutamente normale con cui aveva pronunciato quel nome lo scosse, ma gli fece altresì capire che anche lui doveva reagire normalmente, ed evitare di porle delle domande che non c'entravano con Gino, anche se le aveva sulla punta della lingua. Com'era possibile che un padre dimenticasse d'avere con sé la propria figlia? E come faceva una donna a sopportare il rimorso di non aver capito che suo marito stesse perdendo la ragione? Sebbene si ordinasse di non chiederle niente, una domanda gli sfuggì dalle labbra. «Come hai fatto a sopportare?» «Che cosa?» Darius avrebbe voluto rimangiarsi le sue parole, ma non riuscì a trattenersi. «La perdita. Come hai fatto a sopportare quella terribile perdita?» Whitney lo guardò. «Terapia.» Lui scosse la testa. «Dio, dev'essere stato orribile. Mi dispiace tanto.» «È proprio questa la ragione per cui non ti ho raccontato subito tutto» replicò lei, posando il cucchiaio. «Non volevo che fossi triste per me. Desidero che tu sappia. Devi sapere. Ma se voglio andare avanti con la mia vita, non devi rattristarti per me. Devi trattarmi come quando pensavi che fossi solo un avvocato rompiscatole.» Darius rise. «Non ho mai pensato che fossi una rompiscatole.» «Invece lo hai pensato e probabilmente lo penserai 70


sempre. A volte non concorderemo sul modo in cui educare Gino. Avremo dei momenti di disaccordo. Sarebbe bene stabilire fin da ora delle regole a cui attenerci.» «Chiarisci meglio.» «Per esempio, potrebbero nascere dei contrasti perché io non voglio che lui riceva in regalo un'automobile quando compirà sedici anni.» Questa volta lui scoppiò a ridere. Non solo perché era assurdo parlare di fatti che sarebbero avvenuti dopo quindici anni e mezzo, ma perché non era d'accordo nel negare a Gino un mezzo di trasporto di cui avrebbe potuto avere bisogno. «Davvero? Niente macchina a sedici anni? Nel caso tu non te ne sia accorta, sono ricco. Posso permettermi di comprargli qualunque automobile desideri. E lui ne vorrà una. Dai quattordici anni in poi non parlerà d'altro.» «Non importa. A quell'età i ragazzi non sono dei guidatori prudenti ed esperti. Dovremo controllarlo con attenzione ogni volta che si metterà al volante e, per farlo, il modo migliore è costringerlo a chiedere il permesso di usare la macchina.» Darius restò a bocca aperta. «Io ho dieci automobili. Non avrà difficoltà a prenderne una.» «In quel caso sarai molto occupato a corrergli dietro. Per me si tratta di sicurezza, quindi sarà un punto di scontro molto forte tra noi.» Darius ricordò il modo in cui guidava a sedici anni e dovette darle ragione. «Va bene. Il mio punto di contrasto è il rosa.» «Il rosa?» «Non importa se lo chiami lilla, rosa o altro. Non voglio che lui si vesta di rosa.» Whitney aggrottò la fronte e poi scoppiò a ridere. «La tua idea di punto di rottura è questa?» 71


Lui abbassò lo sguardo sul piatto. «Dammi tempo. Non mi viene in mente altro.» «Neppure a me. Comunque dovremo bilanciarci. So d'aver ragione riguardo alla macchina, perciò, quando verrà il momento, non dovrai discutere. Io terrò conto che non ami il rosa. È una bizza da bambino, ma l'accetto. Tuttavia non sarà sempre così bianco o nero. Dobbiamo imparare a discutere i problemi via via che si presenteranno e a rispettare il reciproco punto di vista.» «Dovrebbe essere facile» commentò lui. «Aspetta a dirlo tra qualche anno. Non saremo sempre così razionali. La prima volta che Gino ci guarderà con affetto, ci scioglieremo. Probabilmente succederà domani, o dopo, perciò preparati. Tu e io stiamo per diventare il papà e la mamma di quel piccolino.» Darius annuì e le rivolse un mezzo sorriso. «Ci avevo già pensato.» «Bene. Vuol dire che ti stai impratichendo del gioco.» «E tu?» «Io ci sono già passata e so che cosa aspettarmi nel prossimo anno e mezzo. Ho perfino previsto i prossimi venticinque anni. Asilo, scuola elementare, medie, liceo, università... matrimonio.» Non c'era da stupirsi che avesse immaginato tutto. Lei era una pianificatrice. Con tutta probabilità aveva programmato ogni evento importante nella vita di sua figlia; poi, quando la bambina se n'era andata, aveva sofferto le pene dell'inferno. Darius avrebbe voluto farle delle domande, non per conoscere quali sogni avesse fatto per sua figlia, ma perché sospettava che lei avesse bisogno di parlare. Però non erano ancora dei veri amici. Erano due persone unite dalla volontà di altri. Non aveva il diritto di toccare un argomento tanto delicato. Ma non sapeva nemmeno in che modo cambiare 72


discorso. Ogni cosa riguardante Gino le avrebbe ricordato la sua bambina. Fu lei la prima a rompere il silenzio. «Questa zuppa è squisita.» Ah! Il cibo. Grande risorsa. In più lei aveva detto che le piaceva mangiare. «La cuoca ha lavorato per mio padre per molti anni. Ogni volta che lui cercava di raddoppiarle lo stipendio, minacciava di licenziarsi.» Whitney rise. «Credo di capire perché.» Felice di vederla allegra, lui ripensò a come gli era sembrata rilassata la sera prima a cena e poi al biliardo. «Dovresti vedere quanto pagava il cuoco pasticciere.» Lei sbarrò gli occhi. «Hai un cuoco pasticciere?» Darius rise. «Mio padre l'aveva.» La sua risata la fece tremare. Sapeva che lui cercava di essere cordiale, ma quel suono le era entrato dentro, dandole una sensazione di calore. Non era amore. Era... unione. Cameratismo. Benessere. Si conoscevano da pochi giorni ma si sentivano tanto a loro agio da discutere di Gino e del suo futuro in termini pacati. Non solo, lei gli aveva parlato di Burn. Di Layla. E adesso lui rideva e la faceva ridere. E l'aveva baciata. Whitney allontanò quel pensiero. Lui aveva promesso che non l'avrebbe più baciata, perciò era inutile ricordarlo. «Se resteremo qui un mese, ingrasserò di almeno tre chili.» «Te lo puoi permettere.» Quella affermazione le ricordò il modo in cui lui l'aveva guardata la sera prima mentre lei si esercitava a civettare, e un brivido di desiderio le corse lungo la spina dorsale. Ma subito dopo giunse il ricordo dei problemi che quel tipo di desiderio le aveva procurato. «Nessuna donna può credere di poter aumentare di tre 73


chili» affermò, posando il tovagliolo sul tavolo e alzandosi. «Oggi pomeriggio devo lavorare.» Darius annuì e sorrise. «Va bene.» Mentre si recava nel suo ufficio, Whitney si congratulò con se stessa. Non poteva affermare d'essere scappata, ma trattenersi con lui, sapendo che per loro non ci sarebbe stato un futuro, sarebbe stato inutile. Ed era stata lei a mettere una croce su quel futuro, rivelandogli il suo passato. Eppure quell'uomo le piaceva molto e siccome lo conosceva poco, doveva pensare che la sua fosse un'attrazione animalesca. Sapendo che i sentimenti sbagliati andavano soppressi, le sarebbe riuscito più facile controllarli. Sarebbe bastato ripetersi, ogni volta che un'ondata di languore la investiva, che non lo conosceva. Il lunedì mattina, lasciarono Gino alla signora Tucker e si recarono in città. Durante il tragitto Darius rilesse dei documenti e non aprì bocca. Non le domandò nemmeno che cosa si prefiggesse di fare riguardo alle Aziende Andreas, votando al posto di Gino. A colazione si era accorto che lei era silenziosa e distaccata e aveva colto il messaggio. Benché avesse accondisceso a vivere nella stessa casa con lui, voleva il suo spazio. Benissimo. Desiderava che fosse felice e se restare sola la rendeva felice, allora non l'avrebbe importunata. A un certo punto sarebbe stata lei stessa a addolcirsi e a proporsi in modo diverso sia a lui sia al bambino, e lui ne avrebbe approfittato per suggerirle di trasferirsi in pianta stabile a Montauk. Quando arrivarono a destinazione, la guidò nel suo ufficio che in precedenza era stato quello di suo padre. Le pareti rivestite di legno di ciliegio e gli scaffali stracolmi di libri davano alla stanza un'aria vecchiotta, ma 74


non aveva ancora avuto il tempo di ammodernarla. Oltrepassando il gruppo di poltrone di pelle, le fece cenno di seguirlo fino alla scrivania e mantenendo l'atteggiamento professionale adottato fin dal mattino, le consegnò una pila di documenti. «Ci sono dei contratti che vorrei che tu controllassi e discutessi con me.» «D'accordo.» Darius premette un pulsante e chiamò la sua assistente che arrivò subito. «Minnie ti mostrerà il tuo ufficio.» Whitney lasciò la stanza insieme alla segretaria e lui, fissando la porta che si chiudeva, sperò di fare la cosa giusta. La rivide quando salirono sulla limousine per tornare a casa e lei gli restituì i documenti con gli appunti che aveva scritto in margine, di modo che lui prese a sfogliarli e non ebbero bisogno di parlare. L'accompagnò sotto il suo appartamento e aspettò in auto che lei riempisse una valigia con gli indumenti che le sarebbero serviti durante le settimane a venire. Solo quella sera, mentre cenavano, parlarono della bambinaia. Quel mattino Whitney aveva chiamato l'agenzia di cui si era servita per Layla e l'impiegata le aveva inviato i curricula di alcune possibili candidate. Dopo aver ristretto la scelta a quattro, aveva fissato i colloqui per il giorno seguente e Darius aveva accettato di assistere a ciascuno ma, dati gli impegni lavorativi che aveva, solo per cinque muniti, non di più. Giunti al dessert, si scusò, dicendo di dover rileggere alcune deposizioni sul caso a cui lavorava con suo padre. Alle nove, quando Darius entrò nella nursery per salutare Gino, Whitney era già là, ma non si sorprese, vedendo che lei si teneva a distanza da lui e dal bambino. Sapeva qual era il suo problema. Tuttavia, a causa 75


dell'attività che entrambi svolgevano, quel giorno avevano trascorso poco tempo con Gino per cui liquidò la governante. «Se lo desidera, può ritirarsi nella sua stanza, signora Tucker» le disse. «Resteremo noi qui.» Appena la governante uscì, lui prese il biberon e si sedette sulla poltrona a dondolo. «Ehi, piccolino.» Whitney restò dietro la culla. «Comincia a sapere chi sei.» Darius non riuscì a trattenere un sorriso. «Lo so.» «E tu cominci a volergli davvero bene.» «Hai ragione» ammise lui. «È un affetto che ti entra nel cuore all'improvviso e con una forza dirompente.» Lo sguardo di Whitney si addolcì. «Sì.» Temendo che quei discorsi le ricordassero sua figlia, Darius cercò di distrarla. «Sai una cosa? Parlando di quando compirà sedici anni, mi è venuto in mente che un giorno dovrò parlargli di nostro padre. Mi sono chiesto se non sarà meglio evitarlo.» «Stai scherzando? Non puoi non parlargli di suo padre» protestò lei. «No, ma dovrò farlo in un certo modo, dicendogli le cose buone e temperando quelle cattive.» Whitney gli si avvicinò. «E se i tuoi fratelli decidessero di dirgli la verità?» obiettò. Darius divenne pensieroso. «Mio padre desiderava che noi ci comportassimo come fratelli, ma come hai potuto constatare, Cade e Nick mi evitano.» «E tu vuoi tenere Gino lontano da loro cosicché non possano parlargli di vostro padre?» Lui scosse la testa. «Al contrario. Ho pensato d'invitarli a venire qui. Magari un paio di volte l'anno in modo da imparare a conoscerlo. Anche se non vogliono avere a che fare con me, sono i fratelli di Gino e penso che debbano fare parte della sua vita.» 76


Annuendo, lei si chinò sulla poltrona a dondolo. «Tutto questo non gli renderà facile la vita.» Darius si accigliò. «Alludi al fatto di vedere ogni tanto i suoi fratelli?» «No. Al fatto d'avere tre fratelli adulti. Forse non te ne rendi conto, ma questo bambino ha quasi quarant'anni meno di te e la distanza con gli altri due fratelli è di poco inferiore. Vi aspetterete dei grandi risultati da lui» mormorò, accarezzando i morbidi capelli del piccolo. «Criticherete le ragazze che frequenta e pretenderete di decidere quale facoltà deve scegliere all'università.» Scuotendo la testa, passò un dito sulla guancia del bimbo. «Presumo che si ribellerà.» Darius la guardò, trattenendo il respiro. Non sembrava rendersi conto di accarezzare Gino con tenerezza infinita. Sembrava incantata, come se avesse aspettato un figlio tutta la vita e adesso che l'aveva, non riuscisse a non toccarlo. «In un modo o nell'altro ci siamo ribellati tutti e tre.» Whitney alzò la testa e sorrise. «Davvero?» «Io mi sono iscritto a Wharton anziché a Harvard.» Lei finse di trasalire. «Caspita! Mi meraviglio che tuo padre abbia resistito a un tale colpo.» «Per lui era molto importante. Harvard era il massimo.» «E gli altri due che cos'hanno fatto?» «Nick si è sposato a diciassette anni.» Lei sbarrò gli occhi. «Questo sì che è un vero colpo.» «E Cade si è rifiutato di studiare. Con la sua parte di liquidità si è comprato un ranch e lo gestisce.» «Il palio del ribelle va a lui. Questa è una vera ribellione.» «Sì, ma quando ha avuto dei problemi con la ricerca del petrolio, si è rivolto a nostro padre e questo fatto gli si è ficcato nel gozzo.» 77


Lei rise. «Gli si è ficcato nel gozzo?» ripeté. «È un texano e a quanto pare laggiù usano un linguaggio tutto loro.» Vedendo che Gino si era addormentato, Darius si alzò, lo posò nella culla, lo coprì con una copertina morbida e si chinò a baciargli una guancia. Con l'angolo degli occhi vide che lei si leccava le labbra e si spostò di lato. «Vuoi dargli il bacio della buonanotte?» le suggerì. Whitney scosse la testa. «È tardi. Voglio svestirmi e andare a letto.» Darius la seguì fuori dalla nursery, domandandosi se per lei fosse un bene stare vicino a Gino e se la vicinanza con lui l'avrebbe aiutata a rimarginare le sue ferite. Il martedì mattina, entrò nella nursery prima di Whitney e quando lei arrivò, mandò via la signora Tucker. Mentre dava il biberon al bambino, lei gli si avvicinò e guardò Gino poppare. Ripensò tutta la mattinata a quel cambiamento e si domandò se ciò dipendesse dal fatto che lei gli avesse raccontato della sua famiglia, oppure se si stesse abituando a Gino. Sembrava attirata da lui e Darius decise che avrebbe fatto tutto il possibile per aiutarla a ritrovare il suo equilibrio. Quella sera, quando entrarono in casa la signora Tucker accorse per prendere i loro soprabiti. «Questa sera cena cinese» annunciò. «Vedo che la tua fama di buongustaia ti precede. La mia governante non è mai venuta ad aprirmi la porta annunciando il menu, a meno che sapesse che a qualcuno interessava molto.» «Come a me» rispose lei, ridendo. 78


Darius indicò la scala. «Prima il bambino e poi il cibo.» Whitney non si fece pregare. Gino veniva sempre prima di ogni altra cosa, inoltre aveva voglia di vederlo. Non sapeva perché, ma con Darius nella stanza, stare con il bambino non la torturava più. C'erano ancora dei momenti di sofferenza. Faceva ancora dei confronti, ma Darius era come uno schermo protettivo. «Guarda com'è grazioso!» esclamò lui, ridendo. «Vuole me.» E chinandosi lo sollevò dalla culla. Gino emise dei gorgheggi che erano in parte di gioia, in parte d'impazienza, come se non vedesse l'ora di essere preso in braccio. Whitney si sentì sciogliere il cuore e sul suo viso apparve un'espressione felice. Stabilirsi in quella casa le era sembrata la soluzione migliore, ma adesso risultava chiaro che era stata la scelta giusta per Gino. Preso un tovagliolo di carta pulì il naso del bambino che subito si girò verso di lei, tendendole le braccia. «Prendilo» la esortò Darius, ridendo. Whitney si schermì. Adesso riusciva a toccare Gino e a provare la gioia che i bambini portano a chiunque, ma non voleva esagerare. Era contenta di poter stare nella stessa stanza senza essere assalita dai ricordi. Aveva davanti delle settimane per abituarsi a Gino. Poteva procedere con calma. «No, grazie. Tienilo tu» rispose. Gino protestò e si protese verso di lei. «Spiacente, ma vuole te. Gli piaci» dichiarò Darius, ridendo. «Lo so, ma gli piaci anche tu» replicò Whitney allontanandosi di qualche passo. Il bambino si mise a strillare. «In questo momento credo che preferisca te.» Il bisogno di dare amore a un bimbo che ne aveva bi79


sogno, e che glielo dimostrava con tanta chiarezza, la sopraffece. Il cuore le si gonfiò fino a farle male. Voleva amare Gino. Forse aveva bisogno di amarlo. Dentro di lei c'era un vuoto enorme che andava colmato, se voleva continuare a vivere. All'improvviso, stando in quella stanza che apparteneva a quel bambino, accanto all'uomo che condivideva con lei la sua custodia, le sembrò che fosse tutto naturale, normale. Allungando le braccia, lo prese. «Guarda quanto gli piaci!» Whitney inspirò, preparandosi all'assalto del panico mentre annusava il profumo del bambino e lo stringeva tra le braccia. «Sono contenta che siamo venuti qui e che abbiamo deciso di restarci per qualche settimana.» «Sembra che funzioni» commentò lui. Lei annuì e, voltandosi, cullò Gino che le strofinò il viso contro il collo. Il panico che aveva sperimentato non arrivò e lei capì che i ricordi di Layla non erano più portatori di sofferenza e di angoscia, bensì dolci e leggeri, quasi confortanti. Non avrebbe mai dimenticato la sua bambina, ma sarebbe andata avanti. «Sì, stare tutti insieme sembra che funzioni» convenne. «Che ne dici di portare Gino con noi mentre ceniamo?» Lei annuì. «Vuoi cambiarti, prima?» «Sì.» «Va bene. Tienilo mentre vado a mettermi qualcosa di comodo, poi lo terrò io e tu ti cambierai.» Whitney annuì. Si sentiva in grado di tenere Gino da sola. Quando Darius lasciò la stanza, sorrise al bambino. «Com'è andata la tua giornata, oggi?» Lui sollevò la testa e le rivolse uno sguardo perplesso. 80


Whitney scoppiò a ridere. «Ho capito. Nella vita di un bimbo di sei mesi non accadono molte cose.» Gino parve voler protestare. «È vero anche che per te è tutto nuovo. Aspetta di saper parlare e vedrai» gli spiegò, facendolo ruotare in giro per la stanza. «Poi comincerai a camminare. Ti piacerà.» Volteggiò ancora, facendo ridere Gino ma si fermò vedendo apparire Darius sulla porta. «Hai fatto presto.» «Sono affamato» spiegò lui, entrando. «Anch'io.» Whitney gli consegnò il bambino e notò la sua espressione pensierosa. «Che cosa c'è?» «Credo che dovremmo vivere insieme.» «È ciò che stiamo facendo.» «Voglio dire, stabilmente.» Darius accarezzò i capelli scuri del piccolo, così simili ai suoi. «La casa è grande. Entrambi amiamo Gino e lui ci ama. Non sarebbe un peccato dividercelo quando possiamo vederlo tutti i giorni?» Whitney trattenne il respiro. «Dici sul serio?» Lui le rivolse un sorriso ammaliatore. «È la cosa giusta da fare per Gino.» Il campanello d'allarme che aveva udito entrando in quella casa, i sospetti subito tacitati, d'improvviso avevano un senso. Darius l'aveva spinta in quella direzione fin dall'inizio. Con i suoi modi accomodanti, convincendola ad accettare delle cose di poca importanza, era arrivato a un punto da cui si vedeva con chiarezza l'obiettivo finale. Voleva che loro tre vivessero insieme. Ebbene, poteva proporglielo, ma questo non comportava che lei avrebbe accettato. «Per me non andrebbe bene» rispose. «Perché? Abbiamo molto spazio. Abbiamo una cuoca e assumeremo una bambinaia.» Darius puntò un dito verso la finestra. «Siamo vicini al mare, in una bella 81


proprietà. Puoi tenere la tua mansarda, se vuoi e andarci ogni volta che ne senti la necessità. Gino resterà qui contento e al sicuro con la sua bambinaia.» «Vuoi dire con te.» «Io non potrò stare sempre qui. Ho un lavoro che mi obbliga a viaggiare. E questa è una delle principali ragioni per cui dare a Gino una sistemazione stabile.» «In poche parole hai paura che dovendo viaggiare, io starei molto più tempo di te con il bambino.» Darius rise come se stessero facendo una conversazione banale, invece di prendere una decisione importante. «Questo è assurdo.» «Allora perché vuoi vivere qui?» «Perché mi sembra giusto.» «A me no.» «Non capisco perché. Non fraintendermi, Whitney, ma tu hai bisogno di questo quanto Gino. Non ti senti ancora sicura con lui.» La rabbia l'accecò. Non poteva credere che lui usasse contro di lei le sue paure. Raccontargli della sua bambina era stata la cosa più difficile che avesse fatto, ma si era fidata di lui! Proprio in quel momento la signora Tucker entrò nella nursery. «La cuoca desidera sapere quando deve portare in tavola.» Whitney andò alla porta. «Non ho appetito. Vado a lavorare. Dica a Geoffrey di portare il seggiolino di Gino nel mio ufficio. Baderò a lui mentre il signor Andreas cena.» Da quel momento in poi sarebbe stata da sola perché non si fidava più di lui.

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Alle otto, dopo aver letto per due ore le varie deposizioni con Gino che divideva il tempo tra il seggiolino e il box, Whitney chiese alla signora Tucker di portare il biberon nella nursery. Non aspettò Darius e non gli disse che stava mettendo a letto il bambino. Sapendo che Darius avrebbe dovuto essere avvertito per dare almeno la buonanotte a Gino, la signora Tucker si sentì a disagio, ma da brava dipendente non disse niente. Fu Gino a smaniare come se sentisse che qualcosa non andava e Whitney cominciò ad avvertire un senso di colpa per essere tanto arrabbiata. Poi avvolse una copertina intorno a Gino e tastandone la morbidezza ripensò a Layla e ricordò che si era fidata di Darius. Gli aveva confidato la ragione del suo turbamento e lui se n'era avvalso per tentare di tenere il bambino con sé per sempre. Per non continuare a pensare a quel tradimento, andò in cucina a prepararsi una tazza di cioccolata, o forse un'omelette, dato che non aveva cenato. La cucina si trovava nell'altra ala della casa e quando vi arrivò restò a bocca aperta. Non sembrava la cucina di una casa, bensì di un ristorante di lusso. Le superfici in acciaio scintillavano. La cucina a gas aveva otto fornelli. Il tavolo era di marmo e gli elettrodomestici erano di ultima generazione. 83


Whitney aprì il frigorifero e trovò il latte. Poi, notando delle uova e del formaggio, sorrise. Poteva cuocersi un'omelette. Mise tutto l'occorrente sul tavolo e aprì un pensile per prendere una ciotola e un piatto, ma non trovò niente. Il suo buonumore passò come per incanto. A che cosa serviva avere delle uova, del latte e del formaggio e non avere niente con cui mangiare? Udendo il rumore della porta che si apriva, si voltò e vide entrare Darius. Era in tuta da ginnastica, più attraente che mai. Poi si ricordò che voleva costringerla a vivere lì per sempre e la rabbia tornò a invaderla. Inspirò per calmarsi e si disse che era un bene aver scoperto subito che tipo di uomo fosse. Per lo meno adesso non si sarebbe più dimostrata tanto amichevole con lui. Stava per voltargli le spalle in modo da fargli capire che la sua presenza non era gradita, poi le venne in mente che non sapeva dove trovare i vari utensili e che, se avesse voluto mangiare, le sarebbero serviti. «In questa casa ci sono delle tazze, delle forchette e dei piatti?» domandò con la maggior calma possibile. «Probabile» rispose lui, avanzando nella stanza. «Ma tu non sai dove sono?» «Spiacente.» Whitney soffocò un'imprecazione. «Volevo solo una tazza di cioccolata» sbuffò, aprendo degli altri sportelli. «E forse un'omelette.» «Se hai fame, possiamo chiamare la cuoca.» «Sono capacissima di prepararmi qualcosa» replicò lei a denti stretti. Il suo atteggiamento da uomo ricco e viziato rinfocolò la sua rabbia. Lui non conduceva una vita reale. Non provava delle vere emozioni e non sapeva che cosa volesse dire la parola fiducia. «Voi gente ricca» commentò, scuotendo la testa, «siete così inetti.» Darius le si avvicinò a passi rapidi. «Ehi, non sono inetto. Mio padre era ricco, ma mia madre non lo era. 84


Non solo cucinava, ma andava a lavorare tutti i giorni. E mi ha insegnato a fare da mangiare.» Parlando tolse una padella da un gancio. «Che genere di omelette vuoi?» Whitney fu colta di sorpresa ma reagì. Non voleva che lui la servisse. Da quel momento in poi non era sicura di voler mantenere dei rapporti amichevoli con lui. «L'omelette me la cucino da sola.» «No, hai offeso gli Andreas affermando che siamo degli inetti. Reclamo il diritto e l'onore di difendermi.» L'onore, giusto. Un tizio che usava i suoi traumi per costringerla a vivere con lui, non era un uomo d'onore. «Va bene. Io troverò tutto quello che ti serve e tu cuocerai la tua omelette. Va bene?» propose lui. A quel punto la fame era tanta che Whitney non poté rifiutare. «Va bene.» Darius si sfregò le mani come se si stesse divertendo. «Che cosa devo cercare?» Il suo entusiasmo la irritò. «Ho aperto il frigo e ho trovato tutto quello che mi serve. Non ho idea di dove sia il cacao.» «Credo di saperlo.» Lui sparì nel corridoio e riapparve poco dopo con un barattolo di cacao ma niente tazza. Vedendola accigliarsi, rise. «Non arruffare le penne. Mangiamo tutti i giorni dentro dei piatti, perciò devono essere da qualche parte.» Mentre lei rompeva le uova nella ciotola, lui si guardò intorno. Scomparve in un altro corridoio e pochi secondi dopo eccolo di nuovo con due tazze e due piatti. «Ecco qui.» «Due?» «Non vuoi condividere?» Sospirando, Whitney aggiunse un'altra tazza di latte nel pentolino e lo mise su un fornello. Se quella non fosse stata la sua casa, l'avrebbe fatto a pezzi per rite85


nersi in diritto di stare con lei dopo aver tradito la sua fiducia. Però l'aveva aiutata a trovare i piatti. Se si fosse rifiutata di condividere la cioccolata sarebbe sembrata dispettosa e infantile. «Certo. Accomodati.» Fingendo di non rilevare il suo sarcasmo, Darius sorrise e si sedette; e mentre lei mescolava la cioccolata, prese la cipolla e il peperone già pronti sul tavolo e si mise ad affettarli. «Smettila di aiutarmi» sbuffò lei. «Mi sento in dovere di farlo. Primo perché mentre la cioccolata si raffredda potrai cuocere l'omelette. Secondo per farmi perdonare d'averti scombussolata, proponendoti di vivere qui per sempre.» Whitney si voltò. «Credi davvero di poterti far perdonare per aver usato contro di me le cose che ti ho detto? Mi sono fidata di te. Ti ho confidato delle cose che non ho mai detto a nessuno e tu te ne sei approfittato.» «Non è vero. Ho solo messo in evidenza una realtà. Sei ancora fragile, turbata e il fatto di stare tutti e tre insieme ti fa bene. Ma non è tutto. Ti sei dimenticata che ti ho detto che Gino ama entrambi? Se tu abitassi qui, potrebbe averci tutti e due ogni giorno.» «E tu ti sei dimenticato che io vivo da un'altra parte?» «Puoi tenere la tua mansarda, te l'ho detto. La lascerai per trasferirti a Montauk, tutto qui.» «Io amo la mia casa.» Darius incrociò il suo sguardo. «Adesso chi fa i capricci ed è viziato e petulante?» Whitney si sentì agghiacciare. Petulante? Dopo aver pianto per tre anni la perdita della sua figlioletta, quella parola le risuonò dentro la testa come un tuono che preannuncia una tempesta. Lui si accorse subito d'averla ferita e impallidì. «Scusami. Non volevo...» 86


Oh, certo! Voleva farle credere d'essere dispiaciuto, ma non lo era. Fingeva. Si scusava perché lei si concentrasse sul termine che aveva usato e dimenticasse il vero problema. «Lascia perdere. Non è questo il nocciolo della questione» mormorò con tristezza. Lui posò il coltello e le si avvicinò. Immediatamente lei spense il fornello e si voltò. Se lui voleva battagliare, era pronta. «So che vuoi bene a Gino. Te l'ho letto negli occhi. Forse ne hai accettato la custodia solo per appagare il desiderio di sua madre, ma adesso ti sei affezionata a lui.» Insisteva nel tentativo di deviare la conversazione, ma non glielo avrebbe permesso. «Certo che mi sono affezionata a lui, ma questo non cambia il fatto che hai usato quello che ti ho detto contro di me.» «Ho solo ribadito la verità.» Sospirando, Darius le si avvicinò. «Ho pensato che siccome ti eri fidata di me al punto da raccontarmi quello che era successo, io potevo parlarti con altrettanta sincerità.» Colpita da quel ragionamento, Whitney non seppe che cosa dire. Era sincero? Non parlava di Layla e di Burn da tanto tempo da non riconoscere più una conversazione sincera? In ogni caso quello che lui affermava era vero. Aveva bisogno di amare Gino. E Darius era l'altro custode, quindi aveva il diritto di preoccuparsi. Una vampata di rossore le inondò il viso. Si vergognava di non saper riconoscere il proprio torto. Darius aveva detto la verità, ma lei, alterata com'era, non l'aveva capito. E la verità era che aveva ancora bisogno di aiuto. Avrebbe voluto scappare, ma non poteva. Davanti aveva la cucina a gas e una serie di mobili e dietro un metro e ottantacinque di uomo incollerito. 87


«Forse non sono ancora pronta a parlare di questo.» Darius emise un suono disgustato. «Non lo sarai mai, se continuerai a evitare questo argomento.» La sua voce vibrava di collera, ma non perché stesse difendendo se stesso da un'accusa. Darius stava parlando di lei. Era arrabbiato per lei. «Perché sei così furioso?» «Perché sei una donna intelligente e in gamba. So bene che non ti meritavi quello che è successo, ma devi superarlo. Ne sei consapevole, eppure non lo fai.» «Ehi! Prova tu a perdere tutto. Le tue speranze, i tuoi sogni. La tua bambina che non aveva fatto del male a nessuno.» Il respiro le mancò. «Prova a sentirti responsabile di tutto questo e cerca di rimettere insieme la tua vita.» «Che cosa pensi che stia cercando di fare qui, con Gino... con i miei fratelli, dopo aver perso mio padre?» Whitney dilatò gli occhi. «Pensi che perdere tuo padre sia paragonabile?» «No. Ma se aggiungi che ho perso mia madre solo pochi mesi prima, suppongo che riusciamo a pareggiare. Aveva cinquantatré anni, era simpatica, intelligente, amica di tutti e difendeva mio padre a spada tratta. Il giorno in cui ha perso il lavoro, ha avuto un infarto ed è morta.» Darius afferrò le spalle di Whitney come se volesse costringerla ad ascoltarlo. «Non ho più nessuno, a parte quel bambino che è di sopra e dei fratelli che mi odiano. In più devo gestire una compagnia che naviga in cattive acque. Non pensi che anch'io ogni tanto desideri fuggire da qualche parte e dire a tutti di andare al diavolo?» «Non è la stessa cosa.» «No. Non lo è. Ma così come i miei guai non mi danno il permesso d'interrompere la mia vita, così non te lo danno nemmeno i tuoi. E, poco ma sicuro, non m'indur88


ranno certo a dire e a fare quello che vuoi tu.» I suoi occhi fiammeggiavano di rabbia. Invece di spaventarsi, Whitney avvertì un brivido di eccitazione. Erano entrambi forti, passionali e vitali. Benché fosse convinta che la sofferenza di lui non fosse pari alla sua, sapeva che lui capiva quello che lei stava passando. Adesso che ogni cosa era venuta fuori, loro due stavano alla pari. Ma erano anche vicinissimi, attratti e stimolati. Lui aveva promesso che non l'avrebbe più baciata, ma di colpo quella promessa parve appartenere a un altro universo, ad altre persone. Darius sostenne il suo sguardo. La tensione che vibrava tra loro era molto forte. Entrambi avevano il respiro affrettato. Whitney capì che lui stava per baciarla. Si ordinò di voltarsi e scappare perché sapeva che, come la volta precedente, non sarebbe riuscita a controllarsi e avrebbe voluto che lui le desse tutto. Non era amore, ma un bisogno fisico di essere soddisfatta, stretta, abbracciata. Tuttavia, fare l'amore con un uomo che conosceva appena non l'avrebbe appagata. Il sesso sarebbe stato freddo, privo di affetto e di tenerezza. Non poteva permettergli di baciarla, ma non aveva altro scampo. Intanto, mentre si dibatteva, cercando una possibile via d'uscita, lui abbassò le mani, fece un passo indietro e lasciò la cucina.

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Il desiderio di baciarla fino a toglierle il respiro era stato tormentoso. In piedi davanti allo specchio del suo bagno, Darius si lavò due volte la faccia con l'acqua fredda, ma non riuscì a liberarsi da quella voglia prepotente che gl'imponeva di scioccarla, di scuoterla perché uscisse dalla prigione che si era costruita da sola e tornasse a vivere. Non era solo un ragionamento a spingerlo in quella direzione e nemmeno un impulso fisico. Voleva scrollarla perché Whitney gli piaceva. Sapeva che sotto le sue paure c'era una donna vibrante, appassionata. Una donna su cui contare. Una donna che avrebbe potuto amare. Quel pensiero lo aveva colpito con tanta forza che, per non cedere alla tentazione di concretizzarlo, era stato costretto a uscire dalla cucina. Dopo essersi asciugato il viso, andò in camera da letto. Volere Whitney al suo fianco soltanto come compagna per crescere Gino era egoistico. Lui era il presidente di un'impresa. Centinaia di persone dipendevano da lui. Con la mole di lavoro e di impegni che aveva, avrebbe avuto appena il tempo necessario a fare da padre a Gino. Come poteva pretendere di avere il tempo per dedicarsi a una moglie, soprattutto a una moglie traumatizzata che avrebbe avuto bisogno di un marito attento e sensibile? Lui non era sensibile. L'avrebbe fatta soffrire. 90


Doveva smettere di desiderarla. Il mattino seguente Darius stava già dando il biberon a Gino quando Whitney entrò nella nursery. «Buongiorno» salutò. Poi si fermò davanti alla poltrona a dondolo e sorrise al bambino. «E buongiorno anche a te.» L'aspra discussione della sera prima aveva avuto un grande effetto su di lei. Non solo aveva capito fino a che punto Darius le piacesse, ma alcune delle cose che lui le aveva detto le erano rimaste impresse nella mente. Sei una donna intelligente e in gamba. Il ricordo di quelle parole la faceva sorridere ancora. Negli ultimi tre anni si era sentita dire che era fredda, distaccata, indifferente. Nessuno aveva visto, dietro la sua maschera difensiva, la vera Whitney. Sapere che adesso qualcuno aveva saputo vedere, oltre quello schermo, la donna che si nascondeva agli occhi del mondo, la spronava a cercare di tornare a essere se stessa. Inspirando, incrociò lo sguardo di Darius. «Lascia che gli dia io il latte.» Lui non disse niente, ma i suoi occhi scuri ed espressivi le telegrafarono una serie di domande. «Devo farlo» gli disse a mo' di spiegazione. «Già» ammise lui, sospirando. «Devi.» «Va bene. Sono pronta.» Darius si alzò dalla poltrona a dondolo e si fece di lato per lasciarla passare. Quando vide che si era sistemata comodamente, le diede il bambino e il biberon. Mentre infilava la tettarella tra le labbra di Gino, le mani le tremavano. Ogni volta che aveva toccato quel bimbo, le sue memorie si erano risvegliate e insieme a loro erano arrivati il rimorso e il senso di colpa per non aver previsto il dramma che stava per accadere. Ma Gino afferrò il succhiotto con avidità e, a quel punto, di tutto il suo visetto lei vide solamente il ciuffo di capelli neri e gli occhi scuri e famelici. 91


Rise, guardando Darius per condividere con lui quel momento di serenità, ma lui le voltò le spalle e Whitney si sentì rimordere la coscienza. Che egoista era stata! La sera prima lui le aveva raccontato della morte di sua madre, affermando di essere rimasto solo al mondo. Non le aveva fatto quelle confidenze per farsi consolare, ma perché erano state una conseguenza logica della conversazione, tuttavia lei non gli aveva detto una parola. Se non avesse voluto passare per una donna insensibile e concentrata solo su se stessa, avrebbe dovuto rimediare in qualche modo. Vedendo che Gino succhiava tranquillamente, inspirò e disse: «Mi dispiace per tua madre». «Non è il caso.» «Invece lo è» replicò lei, scuotendo la testa con forza. «Quando cerco di parlare dei lutti che hanno colpito una persona, vengo zittita. Nessuna tragedia è terribile come la mia, per cui la gente evita di confidarmi la sua pena.» Darius si voltò, l'espressione confusa. «Questo è assurdo.» «Niente affatto. Nemmeno tu vuoi parlarmi di tua madre.» Invece di rispondere, lui si mise a rassettare il fasciatoio. «Non c'è molto da dire» borbottò. «Hai affermato di essere solo.» «Mi è sfuggito. Volevo farti capire che non sei l'unica ad aver subito una perdita. Ma non avrei dovuto paragonare la mia situazione alla tua. Le nostre perdite sono diverse. In più io sono fortunato. Anche se i miei due fratelli m'ignorano, mi resta il più piccolo e se riuscirò a guadagnarmi il suo affetto, rimarrà vicino a me per almeno altri diciotto anni, quindi posso dire di avere una famiglia.» Whitney guardò Gino. «Sai una cosa? Se vuoi davvero avere una famiglia devi riavvicinarti ai tuoi fratelli. 92


Non aspettare il momento giusto per invitarli a venire qui e a conoscere Gino. Dovresti afferrare il toro per le corna e invitarli subito. Bisogna che anche loro si affezionino a lui.» Darius le si mise di fronte, perplesso. «Più aspetti e più vi allontanerete, e maggiore sarà la probabilità che rifiutino il tuo invito» insistette lei con convinzione. «Vorresti dirmi che sei un'esperta di rapporti famigliari?» domandò lui, incrociando le braccia sul petto. Whitney scrollò le spalle. «Gli avvocati consigliano i loro clienti. A volte non riusciamo a vedere con chiarezza quello che ci riguarda, ma abbiamo la misteriosa capacità di vedere una possibile soluzione per i problemi degli altri. Tu non sei un vero cliente» aggiunse, sorridendo. «Ma io sono entrata da poco nella tua vita, perciò ho una visione più chiara della situazione in cui ti trovi.» «E pensi che dovrei invitare qui i miei fratelli?» «Sì. Devi cercare un modo per rafforzare il vostro legame.» Darius sbuffò. «Legame. Sarebbe come cercare di crearlo tra i ragazzi e le ragazze durante un campeggio. È assurdo» concluse, scuotendo la testa. «Si tratta di trovare un denominatore comune. Un qualcosa che stia a cuore a tutti e che vi porti a discuterne insieme.» Gino sputò il succhiotto e Whitney lo sollevò, se lo mise sulla spalla e quando lui fece il ruttino, tentò di sistemarselo di nuovo in grembo, ma lui si divincolò, protestando. Darius si precipitò a prenderlo in braccio. «Hai l'aria di voler giocare, giovanotto.» Gino emise un gorgheggio di felicità e Whitney, osservando quella scena, si commosse. Darius amava molto quel bambino e i motivi per cui voleva averlo nella 93


sua vita erano ottimi. Desiderava una famiglia. La fitta di rimorso che sentì questa volta non riguardava il suo passato, bensì il presente. Aveva diffidato di quell'uomo, l'aveva giudicato male senza sapere niente di lui. Forse anche i suoi fratelli non lo conoscevano. Più che detestarlo, non riuscivano a vedere le sue qualità e quindi ad apprezzarlo. Darius aprì la cesta dei giocattoli e tirò fuori quattro cubi di plastica. Sistemò Gino sul tappeto a strisce colorate e si sedette vicino a lui. La naturalezza con cui giocava con il bambino la colpì, e Whitney tornò a pensare ai suoi fratelli e a come sbagliassero nel giudicarlo. «Continuo a credere che dovresti invitare qui i tuoi fratelli» ripeté in tono sommesso. Intento a cercare di far prendere un cubo al bambino, lui le rispose senza guardarla. «Te l'ho detto. Non desidero annodare un legame con loro.» «Allora non considerarlo un legame. Vedilo come un modo per discutere della vostra azienda, per parlare di vostro padre e delle cose che avete in comune.» «E credi che così si aggiusterà tutto?» «Non so se esiste un modo per ricucire il vostro rapporto. Ma credo che sarebbe un inizio e che tu debba fare questo tentativo per te stesso e per Gino.» Darius mostrò i cubi al bambino che vi batté sopra le manine prima di afferrare quello giallo e scrutarlo con attenzione. Vedendo che non rispondeva, Whitney ripensò alla conversazione che avevano avuto la sera prima. Parlandole di sua madre, Darius le aveva chiesto comprensione, sebbene in modo tacito. Ma lei, troppo presa dai suoi problemi non aveva reagito. Lui invece le aveva manifestato sempre molta comprensione. Doveva ripagarlo in qualche modo. 94


«Se convincerai i tuoi fratelli a venire qui per un fine settimana, resterò a Montauk fino al lunedì successivo a quel fine settimana.» Darius sollevò la testa di scatto. «I loro impegni non sono minori dei miei. Potrebbero volerci due mesi o più prima che si possano organizzare.» «Per me va bene.» Lui la studiò un momento. «Penso che questa casa sia abbastanza grande da poter ospitare i miei fratelli per un fine settimana.» Quando arrivò nel suo ufficio, Darius passò le prime ore al telefono con i suoi fratelli. Non parlò con ciascuno di loro per tutto il tempo. Prima dovette tentare i vari numeri che aveva per contattare le loro segretarie e farsi dare i loro numeri privati, ma entrambe le donne dissero che preferivano farlo richiamare. Fatto inatteso, entrambi lo fecero poco dopo. All'inizio, colti di sorpresa, sia Nick sia Cade parvero riluttanti ad accettare il suo invito, ma Darius non demorse. Ricordò a entrambi la loro infanzia senza il padre, la carenza affettiva di cui tutti avevano sofferto e domandò se volevano che il loro quarto fratello crescesse senza conoscere il resto della sua famiglia. A quel punto il tono della conversazione cambiò. Cade e Nick convennero sul fatto che Gino dovesse conoscere i suoi fratellastri ed entrambi acconsentirono a trascorrere un fine settimana a Montauk. Darius riappese soddisfatto. Sapere che i suoi fratelli sarebbero arrivati tre settimane dopo gli aveva tolto un peso dallo stomaco. Solo più tardi, ripensandoci, si rese conto che avrebbe dovuto trascorrere tre giorni con due fratelli che lo odiavano e che anche Whitney avrebbe dovuto stare con loro. Cade, il ricco e ribelle cowboy e Nick, il rancoroso 95


gentiluomo del Sud: due uomini dal fascino indubbio, entrambi sensibili a quello femminile. Una fitta di gelosia, improvvisa e inattesa, gli mozzò il respiro. Non era mai stato possessivo con una donna e neppure geloso. Inoltre si era già reso conto d'essere l'uomo sbagliato per Whitney, perciò doveva smetterla di considerare quella donna una sua proprietà privata, un bene di cui solo lui poteva usufruire. Stava ancora lottando con se stesso per scacciare quei pensieri, quando suonò il telefono. Il suo primo impulso fu ignorarlo; poi ricordò che quel mattino Whitney doveva incontrare le candidate al posto di bambinaia, e che lui le aveva promesso di passare cinque minuti con ciascuna, per stabilire quale delle quattro sarebbe stata invitata a vedere Gino nel suo ambiente e, nel caso tutto fosse andato bene, assumerla. «Sì?» rispose, sollevando il microfono. «Sto parlando con Mary Alice Conrad» gli comunicò Whitney in tono gaio. «Se hai un momento, vorrei presentartela.» Dopo aver trascorso cinque minuti insieme a Mary Alice Conrad e a Darius, Whitney aveva capito perfettamente che genere di bambinaia lui desiderasse per Gino. Non lo invitò a intervenire ai colloqui successivi. Scelse direttamente Liz Pizzarro e Jamie Roberts per intervistarle a casa. Quella sera, mentre rientravano a Montauk in auto, lo informò che la sera successiva le due bambinaie sarebbero andate a casa loro per un colloquio sul posto. Mercoledì sera si sedettero in salotto, aspettando le due candidate, e quando la signora Tucker introdusse Jamie, Darius si spostò dietro la sua scrivania. Gino giocava nel box con i cubi colorati mentre Whitney era ritta sulla porta. «Si accomodi» invitò, stringendo la mano della ra96


gazza mentre la governante si ritirava con discrezione. «Le presento il signor Andreas, fratellastro di Gino. È lui che lo ha in custodia insieme a me.» Poi si voltò e indicò il bambino. «E lui è Gino.» Jamie, una ragazza alta in jeans e giubbotto di pelle rossa, si voltò e parve trattenere il respiro. «Oh, quant'è grazioso!» «Sì, pare anche a noi» commentò Darius, alzandosi e andando vicino al box. «Le piacerebbe prenderlo in braccio?» «Oh, sì!» rispose Jamie, rivolgendogli un sorriso. Lui le fece cenno di sollevarlo, cosa che la ragazza fece con gesti pratici ed esperti, ma lui continuò a scrutarla come un falco. Durante la mezz'ora successiva, Jamie non sbagliò una risposta, ma Darius non sembrò convinto. Quando arrivò l'alta, procace, bionda Liz, s'illuminò. «Avanti!» gridò, alzandosi dal divano di pelle su cui in precedenza si era seduto per interrogare Jamie. Whitney avvertì una stretta al cuore, ma era così scontato che la padrona di casa nutrisse della gelosia nei confronti della bambinaia che si vietò di soffermarsi su quel pensiero. «Lui è Gino.» Darius indicò il bambino che cominciava a dare segni d'irrequietezza dentro il box. Liz non aspettò d'essere invitata. Allungò le braccia e sollevò Gino. «Che cosa c'è che non va, piccolino?» domandò. Gino strillò, ma Liz si limitò a scuotere la testa e a sorridere. «È stanco. Però non si lamenta molto. Penso che sia un buon bambino.» Darius rise. «Lo pensiamo anche noi, ma non siamo molto obiettivi.» Liz fece saltellare Gino che si mise a ridere. «Si sa che i papà sono pieni di pregiudizi, vero?» 97


«Io sono il suo fratellastro» precisò Darius, «non suo padre.» Liz sbatté le ciglia con aria sorpresa. «Certo che lei è suo padre. Lo capisco dal suo forte istinto di protezione e da come prende sul serio il suo compito di custode. Ed è questo che fanno i papà» concluse, sorridendo. Whitney nascose un sorriso. Risposta esatta, pensò. Non dovette aspettare che Liz andasse via per sapere quale sarebbe stata la scelta di Darius. «Gino sembrava più a suo agio con lei» dichiarò lui con disinvoltura. Whitney gli diede un colpetto con la punta della scarpa. «E non è stato negativo che ti abbia preso per il papà di Gino.» Darius sollevò le sopracciglia. «È un male?» domandò. Il suo amore per il bambino era così evidente che Whitney si sentì salire le lacrime agli occhi. Togliergli Gino anche solo per dei brevi periodi sarebbe stato un grave errore. Tuttavia le sembrava pazzesco rinunciare alla sua vita per stabilirsi in casa di un uomo che conosceva appena. Non esisteva una soluzione a quel problema, a meno che Darius non si fosse riconciliato con i suoi fratelli in modo tale che Gino non rappresentasse l'unico membro della sua famiglia.

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La domenica sera, appena ebbero finito di cenare, Whitney si alzò da tavola e fece cenno a Darius di seguirla. «Mi sono presa la libertà di ordinare alla mia segretaria di raccogliere qualche informazione sui tuoi fratelli, in modo da avere un'idea di chi sono e di quello che fanno» gli confidò. «Hai fatto investigare i miei fratelli?» domandò lui, stupito. «No. Niente di tanto invasivo. Ho detto alla mia segretaria di svolgere una breve ricerca per ottenere delle notizie che ci permettano di capire che tipo di uomini sono.» Darius socchiuse gli occhi. «Non desidero ficcare il naso nella vita dei miei fratelli» dichiarò. «Non stiamo ficcando il naso, solo ci informiamo. Un avvocato non si presenta mai in aula, o a una riunione, senza essere preparato.» «Nemmeno i CEO partecipano alle riunioni impreparati» obiettò lui. Whitney si voltò a guardarlo e sorrise. «Esatto. Adesso la mia segretaria ha raccolto un numero d'informazioni sufficienti a non sentirci in svantaggio quando verranno qui.» Quando entrarono nel suo ufficio, gl'indicò di sedersi sul divano, davanti a un tavolino. Prendendo un plico dalla scrivania, si accomodò vicino a lui. 99


Nell'attimo in cui sprofondò tra i cuscini, avvertì con prepotenza la sua vicinanza. Dopo aver giocato con Gino, Darius era andato a fare una passeggiata in giardino e adesso profumava di aria fresca e di talco. Solo una settimana prima quell'odore l'avrebbe fatta precipitare nella disperazione. In quel momento, invece, le faceva capire solo che quell'uomo le piaceva molto. Non le incuteva paura, non la faceva impazzire di rabbia. Passandosi la lingua sulle labbra inaridite, si costrinse a tornare in argomento. «Va bene. Prima vediamo Cade.» Sfogliò il plico e lesse a voce alta: «Cade Andreas, età trentun anni. Reddito annuo...». Interrompendosi, lottò per non trasalire, leggendo la cifra sulla pagina. Darius sbuffò. «Vedo che quella faccenda del petrolio gli ha fruttato.» Lei si schiarì la voce. «Direi proprio di sì. Qui dice che è un tipo solitario che non socializza con facilità, a parte con gli uomini che lavorano nel suo ranch.» «Sapevo già queste cose.» «Va bene.» Whitney sfogliò le pagine. «Facciamo così: io leggerò le note su Nick e tu quelle su Cade. Se troveremo delle cose interessanti ce le comunicheremo.» «D'accordo.» Darius si sedette più comodamente e cominciò a leggere. Lei stava per imitarlo quando si accorse che in quel modo sarebbero stati molto vicini e che spalle e gambe sarebbero entrati in contatto. Un'ondata di languore le si diffuse nelle membra, risvegliando dei desideri pericolosi come essere abbracciata e amata. Per fortuna il suo buonsenso insorse, aiutandola a riprendersi. Forse la forte attrazione che Darius esercitava su di lei non la spaventava più come all'inizio, ma una rela100


zione tra loro sarebbe stata molto rischiosa. Benché adesso si conoscessero di più e si capissero meglio, restavano molte incognite. Il loro compito era crescere un bambino e se un rapporto intimo non avesse funzionato, Gino ne avrebbe sofferto le conseguenze. Controllati!, s'impose, spostandosi in avanti e allontanandosi da lui. «Qui c'è una notizia interessante» annunciò Darius, indicando un punto. «Cade risulta ancora sposato dopo tutti questi anni.» Whitney sollevò la testa. «Davvero?» «Sì» confermò lui, perplesso. «Ma non ha portato sua moglie al funerale. Mi domando perché.» «Ti sembra il tipo da lasciare a casa sua moglie?» domandò lei. Darius si strinse nelle spalle. «Chi lo sa? Uno che dice "mi si ficca nel gozzo" può fare qualunque cosa.» «Dobbiamo prepararci a ricevere anche sua moglie?» «Nossignore. Lui non ha parlato di portare un altro ospite perciò non mi preparerò a riceverla.» «Come vuoi.» Whitney si rimise a leggere, poi cambiò idea. «Credo che dovremmo organizzarci per ricevere un ospite.» «In questa casa le stanze non mancano. Se dovesse servirne un'altra, la signora Tucker la preparerà.» «Sei sicuro?» «Assolutamente.» Il suo tono era così indispettito che Whitney scoppiò a ridere. «Vedo che questo fatto ti ha dato sui nervi.» Darius posò i fogli. «Non mi ha dato sui nervi. Gli riconosco il diritto di comportarsi come vuole, ma se fossi stato al suo posto, avrei dimostrato una maggiore considerazione. È per questo che non mi aspetto molto da lui. Francamente mi stupisce che nutra dell'interesse per Gino. Il lavoro lo impegna molto perché il suo ranch è 101


immenso. Giurerei che non sa di quanti acri è. Inoltre è un misantropo.» «Allora sarà la noce più dura da spaccare.» Darius borbottò qualcosa d'incomprensibile. «Qui dice che Nick possiede una fabbrica.» Whitney sfogliò le pagine. «Il suo reddito annuo è quasi un quarto di quello di Cade.» «Quindi facendo le debite valutazioni Nick guadagna circa un milione di dollari l'anno.» Darius si voltò a guardarla. «Non sottovalutare Nick. Si presenterà con i modi e il fascino di un gentiluomo del sud e se ne andrà con l'argenteria.» Lei sbarrò gli occhi. «È un ladro?» «No, è un incantatore.» Whitney non riuscì a trattenersi e rise. «Così hai per fratelli un incantatore e un misantropo.» «Già. Fantastico, no? Ho a che fare con un incantatore, un misantropo e un bambino.» Darius emise una risata sarcastica. «Fatta la somma, devo essere matto a pensare di creare un legame tra noi.» «O una torre di forza.» «Figurarsi.» «Oh, andiamo. Sai di essere forte.» Lui le rivolse uno sguardo confuso, poi ridacchiò e le diede un colpetto di gomito. «Pensi che sia forte?» Whitney trattenne il respiro. Il contatto più semplice tra loro risvegliava tutti i suoi sensi. Darius era molto attraente e adesso che lo conosceva meglio, le riusciva difficile resistergli. Ma c'era Gino. Ricordare quanto fosse stato difficile riuscire a toccarlo senza pensare a Layla, rafforzò la sua decisione di resistere alla tentazione di lasciarsi andare. Un rapporto fisico tra loro avrebbe potuto rivelarsi traumatico. Non poteva e non voleva mettere a repentaglio la serenità che si era instaurata tra loro. 102


Alzandosi dal divano, si avvicinò al caminetto. «Non montarti la testa. Dico solo che chi gestisce una compagnia importante come la tua deve avere delle qualità.» «Quali, per esempio?» «Sei vanesio e arrogante» replicò lei con fare dispettoso. «Vuoi che continui?» Darius balzò in piedi con uno scatto e le andò vicino. «Preferisco l'altro elenco. Quello che comprende le doti a cui hai accennato prima.» Poi tacque, e la fissò come per farle capire che condivideva le sue sensazioni e che sarebbe stato facile arrendersi a quello che stava succedendo tra loro. Per cercare di non deviare dall'argomento, lei evitò di guardarlo. «Va bene, sei forte. Sei un buon capo. E nei momenti di contrasto cerchi sempre di fare quello che è giusto.» Lui ridacchiò. «Vedi? Sapevo che avresti tirato fuori la lista migliore.» «Mi fai venire voglia di tornare a quella che inizia con vanesio e arrogante.» La sua espressione cambiò e lui tornò serio. «Non farlo.» La tensione aumentò. Whitney avrebbe voluto credere che si trattasse di una pura e semplice attrazione sessuale, e cioè di impulsi che poteva soffocare semplicemente tenendosi a una certa distanza da lui, ma quella scusa non funzionava. Nell'arco di poche settimane aveva capito che Darius Andreas era un brav'uomo. Se non avesse avuto un'esperienza tanto tragica, se non avesse avuto tanta paura, si sarebbe innamorata di lui perché era il genere d'uomo che una donna non riesce a non amare. «Va bene» si arrese con un sospiro di rassegnazione. 103


«Mi atterrò alla lista che afferma che tu cerchi sempre di fare la cosa giusta.» «Te ne sono grato.» La sua espressione intensa le fece sospettare che volesse dirle qualcos'altro. Che volesse farle conoscere i suoi lati migliori per piacerle. Il cuore le si gonfiò di speranza, ma Whitney la soffocò. Lei era debole, era spezzata. Darius meritava di meglio. Deglutì e cercò affannosamente di riprendere l'argomento iniziale. «Scommetto che ti sembra strano avere due fratelli così diversi da te.» Lui la vide dirigersi verso il divano e accettò la sua intenzione di tornare al discorso iniziale. «Sì e no. Ci siamo conosciuti solo da adulti perciò sono cresciuto come figlio unico. Quando c'incontrammo, non ci piacemmo. Io ero il prodotto di un matrimonio. Nick e Cade risentivano del fatto che nostro padre non avesse sposato le loro madri. Quella di Nick gli era stata vicina per molti anni. Rimasero tutti sorpresi quando, invece di sposarla, la lasciò.» «Non è stato un bel gesto.» Darius prese l'attizzatoio e smosse i ciocchi facendo sprizzare un ventaglio di scintille. «Se questa storia non ti piace, quella di Cade è anche peggio. Per nostro padre, sua madre fu l'avventura di una notte. In seguito Stephone rifiutò le sue telefonate finché, dopo la nascita di Cade, lei fece fare il test del DNA al bambino e si rivolse a un giudice.» Darius scosse la testa. «Non stimavo abbastanza la madre di Cade per chiamarla ed esprimerle la mia solidarietà, non conosco Cade, ma se qualcuno trattasse mia madre in quel modo, lo odierei.» «Ora capisco che siano pieni di amarezza.» «Non dimenticare che le nostre madri ci hanno in104


segnato delle cose diverse. La mia ha sempre amato nostro padre. Mi ha inculcato il massimo rispetto per lui. Avrei voluto odiarlo. Non per me. Per lei. Lui l'amava eppure non era capace di non tradirla.» Whitney capiva la rabbia di Darius ma aveva seguito molti divorzi ed era diventata realista. «Per alcuni uomini la fedeltà è impossibile.» Darius alzò lo sguardo al soffitto. «Lo credi davvero?» «Sì» rispose lei con sicurezza, sapendo che la sua affermazione avrebbe fornito una spiegazione meno amara alle sue sofferenze di bambino. Non le avrebbe eliminate, ma avrebbe spiegato la loro ragione; e avrebbe tolto un pesante fardello dalle donne che avevano dato alla luce i tre piccoli Andreas posandolo sulle spalle del vero colpevole. Stephone. «Con certi uomini il meglio che una donna possa avere è una relazione. Molte l'accettano a occhi aperti.» Whitney scrollò la testa. «So che Missy l'ha fatto. Non si aspettava niente da tuo padre oltre a quello che aveva al momento. Scommetto che non ha sofferto perché le sue aspettative erano realistiche.» Darius le si mise davanti e catturò il suo sguardo. Sembrò sul punto di dire qualcosa, poi le girò le spalle e andò verso il bar. «Dunque, ci procureremo della birra e delle bistecche» annunciò lei per rompere il silenzio che stava diventando opprimente. Perché, d'improvviso, quella tensione dopo che per tanti giorni erano andati avanti con serenità?, si domandò. Non voleva perderla. «Poiché Nick viene dal Sud, direi di comprare anche del whiskey del Tennessee.» «E dei gamberetti.» «Aggiungi scampi e granchi.» Lui rise. 105


«Vuoi appagare te stessa, o la misteriosa moglie di Cade?» «Ehi, se devo stare qui bisogna che sfrutti i tuoi soldi per mangiare del buon pesce fresco.» Ridacchiando, lui prese una bottiglia dal mobile bar. «Ti va un bicchiere di vino?» Whitney scosse la testa. «Per la verità, se abbiamo finito, voglio parlare con la cuoca e poi telefonare a mio padre.» «Perché?» «Perché conosce il nome di un whiskey che penso piacerà ai tuoi fratelli.» «Non è necessario che tu lo faccia.» «Desidero farlo» rispose lei, sorridendo. E all'improvviso si accorse che era vero. Le piaceva prendere le redini in mano. L'adrenalina scorreva a fiumi nelle sue vene quando preparava un piano di lavoro, sapendo che si trattava di un buon piano. Si era nascosta in un angolo per tanto tempo da aver dimenticato che forza formidabile era. Rivolgendo un sorriso a Darius, lasciò la stanza. Lui la guardò andare via, notando l'ondeggiare dei fianchi, l'incedere flessuoso delle sue lunghe gambe. Appoggiandosi sul bar, si passò una mano sul viso. Non era sicuro d'avere interpretato nel modo giusto il suo comportamento ma... era mai possibile che lei avesse voluto fargli capire che una relazione fisica non le sarebbe dispiaciuta? Era possibile che abituandosi al suo ruolo in quella casa, si sentisse meno nervosa a causa dell'attrazione che esisteva tra loro? Sospirando, rimise la bottiglia di vino al suo posto e si versò due dita di whiskey. C'era un solo modo per scoprirlo. Il sabato pomeriggio, quando Gino si svegliò dopo il 106


solito pisolino, Darius e Whitney lo misero per terra nella nursery e il bimbo, robusto e felice, gattonò fino a un giocattolo rimasto fuori dal cesto. «Hai visto? Comincia a gattonare!» esultò lui. Whitney rise. «Bisogna che compriamo una telecamera.» «Finché non l'avremo, userò questo.» Darius tirò fuori il cellulare dalla tasca dei pantaloni e inquadrò il bambino che sbatteva per terra i cubi colorati. Whitney scivolò dietro di lui, sollevò il coperchio del cesto e cominciò a buttare fuori altri giocattoli di plastica. Il bambino rise, battendo le manine e Darius spostò il cellulare su di lei. Whitney alzò una mano. «No!» «Perché no? Sei bellissima.» «Non voglio apparire nelle tue foto.» «Perché?» «Perché noi siamo... siamo...» Whitney avrebbe voluto dire che erano solo i due custodi di Gino. Lei non faceva parte della sua famiglia e della sua vita. Ma sarebbe stato sbagliato. Lavoravano entrambi per Gino. Erano entrambi impegnati a crescerlo nel modo migliore. Che lo volesse o no, avevano un legame che sarebbe potuto durare per il resto delle loro vite. Non trovando le parole giuste, sollevò le braccia. «Sia come sia. Se proprio vuoi, riprendimi in un video.» Lui rise. «Che entusiasmo, vero, Gino?» Il bambino si batté le mani sulle gambe e sputò un residuo di cibo. «Vorrei indurlo a gattonare ancora.» Whitney si chinò, prese una palla dalla cesta e la lanciò a pochi passi dal bimbo. «Gino!» chiamò. «Vedi la palla?» Lui tornò a battersi le manine sporche sulle gambe. Whitney lanciò un altro giocattolo vicino alla palla. 107


Gino lanciò dei gridolini. Questa volta lei buttò una ranocchia di peluche che sapeva essere la sua preferita. Gino la studiò, poi ruotò sulle ginocchia e si mise a gattonare. Darius sorrise da un orecchio all'altro. «L'ho ripreso.» Whitney si rimise in piedi. «Hai bisogno di una telecamera. Coraggio, andiamo nel tuo ufficio, entriamo in Internet e facciamocela spedire.» «Ottima idea!» approvò Darius, prendendo il piccolo in braccio. Salirono tutti insieme fino al secondo piano dove lui aveva l'ufficio, e Whitney non si stupì vedendo che vicino alla sua poltrona girevole c'era un dondolo. Quando Gino non dormiva, Darius lo portava con sé in quella camera. Lui infilò il bimbo nel seggiolino del dondolo e azionò un pulsante che lo faceva muovere ed emetteva della musica. Poi si sedette alla scrivania, accese il computer e batté alcuni tasti. All'inizio cominciarono una ricerca generica che poi restrinsero alle aziende che producevano macchine fotografiche e cineprese delle marche più prestigiose. A un certo punto, stanca di stare con la schiena curva per vedere quello che appariva sullo schermo, Whitney si sedette sul bracciolo della poltrona e, insieme a lui, scelse la telecamera che nella presentazione sembrava la migliore. «Dovrebbero mandarcela domani.» Darius sollevò la testa per guardarla e lei si rese conto all'improvviso di quanto fossero vicini e di un altro fatto incredibile. Le loro braccia si sfioravano, eppure non era stata presa dal panico. Non se n'era accorta. Con lui si sentiva perfettamente a suo agio. Rilassata. Contenta. Quasi... felice. No, non quasi. Era felice. Darius le piaceva e non so108


lo come compagno o custode di Gino, le piaceva come uomo. Spaventata, balzò giù dal bracciolo. «Va bene. Questo è sistemato» commentò, cercando di non sembrare intimidita, arrabbiata, o confusa. Il fatto che lui le piacesse sotto tanti aspetti, la spronava a compiere dei passi. Baciarlo per davvero. Conoscerlo intimamente. Fare l'amore. Il suo cuore si fermò. Immaginava loro due intenti a fare l'amore. Perché no, del resto? Si piacevano, si conoscevano abbastanza, avevano scherzato e civettato. Lavoravano insieme e diavolo!, si erano già baciati una volta. Come aveva fatto Darius ad abbattere le sue barriere? Non importava. Non voleva legarsi a un altro uomo, soprattutto a un uomo con cui condivideva la responsabilità di un bambino.

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Per la prima volta da quando aveva preso Gino con sé, Darius ebbe la sensazione che il suo mondo ruotasse nel verso giusto. Il ruolo di padre non gli dava più alcun problema e adesso che Whitney gli aveva fatto capire di non essere contraria a una relazione, l'attrazione che provava per lei non gli sembrava più sbagliata. Faceva parte del quadro. Parte di loro. E se la loro amicizia fosse aumentata, se si fosse approfondita, avrebbe potuto permettersi degli atteggiamenti più affettuosi, delle intimità. Il martedì sera, tornando a casa dalla città, si rese conto che il momento era arrivato. Seduta al suo fianco, le lunghe gambe accavallate, i capelli color oro sparsi sulle spalle, Whitney rappresentava una tentazione invincibile. Nelle ultime settimane aveva cambiato il modo di vestirsi. Niente più abiti larghi e camicioni abbondanti che nascondevano le sue forme. Adesso indossava quasi sempre delle gonne e dei golfini morbidi, non si legava più i capelli e stava tornando a essere se stessa: una donna molto attraente e sensuale. Ma se non avesse smesso di guardarla, sarebbe arrivato a Montauk in pessime condizioni. Per evitarlo, decise di fare la sola cosa possibile: si mise a parlare. «Il volo di Nick è stato anticipato. Invece che ve110


nerdì sera, arriverà a Montauk di pomeriggio e si tratterrà per tutto il fine settimana.» Whitney sollevò la testa e nei suoi begli occhi da gatto persiano balenò un lampo divertito. «Pensi di tornare a casa in tempo per accoglierlo, o vuoi rischiare l'argenteria?» «Non è l'argenteria che mi preoccupa» rispose lui, serio. «Non voglio che rimanga da solo con Liz.» Lei scoppiò a ridere. «Oh, andiamo.» «Non capisci? Mio fratello è un dongiovanni impenitente.» «Davvero?» Contrariato, Darius affondò il piede nel tappeto della limousine. Aveva appena accusato suo fratello d'essere un donnaiolo e lui stava programmando di portarsi a letto Whitney. «Ha tredici anni più di lei» borbottò. Whitney gli diede un colpetto con la spalla. «Smettila di fare il vecchio.» «Io sono vecchio» ribadì lui, guardandola. «A trentotto anni?» La domanda venne fuori mescolata a una risatina e il maschio che dormicchiava dentro di lui alzò la testa. Era da molto tempo che non civettava con una donna. Ma con Whitney gli sembrava più divertente del normale. Forse perché fino a qualche settimana prima lei non avrebbe mai accettato quel tipo di conversazione, mentre bastava guardarla per vedere che le faceva un gran bene. Perché allora non godersi quello scambio? «Forse sono meno vecchio di quello che dovrei, viste le esperienze che ho fatto» replicò. Lei sbuffò e tornò a dedicarsi al documento che stava leggendo. Darius le toccò il piede con la punta della sua scarpa Oxford. «Vuoi che te lo dimostri?» 111


Whitney alzò la testa, ma la paura che trapelava dai suoi occhi fu sostituita subito dalla curiosità. Oh, sì. Desiderava che lui glielo mostrasse. Darius lo comprese e il brivido di eccitazione divenne un tremore intenso. Avrebbe potuto possederla subito, dentro la limousine. E non se ne sarebbe pentito. Incredibile, ma vero. Nella sua mente immaginava solo un infinito piacere con lei. Non era triste, o spaventato per lei. Non avvertiva alcun senso di rimorso in se stesso. Era una cosa che doveva succedere e che sarebbe successa. «Non montarti la testa» disse lei alla fine, riportando l'attenzione sulle carte. Sembrava padrona di sé, indifferente, ma lui sapeva che mentiva. Whitney lo desiderava come lui desiderava lei. Tuttavia per lei sarebbe stato un passo enorme. Ebbene, sarebbe stato gentile e avrebbe scelto il momento adatto per sedurla. In ogni caso l'avrebbe sedotta. Non solo per il proprio piacere, ma per lei, perché tornasse a essere la donna che era stata prima della tragedia. Una creatura vibrante e piena di vita. Non poteva ridarle la sua bambina, né cambiare i suoi ricordi. Ma poteva aiutarla a guarire, passo dopo passo. Soprattutto l'avrebbe aiutata a compiere il primo. Dopocena l'avrebbe condotta in salotto e ne avrebbero parlato. Non dovevano sorgere dei malintesi. Entrambi dovevano essere molto chiari in proposito altrimenti non avrebbe funzionato. Quando arrivarono a casa, poiché ormai mettevano sempre Gino per terra perché si muovesse un po', prima di andare nella nursery, Whitney corse in camera sua e si mise un paio di jeans. Appena finirono di mangiare, Darius si alzò e si pre112


cipitò a scostarle la sedia. «Puoi dedicarmi qualche minuto? Vorrei parlare con te in salotto.» «Certo.» La guidò attraverso l'ingresso e giunti in salotto le indicò il divano. «Gradisci qualcosa da bere?» le offrì, aprendo il mobile bar. Dovendo ancora leggere per almeno un paio d'ore i documenti che si era portata a casa, lei scosse la testa. «No, grazie.» «Speravo che volessi bere un bicchiere di vino prima di parlare.» «Davvero?» domandò lei, ridendo. «Mi vuoi alticcia?» «Sì. No.» Darius si morsicò le labbra. Poi prese la bottiglia e la stappò. «Ti voglio rilassata.» Whitney rise di nuovo. «Credevo che non ci facessimo più prendere dal nervosismo, stando insieme.» «Non del tutto. C'è ancora una cosa di cui non abbiamo discusso. Quando l'avremo fatto, tra noi sarà tutto chiaro.» «Sono pronta.» Darius inspirò. «Va bene. Ecco qui. Non credo di doverti dire che noi siamo attratti l'uno dall'altro.» Whitney trasecolò. Non si era aspettata quel genere di discorso. «E...?» «Ebbene, so di averti detto che non ti avrei più baciata, ma ho cambiato idea. Penso che dovremmo fare qualcosa per risolvere questa faccenda.» Le labbra morbide di lui, gli occhi ardenti, l'espressione intensa le diedero il desiderio di buttarsi tra le sue braccia. Oh, sì, la tentazione era grande, ma aveva riflettuto e aveva deciso che sarebbero sorti troppi problemi. Compiendo altri due passi indietro, rise nervosamente. «Non sono proprio pronta per allacciare una relazione impegnativa» rispose. 113


Darius sgusciò da dietro il bar e la raggiunse. «Chi ha detto che è ciò che voglio io?» domandò, giocando con una ciocca dei suoi capelli. Il respiro le si mozzò. Come poteva resistere a quello sguardo pieno di promesse? Whitney scosse la testa. «Hai dimenticato... dobbiamo allevare insieme un bambino per i prossimi diciotto anni.» «Lo so, ma siamo entrambi due persone mature e conosciamo noi stessi. Tu sei stata ferita, quasi distrutta da un uomo di cui ti fidavi. Io ho avuto un padre incapace di essere fedele. Ho visto quanto ha fatto soffrire mia madre. Non farò mai del male a una donna come ha fatto lui.» «Secondo te avere una relazione non può far soffrire una donna?» «No, se sai fin dall'inizio che cosa aspettarti. Hai detto tu stessa che Missy era contenta del rapporto che aveva con mio padre.» «Sì, ma... ma questo è diverso» balbettò Whitney, incapace di spiegarsi meglio. «In che modo?» insistette lui, fissandola. «Né tu né io miriamo al matrimonio. In che modo siamo diversi da mio padre e dalla tua amica?» «È che sembri così sicuro. Troppo sicuro.» Come se una breve avventura, non una relazione, fosse l'unico rapporto possibile tra loro perché nessun uomo avrebbe scelto una donna come lei come compagna stabile. Dopo Burn lei era una merce danneggiata. Fece per allontanarsi, ma lui le prese una mano. «Ascoltami, io sono il figlio di un uomo che non sapeva essere fedele ed è probabile che abbia ereditato i suoi geni, ma anche se questo non fosse successo, so di avere degli altri limiti. Il più importante è che sono legato al mio lavoro, alla mia vita. Non ho tempo da dedicare 114


a una moglie. Se ti sposassi, ti farei soffrire ancora. E non è tutto.» Vedendo la sua espressione seria Whitney si sentì ancora più insicura. «Che altro c'è?» «Mio padre sosteneva che è stata la ricchezza iniziale a renderlo infedele a mia madre, così quando io e i miei fratelli abbiamo compiuto diciotto anni, ha regalato a ciascuno cinque milioni di dollari, di modo che capissimo che cosa volesse dire essere ricchi. Era convinto che se avessimo corso prima la cavallina, quando avessimo incontrato la donna giusta saremmo riusciti mettere la testa a posto come invece lui non era riuscito a fare.» «Non ti sembra una teoria valida?» «No» rispose lui, ridendo. «Semmai ha peggiorato le cose. Io non ho dovuto smettere di correre la cavallina perché non mi è mai piaciuto farlo. Non desideravo giocare d'azzardo, marinare la scuola, o fare le cose che attirano i ragazzi di quell'età. Io studiavo, lavoravo e all'università mi sono innamorato di una compagna di studi. Lei proveniva da una famiglia con scarse possibilità economiche. Eravamo a Wharton e io mi resi conto che se la passava male così le proposi di venire a vivere con me. Poco dopo ero io che pagavo i suoi studi.» «È finita male, vero?» Darius sospirò. «L'anno dopo. Un giorno tornai a casa prima del solito e la sorpresi con un altro. Lei sostenne che all'inizio mi aveva amato ma che poi l'amore era finito. Aggiunse con sincerità che non mi aveva lasciato perché aveva bisogno del mio aiuto per terminare l'università.» Whitney immaginò quello che doveva aver provato Darius, così giovane e idealista, davanti a quel tradimento e si sentì male per lui. 115


«Forse era troppo sincera? Magari un po' fredda e insensibile?» Lui si mise a ridere. «Non sei molto esperta delle cose del mondo, vero? Molto nella vita dipende dal denaro. Per esempio, tuo marito si è suicidato perché non riusciva a sfondare. L'insuccesso economico porta a compiere le azioni peggiori, come successe a Jen.» «È perché io non peggiori che dovrei avere una relazione con te?» «No, è perché credo che sia il modo migliore per continuare a essere sinceri l'uno con l'altro. In due settimane abbiamo fatto molta strada. Se ci siamo riusciti è perché, a un certo punto, abbiamo smesso di girare intorno alla verità e abbiamo cominciato a essere sinceri. È per rimanerlo che non ho cercato di sedurti e che adesso stiamo facendo questa discussione. In certi momenti la sincerità può ferire ma alla lunga evita incomprensioni, delusioni e rancori.» Era vero, pensò lei. Burn non era mai stato sincero e alla fine le aveva inflitto il dolore peggiore. Anche adesso non sapeva che cosa fosse successo con lui e la bambina. Perché si era ucciso e perché aveva ucciso la loro figlioletta. «Hai bisogno di questo. Devi tornare tra i vivi e io posso riportartici. Posso aiutarti a ritrovare te stessa senza impegni gravosi. Niente che possa spaventarti. Solo una storia dolce che ti ricordi che cosa significa sentirsi una donna.» Whitney deglutì e gli voltò le spalle. Era troppo facile credergli, guardando i suoi occhi sinceri. «E Gino?» «Che cosa c'entra Gino?» «Non pensi che soffrirà quando la nostra storia finirà?» «Non credo che succederà un dramma. Penso al con116


trario che ci calmeremo. In questo momento siamo su di giri e tu temi che esploderemo. Io invece sono convinto che diventeremo più moderati. Ci desidereremo sempre.» Darius la costrinse a voltarsi verso di lui. «Se riusciremo a gestire bene il nostro rapporto, potremmo diventare due buoni amici con qualcosa in più.» Poi, vedendo che non rispondeva, abbassò la testa e le mordicchiò l'orecchio. «Vuoi, o no?» Il corpo di Whitney si irrigidì, poi si addolcì, tradendo il suo desiderio. «Alcune parti di me lo vogliono.» Darius rise. «Non dobbiamo far soffrire Gino» ribadì lei. «Non soffrirà.» Lui la scostò per poterla guardare negli occhi. «E non ci faremo del male a vicenda. Abbiamo già patito abbastanza. Avendo avuto un padre libertino, non penso di poter essere fedele, ma ti prometto che sarò sincero e voglio che lo sia anche tu. Se verrà il momento di rompere la nostra relazione, non dovrai sorprenderti, o soffrire.» «Non puoi dire tu se soffrirò, o no.» «Dico che potrai sentirti delusa, ma non sorpresa o ferita. Perché noi saremo sempre sinceri fino in fondo. E perché quello che c'è tra noi è importante.» «Ma non tanto da durare per sempre?» «Niente dura per sempre e non perché alcune persone non sanno essere fedeli.» Darius agganciò il suo sguardo. «Tu saresti rimasta con tuo marito per sempre, ma il destino ha voluto diversamente. La vita è piena d'imprevisti e coloro che credono di poter far durare un sentimento, o una storia, per sempre sono matti. I più furbi adoperano il cervello.» Lei rise. «Com'è che sei così convincente?» Lui le cinse la vita con un braccio. «Lo lascio decidere a te. Primo, perché ho ragione. Secondo, perché mi desideri abbastanza da volermi credere.» 117


Whitney rise di nuovo, ma i suoi occhi brillavano di emozione e di attesa. «A parte questo, siamo entrambi tanto intelligenti da frenare se capissimo di cominciare a essere troppo coinvolti. O se sentissimo nascere il desiderio di ottenere qualcosa che sappiamo per esperienza essere solo un'illusione.» «Già» ammise convinta lei. Un'illusione. Niente era perenne. La morte di Burn e di Layla glielo aveva insegnato. «Allora che cosa facciamo adesso?» Darius fece un salto indietro. «Che cosa? Credi che voglia sedurti questa notte?» Una parte di lei lo desiderava. Si sentiva agitata, vogliosa e pronta a cedere. Non avrebbe cambiato idea, non sarebbe scappata. «Sarebbe saltare il fosso, non ti pare?» Lui rise. «E così sarei una specie di ponte?» replicò, dirigendosi verso il bar su cui aveva lasciato il suo bicchiere. «Pensavo più a un processo di seduzione lento e graduale. A una schermaglia amorosa.» «Mi renderai nervosa come una gatta.» «O al contrario tanto impaziente da essere tu a sedurre me.» Lei rise. «Non credo proprio.» «Oh, non conosci il mio potere di persuasione.» Venerdì sera Liz aveva appena finito di mettere un pigiama pulito a Gino quando Darius e Whitney entrarono nella stanza. «Miei cari signori, siete in anticipo, o in ritardo. Stavo proprio per portarlo di sotto a mangiare i suoi cereali, prima di dargli il biberon e metterlo a letto.» Whitney si accigliò. Sapeva che Liz era molto rigida sugli orari e lo apprezzava. I bambini si sentivano più sicuri se i ritmi della loro giornata non cambiavano. 118


Ma non c'era ragione che lei e Darius non potessero passare un po' di tempo con il bambino. «Potremmo dargli noi i cereali e poi cullarlo finché si addormenta» propose. Liz si premette una mano sul petto. «No! Non volevo farvi pensare che per me fosse un problema dargli i cereali.» Ridacchiando, Darius le tolse Gino dalle braccia. «Lo sappiamo. E rispettiamo il suo programma, ma sappiamo che domani lei avrà un esame e che probabilmente vorrebbe studiare. Visto che noi vogliamo stare un po' di tempo con Gino, ci occuperemo di lui.» Incerta, Liz guardò dall'uno all'altro. «Ha già fatto il bagno ed è stato cambiato.» «Gli ho già dato da mangiare e so come fare» replicò Darius con autorevolezza. «Andrà tutto bene.» Liz parve incerta. «Non vorrei dovergli fare di nuovo il bagno.» Whitney la rassicurò. «Stia tranquilla. Sappiamo che cosa fare.» La ragazza sorrise. «Bene! In realtà devo studiare ancora alcune cose.» Uscì a precipizio dalla nursery, diretta verso i suoi libri e Darius e Whitney la seguirono. Liz voltò a sinistra, loro a destra e scesero la scala per andare in cucina. «È simpatica» commentò lui, entrando nella stanza piena di pentole di acciaio e di ripiani scintillanti. «Comprendo il suo punto di vista» affermò Whitney, aprendo il pensile che conteneva i cereali. Dalla sera in cui era ammattita per trovare un piatto e una tazza, tutto quello che poteva servire a lei, a Darius, o al bambino, era stato trasferito in cucina. Prese la scatole dei cereali, una tazza e il piccolo cucchiaio di Gino. «Non vuole dover fare lo stesso lavoro due volte.» 119


«Ormai siamo diventati due professionisti» replicò Darius. Lei rise. «Io sono una professionista. Tu sei un principiante.» «Ah!» «Comincia a darti da fare. Metti Gino nel suo seggiolone.» Darius lasciò la stanza, scuotendo la testa. Quando poi lei raggiunse la sala da pranzo con la ciotola piena di cereali, il bambino era già sistemato e batteva le mani sul vassoio del seggiolone. «Sa che cosa significano questi preparativi.» Whitney si sedette accanto a Gino. «Certo che lo sa. Metti qualunque essere umano davanti al tavolo su cui ha sempre mangiato e vorrà del cibo.» Darius annuì e prese ciotola e cucchiaio. «Giusto.» «Lo imbocco io.» «Nossignore» si oppose lui. «Liz ha messo in dubbio le mie capacità. Ne va del mio buon nome.» «Il tuo buon nome è molto sensibile.» «Mi piace che la gente creda che io sappia ciò che faccio.» «E a Liz piace dimostrare che sa fare bene il suo lavoro.» Darius corrugò la fronte. «A questo non avevo pensato.» In quel momento Gino strillò e Whitney si rese conto che chiacchierando si erano dimenticati di lui. Quando lo guardò, sbarrò gli occhi, inorridita. Il bambino aveva preso la ciotola che Darius aveva sistemato sul suo vassoio e si era spalmato la faccia di cereali. Darius trasalì. «Liz ti ucciderà.» «Ucciderà me?» Lei afferrò un tovagliolo. «Venti minuti fa era il tuo buon nome in gioco. Va bene» aggiunse, inspirando. «Non dobbiamo farci prendere dal 120


panico. Prepareremo un'altra ciotola di cereali, lo imboccheremo e dopo gli faremo il bagno. Posso fidarmi che baderai a lui mentre sono di là?» domandò, prendendo ciotola a cucchiaio e dirigendosi in cucina. «Adesso sei tu che adombri il mio buon nome.» Whitney scosse la testa e andò a preparare degli altri cereali. Questa volta non diede a Darius la possibilità d'intervenire. Si sedette, imboccò il bambino, poi portò via ciotola e cucchiaio. Quando tornò, Darius stava fissando Gino che era ancora seduto sul seggiolone. «Non so come tirarlo su.» «Che cosa? Lo fai sempre.» «Mi coprirò di cereali dalla testa ai piedi.» Impietosa, lei incrociò le braccia sul seno. «Temo che dovrai farlo per il bene della squadra.» Ridendo, lui sollevò Gino e impallidì quando il pigiama sporco e bagnato entrò in contatto con il suo maglione. Whitney aprì le doppie porte, attraversò la sala da pranzo e prima di entrare nell'ingresso, guardò a destra e a sinistra. «Bene. La via è libera. Basterà che saliamo le scale di corsa, percorriamo un tratto di corridoio e saremo al sicuro dietro una porta chiusa. Non c'è bisogno che Liz sappia quello che è successo.» «Ti sto dietro.» Salirono la scala ed entrarono nella nursery senza incontrare Liz, e quando chiusero la porta, cominciarono a ridere istericamente. Ormai pratico, Darius mise Gino sul fasciatoio e gli tolse il pigiama. Whitney si chinò a guardarlo e sorrise vedendolo sgambettare tutto allegro. «Sembra che abbiamo fatto tutto apposta per te. Bagno doppio, giovanotto.» 121


Darius fece un passo indietro. «Forse hai voluto crearti un lavoro su misura.» Lei gli diede un colpetto sul braccio. «Ehi. Hai detto che volevi imparare tutto quello che c'era da sapere riguardo alla cura di un bambino. I bagni ne fanno parte e non mi pare che tu glielo abbia mai fatto.» «Ma sarà nudo.» «E allora?» «Allora non mi fido molto del controllo che esercita sulla sua vescica.» Ridendo di gusto, Whitney sollevò Gino dal fasciatoio e andò nel bagno annesso alla nursery. Vedendo con quanta gioia accudiva il bambino, Darius si sentì colmare d'orgoglio. Era stato lui a propiziare quel piccolo miracolo. L'aveva aiutata a vincere le sue paure, il rimorso, la sofferenza e adesso era felice. Gonfio come un tacchino, la seguì dentro il bagno che era sorprendentemente simile a un bagno normale, con la sola differenza che al posto di due lavandini ce n'era uno soltanto e di lato una minuscola vasca, accanto alla quale c'era un contenitore pieno di shampoo, lozioni e asciugamani. Tenendo il piccolo con un braccio, Whitney mise il tappo alla vasca. Mentre si riempiva d'acqua, tolse il pannolino e sistemò Gino a sedere dentro. Il bambino lanciò gridolini di gioia. «Ti piace tanto l'acqua?» gli domandò Darius, chinandosi per guardarlo. «Oh, no! Non farlo!» lo avvertì Whitney, poi scoppiò a ridere quando Gino sbatté le mani sull'acqua, schizzandola da tutte le parti. «Aiutami, piuttosto. Mi serve il sapone, lo shampoo e un asciugamano.» Darius le diede tutto quello che aveva chiesto. «Grazie.» «Prego» le rispose, facendo un passo indietro. 122


«Ehi, tu.» Con la mano bagnata, Whitney afferrò il bordo del maglione e lo trattenne. «Bisogna essere in due per tenere a bada un ragazzino energico come questo. O lo reggi dentro la vasca, o lo lavi.» «Penso di riuscire di più a reggerlo.» Lei gli fece segno di spostarsi alla sua sinistra. «Adesso circondalo con le mani da dietro.» Darius ubbidì e Gino strillò, batté le mani sull'acqua, inondando Darius. Whitney ridacchiò. «Comincio a pensare che volessi vedermi fradicio.» «No, volevo che condividessi questa gioia.» «Giusto.» Il bagno durò poco più di cinque minuti ma quando finì, Darius grondava come una fontana mentre Whitney era sospettosamente asciutta. «Come mai non ti sei bagnata?» le domandò in tono accusatorio. «L'istinto mi suggerisce quando fare un passo indietro.» Poi gli diede Gino avvolto in un accappatoio di spugna bianca e Darius ripeté: «Giusto». «Dico sul serio. Sapere quando retrocedere e quando avanzare con un asciugamano pronto è un'arte.» Quando Gino fu di nuovo sul fasciatoio, lui si tolse la camicia grondante e Whitney, vedendo che cominciava a svestirsi, indicò la porta con il mento. «Puoi andare a cambiarti, se vuoi» gli suggerì. «Va bene.» Entrato nella sua camera da letto, Darius decise di non chiudere la porta. Togliersi la camicia davanti a lei poteva essere una tattica poco leale, ma non aveva dimenticato i discorsi che avevano fatto sulla possibilità di diventare qualcosa di più di due amici. Così aveva deciso di rompere il ghiaccio cominciando da quella sera, ma non avevano ancora civettato abba123


stanza. Ogni volta che tentava di farlo, Gino piangeva, gridava e aveva bisogno di qualcosa. Da qualche tempo aveva cominciato a domandarsi come facessero le coppie a mettere in cantiere un secondo figlio se il primo assorbiva tutto il loro tempo. Udì Gino ridere come se Whitney gli stesse facendo il solletico, poi a quel suono si unì la risata piena di lei e il cuore gli si sciolse. Desiderava fare l'amore con lei come non lo aveva mai fatto con altre donne. Con gioia. Una grande gioia. Una gioia per festeggiare il fatto che erano vivi. Era un pensiero insolito, ma bello. Voleva fare l'amore in modo gioioso perché lo desiderava da troppo tempo, ma aveva parlato sul serio quando aveva detto di voler mantenere una certa distanza tra loro. Non solo per se stesso, ma per lei. Doveva mantenere quel punto. Avrebbe fatto l'amore con lei. Avrebbero intrecciato una relazione. Non l'avrebbe mai fatta soffrire, ma non voleva che confondessero un sentimento per un altro. Non aveva mai creduto nelle relazioni permanenti. Glielo aveva insegnato suo padre ed era stata una lezione amara perché lui, come i suoi fratelli, era stato spesso ignorato da chi lo aveva messo al mondo. Alcuni giorni dopo Whitney pensava ancora con viva emozione a quando aveva visto Darius togliersi la camicia nella nursery, e da quel ricordo tornava al discorso che avevano fatto sulla possibilità di diventare qualcosa di più di due amici. Sapeva da molto tempo di piacergli e sapeva anche di essere molto attratta da lui, ma era convinta che allacciare una relazione non sarebbe stato saggio. Avevano un bambino da crescere. Tuttavia lui le aveva proposto delle ragioni più che 124


valide per accettare un rapporto poco impegnativo. Ogni giorno le toccava una mano, guardandola negli occhi e le sue argomentazioni diventavano più convincenti. Il sabato sera, quando si trovarono soli in salotto, i suoi sensi si misero in allerta. Darius aveva detto che intendeva sedurla e non era il tipo da parlare a vanvera. In un certo senso quell'attesa era eccitante come un gioco. Sarebbe successo quella notte? L'avrebbe sollevata sulle braccia e portata nella sua camera da letto? O l'avrebbe ammaliata, seducendola con tanti baci da renderla frenetica? Ripensandoci però quella prospettiva la spaventava. E se fosse successo davvero? Sarebbe riuscita ad accettare una relazione basata solo sul sesso e l'amicizia? Non aveva mai avuto dei rapporti fisici promiscui. Aveva fatto l'amore con il suo ragazzo e poi con il fidanzato che era diventato suo marito. A lei piaceva che ci fosse un impegno da ambo le parti. Era in grado di accettare una breve avventura senza la prospettiva di un futuro? Burn glielo aveva promesso e poi glielo aveva rubato. Credeva ancora nel domani? Darius aveva ragione quando affermava che il per sempre era un'illusione? «In ogni caso, quando i miei fratelli saranno qui, bisogna che uno di noi stia sempre nella nursery con loro.» Whitney posò la penna sulla scrivania. «Rinfrescami la memoria. Vogliamo assicurarci che nessuno porti via Gino, o cerchiamo di proteggere Liz?» «Proteggere Liz!» gemette lui. «Non presti attenzione a quello che dico.» Whitney strinse le labbra. «Quando sei arrivato stavo lavorando.» «Ebbene, smetti. I miei fratelli arriveranno qui la 125


prossima settimana. Dobbiamo preparare un piano d'azione.» Era così agitato per la visita dei fratelli che lei lasciò la scrivania e si spostò in salotto per prestargli maggiore attenzione. Ma dove sedersi?, si domandò, incerta. Se avesse scelto una sedia sarebbe sembrata distaccata e fredda. Se invece si fosse accomodata sul divano, sarebbe stato come dirgli che era venuto il momento di iniziare gli approcci. Alla fine, non sapendo decidere, scelse di camminare, assumendo un'espressione seria e partecipe per fargli capire che quella discussione la interessava. «A quale piano ti riferisci? Abbiamo già stabilito il menu e le attività per ciascun giorno. Cade e Nick non vedranno l'ora di andarsene per potersi riposare.» «Non parlo di cose importanti. A grandi linee è tutto pianificato. Alludo ai dettagli. Mia madre diceva sempre che non si è mai preparati abbastanza.» Whitney non si sorprese che lui tirasse in ballo sua madre. Aveva intuito che il suo legame con la genitrice era stato molto forte. «Da quello che dici sembra che tua madre fosse una donna saggia e intelligente» commentò. Lui si protese in avanti sul divano, le braccia posate sulle ginocchia, lo sguardo perso chissà dove. «Oh, era una gran donna. Davvero.» «Scommetto che era orgogliosa di te.» «Sì.» Darius si alzò con uno scatto, la raggiunse e le si mise di fronte. «E ho l'impressione che cerchi di parlare di lei per evitare un altro argomento, qualcosa che t'innervosisce.» «No. Sto bene» protestò lei. «Allora perché cammini avanti e indietro?» 126


Whitney si strinse nelle spalle. «Non lo so. Forse mi annoio.» «Siamo stati chiusi qui dentro per diverse settimane» convenne lui, sorridendo. «È comprensibile che ti annoi. Per cambiare potrei cercare di sedurti questa sera.» Il cuore le si gelò, le sue membra si liquefecero e mentre affondava lo sguardo negli occhi penetranti di lui, le sue corde vocali smisero di funzionare. Anche volendo, non sarebbe riuscita a parlare. «Ho promesso di civettare, di corteggiarti e ormai lo facciamo da giorni. Siamo pronti per baciarci.» Darius si portò la sua mano alle labbra e la baciò con dolcezza. «Morbida, come supponevo.» Lei deglutì e migliaia di brividi le salirono dalla mano lungo il braccio, per poi propagarsi a tutto il suo corpo e infine toccarle il cuore. «Sei molto bella, Whitney. Il giorno che ti ho vista, i tuoi occhi mi hanno ammaliato. Sono di un azzurro incantevole.» La sua voce sommessa e seducente le risuonò dentro, infuocandole il sangue e ottenebrandole la mente. «E hai delle labbra magnifiche. Da baciare.» La sua testa si abbassò. «Sto per baciarti, lo sai, vero?» Lei non tentò neppure di fingere una certa ritrosia. Il respiro le usciva a strappi dalla bocca. Aveva la mente vuota. Nessuno le aveva mai parlato in quel modo. Come poteva discutere, o resistergli? Le loro labbra si unirono e lei chiuse gli occhi, sentendosi sommergere da sensazioni dolci e nello stesso tempo sconvolgenti. Non era più come la volta precedente quando aveva baciato un uomo qualunque. Stava baciando Darius, una persona che conosceva e che le piaceva molto. Un uomo a cui lei piaceva. L'emozione era intensa, ma Darius non cercò di approfondire il bacio. Dopo un momento, sollevò la testa. 127


I loro sguardi s'incrociarono e lei lesse nei suoi occhi la lotta che stava avvenendo dentro di lui. «Dovremmo farlo più spesso.» Whitney avrebbe voluto ridere di gioia, ma aveva ancora la gola serrata da una morsa. Darius fece scivolare le mani lungo le sue braccia e le prese le dita. «Buonanotte» sussurrò, liberandole le mani. Poi si diresse verso la porta. Scomparve prima che lei ritrovasse la voce per dirgli che erano solo le otto, troppo presto per coricarsi. Ma non importava. Quella notte non avrebbero fatto l'amore, però aveva cominciato di nuovo a provare delle sensazioni. E, fatto straordinario, non aveva ricordato il passato. Non aveva fatto dei confronti. Per qualche minuto, Darius era stato tutto il suo mondo. Aveva paura? Certo. Da quel momento in poi lui avrebbe potuto decidere di compiere il passo successivo e quello sarebbe stato il vero esame per sapere se era riuscita ad andare avanti.

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Il venerdì, giorno di arrivo di Nick e di Cade, Darius e Whitney non andarono a lavorare. Lui passò la mattina nel suo ufficio a fare delle telefonate per risolvere alcune questioni importanti, mentre lei si occupò degli ultimi preparativi per il fine settimana. Amava avere delle responsabilità e svolgeva quel compito in uno stato d'animo gioioso. Nei giorni precedenti, Darius aveva colto ogni occasione per baciarla. Non l'aveva spinta a fare l'amore, ma i suoi baci la stavano abituando a una progressiva intimità con lui. Si occupavano insieme di Gino e adesso avrebbero intrattenuto insieme i suoi fratelli. Tutte quelle cose le davano la sensazione di essere a casa sua e di appartenere a quel luogo e a quell'uomo. Quando l'autista chiamò per avvertire che dopo una decina di minuti sarebbe arrivato a Montauk con Nick, Whitney balzò in piedi, emozionata. «È tutto pronto» assicurò. Darius le cinse la vita, sorridendo. «Temo d'aver fatto troppe storie per questa visita. Di essermi preoccupato per niente. I miei fratelli non sono poi tanto complicati. Cade adora la birra e Nick è un tale ammaliatore che se anche gli mettessi davanti un pezzo di carne carbonizzata ti farebbe i complimenti. Poi troverebbe un modo 129


garbato per evitare di mangiarla e tu non ti offenderesti.» Whitney si sciolse dall'abbraccio, ridendo e si diresse verso l'ingresso principale della casa. «Vedremo.» «Dico sul serio» ribadì lui, seguendola. «Non è vero. Tu hai una cattiva opinione dei tuoi fratelli. Spero che, stando insieme a loro in questi giorni, la cambierai.» Aveva appena pronunciato quelle parole che la porta si aprì e apparve Nick. Darius s'irrigidì. Nick socchiuse gli occhi. Whitney soffocò un sospiro. Era mai possibile che dei fratelli si comportassero in quel modo? Lei avrebbe dato qualunque cosa per avere una sorella, una persona di famiglia con cui condividere gioie, preoccupazioni e dolori. Invece era figlia unica. Forse era stata quella ragione a farla affezionare tanto a Missy. Non voleva che i fratelli Andreas rovinassero quell'opportunità di gettare le basi di un legame che in futuro avrebbe potuto approfondirsi. «Non pretendo che lo abbracci» sussurrò. «Ma almeno potresti stringergli la mano.» Aveva appena bisbigliato quelle parole che Darius avanzò a mano tesa. Whitney aprì la bocca, stupita dalla sua ubbidienza così immediata, poi sorrise. Darius doveva aver memorizzato tutte le cose che gli aveva detto e stava seguendo i suoi consigli. Occhi sempre socchiusi, Nick gli diede una stretta vigorosa. «Questa non è una tregua.» Con sorpresa di Whitney, Darius scoppiò a ridere e vibrò una pacca sulle spalle del fratello. «Dritto al punto, eh?» «Non c'è altro modo per contrattare.» «Regola numero trentasei del papà.» 130


«Superata dalla regola settanta. Non far mai sapere alla tua controparte quello che vuoi.» Darius rise di nuovo. «Credevo di essere il solo a capire che queste due regole si contraddicono.» Poi indicò il salotto. «Che ne dici di una birra?» Whitney trasalì e infilando il braccio sotto quello di Nick lo spinse verso la sala da pranzo. «Credo sia meglio pranzare. Cade non arriverà prima delle sei e noi abbiamo aspettato lei per sederci a tavola.» Nick si voltò a guardarla. Socchiuse gli occhi di nuovo, ma non con la sospettosità con cui aveva guardato Darius. Il suo sguardo la percorse da capo a piedi come se la stesse radiografando. Alla fine sorrise. «Signorina Ross, vero?» Lei annuì. «Mi scusi, avremmo dovuto fare le presentazioni» Il sorriso di lui si allargò. «Ci siamo incontrati nell'ufficio di suo padre, ricorda? Non dimentico mai un bel viso.» Darius gli afferrò un braccio, costringendolo a voltarsi. «Aspetta di vedere Liz.» «Chi è Liz?» «La bambinaia di Gino.» Nick smise di camminare. «Davvero?» Whitney fremette. Avrebbe voluto prendere a schiaffi Darius. Non solo gettava Liz nella fossa dei leoni, pur avendo detto che intendeva proteggerla, ma continuava a spingere suo fratello verso il salotto per offrirgli una birra mentre era ora di sedersi a tavola. «Vi dimenticate che il pranzo è pronto?» domandò, bloccandoli. «Quando avremo finito di mangiare, Gino si sveglierà dal suo pisolino e Nick potrà vederlo.» Nick tornò a voltarsi verso di lei, poi guardò il fratello. «Lei è un avvocato, vero?» «Purtroppo» confermò Darius. 131


Nick piegò la testa da un lato. «Autoritaria?» «Nel modo più assoluto. Questo fine settimana è stata un'idea sua. Coraggio, ubbidiamo» concluse Darius dirigendosi in sala da pranzo. Ridacchiando, Nick scosse la testa. «Aspetta che arrivi Cade. Penso proprio che sarà un fine settimana interessante.» Per tutta la durata del pranzo, Darius rispose alle domande che il fratello rivolgeva a Whitney, impedendole in pratica di aprire bocca. Non era mai stato così geloso e possessivo, ma lui e Whitney stavano per andare a letto insieme e lui aveva la sensazione che Nick potesse rovinargli i progressi che aveva compiuto nelle settimane precedenti. Whitney stava guarendo, ma era ancora molto sensibile. Sarebbe bastata una parola sbagliata, o un gesto incauto di suo fratello a farla precipitare di nuovo dentro il suo nascondiglio. Tuttavia lui avrebbe vigilato perché non succedesse. Quando entrarono nella nursery, Liz stava cambiando Gino che si era appena svegliato. Sentendosi in colpa per il commento che aveva fatto sulla bambinaia, Darius la liquidò e diede il biberon a Gino. La sua intenzione non era stata quella di spingere Liz in bocca al leone, ma il modo in cui Nick guardava Whitney l'aveva gettato nel panico. Mandare via Liz era un modo per chiedere scusa. Dopo aver seguito con lo sguardo la bambinaia che usciva, Nick riportò l'attenzione sul bambino. «È molto grazioso.» «Moltissimo» convenne Darius. «Quando avrà finito di mangiare, potrai prenderlo in braccio.» Nick fece un passo indietro. «Fantastico» affermò, massaggiandosi la nuca, come se fosse incerto se parlare o no. «Sai della moglie di Cade, vero?» 132


Darius roteò gli occhi. «Sì. Se la porterà qui, non ci saranno problemi. Abbiamo fatto preparare una stanza in più.» Nick scosse la testa con forza. «No. Ti domandavo se sapevi che sua moglie è morta.» Darius rimase scioccato. «Sua moglie è morta?» «Si è ammalata qualche anno fa. Ha lottato a lungo, ma alla fine ha dovuto arrendersi.» Rabbuiato, Nick andò alla finestra. «Ti ho avvertito perché non dicessi qualcosa di cui potresti pentirti.» Darius avrebbe voluto ringraziarlo, ma si trattenne. Per prima cosa gli sembrava brutto ringraziare qualcuno perché gli aveva annunciato che la moglie del fratello era morta. In secondo luogo, conosceva Nick. A parte evitargli un momento d'imbarazzo, doveva avere un altro motivo per averlo messo al corrente di quel lutto. I suoi fratelli erano uomini freddi e calcolatori. Se voleva mantenere la sua autorevolezza, non doveva mostrare segni di cedimento. Gino finì di poppare e lui si alzò dalla poltrona a dondolo e offrì il bambino a suo fratello. Nick lo prese con gesti tanto esperti da stupirlo, poi ricordò che sua madre gestiva un asilo per neonati. Lasciò che Nick coccolasse e vezzeggiasse il bambino e poi, verso le tre, incaricò la signora Tucker di mostrare a Nick la sua camera affinché potesse disfare la valigia. Appena lui e Whitney rimasero soli in salotto, l'attirò tra le sue braccia e la baciò. «Questo perché?» domandò lei. «Perché sono ore che lo desidero.» Lei rise e lui avvertì un fremito strano. Dapprima pensò si trattasse di eccitazione, poi capì che non era solo desiderio fisico, bensì un'emozione diversa: un miscuglio di gioia e commozione. Quando lei rideva sem133


brava giovane, spensierata, come se lui fosse riuscito a cancellare gli anni orribili che aveva passato. Whitney era bella, felice e quando l'avesse voluto, sarebbe stata sua. Non sapeva quanto tempo sarebbe durata la loro relazione, ma era sicuro che insieme sarebbero stati bene. La coabitazione, la vicinanza quotidiana aveva giovato a entrambi e questa consapevolezza lo inorgogliva e gli comunicava una sensazione strana che non era paura, o incertezza, ma qualcosa d'indefinibile. Ci stava ancora pensando quando la governante entrò nella stanza e Whitney fece un salto indietro, come faceva sempre quando qualcuno li sorprendeva. «Mi dispiace disturbarla, signor Andreas ma durante il pranzo ha telefonato suo fratello Cade. Non ha voluto che la interrompessi. Mi ha solo pregato di dirle che sarebbe arrivato prima del previsto.» «Bene. Ottimo.» La signora Tucker si ritirò e Whitney rise. «Non sembri entusiasta.» Non lo era e non solo perché i suoi fratelli rappresentavano un'incognita, ma perché gli avrebbero impedito di far compiere un passo ulteriore al suo rapporto con Whitney. Sospirando, tornò ad attirarla contro di sé. «Gino dorme e mio fratello è occupato» mormorò, baciandole il collo. «Che ne dici di andare nella mia stanza per rilassarci?» Lei lo respinse, ridendo. «Rilassarci?» Darius la trattenne. «Forse fare l'amore è l'espressione giusta.» Questa volta quando la baciò non perse tempo nei preliminari. La desiderava e anche lei lo desiderava. Stavano bene insieme e lo avevano dimostrato. Era tempo. La baciò con passione, affondando la lingua nel134


la sua bocca dischiusa e lei gli rispose senza indugio. Erano pronti a... Poi Nick si schiarì la voce. Whitney saltò all'indietro ancora una volta come un'adolescente colta in fallo e Darius trattenne a stento un'imprecazione. «Credevo che facessi una pennichella.» «Nemmeno per sogno» replicò suo fratello, ridendo. Si era rinfrescato e cambiato. Adesso indossava dei jeans e un maglione sportivo. Avvicinandosi al tavolo del biliardo, fece scivolare le dita sul bordo di mogano. «Sei un bravo giocatore?» Darius scrollò le spalle. «Mi arrangio.» Whitney trasalì. «Ti arrangi? Lui è...» Darius le diede un colpetto di gomito, imponendole di tacere con lo sguardo. «L'ho battuta e lei pensa che io sia un campione.» Nick esibì un sorriso sornione. «Nemmeno io sono molto bravo.» Darius riunì le palle. «Già.» Nick si voltò verso Whitney. «Vuole giocare?» Dopo aver guardato dall'uno all'altro, lei scosse la testa. «Credo che rinuncerò. Ho ancora del lavoro da sbrigare, incartamenti da leggere. Se avete bisogno di me, mi troverete nel mio studio.» Darius la guardò allontanarsi. Quando si voltò, vide che suo fratello lo scrutava. «Pensavo che la bambinaia fosse più il tuo tipo.» Darius andò a prendere una stecca dalla rastrelliera. «La bambinaia ha diciannove anni.» «Proprio per questo.» Innervosito, Darius colpì il mucchio delle palle, disperdendole nei quattro angoli e quattro caddero in buca. «Prendo quelle a righe» annunciò. «E non vado dietro alle ragazzine» aggiunse, accompagnando la frase con uno sguardo deciso. 135


Nick si appoggiò alla sua stecca. «Allora proclami un diritto su Whitney?» Darius tirò e un'altra palla a righe entrò nella buca, ma non se ne accorse. La domanda del fratello gli era rimasta conficcata nella testa. Era quello che stava facendo? Stava proclamando un diritto? Ma questo avrebbe voluto dire assumersi un impegno definitivo e lui non era il tipo da sistemarsi. Aveva trovato una soluzione che andava bene sia a Whitney sia a lui e non intendeva cambiare programma. Non avrebbe mai dato a una donna delle false speranze, promettendole delle cose che non sarebbe stato in grado di mantenere. Tuttavia non voleva che Nick la corteggiasse. Il solo pensiero gli mandava il sangue al cervello. «Diciamo» rispose adagio, fissando il fratello, «che per la durata di questo fine settimana proclamo un diritto su di lei.» Se Nick aveva sorpreso Darius, Cade lo scioccò. Invece di presentarsi in stivali, Stetson e camicia a scacchi, indossava un completo elegante, camicia bianca e cravatta blu. Quando giunse l'ora della cena, arrivò a tavola senza la giacca e la cravatta e con le maniche della camicia arrotolate fino al gomito. Si precipitò a scostare la sedia di Whitney precedendo sia Darius sia Nick e la coinvolse in una conversazione piacevole, non domandandole del bambino, ma interessandosi del suo lavoro di avvocato. Darius s'impietrì. Non le aveva mai chiesto niente del suo lavoro. Conosceva la sua vita e la sua storia meglio di Cade, ma suo fratello le aveva posto delle domande attinenti al suo presente e al suo futuro. Quello che lei desiderava. Accidenti!, pensò Darius. Lui aveva sempre e solo pensato al presente. «Dunque un giorno diventerà socia dello studio le136


gale?» la domanda di Cade scivolò nella conversazione con la facilità con cui la mousse di cioccolata scivolava nella gola di Darius. «Per dire la verità, penso che un giorno sarò io la socia prioritaria. Mio padre ha già la maggioranza e io sono la più anziana delle giovani associate. Toccherà a me decidere chi fare avanzare e chi far cadere.» Cade rise. «Interessante. Mi piacciono le donne che non hanno paura di avere del potere.» Whitney arrossì per il complimento e Darius sentì che la sua pressione sanguigna aumentava a livelli di guardia. Essendo vedovi entrambi, sia Cade sia Whitney avevano molte più cose in comune di Whitney e lui. Se Cade avesse continuato a corteggiarla, a un certo punto Whitney si sarebbe accorta che era lui il più adatto a lei tra i fratelli Andreas e a quel punto... A quel punto che cosa sarebbe successo?, si domandò Darius. L'avrebbe persa? In precedenza non gli era mai importato perdere una donna, perché avrebbe dovuto agitarsi adesso? Whitney si pulì le labbra con il tovagliolo. «Sono solo le otto. Se andiamo di sopra, facciamo in tempo a dare la buonanotte a Gino.» Benché Cade, essendo seduto al suo fianco, fosse il più lesto a scostarle la sedia, Darius le si mise subito accanto, le posò una mano sulla cintura e la guidò così fino alla nursery. Il mattino seguente, la prima colazione si svolse in un clima tranquillo. Whitney aveva mangiato presto e quando scesero i fratelli non era più nella sala da pranzo. Si era resa conto che la sua presenza rappresentava un motivo di distrazione e impediva ai tre fratelli di parlare tra loro. Infatti fino a quel momento Cade e Nick non 137


avevano fatto altro che rivolgersi a lei e porle delle domande sulla sua vita. D'altra parte doveva riconoscere che se nelle settimane precedenti Darius non l'avesse spinta a uscire dal suo bozzolo difensivo, non sarebbe stata in grado di sostenere una conversazione tanto aperta con Cade. Sbirciando attraverso la fessura della porta della cucina, osservò i tre fratelli e il cuore le si gonfiò di commozione. Cade e Nick erano uomini ricchi, potenti, sicuri di sé e non facilitavano a Darius il compito di trovare un'armonia. Ma lui non demordeva. Quando sentiva che i nervi stavano per saltargli, si controllava, però non cedeva di un millimetro e proseguiva nel tentativo di approfondire la conoscenza dei suoi fratelli, evitando le ragioni di scontro con loro. Tuttavia si vedeva che era teso. Whitney sospirò. Era un vero peccato che Nick fosse arrivato proprio mentre Darius le stava proponendo di andare nella sua camera da letto. Scherzando aveva detto che si sarebbero rilassati, ma lei sapeva che se avessero fatto l'amore, il relax sarebbe venuto solo dopo. Lei gli avrebbe posato la testa sulla spalla, gli avrebbe accarezzato il torace coperto da una folta peluria scura, avrebbe intrecciato le gambe con le sue e finalmente, sazi e appagati, avrebbero parlato di Gino, dei suoi fratelli, di quello che lui sperava e paventava e lei l'avrebbe tranquillizzato, così come lui era riuscito a calmare i suoi timori riguardo a Gino e ad aprirle il cuore affinché potesse amare di nuovo. Affinché potesse amare di nuovo. Poteva amare. L'immagine dei loro corpi avvinti tra le lenzuola arrotolate le apparve di nuovo davanti agli occhi della mente, ma non suscitò in lei alcun brivido di paura. Solo 138


gioia. Una gioia scoppiettante, esaltante. Poi un nuovo timore l'agghiacciò. Amava Darius. Lo amava. E questo non rientrava nei loro patti. Quella sera, quando scese a cena, Darius era già pronto a scostarle la sedia, come se volesse impedire agli altri due di compiere quel gesto galante. Whitney non seppe se ridere o piangere. Sapeva di piacergli. Sapeva che lui voleva portarla a letto. Ma l'amore? Dubitava che lui provasse un sentimento del genere. Lei si era innamorata quasi subito perché lui l'aveva portata fuori dall'abisso della sua disperazione. Era stato tenero, gentile. Lei poteva forse tranquillizzarlo, ma che valore aveva? Non gli aveva dato alcun vero motivo per amarla. Per quello che riguardava Darius, a parte la loro amicizia, la situazione era rimasta quella di sei settimane prima. Si piacevano fisicamente. Durante la cena, così com'era successo la sera precedente, Cade e Nick la tempestarono di domande. Tuttavia pareva che sapessero entrambi di non dover toccare l'argomento del suo passato. La cosa non la sorprese. Pochi minuti su Internet sarebbero bastati a illustrare i fatti più salienti della sua esistenza ed entrambi, essendone a conoscenza, erano tanto gentili da non interrogarla sulle perdite che aveva subito. Conversando con lei, Cade si tenne su linee generali, domandandole che cosa le piaceva e che cosa non le piaceva. Nick invece le chiese se fosse stata in Europa e se pensasse di visitare l'Oriente, il tutto insinuando che sarebbe stato pronto a portarla ovunque volesse. Terminata la cena, Whitney declinò l'invito a giocare al biliardo. «Darius e io siamo stati tanto tempo con voi da non aver concesso a Liz il tempo per studiare. Vado a 139


sostituirla così potrà dedicarsi ai suoi libri per almeno un'ora.» Fece il gesto di alzarsi e Cade si precipitò a scostarle la sedia. «Inoltre» aggiunse ridendo, «non ho bisogno del dessert.» I tre uomini la salutarono, però Darius la scrutò serio ma incuriosito. Arrivata a metà scala, Whitney comprese perché e si bloccò. Aveva deciso di occuparsi di Gino. Da sola. E non aveva paura. Il ricordo di Layla non le martellava più il cervello. Le memorie erano dolci, delicate. Erano il genere di cose che voleva rammentare. Non c'era più quel dolore straziante, solo tristezza. Avrebbe sempre sofferto per quella perdita. Avrebbe sentito la mancanza della sua bambina. Si sarebbe sempre chiesta come sarebbe stata la vita di Layla, ma finalmente riusciva ad accettare la sua perdita. Gli occhi le si colmarono di lacrime e lei deglutì. Era cominciato un nuovo capitolo della sua vita. Grazie a Darius. L'uomo che adesso amava. «Qual è l'accordo fra te e la signorina Ross?» domandò Cade. Si trovavano tutti e tre nel salotto e Darius non gradì che si parlasse di Whitney. «Abbiamo in comune l'affidamento di Gino.» Nick scoppiò a ridere. «Non farti venire in mente delle idee strane, Cade. Darius ha già proclamato un diritto su di lei.» Cade rise. «Davvero? State insieme?» «No.» Cade si avvicinò a Darius e lo fissò negli occhi. «Dunque non puoi proclamare un diritto.» La pressione del sangue ricominciò a salire e la rabbia esplose nel petto di Darius come la lava da un vulcano. 140


Cade gli si era piazzato davanti come se non volesse ingaggiare solo una battaglia verbale, ma una lotta fisica vera e propria. E quella sera, dopo aver assistito per due giorni al corteggiamento che Nick e Cade avevano fatto a Whitney, a suo modo di vedere spudorato, Darius non era incline a tirarsi indietro. «Stalle lontano» ringhiò. «Perché?» «Perché si sta riprendendo solo adesso dal lutto che l'ha colpita. Non ha bisogno di sentire parlare del tuo e di rattristarsi di nuovo.» Nick si mise tra i due contendenti. «Ehi, ehi, ehi! Adesso basta! Cade, sei venuto qui per conoscere Gino. E tu, Darius, calmati. Posso capire perché sei tanto suscettibile...» «Suscettibile?» L'occhiata feroce di Darius lo costrinse a interrompersi. Potevano accusarlo di essere mezzo matto, possessivo, ma non suscettibile. «È così che mi vedete?» Cade ridacchiò. «Se intendi geloso, arrabbiato e quindi un facile bersaglio, sì» rispose, spostandosi verso l'angolo del biliardo. «Se Nick e io volessimo farti perdere le staffe, adesso sappiamo che basterebbe parlare di Whitney.» Rendendosi conto che quello che diceva Cade era vero, Darius si diede dell'idiota. A Cade Whitney non interessava, si disse, spostandosi per tirare. L'aveva punzecchiato per vedere la sua reazione. «Non credere di aver capito tutto» replicò. «Un giorno la signorina Ross e io andremo a letto insieme, ma sai come siamo fatti noi Andreas. Nessun legame definitivo. Se uno di voi me la porta via, sopravviverò. È questo che ci ha insegnato nostro padre.» Cade parve scettico. «Dunque lei sarebbe solo un'avventura passeggera?» domandò. 141


Darius abbaiò una risata. «Che cos'altro?» Erano quelle le parole che gli si addicevano. La gelosia, i sentimenti strani, il legame profondo che aveva avvertito con Whitney non facevano parte di lui. Come diavolo aveva fatto a pensare e a dire certe cose? Lui era il tipo che non provava mai dei sentimenti profondi. Gli ci era voluta la visita dei suoi fratelli per fargli capire che il tipo sciropposo e sentimentale che stava diventando, non era lui. Tuttavia se avesse voluto tenere testa a Cade e a Nick non avrebbe dovuto essere troppo suscettibile, bensì forte com'era sempre stato. Quando Gino si fu addormentato, Whitney decise di scendere al pianterreno e raggiungere i tre fratelli. Stava per entrare in salotto quando udì la voce di Cade. «La prossima volta basta che tu dica che Whitney è una merce proibita.» La risposta di Darius fu immediata. «Credevo d'averlo detto.» «Chiarito questo punto, ringhiare di gelosia non serve.» Nick gli batté una mano sulla spalla e riprese a giocare. Whitney rimase impietrita dov'era. Darius aveva appena detto ai suoi fratelli che lei era una merce proibita. Il cuore le si colmò di gioia. Si era tanto preoccupata che Darius non fosse innamorato di lei, ma adesso cominciava a sperarlo. Istintivamente il suo pensiero volò a tutto quello che era accaduto durante le settimane precedenti: i baci, le conversazioni, l'intesa sul futuro di Gino e sulla sua educazione, il modo in cui stavano creando una vera famiglia. Sì, avevano deciso di iniziare una relazione intima, ma quel giorno lei aveva capito che la loro intesa era molto più profonda di un semplice rapporto di letto e che... si era innamorata. 142


Possibile che lui provasse gli stessi sentimenti? Doveva essere così, altrimenti perché sarebbe stato geloso? Una risatina le salì in gola, ma la soffocò. Le sarebbe piaciuto udirlo ringhiare. Voltandosi, salì nella sua camera e si mise a frugare nei cassetti, cercando un indumento bello e sensuale, un indumento che gli facesse capire che era pronta. Quella notte avrebbero fatto l'amore. Sfortunatamente non riuscì a trovare quello che voleva e alla fine optò per una camiciola di seta e i pantaloni di un pigiama. Quando fu pronta, aprì la porta, sbirciò in corridoio e non vedendo anima viva, lo percorse in punta di piedi fino alla camera matrimoniale. Non aveva udito Darius ritirarsi per la notte ma quando fosse arrivato, l'avrebbe trovata ad aspettarlo. Un'ora dopo Darius si diresse verso la sua stanza. Benché fosse riuscito a trovare un accordo su Whitney, lui e i suoi fratelli non erano più uniti del giorno in cui il loro padre era morto. Il perdurare di quella freddezza e di quella malcelata ostilità lo faceva arrabbiare a tal punto da voler chiedere a entrambi di andare via. Cade e Nick non avevano nessuna intenzione di trovare un accordo. Erano venuti a Montauk solo per dare un'occhiata da vicino a Gino. A che cosa serviva la loro presenza se non a fargli salire la pressione? Tuttavia, quando aprì la porta e vide Whitney seduta sul letto come un delizioso regalo che aspettava di essere scartato, dimenticò tutto. Era stata lei a compiere il passo decisivo. Era lei che intendeva sedurlo. «Ciao.» Whitney gli rivolse un sorriso timido. «Ciao.» 143


Darius avrebbe voluto sfilarsi il maglione e i jeans mentre avanzava verso il letto, ma ricordando la sua estrema sensibilità, finì per sedersi al suo fianco. «Com'è andata la serata?» domandò lei. «Irritante. I miei fratelli sono dei deficienti.» Lei rise. «Sono certa che entrambi hanno dei lati positivi.» «Figurarsi! Mi stuzzicano in continuazione e mi fanno saltare i nervi.» «Ti mettono alla prova» replicò lei, ridendo. «Tu sei il fratello maggiore, quello a cui è stato conferito quasi tutto il potere, ma loro sono vissuti senza di te e adesso vogliono essere sicuri che tu non intenda comandarli a bacchetta.» Darius si accarezzò la nuca. «Giusto» mormorò. Sentiva il desiderio di confidarsi con lei, di riferirle tutto quello che avevano detto, come lo avevano pungolato senza riuscire a farlo cedere. Soprattutto avrebbe voluto dirle che Cade e Nick lo giudicavano debole e vulnerabile, ma se davvero voleva avere un'avventura con lei, non poteva raccontarle tutto. C'erano delle cose che doveva tenere per sé. «Sono molto restii ad allacciare un'amicizia, a creare una sorta di cameratismo tra noi» mormorò, accarezzandole la schiena. «Ma adesso non voglio parlare di loro.» Detto questo, abbassò la testa e la baciò. Colta di sorpresa, lei gli rispose con una dolcezza che non aveva mai manifestato. Darius si bloccò. Non voleva che fosse dolce. Non quella notte. La sola cosa che desiderava da lei era una passione selvaggia. Qualcosa a cui potesse affibbiare un nome e poi dimenticare. Dimenticare? Quella parola lo imbestialì. Scostandosi da lei, si alzò e si mise a camminare. Decidere di dimenticare Whit144


ney significava piantarsi una freccia nel cuore. Eppure era proprio quello che aveva in mente di fare. Una relazione breve si poteva scordare. Erano rapporti privi di complicazioni, perciò facili da gestire. Ma Whitney non era né facile e neppure priva di complicazioni. Inoltre Gino li avrebbe costretti a stare insieme per il resto delle loro vite. Nonostante questo, avevano concordato di mantenere separato il rapporto fisico dai sentimenti. Ne avevano discusso con calma, avevano pianificato tutto. «Suppongo che tu sia venuta qui perché sei sempre d'accordo per una relazione temporanea.» «Sì e no.» Darius ruotò su se stesso. «Sì e no?» «Già, ecco...» Di colpo lei si rese conto che qualcosa non andava. Un uomo che avesse capito di non potersi accontentare di una breve avventura, perché era innamorato di lei, non avrebbe camminato avanti e indietro nella camera da letto. Sarebbe stato agitato, nervoso, emozionato. Le avrebbe detto che l'amava. L'avrebbe baciata e sedotta con tenerezza. Invece i segnali che le inviava erano contradditori. Whitney si ravviò i capelli con le dita. «Tu non mi ami.» Sul viso di Darius apparve un'espressione di stupore e di sgomento. Tuttavia si ricompose e tornò a sedersi sul letto. «Il patto non era questo. Ma nemmeno per me si tratta di una cosa decisa a tavolino, calcolata con freddezza, altrimenti a quest'ora saremmo avvinghiati sul letto. Tengo molto a te. Quello che provo è nuovo, complesso e mi spaventa.» Un'altra donna avrebbe interpretato quelle parole come una timida ammissione, ma Whitney lo conosceva bene. Sapeva che lui era solito prendere delle decisioni rapide. Se fosse esistita anche una lontana possibilità di 145


nutrire dell'amore per lei, l'avrebbe capito e glielo avrebbe detto. «Ti sei forse affezionato a me, ma non mi ami.» Lui non disse niente e il fatto che tacesse fu più esplicativo di un lungo discorso. Whitney impallidì. Non riusciva a capire le intenzioni di Darius. La confusione superò il dolore e fu un bene perché le diede la forza di lasciare quella stanza prima di scoppiare in lacrime. Darius le sollevò il mento, costringendola a guardarlo negli occhi. «Credevo che volessi quello che voglio io.» «Lo volevo.» «Adesso non più?» insistette lui, fissandola. «Pensavo che provassimo gli stessi sentimenti» rispose lei con voce tremula. La mente gli si snebbiò di colpo e la verità gli apparve con chiarezza davanti agli occhi. «Pensavi... che ci stessimo innamorando?» «A me è successo.» «Oh!» Darius serrò gli occhi. «Whitney, io...» Lei inspirò. «Non angosciarti. Basta che tu dica che non mi ami.» Lui deglutì con sforzo. Scuotendo la testa, lei balzò in piedi e mentre le lacrime le rigavano il viso, corse alla porta. Darius la raggiunse con due balzi. «Non si tratta di te o di me. Mio padre...» Whitney si girò di colpo. «Non dirlo!» sibilò. «Non venirmi a dire che è colpa della tua famiglia, dei tuoi geni. Qui non si tratta di geni. Si tratta di scelte. Tuo padre era un donnaiolo, ma era una sua scelta. Tu hai detto di voler allacciare una relazione basandoti sulla sincerità. Allora sii tanto uomo da dirmi che non ti piaccio abbastanza per essere la tua scelta.» «Non capisci...» 146


«No. Sei tu che non capisci. Se mi amassi, non resisteresti. Un legame per quanto impegnativo, non ti spaventerebbe. Invece non è così. Tu non mi ami.» Detto questo uscì dalla stanza e chiuse la porta. Soffriva, ma il dolore non le ottenebrava la mente. Entrò silenziosamente nella nursery, riempì lo zaino di Gino e la sacca di pannolini. Prese dalla cucina i biberon e i cereali, poi svegliò l'autista di Darius e Liz. Prima che il sole sorgesse lei e Liz arrivarono nella sua mansarda a Soho con Gino che dormiva pacificamente nel suo trasportino.

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12

Il mattino seguente Darius si svegliò come se la notte prima si fosse ubriacato. La testa gli scoppiava, gli occhi gli bruciavano e tutti i muscoli del suo corpo protestavano a gran voce. Eppure non aveva bevuto fino al punto di sentirsi travolto da un treno in corsa. Forse tutti quei dolori dipendevano dalla mancanza di sonno. Dopo lo scontro con Whitney e dopo che lei era uscita tempestosamente dalla sua camera, aveva fatto una doccia, sperando che, concedendole un po' di tempo, si sarebbe calmata, e avrebbero ripreso il discorso. Era rimasto sotto il getto dell'acqua fredda per chissà quanto tempo, di certo piÚ di quanto avesse previsto per cercare di placare l'eccitazione che gli faceva ribollire il sangue. Quando alla fine era tornato nella sua stanza, in casa regnava un silenzio assoluto e lui si era sentito inondare dal sollievo. Detestava l'idea di averla ferita, ma se si era addormentata, significava che stava bene. Tuttavia, esisteva la possibilità che fosse sveglia dietro la sua porta e che lui non potesse udirla. In preda al dubbio, si era messo a passeggiare lungo il corridoio, tendendo le orecchie per captare qualche suono, per capire se lei fosse scesa in cucina per farsi una cioccolata calda. In quel caso avrebbero potuto parlare di nuovo. Ma non aveva sentito alcun rumore. A quel punto mille ricordi l'avevano assalito. Whitney 148


era dovunque in quella casa, perfino nella sua camera da letto. La rivedeva, benché piena di paura, andare coraggiosamente verso Liz per prendere Gino. Risentiva la sua risata. Rivedeva il suo viso dolce ed espressivo e ogni immagine gli feriva il cuore, e lo faceva sentire un bastardo perché l'aveva presa in giro. Ma no. Non l'aveva presa in giro. Era stato chiarissimo, sincero. Era stata lei a rompere il patto e adesso toccava a lui porre rimedio a quel pasticcio. Nel frattempo Whitney sarebbe sempre stata a pochi passi di distanza e il dolore impresso sul suo viso questa volta sarebbe dipeso da lui. Non dal marito defunto. Sceso dal letto s'infilò una tuta e si costrinse ad andare nella nursery. Liz non si vedeva da nessuna parte e la culla era vuota. Un'ondata di sollievo gl'inondò la mente al pensiero di non dover affrontare le accuse di Whitney, ma quella sensazione di benessere durò solo fino al momento in cui vide la busta appoggiata sul cassettone. Presagendo qualcosa di sgradevole, la prese e l'aprì. Ho cambiato idea. Non desidero più vivere a Montauk. Ho portato in città Gino e Liz. Naturalmente potrai venirlo a trovare in qualunque momento. Ti prego solo di dare un preavviso. Chiederò a mio padre di stendere un contratto per la custodia di Gino. Whitney Come osava quella donna portargli via il bambino? Darius aspettò di sentirsi travolgere dalla collera e, invece, avvertì una stretta al cuore. Non si era ancora ripreso dal colpo che la porta della nursery si spalancò e Nick, appena entrato, si precipitò verso la culla. «Dov'è il bambino?» Un istante dopo sopraggiunse Cade. Anche lui si avvicinò alla culla e sollevò la testa, stupito. «Dov'è Gino?» domandò. 149


Darius indicò il messaggio. «A quanto pare Whitney lo ha portato in città.» I due fratelli lo fissarono. Nick socchiuse gli occhi e Cade assunse un'espressione sospettosa. «Che cosa hai combinato?» Rabbioso, Darius buttò la lettera sul cassettone. «Che cosa ti fa pensare che abbia combinato qualcosa?» «Il fatto che tutti i discorsi che ci hai ammannito sul tuo desiderio di portartela a letto, senza prendere alcun impegno, erano solo baggianate.» Nick rise. «Già. Una recita davvero magistrale.» Cade si unì alla risata, piegandosi in due. «Anche un idiota avrebbe capito che hai perso la testa per lei.» Darius arrossì di collera e le vene del suo collo s'inturgidirono. «Non ho perso la testa per lei!» «Balle» replicò Nick. «Come mai siete diventati tanto esperti in materia? Il nostro cognome è Andreas. So come siamo fatti.» Nick scosse la testa, ridendo. «Continui a ripetertelo. Seguita pure a dirti che non puoi amarla, che non potrai mai esserle fedele e tutte le altre fesserie che ti suggerisce il cervello e guarda dove finirai.» Whitney si svegliò verso le dieci con il sole che entrava dalla finestra della sua camera da letto mansardata. Gino stava piangendo. Scendendo dal letto, si chinò sul cassetto del comò che fungeva da culla, sperando che Liz non si svegliasse. «Ehi, cucciolo» mormorò, prendendo un pannolino pulito. «Aspetta che ti cambi, poi preparerò il tuo latte.» Assonnata e un po' intontita, Liz entrò nella camera. «Vado subito a preparare il biberon» dichiarò. «Ci penso io. Perché non ti rimetti a dormire?» La ragazza le rivolse uno sguardo compassionevole. 150


«Siamo entrambe sfinite. Dividiamoci i compiti e quando avremo finito, schiacceremo un pisolino.» Whitney si arrese. Adesso che Darius l'aveva aiutata a superare il suo lutto, non le sembrava più sbagliato accettare l'aiuto di un'altra persona. «D'accordo» rispose. Mentre Liz usciva dalla stanza, cambiò il pannolino di Gino e poi, sapendo che per scaldare il latte sarebbe occorso qualche minuto, lo sollevò e lo prese tra le braccia. Adesso poteva stringerlo al petto perché era diventata più forte. Tuttavia i ricordi dei giorni che aveva trascorso con Darius e Gino, della complicità che era nata tra loro, l'aggredirono di colpo, risvegliando la sofferenza. Non riusciva a credere che un uomo sensibile come lui, così delicato nel riportarla alla vita, si ritenesse incapace d'amore e di fedeltà. Non aveva davvero senso, ma lei non era più una scolaretta ingenua. Darius era stato molto chiaro nello spiegarle quali fossero le sue intenzioni. Era stata lei a illudersi. E adesso ne stava pagando il prezzo. Era diventata forte, aveva riacquistato la capacità di amare, ma così facendo si era esposta a delle nuove sofferenze.

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13

Domenica mattina, dopo aver accompagnato i suoi fratelli all'aeroporto, Darius tornò nella sua mastodontica villa e chiuse la porta. Il colpo rintronò nell'atrio, dandogli una sensazione di vuoto. L'avvertì dentro il petto come un urto doloroso. Senza Gino nella nursery e Whitney che lavorava nel suo ufficio al posto del cuore aveva un buco. Era pazzesco. Aveva quasi quarant'anni e, a parte Jen, le sue storie non erano mai durate più di qualche mese. Era un mascalzone. Un disastro. Aveva fatto soffrire Whitney perché aveva creduto che anche lei considerasse con leggerezza la loro relazione. Ne avevano discusso e avevano raggiunto un accordo, tuttavia avrebbe dovuto intuire che lei mirava a qualcosa di più. Che si stava innamorando. E invece aveva chiuso gli occhi per non vedere e le orecchie per non udire. Avrebbero dovuto sparargli. Cuocerlo a fuoco lento. Scontento e rabbioso si costrinse a lavorare tutto il pomeriggio e, arrivata l'ora della cena, si fece portare un vassoio in ufficio perché dopo aver tentato di mangiare in sala da pranzo, con la sola compagnia della vista dell'oceano, si era sentito come un cane bastonato. Non avrebbe voluto sentire la mancanza di Whitney. Non meritava di sentirla, eppure l'avvertiva. Il lunedì mattina, mentre si recava in ufficio a bordo 152


della limousine, ricordò quando aveva dato una serie di piccoli calci a Whitney. Prima gli venne da ridere, poi si sentì morire. Whitney risvegliava in lui dei desideri stupidi. Avrebbe dovuto essere contento che era andata via. Invece si sentiva solo e infelice. Per fortuna non aveva fatto l'amore con lei perché in quel caso le avrebbe inferto una ferita più profonda. Il giovedì, dopo aver passato la settimana a cercare di evitarla all'interno del suo ufficio, si rese conto che avrebbe potuto chiedere di tenere Gino per il fine settimana. Quell'idea gli sollevò lo spirito, poi il pensiero di dover parlare con Whitney, per ottenere il suo permesso, lo riabbassò di nuovo. Dicendosi di non comportarsi da vigliacco, infilò il corridoio, diretto verso il suo ufficio. Sarebbe stato preferibile che evitassero di vedersi finché le acque non si fossero calmate. Ma voleva vedere Gino, tenerlo con lui per il fine settimana e l'unico modo per riuscirci era quello. Proseguì lungo il corridoio ma quando si affacciò nel suo ufficio vide che era vuoto. La sua segretaria lo raggiunse. «Adesso di pomeriggio lei lavora per Montgomery, Ross, Swaggart» lo informò. «L'accordo era...» Maisey Lenosky, una donna bruna che aveva lavorato per decenni per suo padre, lo guardò da sopra la montatura degli occhiali. «Se non è soddisfatto, lo dica a lei. Non intendo intromettermi ma devo dirglielo. Fossi stata nei suoi panni, anch'io me ne sarei andata.» Darius si sentì prendere dalla paura. «È stata lei a dirle che intendeva andarsene?» «Non ce n'è stato il bisogno. Ho visto con i miei occhi che per tutta la settimana non le ha assegnato alcun lavoro. Così è tornata a fare quello che faceva.» 153


L'ondata di sollievo gli diede una vertigine. «Oh. Capisco. La chiamerò.» Non aspettò che Maisey rispondesse. Ruotò sui tacchi e tornò nel suo ufficio. Compose il numero del cellulare di Whitney e gli rispose la segreteria. Chiamò il suo studio legale, chiedendo di essere messo in comunicazione con lei e invece gli venne passata la sua assistente. «Può dirle di richiamarmi?» «Posso chiederle il motivo?» Darius avrebbe voluto dirle che non poteva, perché lo infastidiva spiegare i suoi problemi al personale, ma cedette. «Sì. Condividiamo l'affidamento del mio fratellastro. Vorrei portarlo nella mia villa a Montauk e tenerlo con me durante il fine settimana.» «Benissimo. Le trasmetterò il messaggio.» Dieci minuti dopo la donna lo richiamò. «Whitney dice che può passare a prendere Gino venerdì pomeriggio alle sei e tenerlo fino a domenica alle sei.» Whitney non aveva voluto parlargli. Darius si offese, poi ricordò a se stesso che l'aveva ferita e che quindi meritava quel trattamento. Tuttavia venerdì sera, quando fosse andato a prendere Gino, intendeva parlarle. Dirle che era dispiaciuto. Molto dispiaciuto. In modo che lei potesse lasciarsi alle spalle quella storia e che entrambi potessero andare avanti. Il venerdì pomeriggio, quando il portiere del palazzo in cui Whitney abitava avvertì che Darius era arrivato, rispose Liz dicendo di farlo salire. Darius cercò di non agitarsi al pensiero di rivedere Whitney, ma non ci riuscì. Tuttavia voleva incontrarla per cancellare, se poteva, il dolore che le aveva arrecato. Cosicché quando entrò nell'appartamento e Liz gli consegnò la borsa dei pannolini con l'aria d'essere pronta a uscire, restò scioccato. «Dov'è Whitney?» domandò. 154


«A cena dai suoi genitori. È appena uscita.» Liz sorrise ma parve impaziente. «E io vorrei che ci muovessimo così potrò studiare alcune ore.» Compreso il messaggio, Darius aspettò che chiudesse la porta e la seguì fino alla limousine. Ma quel fine settimana senza Whitney fu insoddisfacente. Benché Liz fosse allegra, divertente e felice di giocare con Gino e con lui come faceva Whitney, non fu la stessa cosa. Di notte, lui si mise a guardare l'oceano buio, arrabbiato con se stesso. La cosa che lo differenziava da suo padre era che lui non faceva soffrire le donne che corteggiava. Non ne aveva avuto l'intenzione nemmeno quella volta, ma era successo e il saperlo lo tormentava. Il petto gli doleva, il suo cuore era in lutto. Sapere d'aver ferito Whitney lo uccideva. La domenica sera, quando riportò in città Liz e Gino, Whitney non c'era, ma lui non si stupì. Se era furioso con se stesso per il modo in cui l'aveva trattata, come poteva pretendere che lei non lo fosse altrettanto? Il lunedì mattina si vestì con cura. Abito scuro, camicia bianca, cravatta color rubino. Era la prima volta da anni che si preoccupava del suo aspetto, ma il pensiero d'aver ferito Whitney non gli dava requie. Spasimava dal desiderio di chiederle scusa, di riconciliarsi con lei e quel mattino avrebbe tentato di farlo, in modo da liberarsi di quel tarlo, ma quando arrivò nell'ufficio di Whitney, seduta dietro la scrivania c'era Maisey. «Dov'è Whitney?» «Ha cambiato orario.» La donna si protese in avanti sorridendo. «In verità non sa nemmeno lei in quali giorni lavorerà di mattina e in quali di pomeriggio.» «Lo fa apposta per evitarmi.» 155


«Non credo. Suo padre l'ha nominata capo del reparto cause civili e lei è molto emozionata.» Sapendo quanto Whitney amasse il suo lavoro, si emozionò anche lui. «Fantastico!» esclamò. «Sembra una bambina la sera di Natale.» Quel commento disturbò Darius. Se Whitney era tanto felice, voleva dire che non sentiva la sua mancanza. Che non le importava che lui non fosse più nella sua vita. Non desiderava che soffrisse, perciò quell'informazione avrebbe dovuto rallegrarlo, invece si sentì peggio. Eliminato. Come una vecchia camicia che lei si era tolta, aveva arrotolato e buttato nel secchio dei rifiuti. Che follia! Desiderava davvero che lei fosse felice, perciò per quale motivo si sentiva tanto depresso? Il martedì non andò in ufficio. Fece da casa le telefonate più importanti e passò molte ore a controllare il bilancio. Non si fece la barba e non mangiò. La sala da pranzo era ormai diventata un luogo triste e vuoto. Nessuna voce infantile, nessuna conversazione sovrastava il suono della marea. Anche il mercoledì rimase a casa. Si disse di dover revisionare dei documenti, ma divise il tempo tra fissare le fiamme del caminetto e guardare l'oceano. L'ingresso della signora Tucker nel suo ufficio lo colse di sorpresa. «C'è una telefonata per lei.» «Le avevo detto di non passarmi le telefonate» rispose lui, rabbuiandosi. La governante sorrise. «È suo fratello. L'incantatore.» Darius sospirò. «Cioè Nick.» Rimasto solo, strappò il ricevitore dalla forcella. «Che cosa vuoi?» «Che accoglienza commovente!» «Non ho tempo di menare il can per l'aia, Nick. 156


Ho...» In realtà non aveva proprio niente da fare. Non riusciva a concentrarsi e non lo desiderava nemmeno. Non sapeva quello che voleva. «Senti la sua mancanza.» Certo che sentiva la sua mancanza. Non ci voleva un genio per capirlo. «L'ho ferita.» Nick ebbe la faccia tosta di ridere. «Oh, Darius. Io direi che il più ferito sei tu.» «Sto male perché so di averle fatto del male.» «Davvero?» «Sì.» «Non ti senti male per te stesso?» «Certo che mi sento male. Te l'ho appena detto. L'idea di averla fatta soffrire mi tormenta.» «È per questo motivo che ti sei rintanato in casa?» «Questo, e perché non ho voglia di radermi la barba.» Nick scoppiò a ridere. «Darius! Nessuno ti ha mai spezzato il cuore prima d'ora? Sembri me quando la mia ex moglie Maggie mi lasciò. Non riuscivo a mangiare. Non riuscivo a dormire. Fissavo quel dannato oceano tutto il giorno.» Darius non disse niente. «È questo che stai facendo?» Darius sbuffò. «Darius?» «Sì, va bene?» ringhiò lui. «Sono qui a casa da due giorni. Non mi sono sbarbato, non ho mangiato, non ho dormito e guardo l'oceano. Ma non facciamone una tragedia.» «Perché no?» Perché no? Darius fece il gesto di sbattere giù il telefono o di abbaiare una risposta, ma si accorse che non l'aveva. Soffriva come un cane. Sentiva la mancanza di Whitney. Gli sembrava che gli mancasse una parte della sua vita. 157


Da quando lei se n'era andata, il suo futuro era cambiato. Durante le settimane in cui avevano vissuto insieme, senza nemmeno rendersene conto, aveva cominciato a credere che Whitney sarebbe stata sempre al suo fianco per crescere Gino. Aveva visto se stesso e lei come due genitori. Felici, uniti, insieme per anni. Senza averne coscienza, si era convinto che quello sarebbe stato il loro destino. Desiderava Whitney perché lei era quella parte di se stesso che gli mancava. A quel punto, improvvisamente capì di non essere stato un casanova solo perché le donne gli piacevano. In realtà, dopo che Jen lo aveva tradito, non aveva più voluto patire in quel modo. Così si era gingillato, in attesa d'incontrare la donna giusta, quella di cui potersi fidare al punto da donarle il suo cuore. E l'aveva trovata. Aveva incontrato la donna giusta. E l'aveva perduta. «Vai a riprendertela.» Il suggerimento di Nick sembrava facile, semplice da seguire, ma lui sapeva che non era così. Ne era sicuro? Dopo Jen non aveva mai voluto riallacciare i rapporti con una donna. Non ci aveva mai provato. Non sapeva quello che sarebbe potuto succedere. Lei avrebbe potuto accoglierlo a braccia aperte, oppure prenderlo a schiaffi. O peggio ancora, avrebbe potuto informarlo che non lo voleva più. Whitney aveva dichiarato d'amarlo, ma se lui avesse ucciso quell'amore? Un dolore lancinante gli trafisse il petto. Non si era mai proposto a una donna senza essere sicuro che lei lo voleva. Adesso era privo di difese. Il suo cuore era nudo. Non sapeva se sarebbe riuscito a farlo. «Adesso lei è a capo del reparto cause civili. Non 158


posso irrompere in tribunale e trascinarla via. Soprattutto perché non mi sono fatto la barba.» La voce di Nick ebbe un suono sorprendentemente gentile. «Senti un po'. E se ti sbarbassi, facessi una doccia e passassi da un fioraio? Compra un immenso mazzo di rose e vai a casa sua. Liz è là con il bambino, vero?» «Sì.» «Ebbene, Liz ti lascerà entrare e prima o poi Whitney tornerà a casa.» Questo era vero. «Se conosco bene Whitney, non resterà in ufficio fino a tarda ora. Si porterà a casa una pila di scartoffie, lascerà libera Liz di studiare qualche ora, starà con Gino e dopo lavorerà.» «Perciò sai a che ora devi muoverti. Non passare il resto della giornata a mugugnare. Pensa a quello che le dirai, ma non impararlo a memoria. In questi casi la spontaneità è spesso vincente.» Nick tacque e sospirò. «Chiamami domani per dirmi com'è andata.» Darius trasecolò. Nick gli aveva chiesto davvero di chiamarlo? Non aveva mai immaginato che avere il sostegno di suo fratello gli avrebbe sollevato lo spirito e gli avrebbe dato il coraggio che gli mancava. «D'accordo, lo farò» disse. Poi esitò un attimo ma solo perché si trattava della prima volta che pronunciava quella parola, rivolgendosi a uno dei suoi fratelli. «Grazie, Nick.» Quel pomeriggio Whitney si fece portare a casa da un taxi. Giunta a destinazione, scese, scaricò due borse piene di documenti, le posò sul marciapiede e pagò la corsa. Quando si voltò, Jake, il giovane portiere, stava sollevando le due borse. «Buonasera, signorina Ross.» 159


«Buonasera, Jake.» Gli occhi del ragazzo scintillavano come se dentro covasse un meraviglioso segreto e lei, intuendone il motivo, si sentì opprimere da una pesante tristezza. A Jake piaceva Liz e a Liz piaceva Jake. Avevano la stessa età ed entrambi studiavano all'università. Erano una bella coppia. Avrebbe dovuto essere felice per loro. Invece quell'amore nascente le ricordava quanto era stata stupida a illudersi. Arrivati davanti all'ascensore, cercò di prendere le sue borse, ma Jake scosse la testa. «Salgo con lei.» Whitney sorrise. «Certo. Grazie.» Non avrebbe invidiato quei due giovani, ma non avrebbe continuato a ricordare quanto ingenua era stata a credere che siccome Darius Andreas era attratto da lei, si sarebbe innamorato e avrebbe accettato di allacciare una relazione impegnativa. Aveva creduto sul serio che Darius l'amasse, ma si era sbagliata. Doveva smettere di pensare a lui. E l'avrebbe fatto. Forse la sua sofferenza sarebbe durata ancora parecchie settimane, ma questo era un bene perché le avrebbe insegnato a non essere più tanto sprovveduta. Quando aprì la porta della mansarda, venne accolta dal profumo di una zuppa di vongole e la bocca le si riempì di saliva. Si girò per ringraziare Jake, ma il ragazzo era scomparso e per terra nell'ingresso c'erano le sue borse. Le sollevò ed entrando nel salotto le portò sul suo tavolo di lavoro. «Liz?» Nessuna risposta. Whitney andò in cucina e spense il fornello sotto la pentola. «Liz?» Ancora nessuna risposta. Un'ondata di panico la sommerse. La sera in cui a160


veva scoperto Burn e Layla nel garage, c'era stata una pentola che sobbolliva sul fuoco. Era entrata, stupita dal silenzio, certa che all'improvviso avrebbe udito la voce stanca di suo marito e quella allegra della sua bambina e invece... non aveva trovato nessuno. Ormai in preda al terrore, si voltò pronta a precipitarsi nelle due camere da letto, ma in quel momento Darius emerse dalla sua con Gino in braccio. «Scusami.» Il cuore le si fermò e la sua mente si svuotò. Dapprima si sentì inondare da un incredibile sollievo, poi la vista di Darius le fece piegare le ginocchia e mille emozioni la travolsero. Lui sembrava stanco. Teso. Non si era rasato la barba almeno da tre giorni, pensò lei, notando la crescita sulle guance e sul mento. «Non preoccuparti. Mi sono lavato.» La frase le giunse così inattesa che una risata le eruppe dalle labbra. Ma si spense quasi subito. Quell'uomo l'aveva ferita. Sì, in parte era stata colpa sua... anzi, quasi tutto quello che era successo era stato colpa sua, ma non voleva soffrire più. Voleva dimenticarlo e ciò significava che lui non poteva entrare tranquillamente in casa sua e prenderne possesso. «Non eravamo d'accordo che prima di venire qui avresti avvertito con una telefonata?» «L'ho fatto. Ho chiamato Liz. Lei aveva bisogno di andare in biblioteca per consultare dei volumi. È stata contenta, sapendo che oggi pomeriggio avrei badato io a Gino.» «Sei stato qui tutto il pomeriggio?» «E come offerta di pace, ho portato la zuppa fatta dalla cuoca.» Darius avanzò di qualche metro. «Lei mi ha dato anche una teglia di lasagne per domani.» La sua salivazione aumentò, ma Whitney si finse in161


differente. Anche se le sue motivazioni erano buone, se Gino, sano e felice, stava tra le sue braccia e lui aveva portato del cibo squisito, lei non poteva fingere che andasse tutto bene tra loro. Sapeva che prima o poi avrebbero dovuto avere un chiarimento, tuttavia era troppo presto. Voleva avere il tempo di guarire e, dannazione!, se lo sarebbe preso. «Mi dispiace ma io non...» «Nick mi ha suggerito di portarti delle rose» annunciò lui, precipitandosi verso la stufa con aria allarmata. «Grazie di aver spento il fornello prima che bruciasse tutto. Non sono un cuoco molto bravo.» Un sospiro gli sfuggì dalle labbra. «Mia madre si arrabbierebbe molto se sapesse che mi sono dimenticato tutto quello che mi ha insegnato. Tieni questo» aggiunse, porgendole un foglio. «La cuoca ha scritto le istruzioni sul modo in cui vanno scaldate le lasagne, così ci sembreranno più buone.» Whitney si rese conto solo in quel momento che lui intendeva restare lì quella notte e fremette d'indignazione. Non avrebbe permesso a quell'uomo egoista d'insinuarsi di nuovo nel suo cuore. «Oh, no! No, no, no. Non riuscirai a convincermi a lasciarti installare qui per il prossimo anno. Ho lasciato Montauk per delle buone ragioni...» «Lo so» la interruppe lui, andandole più vicino. Il cuore di Whitney accelerò i battiti, il respiro divenne affrettato e tutti i suoi nervi si tesero come corde. Ma non avrebbe ceduto. Se lui pensava di toccarla e trasformare il suo corpo in un ammasso di gelatina tremolante... Darius le passò accanto e lei, voltandosi, vide che infilava Gino nel dondolo. Le sue guance s'infiammarono. Idiota!, s'insultò. Perché non riusciva a mettersi in testa che quell'uomo 162


non la voleva? Perché con lui saltava sempre a delle conclusioni sbagliate? Poi Darius la guardò. La sua espressione era sincera e avvilita. «Mi dispiace di averti ferita» mormorò. Il cuore di Whitney si sciolse un po'. Non c'era niente di male nell'accettare le scuse sincere dell'uomo con cui avrebbe avuto a che fare per i prossimi diciotto anni. Tuttavia doveva anche pensare a se stessa, proteggersi. Non poteva dunque minimamente permettergli di riconquistare la sua benevolenza. «Va bene. Io...» «No, non è andato affatto bene.» Questa volta lui le si fermò davanti e lei vide una certa esitazione nel suo approccio. Incredibile, pensò affascinata. Non lo aveva mai visto timoroso. Pur non avendo mai tenuto in braccio un bambino piccolo, si era lanciato nell'impresa e aveva fatto tutto quello che doveva per Gino. Adesso, vederlo così incerto la incuriosiva. «Non ho mai fatto una cosa del genere in tutta la mia vita, perciò scusami se non sono bravo.» Il cuore le si sciolse ancora un po'. Si era innamorata di lui perché era forte, ma aveva amato anche la sua sincerità. E in quel momento essere sincero gli costava. Come poteva non commuoversi almeno un po'? «Ti amo.» Quell'ammissione la sorprese al punto che il suo cuore si fermò, il petto le si contrasse e la bocca le si spalancò. «Ero convinto di non saper amare» proseguì lui. «Credevo di essere come mio padre e invece ho scoperto che non avevo mai incontrato la donna giusta.» Whitney deglutì, paralizzata dallo stupore. «È stato Nick a dirmi tutto questo» continuò Darius, 163


guardandola. «Sapevi che è stato sposato? Lei lo ha lasciato e lui ha patito le pene dell'inferno. Mi ha detto che io avevo tutti i sintomi di un cuore infranto, ma che ero fortunato. Secondo lui...» concluse, tirando un gran sospiro, «non era troppo tardi perché ti facessi le mie scuse e ti chiedessi di concedermi una seconda possibilità.» «Una seconda possibilità?» «Ne abbiamo già avuta una ma io ho sbagliato tutto.» «E io non sono stata una santa.» Whitney vide il lampo di speranza che guizzava nei suoi occhi. «Sei disposta a tentare?» «Hai detto che mi ami.» «Tanto che il cuore mi fa male.» Lei rise. Lui spalancò le braccia e lei gli volò sul petto, pervasa da una gioia delirante. Il sollievo che provava era immenso. Gli occhi le si colmarono di lacrime, ma erano lacrime di felicità. Benedette. Non aveva mai immaginato di potersi sentire ancora così. Che la vita sarebbe stata tanto generosa da offrirle una seconda possibilità. E invece gliela stava regalando ed era una possibilità nuova, luminosa, più bella della prima perché adesso sapeva che la precarietà della vita aumentava il valore di un vero amore. «Allora non vuoi dirmi qualcosa?» Whitney si staccò da lui per poterlo guardare negli occhi. «Ti perdono.» «Grazie, ma speravo qualcosa di meglio.» «Meglio del perdono?» replicò lei, stuzzicandolo perché aveva bisogno di sapere con certezza che quello non era un sogno. «Sì, molto meglio del perdono. Qualcosa che resiste al tempo, qualcosa che significa che staremo sempre 164


insieme e cresceremo Gino come due veri genitori.» Whitney sbatté le palpebre. Gioia e stupore lottavano dentro di lei. «Mi stai chiedendo di sposarti?» «Dipende. Sei capace di dirmi quello che ho bisogno di sentirti dire?» Le labbra le tremavano e lei le serrò con forza. Si rifiutava di piangere. Non voleva piangere. Quello era senza alcun dubbio il momento più bello della sua vita, un nuovo inizio, una seconda possibilità non solo di amare ed essere amata, ma anche di avere dei figli, un vero compagno, una casa. Inspirando, si sollevò sulla punta dei piedi e sussurrò: «Ti amo anch'io». Poi le loro labbra si unirono.

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Epilogo

Il matrimonio fu celebrato a giugno nella casa di Montauk. I testimoni di Darius erano i suoi due fratelli, entrambi in smoking come lo sposo e belli quasi quanto lui. Whitney aveva accanto le sue due amiche più care. Indossava un semplice abito bianco di seta, senza spalline, che accarezzava le sue curve e stringeva tra le mani un bouquet di rose. I suoi capelli biondi, trattenuti sulla sommità del capo da un tralcio di roselline, formavano una cascata di boccoli che scendeva ad accarezzarle il collo. Liz e Jake occupavano il primo banco insieme ai suoi genitori. Gino passava dalle braccia di sua madre a quelle di Liz e viceversa; ma quando si accorse che Darius e Whitney erano solo a pochi passi di distanza, cominciò a gridare e a smaniare finché il prete fu costretto a interrompere la funzione. Darius rise. «Vado a prenderlo.» Compì i pochi passi fino alla madre di Whitney e Gino gli volò tra le braccia. A poco meno di un anno d'età, era un terremoto. Non stava fermo un momento e ormai preferiva camminare che stare in braccio a qualcuno. Whitney guardò Darius sorridendo, commossa e Gino scelse quel preciso istante per lanciarsi verso di lei. Il 166


suo scatto fu così repentino che lei fece appena in tempo a prenderlo. Gli invitati, circa un centinaio, che affollavano la sala da ballo della villa di Montauk, scoppiarono a ridere. Darius si voltò verso di loro. «Qualcuno ha un biscotto?» La signora Tucker balzò dalla sua sedia. In un grazioso abito giallo, i capelli raccolti in un elegante chignon, sembrava più una zia che la governante della casa. Sorridendo, tirò fuori dalla tasca un biscotto. «Sono sempre preparata» spiegò. La gente rise di nuovo. Gino afferrò il biscotto e Darius sistemò il bambino nella curva del braccio. «Adesso possiamo procedere.» Il prete sorrise e Whitney strinse la mano di Darius. Avevano firmato i documenti per adottare Gino e adesso erano i suoi genitori. Mentre il bambino sgranocchiava il biscotto, Whitney e Darius pronunciarono i voti che li rendevano marito e moglie. Erano i genitori di Gino. Figlia e genero di Gerry e Julia Ross. Fratello e cognata di Nick e Cade. Una famiglia. Darius non avrebbe più trascorso un Natale da solo.

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Un ex da riconquistare

Romanzo



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«La tua ex moglie ha fatto domanda per essere assunta come tua assistente.» Nick Andreas sollevò la testa e guardò la sua attuale assistente, Julie Farnsword, che stava per andare in pensione. Era appena tornato nel Nord Carolina dopo aver trascorso un mese e mezzo a New York City. Era stanco e non vedeva l'ora di andare nella sua casa in riva al mare, togliersi l'ingombrante e scomodo completo gessato e schiacciare un pisolino sull'amaca. Aveva fatto una capatina in ufficio solo perché aveva ricevuto un'importante offerta per partecipare a una gara d'appalto. In caso di vittoria, quel nuovo lavoro avrebbe dato un grande impulso alla sua fabbrica manifatturiera, quindi doveva trovare subito un'assistente. Tuttavia assumere Maggie Forsythe per sostituire Julie non gli sembrava la cosa migliore da fare. Una volta firmato il contratto, la sua assistente avrebbe lavorato con lui, incollata al suo fianco, dieci ore al giorno, sei giorni la settimana. Nessun uomo poteva desiderare di passare tanto tempo con la sua ex moglie, anche se non la vedeva da quindici anni e quasi non se la ricordava. Sospirando, buttò la penna sulla scrivania. «Me lo diresti se non fosse qualificata?» «È qualificata. Anzi, sotto certi aspetti, è più che qualificata» le rispose la donna senza indugio. «E ha fatto domanda d'impiego?» 171


«Be', certo non l'abbiamo raccattata per la strada.» Ridendo, Nick si appoggiò contro lo schienale della poltrona. E così Maggie voleva lavorare per lui? Sorrise con scetticismo e si sentì assalire da una strana sensazione. Erano più di dieci anni che non pensava a Maggie Forsythe e adesso, improvvisamente, ricordava i riflessi ramati che il sole accendeva nei suoi capelli, il suo sorriso e il suono della sua risata. «Scusa se trovo difficile credere a questa storia. La nostra separazione non è stata proprio amichevole. L'Andreas Manufacturing dovrebbe essere l'ultimo posto in cui desidera lavorare.» La sua assistente, una donna di sessant'anni, saggia ed esperta, lo guardò senza sorridere. «Ha bisogno di guadagnare» rispose. Era al verde come quando si erano conosciuti? Una valanga di ricordi della sua infanzia e della sua adolescenza gli inondarono il cervello come acqua che scrosciasse da una cascata. Maggie a sei anni, sdentata, in prima elementare, che divideva con lui la merenda prima di entrare in classe in modo che nessuno vedesse che lui non l'aveva portata. Maggie a dodici anni, che pescava insieme a lui per avere qualcosa da mangiare insieme alla sua mamma. Maggie a sedici anni che andava a fargli compagnia nel negozio di souvenir in cui lui lavorava, in attesa che cominciasse la stagione turistica. Maggie a diciotto anni, incinta di un figlio suo. Una fitta di dolore dimenticata da molto tempo gli trapassò il petto. La donna, che rammentava con tanto affetto, l'aveva mollato come una patata bollente quando aveva perso il bambino. Maggie non l'aveva amato. L'aveva sposato solo perché in una notte un po' folle era rimasta incinta. Venti minuti dopo essere stata dimessa dall'ospedale, dopo 172


l'aborto, era uscita dalla casa di sua madre e dalla sua vita. «Dovrebbe avere delle riserve all'idea di lavorare con me, quante ne ho io alla prospettiva di lavorare con lei.» «La sua matrigna è morta quando tu eri a New York. Ho sentito dire che Maggie è tornata a casa per il funerale e si è resa conto che suo padre ha bisogno di lei. Si è licenziata e si è ristabilita qui, ma dopo tre settimane di tentativi, non ha trovato un lavoro.» Julie lo fissò da sopra l'orlo degli occhiali. «A Ocean Palms, a parte le attività legate al turismo, la tua fabbrica è la sola che assume dei dipendenti.» Nick riprese in mano la penna. «Assumila.» Julie trasalì. «Davvero?» «Certo. Quando ci sposammo eravamo due ragazzini. Sono passati quindici anni.» E lui non era tanto egoista da far penare una persona solo perché aveva avuto la sfortuna di avere una storia con lui. Sapeva che cosa voleva dire non aver alcuna possibilità. Era stato povero per tutta l'infanzia. Non avrebbe voltato le spalle a una persona che, da bambina, l'aveva aiutato e soccorso almeno in un paio di occasioni. Inoltre, se Julie diceva che Maggie era la persona adatta per quel lavoro, significava che lo era. Julie si alzò. «Va bene. Lei è nel mio ufficio. Dice che può cominciare oggi stesso. Posso portarla qui e cominciare.» Nick si raddrizzò sulla poltrona. Non gli davano nemmeno un minuto per prepararsi? Pareva di no, perché Julie aveva già aperto la porta. «Entra, Maggie.» Da vero gentiluomo del sud, Nick si alzò da dietro la sua imponente scrivania di mogano e si sentì colmare d'orgoglio guardando i tappeti persiani che ricoprivano il pavimento del suo ufficio, il lampadario cinese, il di173


vano e le sedie di pelle, e i quadri appesi alle pareti. Era ricco, aveva successo e il suo ufficio ne era una testimonianza. Aveva mantenuto le promesse della gioventù. Aveva cervello, capacità e li aveva convogliati per fare soldi al di là di ogni aspettativa. Una sola occhiata avrebbe fatto capire a Maggie che lui non era più il diciottenne che aveva abbandonato. Il ticchettio dei suoi passi annunciò il suo arrivo due secondi prima che lei apparisse sulla soglia. I suoi meravigliosi capelli rossi le alonavano il viso, non più dritti come li portava da ragazza, ma ondulati e morbidi. I suoi occhi verdi avevano ora una grande intensità e le sue labbra piene erano dischiuse in un sorriso incerto. Così come lui non era più il diciottenne che lei aveva lasciato, lei non era più la sua Maggie. Un po' meno teso, abbassò lo sguardo sul suo vestito. Un semplice abito rosso che metteva in risalto la sua abbronzatura senza tuttavia nascondere la protuberanza del ventre. Era incinta? La osservò meglio e dovette convenire che lo era. Di colpo tornò a essere il ragazzo di diciotto anni che guardava la sua donna, l'amore della sua vita, incinta di suo figlio. I sogni che aveva fatto, pensando di diventare padre, gli sembrarono appartenere al giorno prima e l'amore per lei, per la donna che portava il suo bambino, gli divampò nel petto. Ma quello non era il suo bambino. Lei l'aveva perso. E non l'amava. Diavolo, nemmeno lui l'amava! «Accomodati» la invitò, indicandole una seggiola davanti alla scrivania. Maggie compì qualche passo esitante. Portava la gravidanza come un'altra donna porta un abito firmato. 174


Fu allora che gli venne in mente che fosse sposata. Felicemente sposata. Non spaventata, non in un vicolo cieco perché la sua matrigna l'aveva sbattuta fuori di casa, bensì felice d'avere un figlio dall'uomo che amava. Deglutì per allentare il nodo che gli chiudeva la gola e si disse che provare quel genere di sensazioni era ridicolo. Quella donna apparteneva al passato e, a parte questo, non la vedeva da quindici anni. I sentimenti che provava erano un residuo, come ragnatele rimaste nel suo cervello, che sarebbero scomparse una volta che avesse imparato a conoscere la Maggie adulta. «Julie vorrebbe assumerti, ma io ho qualche riserva» dichiarò. Benché avesse detto alla sua assistente di assumerla, adesso che sapeva della sua gravidanza era preoccupato. Non per la propria reazione emotiva, ma perché temeva che lei non potesse svolgere il lavoro. Maggie scivolò con grazia sulla sedia e sorrise con dolcezza. «Vuoi dire perché un tempo eravamo sposati?» Nick si sforzò di ridere, ma Julie intervenne. «Sapete una cosa? Vado a fare un caffè per tutti.» «Lei non può bere il caffè» replicò Nick, mentre Maggie confermava con un cenno. «Io non bevo caffè.» «Allora lo farò per me» annunciò Julie, uscendo dalla stanza e chiudendo la porta. Nick tornò ad appoggiarsi contro la spalliera della poltrona, imponendosi di adottare quell'atteggiamento calmo che era un suo tratto distintivo. Doveva trattarla come tutte le altre impiegate. «Per il prossimo mese è necessario che la mia assistente lavori dieci ore al giorno» spiegò. «Sei giorni la settimana. Lo so. La tua assistente me l'ha detto.» «Pensi di farcela?» «Naturale. Sono incinta, non malata.» 175


Nella stanza cadde un silenzio strano e Nick venne assalito dal ricordo del giorno in cui lei aveva abortito. Maggie parve leggergli nei pensieri e sospirò. «Nick, sto bene. Davvero. E ho bisogno di questo impiego. Se non me l'offrirai tu, lo troverò in una città vicina e dovrò fare la pendolare tutti i giorni.» «Viaggiare in treno può essere preferibile per una donna incinta al dover correre da un punto all'altro dello stabilimento per raccogliere le informazioni dai vari reparti...» S'interruppe per guardarla e dimenticò quello che stava dicendo. Lo sguardo di Maggie era lo stesso che un tempo li aveva fatti precipitare a letto. «Ti ripeto che posso farcela.» Nick sospirò, poi s'impose di tenere presente che Maggie era una donna sposata che voleva lavorare per lui. Era stupido ricordare quanto il suo estremo bisogno d'indipendenza avesse giocato un ruolo importante tra le lenzuola. «Va bene. Forse è meglio fare una prova.» Lei sorrise con calma. «Tra un paio di mesi il bambino nascerà e dopo non ho intenzione di avere degli altri figli. A quel punto rimpiangerai d'aver perso l'occasione di assumermi.» Nick scoppiò a ridere. Quella era la sua Maggie. Orgogliosa, la prima; serena ma decisa quella successiva, e la Maggie dotata di buonsenso e di grinta poteva essere sensuale e appassionata come l'altra. Ma era sposata. E adesso lui era un dongiovanni. L'abbandono di suo padre gli aveva dato il desiderio d'avere una famiglia, ma quando Maggie l'aveva lasciato, ferendolo profondamente, era cambiato. Non era più Nick Roebuck, il ragazzo che aveva rifiutato il cognome paterno, il ragazzo che aveva desiderato un legame a 176


lungo termine, una moglie. Una famiglia. Nick Roebuck era scomparso. Adesso lui era Nick Andreas, un playboy. «Inoltre mio padre ha bisogno di me.» Nick si mosse sulla sedia. L'uomo che era diventato non importava. Lei era proibita. «Mi dispiace per la tua matrigna.» «Grazie.» «Ero fuori città, altrimenti sarei andato a porgere le mie condoglianze a tuo padre.» Maggie abbassò lo sguardo. «Lo so.» «Si era risolto... Insomma, lo sai, andava tutto bene?» domandò in modo goffo. Ma come poteva chiederle se lei e Vicky si erano riappacificate? Se avevano superato il fatto che Vicky avesse sempre preferito a lei Charlie Jr? Se Vicky le aveva perdonato d'essere rimasta incinta? E se Maggie l'aveva perdonata perché l'aveva buttata fuori di casa? «Sì» rispose lei. «Perdere qualcuno è sempre doloroso.» Era una risposta che non gli diceva niente. Ma non erano affari suoi. Cercando qualcosa da dire, Nick si rifugiò in una frase scontata. «Io ho perso mio padre a gennaio. So quanto queste cose possano essere difficili.» Lei sorrise e i suoi occhi scintillarono. «Oh, dunque hai incontrato tuo padre? Avete riallacciato il rapporto?» «Sì e no.» Nick tamburellò le dita sulla scrivania, soffocando l'impulso di dirle tutto. Ma non erano più amici. Anche se lei si comportava come la ragazza che aveva conosciuto e amato, non lo era. E lui non era il giovane folle d'amore che l'aveva sposata. «Ho incontrato mio padre, ma non abbiamo mai instaurato un vero rapporto. A meno che per te lo sia il cenare insieme una volta l'anno.» 177


«Che peccato» mormorò lei con sincero rimpianto. «Come sta tua madre?» Nick ridacchiò. «Si comporta come un generale in carica. Ama i bambini, ma li mette in riga.» Maggie rise. «Dio, quanto mi è mancata!» «E tu sei mancata a noi.» La frase gli uscì dalle labbra spontaneamente e lui ne comprese la ragione. Si sentiva a suo agio con lei. E questo era sbagliato. Se avessero voluto lavorare insieme, avrebbero dovuto tracciare dei confini. Comportarsi in modo professionale. Lei distolse lo sguardo. «Dopo aver perso il bambino non c'era ragione che restassi.» Udirla pronunciare quelle parole, gli fece male come allora. «Giusto» commentò con asprezza. «Prima che restassi incinta avevamo entrambi dei piani.» «Pensavi a questo mentre io parlavo con l'avvocato di mio padre?» Per quattro anni si era chiesto che tipo di coincidenza avesse indotto suo padre, dopo averlo ignorato per tutta la vita, a intestargli improvvisamente un fondo così cospicuo? Era stato un dono del destino per Maggie? O una maledizione per lui? «Sì» rispose lei, guardandolo negli occhi. Il cuore gli si strinse dolorosamente e lui si maledisse per averle posto quella domanda. Era già arrivato a quella conclusione e l'aveva superata. Inutile rivangarci sopra. Soprattutto con lei. Erano passati quindici anni e adesso amava la vita che conduceva. «Torniamo in tema. Hai una laurea in Economia e commercio?» «Sì.» Maggie assunse subito un atteggiamento professionale. «Ma non sdegno questo lavoro. Credo di poterti aiutare in molti modi.» «Che compiti svolgevi durante il tuo precedente impiego?» «Ero un'analista. Lavoravo per una ditta che accorpava 178


delle industrie che navigavano in cattive acque, i cui proprietari cercavano degli investitori, o dei compratori.» «Che cosa sai di industrie manifatturiere?» Lei rise. «La maggior parte delle fabbriche che cercano investitori o compratori è di quel genere.» Lui batté la penna sulla scrivania. Aveva bisogno di un'assistente e, come diceva Julie, Maggie era qualificata. Adesso lui e la sua ex moglie avrebbero trascorso dieci ore insieme, sei giorni la settimana. La guardò e quando i loro occhi s'incrociarono, gli anni di lontananza svanirono. Quelli di lei erano guardinghi, come lo erano stati i suoi quando l'aveva vista entrare nel suo studio. Mille dubbi lo assalirono. Tra le centinaia di donne che aveva frequentato dalla pubertà in poi, lei era la sola che avesse amato. Gli ci erano voluti cinque anni per dimenticarla, per smettere di sobbalzare ogni volta che squillava il telefono, o di cercarla con lo sguardo in mezzo alla folla. E adesso erano bastati pochi minuti di conversazione per risvegliare una valanga di ricordi. Non sarebbe stato facile. D'improvviso la porta si aprì ed entrò Julie. «Ho parlato con il Centro della Risorse Umane. Prima che Maggie possa cominciare a lavorare, deve passare il pomeriggio con loro a compilare dei moduli. Non comincerete a collaborare prima di domani.» «Oh» mormorò Maggie. «In ogni caso, non pensavo d'iniziare prima di domani» commentò Nick. Julie rivolse a Maggie un cenno e lei la seguì. Rimasto solo, Nick si prese la testa tra le mani. Dopo aver lavorato per settimane per dirigere il complesso di imprese multimilionarie della sua famiglia, aveva bisogno di un giorno di riposo prima di buttarsi in quella importante gara d'appalto. 179


Ma la sua amaca era all'esterno. Turbato com'era dai ricordi, non sarebbe mai riuscito a dormire. La cosa migliore sarebbe stata fare una lunga passeggiata in macchina lungo la costa. Quando fu certo che Julie e Maggie stessero andando al Centro per le Risorse Umane, si alzò, prese le chiavi e il cellulare e uscì. Cinque ore dopo, Maggie Forsythe emerse nella calura torrida di quel giorno di giugno e ispirò a fondo per calmarsi. Era stata così fiduciosa quando aveva fatto domanda di assunzione come assistente di Nick Andreas. Erano passati quindici anni e in più il suo ex marito Josh le aveva giocato uno scherzo crudele. L'ultima cosa che voleva era un altro legame con un uomo. Tuttavia, quando aveva guardato Nick, il suo cuore si era fermato e lei aveva smesso di respirare. Le era sembrato d'avere di nuovo diciotto anni e che lui le appartenesse. Sbuffando, si ripeté che una persona non può possederne un'altra. Nick non era mai stato davvero suo. Come Josh, del resto. Oh, il suo ex aveva pronunciato i voti davanti a un sacerdote, ma l'aveva ingannata. E quando l'aveva affrontato, lui l'aveva lasciata, dicendole semplicemente che preferiva un'altra donna. Il dolore per la rottura del suo matrimonio la colpì di nuovo, mentre avviava il motore. Avrebbe dovuto essere immune agli uomini. Ma erano bastati cinque minuti con Nick e la sua mente si era colmata del ricordo di giorni felici. Durante i quindici anni che erano passati, si era dimenticata d'averlo amato tanto. Com'era stato bello con quella chioma ondulata e scura e gli occhi quasi neri. Dandosi della cretina, inserì la marcia. Non importava che Nick Andreas le piacesse tanto. Se non era riuscita a 180


tenersi stretto un avvocato quarantenne con una calvizie incipiente, non poteva sperare di attirare uno stupendo dio greco trentatreenne. Soprattutto perché era stata lei a lasciarlo. Aveva avuto le sue buone ragioni, ma restava il fatto che l'aveva lasciato. E gli aveva spezzato il cuore. Orgoglioso com'era, Nick non l'avrebbe mai perdonata. Arrivata nella fattoria di suo padre, salì la scala e dopo una breve ricerca lo trovò in cucina. «Com'è andata?» Lui aveva i capelli bagnati, come se avesse appena fatto la doccia. La camicia a scacchi e i jeans sembravano freschi di bucato. Il fatto che tornato dai campi si fosse pulito era un buon segno, ma i suoi occhi erano ancora pieni di ombre. Quello era stato un giorno positivo, ma non significava che lo sarebbe stato anche l'indomani. E quando le giornate erano brutte, lo erano in modo orribile. Per quella ragione doveva restare. «Ho avuto il posto» annunciò, sorridendo. Sul volto segnato di suo padre apparve un'espressione di sorpresa. «Ebbene, ma certo. Tu e Nick siete sempre stati amici. Non c'è motivo che adesso non lo siate più.» Maggie gli voltò le spalle. Suo padre era sempre stato convinto che lei e Nick si fossero sposati perché lei era rimasta incinta e che, una volta perso il bambino, non avesse più avuto ragione di restare sposata. Non aveva saputo, nessuno aveva saputo, che il giorno in cui lei aveva lasciato Nick, aveva udito per caso suo padre offrirgli cinque milioni di dollari perché divorziasse e che Nick aveva rifiutato. Sconvolta dalla perdita del bambino, aveva preso una decisione che sapeva l'avrebbe fatto soffrire. A quell'epoca le era sembrata la soluzione migliore e lo credeva ancora. Nick era diventato l'uomo che non avrebbe mai potuto 181


essere se lei, egoisticamente, gli avesse permesso di rinunciare a quel fondo monetario per restare sposato con lei. Così aveva fatto le valigie ed era andata via. Prendendo una mela dalla fruttiera sul tavolo, scacciò quei pensieri dalla mente. Era una vecchia storia. Di certo non ne avrebbe parlato con l'uomo che aveva appena perso sua moglie. «Dovresti vedere l'ufficio. Lussuoso, elegante, meraviglioso.» «L'ho sentito dire.» Il padre aprì il frigorifero e tirò fuori della verdura fresca per preparare un'insalata. «Ha fatto più soldi lui di tutti gli uomini della città messi insieme.» Maggie s'inorgoglì. Nick era diventato la persona di successo che lei aveva previsto. Il suo solo rammarico era avergli dovuto far credere che non lo amava e che lo aveva sposato solo per il bambino. In caso contrario lui non l'avrebbe lasciata andare via. Non aveva mai dubitato d'aver fatto la cosa giusta, però sapeva che quella scelta avrebbe impedito a lui d'amarla di nuovo. Ma non voleva che lui l'amasse. Grazie al suo ex, sapeva la verità sull'amore. Il sentimento che molti chiamavano amore era spesso solo libidine. E ammettendo che fosse vero amore, anche quello moriva e quando succedeva, la gente restava sola. Per fortuna lei non era sola. Suo padre e il bambino avevano bisogno di lei. In più aveva un lavoro, il che significava una seconda possibilità di vita nella cittadina che aveva amato. La saggezza consigliava di apprezzare quelle cose, invece di rimpiangere quelle che non potevano essere.

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Mentre infilava la Porsche nel garage sottostante alla sua casa sulla spiaggia, Nick udì squillare il suo cellulare. Erano le cinque del pomeriggio, ma dopo essere uscito dall'ufficio si era fermato a mangiare un panino; poi aveva passeggiato per un'ora lungo un tratto di spiaggia isolata e solo dopo era tornato a casa. E ancora il pensiero d'aver assunto Maggie non lo faceva stare tranquillo. Dopo aver spento il motore, afferrò il cellulare e vide che la chiamata veniva da suo fratello Darius. «Ciao, vecchio mio. Che cosa mi racconti?» «È necessario che tu vada in Arabia Saudita e incontri il principe.» «Io?» «Visto che hai preso il mio posto mentre Whitney e io eravamo in luna di miele, sei aggiornato su tutto. In più, fai parte della famiglia. Il principe ha accettato d'incontrare solo un membro della famiglia e io non posso muovermi in questo momento. Gino comincia appena a riabituarsi ad averci per casa. Non posso lasciarlo di nuovo.» Nick scese dall'auto, corrugando la fronte. Capiva che Gino, il loro fratellino di un anno, affidato in custodia a Darius e a Whitney avesse sentito la loro mancanza, ma lui non poteva dedicarsi alle Industrie Andreas prima di aver preparato la gara. 183


«Temo che dovrai rivolgerti a Cade.» «Cade?» ripeté Darius tra il sorpreso e lo scettico. «Mi odia.» «No. Non concorda con la teoria di nostro padre secondo cui il primogenito dovrebbe avere il comando dell'impero famigliare.» Nick tirò fuori le chiavi di casa dalla tasca e aprì la porta. «Ti contrasta per farti rigare dritto.» «Che cosa? Allevare il nostro fratellino, essere appena sposato e gestire un giro di affari spaventoso non è sufficiente?» Ridendo, Nick lanciò la sua ventiquattrore sul banco che separava la cucina, tutta ripiani di granito nero, parti metalliche e mobili di legno lucido. «Nessuno ha detto che comportarsi da veri fratelli sarebbe stato facile.» Darius sospirò. «Già. Comunque è meglio così che fingere che gli altri non esistano.» Nick concordò, borbottando qualcosa. Il loro padre era stato un donnaiolo impenitente, infedele alla madre di Darius e a quella di Nick e di Cade. Solo Darius era stato riconosciuto e questo aveva reso difficile la situazione quando il loro padre era morto. «È per questo che mi sono sentito libero di chiamarti» disse Darius, tornando in argomento. «Capisco, ma non posso allontanarmi adesso. La gara a cui devo partecipare mi garantirà un contratto in grado di tenere a galla la mia ditta. In più ho appena assunto una nuova assistente e devo assicurarmi che funzioni.» «Che cos'ha che non ti piace?» «Niente. Mi piace. Un tempo l'amavo. Parliamo della mia ex moglie.» Darius tossì come se gli fosse andato qualcosa di traverso. «Solo un idiota assumerebbe la sua ex moglie.» «Quando ci siamo sposati eravamo due ragazzi, ri184


cordi? Io avevo diciotto anni e lei era incinta. È successo molto tempo fa e da quando lei se n'è andata, non ci siamo più rivisti.» «Comunque ci sono molte cose da valutare.» Nick aprì un armadietto e tirò fuori il whiskey e un bicchiere. «Mi sono trovato con le spalle al muro e lei è qualificata.» «Vuoi un consiglio?» «Ho una scelta?» «Fossi in te, parlerei del passato con lei. Discutetene, così non dovrai perdere tempo a girare intorno all'argomento in punta di piedi.» Proprio quello che ci voleva, pensò Nick, versandosi il liquore. Una bella conversazione durante la quale Maggie gli avrebbe riferito d'aver trovato l'amore della sua vita, di essersi sposata e di aspettare un figlio. Perfetto. «Sono passati quindici anni. Non dobbiamo rinvangare quello che è successo.» «Come credi, ma se ti ritrovi a bere alcolici di pomeriggio, significa che sei nei guai.» Nick che si stava portando il bicchiere alle labbra, si bloccò. Era pomeriggio, ma la sera si stava avvicinando. Al diavolo! Chi voleva prendere in giro? Stava bevendo di pomeriggio, ammise gustando un sorso di Jack Daniel. Darius rise. «Sai che ho ragione.» «Sì, fratellone, so che hai ragione, ma questo non significa che debba piacermi.» Il mattino seguente, Maggie stava controllando uno schedario vicino alla finestra quando vide una Porsche nera fermarsi nel parcheggio e Nick scendere. «È arrivato» annunciò. Julie si voltò. «Va bene. Tu non preoccuparti di nien185


te. Stammi dietro. E lascia che lo riceva io l'impatto con il suo malumore.» Maggie sorrise. «Sai già che sarà di cattivo umore?» «Un'assistente non lavora per dieci anni con il suo capo senza sapere quando arriverà con i nervi tesi. È stato via un mese e mezzo. La gara per l'appalto sta per chiudersi e dobbiamo fare la nostra offerta. Immagino che ci abbia pensato tutta la notte e che oggi sia nevrastenico.» La porta dell'ufficio si aprì e Nick entrò. Gli occhiali scuri nascondevano i suoi occhi, ma mettevano in evidenza le labbra generose e il velo di barba che non si era rasato. Con addosso un paio di jeans e una maglietta che delineava il suo torace muscoloso, aveva come da ragazzo un fisico da adulto. Si tolse gli occhiali e socchiuse gli occhi, guardando Maggie dalla testa ai piedi. Avvampando, lei pensò che la scrutasse in quel modo perché era stata lei la prima a occhieggiarlo. «Non è necessario che ti vesti in quel modo.» Lei si schiarì la gola. «Scusami.» Nick puntò gli occhiali contro il suo completo blu, la camicetta a fiori e le scarpe bianche. «Siamo molto vicini al mare. Metà dei dipendenti va a fare surf prima di venire in ufficio. Non credo che troveresti un altro paio di tacchi alti nel raggio di otto chilometri. Mettiti dei jeans.» Detto questo, inforcò di nuovo gli occhiali e andò nel suo ufficio. Julie si voltò verso Maggie, trattenendo un sorriso. «Ti avevo detto che sarebbe stato di cattivo umore.» Maggie sbuffò. «A Pittsburgh molte donne si mettono le calze per andare al lavoro.» «Buon Dio!» gemette Julie, inorridita. «Per lo meno togliti la giacca. Tesoro, siamo a giugno, fa caldo e qui ci vestiamo senza pretese. Nick si sente a disagio ve186


dendoti abbigliata in modo troppo formale.» Prese in mano una penna e un blocco di fogli e si diresse verso l'ufficio di Nick. «Seguimi.» Maggie si sfilò la giacca e le corse dietro. Julie indicò sei scatoloni. «Dovrai lavorare su quella catasta di fogli per preparare la nuova offerta, ma non oggi.» Arrivata davanti alla scrivania di Nick, si sedette e Maggie la imitò. «Questi fogli» spiegò Julie, mostrandole la pila che teneva in mano, «aspettano da sei settimane e oggi hanno la priorità.» Poi porse a Nick un documento alla volta affinché lo leggesse. In due occasioni lui le dettò delle e-mail e in due casi trattenne il documento dichiarando che avrebbe risposto di persona. Il tutto senza mai togliersi gli occhiali. Quando ebbero finito, Julie si alzò per andarsene e Maggie fece per seguirla, ma lui la fermò. «Tu no» disse. «Resta.» Julie corse via e chiuse la porta. Nick aprì il cassetto della scrivania, prese una confezione di analgesici e si mise in bocca due compresse. «Hai mal di testa?» Sollevando gli occhiali, lui la guardò da sotto il bordo con un cipiglio che Maggie non gli aveva mai visto. Forse non avrebbe dovuto prendersi la libertà di domandargli se aveva mal di testa. «Postumi di una sbornia. Ho avuto un...» Maggie alzò una mano per fermarlo. «Non sei obbligato a dirmelo. Scusami. Non sono una persona invadente. È stato maleducato da parte mia farti quella domanda.» Nick ruotò la poltrona da un lato e si appoggiò all'indietro. «Se la testa non mi si stesse spaccando, ti picchierei per quello che hai detto adesso. Sono quindici 187


anni che non ci vediamo, ma non possiamo fingere di non conoscerci. Ci conosciamo» affermò, rimettendosi gli occhiali sul naso. «Intimamente.» Maggie smise di respirare. I ricordi spuntarono come fiori in un giardino e le sue guance s'incendiarono. Poi sospettò che lui avesse detto quella parola per costringerla a reagire. «Che intenzione hai? Vuoi che ci mettiamo a urlare uno in faccia all'altro?» «Può darsi.» Lei trasalì. «Davvero? Facevo solo del sarcasmo.» «Ieri, quando ho detto a mio fratello che avevo assunto la mia ex moglie, lui mi ha consigliato di parlare con te del passato. Lì per lì mi sono ribellato, ma ha ragione. Se non tiriamo fuori tutto, ci sentiremo a disagio per settimane. E questo non mi piace.» «Così per non sentirti a disagio, fai sentire a disagio me?» «Consideralo come togliersi una fasciatura.» Nick ruotò la testa verso di lei, ma avendo gli occhiali scuri Maggie non capì se la stesse guardando o no. «Puoi toglierti adagio la benda e soffrire a lungo, o strapparla via, sentendo una fitta di dolore acuta ma rapida. Ci metteremo pochi secondi.» «Io non ho il diritto di voto?» «No. Il capo sono io. Comando io. Tra un mese abbiamo una gara d'appalto e il tempo corre in fretta. Non possiamo permetterci il lusso di sentirci a disagio o altro.» «Di che cosa dobbiamo parlare?» «Direi di cominciare da quello che hai fatto in questi quindici anni.» «Te l'ho detto. Ho fatto l'analista per una ditta che...» «Intendevo nella vita privata.» Maggie aprì la bocca. L'ultima cosa che desiderava 188


era raccontargli del suo miserabile matrimonio, ma aveva l'impressione che lui glielo avrebbe imposto. Era il capo. Avevano un passato in comune. Non potevano fingere di non essere curiosi. Poteva solo sperare che lui avesse una storia peggiore della sua. «Se parlo io, devi parlare anche tu.» «È sottinteso.» Se avesse avuto alle spalle una storia peggiore di un matrimonio disgraziato non sarebbe stato così svelto a concordare, pensò lei, guardando l'ufficio lussuoso. «Non credo sia necessario che tu mi dica quello che hai fatto. Il tuo ufficio parla da solo.» Nick ridacchiò. «È proprio vero, eh?» Punta sul vivo, Maggie raddrizzò le spalle. Il suo matrimonio era stato un fallimento, ma lei non lo era stata. «Ho avuto anch'io un certo successo. A Pittsburgh occupavo un posto importante. L'ho lasciato per stare vicino a mio padre.» Nick agitò la mano. «E...?» «E, che cosa?» «Che altro?» Dannazione! Maggie sospirò. L'ultimo periodo della sua vita non era stato né felice, né positivo. Rispetto a lui avrebbe fatto la figura dell'idiota. Comunque la cosa migliore era dirgli tutto rapidamente e farla finita. «Va bene» sospirò. «Ho frequentato l'università, ho ottenuto un buon impiego a Pittsburgh e ho sposato un avvocato...» Nick parve inorridire. «Un avvocato?» Lei sollevò il mento. «Non tutti gli avvocati sono degli avvoltoi. Josh era una brava persona.» Nick tornò ad abbassare gli occhiali. «Era?» «Siamo divorziati.» Gli occhi neri la scrutarono, ma lui non aprì bocca. Tuttavia Maggie comprese che le rotelle del suo cer189


vello stavano lavorando ed essendo una persona sincera, comprese di dovergli dare una spiegazione. «Immagino che tu voglia chiedermi come possono divorziare due persone che hanno creato un bambino.» «Sì e no. Mi sono reso conto che prima di intavolare questo discorso, avremmo dovuto stabilire delle regole. Ho la sensazione di spiare da dietro una siepe di confine.» Sbuffando si sfregò la fronte. «Prenderò a calci Darius per la sua idea.» «Va tutto bene» replicò lei, ed era vero. Se non altro, aveva capito che sarebbe stato impossibile nascondere il suo divorzio. La loro era una città piccola, la gente avrebbe parlato e se lei non avesse fornito la versione esatta, ne avrebbero inventata una peggiore. Era sempre meglio dire la verità. Eppure lei, pur avendo amato Nick, gli aveva lasciato credere di non amarlo. Lui glielo aveva domandato, ma aveva evitato di rispondergli. Non aveva mentito. Semplicemente l'aveva portato a trarre la conclusione che lei non lo amava. Non stupiva che adesso Nick incontrasse molte difficoltà a trattare con lei. Gli aveva spezzato il cuore, l'aveva ferito, facendogli credere che le loro due settimane di matrimonio erano state una finzione. Erano stati entrambi molto giovani e quando avevano perso il loro bambino, lei non aveva più avuto motivo di trattenerlo, di... ostacolarlo. Era stata convinta di fare la cosa giusta. Infatti, pensò, tornando a guardarsi intorno, Nick era stato molto bravo a far fruttare i cinque milioni di dollari che suo padre gli aveva dato. Non si sarebbe scusata per aver fatto la scelta che lui si era rifiutato di fare. «No, non va bene.» Nick gettò gli occhiali sulla scrivania, segno che gli analgesici cominciavano a fare effetto. «Adesso chiamo il reparto tecnico per dire loro 190


che ti aggiornino in modo che tu possa entrare nel sistema contabile.» Ruotò la poltrona e sollevò il telefono. «Fatti dire da Julie come raggiungere il loro ufficio. Quando ti avranno istruita, fai quello che Julie ti dirà di fare.» Premette alcuni tasti del telefono. «Sono Nick. Sto per mandarvi la mia nuova assistente perché le diciate la password e come accedere ai documenti contabili.» Appena riappese, Maggie si alzò con il cuore pesante. Nick si fidava di lei al punto da comunicarle la password, ma personalmente era guardingo. Le aveva dato il suo cuore e la sua anima e lei li aveva rifiutati. Lasciandogli credere che non lo amava, aveva fatto la figura dell'opportunista, di una ragazza che non sapendo dove andare, l'aveva sposato. Non era vero, ma a lui risultava questo e di conseguenza era guardingo. Se anche gli avesse detto che lo aveva amato, non avrebbe risolto niente, perché sarebbe stato come ammettere di averlo messo volutamente fuori strada. Se invece avesse taciuto, tra loro ci sarebbe sempre stato un vuoto incolmabile. Voltandosi, uscì dall'ufficio. Nick rimase chiuso tutto il giorno nel suo ufficio, ma non riuscì a concentrarsi. Non si era aspettato che Maggie fosse divorziata. Non perché si era fatto l'idea che lei fosse felicemente sposata, ma perché era incinta. Il suo primo pensiero quando gli aveva detto del divorzio era stato: che genere di marito, o di uomo, lascia la moglie incinta? Non essendo in grado di contenere la sua collera, l'aveva mandata nell'ufficio tecnologico. Subito dopo si era ricordato che Maggie l'aveva lasciato, ma aveva scartato l'idea che fosse stata lei a rompere il secondo matrimonio. Pur non amando lui, era 191


rimasta al suo fianco per il bene del bambino, anzi, l'aveva sposato per il bambino. Non poteva credere che avesse lasciato suo marito essendo incinta. A meno che lui non avesse fatto qualcosa... Dannazione! Doveva smettere di pensare a lei. Era ridicolo. Non avrebbe dovuto importargli. Maggie era la sua assistente. Niente di più. Alle cinque, quando Julie fece capolino nel suo ufficio per informarlo che se non aveva bisogno di loro, lei e Maggie andavano a casa, si limitò a salutarle. Avrebbe avuto mille cose da discutere con loro, programmi da elaborare, conti da fare, ma non aveva organizzato i compiti da assegnare loro. Darius aveva ragione. Lavorare insieme a Maggie sarebbe stato complicato. Erano bastati pochi accenni al suo passato per distrarlo dal lavoro. Avrebbe dovuto lasciarle raccontare tutta la storia, così forse avrebbe capito che non aveva il diritto di nutrire dei sentimenti per lei. Buoni, o cattivi. Erano passati quindici anni. Non avrebbe più dovuto essere in collera con lei. Invece lo era. Dannazione! Lo era. Quaranta minuti dopo che Maggie e Julie erano andate via, uscì dall'ufficio e si diresse verso la sua Porsche. Un rimorchio stava caricando una Chrysler Sebring. Il disgraziato possessore di quell'auto avrebbe dovuto percorrere a piedi un paio di chilometri perché la sua fabbrica distava parecchio dalla città. Forse, fare un favore all'automobilista appiedato gli avrebbe consentito di non pensare più a Maggie. Salito in macchina, abbassò il tettuccio e si accostò al rimorchio. «Ehi!» gridò per superare il rombo del motore. «Posso dare un passaggio a qualcuno?» Maggie sporse la testa da dietro il guidatore del rimorchio e Nick gemette. Ecco che cosa succedeva quando un uomo assumeva la sua ex moglie. 192


«Non ti dispiace?» Lui si protese sul sedile e le aprì lo sportello. «No. Sali.» Maggie disse qualcosa al guidatore del rimorchio che le diede un biglietto da visita e scivolò sul sedile accanto a Nick. Lui attese che il furgone partisse e gli si mise dietro. «Caspita. Bella macchina.» «Grazie. È un regalo che mi sono fatto per il mio trentesimo compleanno.» «Spero che tu ti sia ringraziato.» «Guidarla è un ringraziamento sufficiente» rispose lui, pensando ad altro. Il destino gli aveva offerto un'altra opportunità di stare solo con lei. Poteva approfittarne per parlare del passato, o trascorrere le settimane future incapace di concentrarsi. Avendo una gara da preparare, non era un'opzione. «Non pensi che dovresti comprare una macchina nuova?» «Dovrei, ma non posso affrontare questa spesa.» «Quale auto potresti permetterti?» Dato che la velocità era aumentata, Maggie dovette quasi urlare per farsi udire. «Una per la quale mi offrissero un finanziamento.» Julie gli aveva detto che lei era al verde, ricordò Nick, ma non aveva capito che lo fosse fino a quel punto. «Com'è possibile che una donna che è stata sposata, ha avuto una casa e due stipendi, esca da un divorzio senza niente?» «La casa era ipotecata. Tutti il resto era stato comprato a credito. In più mio marito aveva fatto degli acquisti con la sua carta di credito. Dovemmo vendere la casa e pagare i debiti in parti uguali. Adesso non ho debiti, ma non ho nemmeno dei soldi. Sono pari.» Il modo in cui lo disse, lo fece ridere. 193


«Ti sembra divertente?» «No» rispose lui. «Però lo è il modo in cui l'hai detto. Tu sembri molto disinvolta al riguardo. Io invece mi mangerei le unghie.» «Ho anch'io dei giorni in cui le rosicchio. Amavo il mio ex marito, ma a lui non importava niente di me.» Maggie sollevò la testa, offrendo il viso al vento e al sole e lui la ricordò giovane, spensierata e piena di vita. «Ma adesso è finita. Non starò a lamentarmi. Il mio bambino sarà la mia famiglia.» Nick si sentì inondare dal sollievo. Se non sbagliava, lei stava perfettamente bene. Divorziata, incinta, senza un soldo, ma bene. Non aveva ragione di preoccuparsi per lei. Adesso che avevano parlato, si sentiva molto più a suo agio. La valanga di ricordi della loro adolescenza era cessata. Restava il timore che lei fosse stata ferita e abbandonata. Molte cose erano cambiate nella sua vita, eppure Maggie non gli sembrava una persona diversa. Entrati in città, percorsero la Main Street. I ristoranti all'aperto erano affollati di turisti che mangiavano pesce. Sui marciapiedi assolati, i negozi di souvenir avevano sciorinato la loro merce. Superato il quartiere turistico, uscirono dalla città percorrendo una strada su cui si affacciavano delle ville colorate, circondate da giardini pieni di fiori e in pochi minuti arrivarono in vista della fattoria del padre di Maggie. Il sole batteva su di loro. L'aria profumava di mare. Non parlarono e Nick ripensò ai giorni in cui insieme percorrevano in bicicletta quella stessa strada. Giorni felici. Quando erano piccoli e amici. Veri amici. Prima di quella magica notte quando, travolti dal desiderio, avevano fatto l'amore. L'amore? Che cosa sapevano due diciottenni dell'amore? Il fatto 194


che lei l'avesse lasciato gli aveva dimostrato che l'amore non esisteva. E quella convinzione l'aveva portato a frequentare molte donne senza mai legarsi a nessuna. Non prometteva di restare al fianco di qualcuna per sempre e poi fuggire quando lei gli diceva di essere incinta. Era sincero. Niente promesse false, nessun impegno. Solo divertimento. Ecco perché gli era piaciuto stare a New York. La noia che a volte provava, vivendo in una piccola città che non aveva molto da offrire in quanto a divertimenti, là non esisteva. Grazie a Darius aveva potuto alloggiare sia in un attico a Park Avenue sia nella proprietà di famiglia di Montauk. Appena avesse consegnato la sua offerta per la gara, sarebbe andato in volo a New York tutti i fine settimana. Imboccato il viale che portava alla fattoria, scalò le marce e arrivò adagio davanti alla casa. Appena spense il motore, Maggie balzò a terra. «Grazie.» «Non c'è di che» le rispose, ma lei era già arrivata sotto il portico. Era molto ansiosa di allontanarsi da lui, constatò Nick. Eppure era stata lei a lasciarlo. Perché tanta rabbia? Perché tanta fretta? Scuotendo la testa, si disse che entro poche settimane avrebbe trascorso i sabati e le domeniche a New York e così si sarebbe ricordato perché si era lasciato alle spalle l'amore della sua vita. Percorse il viale in retromarcia, imboccò la statale e si diresse verso la sua casa sulla spiaggia che quella sera gli sembrò stranamente vuota.

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3

Il giorno dopo per Maggie fu piuttosto noioso. Nick cominciò a rivedere i dati per la gara e chiamò lei o Julie solo quando aveva bisogno che gli portassero dei documenti, o cercassero delle relazioni. Quel giorno suo padre si era messo in testa che siccome la sua auto non funzionava, doveva accompagnarla in ufficio e andarla a riprendere. Maggie aveva passato la giornata con la paura che si dimenticasse di lei. Alle quattro e mezza l'aveva chiamato per ricordarglielo, ma naturalmente le aveva risposto la segreteria telefonica. Per fortuna quanto ritentò alle cinque, fu lui a sollevare la cornetta. Arrivata a casa, fece una rapida doccia, preparò degli hamburger con dell'insalata e dopocena propose al padre di andare a gustare un gelato. Ben contento d'interrompere il solito tran-tran, Charlie Forsythe accese il motore del suo vecchio furgone e insieme si recarono in città. «Non pensi di comprare un furgone nuovo?» «Non ce n'è bisogno.» «Uno di questi giorni esalerà l'ultimo respiro e noi non avremo più un mezzo per muoverci.» Il padre si girò a guardarla. Il vento gli scompigliava i capelli grigi e i suoi occhi verdi scintillavano. 196


«Certo che lo avremo» replicò, ridacchiando. «Quando avranno aggiustato la tua auto.» Maggie sospirò. «Jimmy non si è ancora fatto sentire.» «Quando gli hai portato la macchina?» «Lunedì.» «Dovrebbe chiamarti lunedì prossimo per dirti qual è il guasto. Poi ci vorrà una settimana o due per aggiustarla.» «Una settimana o due?» gemette lei. Il furgone cigolante entrò sobbalzando nel parcheggio sovraffollato dell'Ice Cream Shack. Dato che il locale si trovava fuori città, i turisti lo frequentavano poco e il posto era gremito di gente locale. Dei tavoli di legno da picnic erano sistemati sulla sinistra; al centro c'era uno spazio aperto dove i clienti potevano incontrarsi, scambiare due chiacchiere mentre mangiavano i coni, o le coppe di gelato. In un prato erboso sulla destra, coppie di genitori con dei bambini piccoli giocavano a Wiffle Ball, una specie di baseball con bastoni di plastica e palle di plastica. In una città piena di divertimenti per i turisti quel posto rappresentava un'oasi tranquilla. Maggie si riempì i polmoni dell'aria salmastra che entrava dai finestrini aperti e di colpo si sentì a casa. Non c'era alcun luogo come l'Ice Cream Shack che rappresentasse meglio la loro piccola città. Le grida gioiose dei bambini che giocavano sull'erba, le persone che leccavano il loro gelato, tenendo d'occhio i figli, gli adolescenti che s'incontravano e facevano amicizia, ogni cosa le era familiare e cara. Un'ondata di gioia le riempì il cuore. Era a casa. Finalmente. Niente più marito brontolone, conti da pagare. Solo suo padre che aveva bisogno di lei e il figlio in arrivo che dava un senso alla sua vita. 197


Era davvero una seconda opportunità. Maggie scivolò giù dal furgone. Benché fosse incinta di sei mesi e il gonfiore del suo ventre si notasse appena, si sentiva una balena. Sapendo che il gelato avrebbe aggiunto alla sua dieta delle calorie di troppo, decise di smaltirne un po', giocando con i bambini. «Vieni, papà?» «Vuoi scherzare? Ho sgobbato dodici ore sui campi. Non ho bisogno di faticare ancora per meritarmi un gelato.» Mentre suo padre andava a fare l'ordinazione, Maggie si diresse verso il campo, attirata dalle grida dei bambini. Un giorno avrebbe portato lì suo figlio, o sua figlia così, mentre lei avrebbe gustato il suo cono, lui o lei si sarebbe divertito con i suoi coetanei. Fermandosi sul margine del prato, si schermò gli occhi contro il sole per vedere se individuava dei genitori che conosceva e stabilire per quale squadra giocare. Non ne vide, ma notò la madre di Nick, Becky Roebuck, vicino alla base. Abbigliata con un'ampia camicia bianca e dei calzoni corti rosa, i biondi capelli al vento, non dimostrava assolutamente i suoi cinquantacinque anni. Al suo fianco un bimbetto aspettava il suo turno per battere. Becky posò la mano sul bastone di plastica rosso. «Stai attento. Quando vedi arrivare la palla, colpiscila così» gli spiegò, mostrandogli il movimento da fare. «Vedo. È facile.» «Sì, Timmy, è facile. Puoi farcela.» L'incoraggiamento giunse da Nick. Maggie seguì la sua voce e lo vide. Era senza camicia, con dei jeans scoloriti e delle ciabattine infradito. L'impulso di voltarsi e scappare cozzò contro il desiderio di ammirare il suo corpo bronzeo e la gioia di essere a casa venne accantonata da un'ondata di desi198


derio allo stato puro. I bicipiti di Nick si flettevano mentre colpiva una palla immaginaria, in attesa che sua madre istruisse il nipotino e la sua pelle abbronzata luccicava sotto il sole. Il cuore le accelerò i battiti. A Pittsburg le sue amiche le avevano detto che durante la gravidanza gl'impulsi sessuali erano imprevedibili, ma lei se n'era accorta solo quando aveva rivisto Nick. Tuttavia, non volendo attribuirgli la capacità di svegliare brutalmente i suoi sensi, preferì incolpare gli ormoni. Nonostante questo, capì che mettersi a giocare sarebbe stato un po' avventato. Come sfidare il destino, immergendo un piede in acque infestate dagli squali. Nick non l'aveva vista. Poteva sgattaiolare via. Mentre si voltava, udì Becky urlare. «Ehi, Maggie! Sei tu?» Il suono della sua voce le ricordò le due settimane di felicità che aveva trascorso a casa sua insieme a Nick. Le colazioni pacifiche, i pranzi, le cene. Le serate davanti alla televisione, sgranocchiando popcorn. Come una famiglia. Una vera famiglia. Non un terzo incomodo come si era sempre sentita a casa sua. Fermandosi si girò e sorrise. «Sì, Becky, sono io.» «Sei venuta a giocare a Wiffle Ball?» Istintivamente lei guardò Nick. Sparito il sorriso, la sua espressione era guardinga come in ufficio. Senza concederle il tempo di rispondere, Becky trotterellò verso di lei, la strinse in un abbraccio materno e la baciò sulle guance. «Certo che sei venuta a giocare!» affermò, allontanandola per poterla guardare. «Mi sei mancata.» Gli occhi di Maggie si colmarono di lacrime. «Anche tu mi sei mancata.» «Allora perché non sei venuta a trovarmi?» Le risposte erano molteplici. Da dove cominciare? 199


Dal fatto che lei e Vicky non erano mai andate d'accordo? Oppure che dopo aver fatto soffrire Nick non aveva più voluto affrontarlo? Alla fine disse solo: «Mi è mancato il tempo. Avevo un lavoro impegnativo e in più mio marito voleva che rispondessi alle telefonate dei suoi clienti». Becky si guardò intorno. «Dov'è tuo marito?» «Siamo divorziati.» Il viso dolce di Becky divenne triste. «Oh, mi dispiace.» La sensazione di libertà che aveva provato, arrivando allo Shack, la inondò di nuovo e Maggie sorrise. In quei giorni si era resa conto che suo marito era stato un narcisista e uno scialacquatore, con la tendenza a comandarla a bacchetta e che lei non era mai stata felice. «Non crucciarti» le rispose, sorridendo. «Più tempo passa e più capisco d'aver fatto bene a divorziare.» Becky infilò un braccio sotto il suo. «Dato che questo ti ha riportata a Ocean Palm, devo concordare. Dimmi, quale posizione vuoi occupare in campo?» «Che ne dici di shortstop?» Becky le batté su una spalla. «Perfetto. Sono decenni che non abbiamo uno shortstop.» Ridendo, Maggie andò a prendere posizione. Guardandosi intorno, notò che Nick era dietro di lei e agitò una mano. «Ciao.» Che cosa doveva fare? Lui era il suo capo, il suo ex marito e il suo primo amante, ma quella era una piccola città ed evitare d'incontrarsi sarebbe stato impossibile. «Ciao.» La risposta di lui le giunse mentre un ragazzino piombava sulla prima base, colpiva la palla e la spediva contro di lei. «L'ho presa!» gridò Maggie, ma due secondi dopo la palla le venne strappata di mano da Nick che era apparso davanti a lei e l'aveva acchiappata al volo. 200


«Tu sei fuori, Timmy» annunciò soddisfatto, ributtando la palla al battitore, una bimbetta lentigginosa con la testa piena di treccine. Nick fece per correre via, ma Maggie gli afferrò un braccio. «Quella palla era mia. L'avevo presa io.» Lui la fissò, tenendo il braccio sollevato e i suoi occhi neri espressero mille emozioni. Fu la scintilla di desiderio che vi lesse a riaccendere la libidine di Maggie. Il ventre le si contrasse. Il sangue le cantò nelle vene e i muscoli si liquefecero, mentre una forte, familiare scossa elettrica passava tra loro. Sconcertata, gli lasciò il braccio e fece un passo indietro. «Non avresti dovuto saltarmi davanti» gli disse con calma. Borbottando, lui si voltò e tornò al suo posto a bordo campo. «Giusto.» «Ehi!» Non volendo essere liquidata in quel modo, Maggie per poco non lo riagguantò. Fu il ricordo della scossa elettrica a trattenerla. «Sono una brava giocatrice.» «Sei fuori allenamento.» «E questo è un Wiffle Ball per bambini, Mister Macho. Non una partita dei mondiali.» Il ricordo di come il marito l'avesse comandata per due anni, la fece indignare. Era venuta lì per essere libera e intendeva esserlo. «Non devi sostituirti a me.» I tre ragazzini successivi effettuarono dei tiri bassi. Due arrivarono dritti al lanciatore e ottennero entrambi la base. Con due giocatori fuori e due dentro, il prossimo lancio poteva risultare risolutore. Maggie si asciugò la fronte sudata. Sebbene fossero le sette passate, il caldo era ancora molto forte. Nick chiamò un time-out e le si avvicinò. «Tutto bene?» «Sì» rispose lei, guardandosi intorno. «Hai interrotto il gioco per sapere come mi sento?» 201


«Hai una brutta cera.» Lei rise. «Grazie.» «Dico sul serio. Sei pallida come se stessi per svenire da un momento all'altro.» Non volendo, lei guardò le gocce di sudore che brillavano tra i peli che gli coprivano il torace. «Senti chi parla. Sembri più bollente di quanto mi senta calda io.» Poi, accorgendosi di poter essere fraintesa, si tappò la bocca. Nick s'impietrì ed ebbe la sensazione d'essere proiettato indietro nel tempo, quando una frase del genere gl'incendiava il sangue e gli dava la voglia di prenderla dovunque fossero. Il pensiero che lei avesse ancora un tale potere su di lui lo fece imbestialire, ma quando vide il suo viso rosso d'imbarazzo il suo orgoglio di maschio si sentì gratificato. Bene, bene, bene. La piccola, dolce Maggie Io-nonti-amo non era così indifferente, dopotutto. Se non altro ricordava come erano stati bene a letto. Ridendo, le fece l'occhiolino. «Allora penso d'aver ancora io il vantaggio.» Maggie gli afferrò le spalle e dopo averlo fatto voltare, lo spinse verso il bordo del campo. Nick si allontanò, fingendosi indifferente per non attirare l'attenzione, ma la pelle che lei aveva toccato gli bruciava e il suo corpo fremeva, pregustando un piacere dimenticato. Cercando di ragionare, si disse che aveva sempre considerato Maggie una donna molto sensuale e siccome era la prima che aveva toccato e assaporato, nessuna in seguito gli era parsa al suo livello. Ma dopo di lei aveva avuto molte donne e intendeva approfittare del gruppo che aveva cominciato a frequentare a New York. Non aveva bisogno di civettare con Maggie. Nemmeno per scacciare la noia. 202


Una bimbetta con la coda di cavallo si alzò per battere e spedì la palla raso terra dritta verso Maggie che si chinò con naturalezza e la raccolse. Nick che le stava alle spalle fu gratificato dallo spettacolo delle sue gambe snelle e del sedere perfetto. Sbattendo le palpebre, si voltò mentre lei lanciava la palla al battitore in prima base che la colpì con facilità e la spedì fuori campo. Maggie si mise a saltare di gioia, ballando e inneggiando e battendo la mano aperta contro quella del ragazzino che aveva fatto il punto della vittoria. Una felicità inimmaginabile travolse Nick. Ricordi del passato si unirono alla consapevolezza che lei era tornata. Che era a casa. Non poté soffocare quell'esultanza. Non poté combattere il gaudio. Non poté negare la verità. Nemmeno quando si disse che lei non gli piaceva più, che a New York lo aspettavano notti bollenti nell'attico di suo fratello. In quel tramonto luminoso, facendo cose che avevano fatto da bambini, da ragazzi e da amanti, le emozioni eruppero in lui come da un geyser. Furioso con se stesso, andò a sedersi su una panca mentre il gruppo di bambini dai sei ai dieci anni continuava a inneggiare a Maggie, bevendo succhi di frutta e vantandosi della vittoria. L'allenatore non ufficiale, Bill Taylor, padre di Bobby Taylor, la strinse in un abbraccio che provocò a Nick un sussulto di gelosia e fece salire la sua rabbia fino alla stratosfera. Dandosi dell'idiota, prese un succo di frutta dal frigo portatile di sua madre e si sedette in fondo alla panca. A un tratto, vedendo che Maggie gli si avvicinava, finse di non essersene accorto e cominciò a bere. Ma la quantità di liquido che un uomo può inghiottire in un sorso è limitata e quando abbassò la lattina, lei gli 203


stava già davanti, le lunghe gambe messe in bella evidenza da un paio di calzoncini bianchi, con un gran sorriso sulle labbra. «Ti avevo detto che non avevo bisogno d'aiuto.» Da come si comportava, sembrava non avere alcun problema a stare insieme a lui e questo irritò Nick. Mentre lui soffriva i tormenti di una sessualità inappagata, lei pareva contenta di stargli vicino come amica. Ma, naturalmente, lei non era mai stata innamorata, tanto è vero che l'aveva lasciato. Forse, se se lo fosse ripetuto spesso, avrebbe smesso di emozionarsi ogni volta che la guardava. «Non pensavo che avessi bisogno d'aiuto.» Gli occhi verdi scintillarono e dentro di lui divampò un fuoco. «Allora perché sei corso davanti a me e hai preso quella palla?» Nick si alzò dalla panca e si allontanò. «Non volevo che ti facessi male.» «Male?» ripeté lei, sorpresa. «Sei incinta» rispose lui stupidamente. Maggie parve confusa e la luce dei suoi occhi si offuscò. «La palla è leggera. Non serve nemmeno il guantone.» Poi rise. «Il peggio che possa capitare è che ti dia un po' di bruciore.» La sua risata lo investì come una droga potente. Il desiderio di baciarla, di stringerla gli fece irrigidire i muscoli. «Giusto» commentò allontanandosi. Ma tutti i suoi sensi erano svegli. Anche il suo cervello. Gli era sempre piaciuto giocare con lei, discutere, ridere. Adesso gli sembrava di non avere nemmeno il diritto di parlarle e questo accresceva il suo desiderio. Che figura avrebbe fatto se davvero avesse avuto ancora una cotta per lei? Patetico. Salito in macchina, guidò lungo la costa e a un tratto vibrò un pugno al volante. Era assurdo. Non poteva 204


viaggiare per cento chilometri ogni volta che la vedeva. Perché non riusciva a controllarsi? Sbuffando, invertì la marcia e si diresse verso casa. Appena imboccò la sua strada vide un grosso SUV nero parcheggiato davanti alla casa e, appoggiato contro lo sportello, suo fratello Cade. Con il solito Stetson in testa, i jeans e gli stivali, aveva più l'aspetto di un cowboy indolente che non di un petroliere multimilionario. Quando Nick ebbe infilato l'auto sotto la casa, Cade gli aprì lo sportello. «Ti facevo in viaggio per New York per parlare con Darius prima di recarti in Arabia.» Cade gli vibrò una manata sulla schiena. «È questo il bello degli aerei privati. Puoi fermarti quando vuoi. E io volevo prenderti a calci per aver detto a Darius di mandare me in Arabia.» Nick gli fece cenno di salire la scala ed entrare in cucina. Una sana discussione con suo fratello gli avrebbe fatto dimenticare il tumulto di emozioni. «Spiacente, ma sono impegnato.» «Perché? Io no?» «Probabilmente lo sei anche tu, ma io ho appena passato sei settimane a New York a curare le Imprese Andreas mentre tu te ne stavi seduto sulla tua comoda poltrona nel ranch e guardavi il rifacimento di Lost.» Cade sbuffò. Più rilassato, Nick prese due birre e insieme si sedettero sul terrazzo a guardare l'oceano. «Per lo meno io non ho assunto la mia ex moglie.» Nick sentì rinascere la rabbia per aver assunto Maggie, ma non volle dimostrarlo. «Devo ringraziare Darius per la sua capacità di mantenere un segreto.» «Ehi. Quando abbiamo deciso di diventare dei veri fratelli, abbiamo stabilito di eliminare i segreti.» «Giusto.» Parlare di Darius e di Gino era una buona 205


idea. «Se scendiamo, tiriamo fuori due sdraio dal garage e le piazziamo sulla spiaggia, possiamo guardare l'oceano e le stelle.» Cade annuì, ma appena si furono seduti con i piedi posati sulla sabbia ancora calda, riprese l'argomento iniziale. «Allora, com'è lei?» Nick sospirò e si arrese. «La stessa. Graziosa, alta ma un po' delicata.» Cade scoppiò a ridere. «Delicata? Chi adopera più quella parola? Io non uso nemmeno il ciclo delicato della lavatrice.» Nick non rispose. Era tutta colpa di Maggie che gli metteva sulla lingua del termini dolciastri, da adolescenti. «Hai ancora una cotta per lei, o che cosa?» «Dacci un taglio!» «Ce l'hai!» «Va bene. Come vuoi. Sono ancora attratto dalla mia ex moglie. Cose come queste non vanno via facilmente.» Cade bevve un sorso di birra. «Certo che passano. Ho due aiutanti che scapperebbero piuttosto che tornare dalle loro ex. Dovresti andare a letto con lei.» Nick rischiò di sputare la birra. «Sei matto.» «Dico sul serio. Devi togliertela dalla testa.» «Come no?» «Rifletti. Hai di lei un'immagine idealizzata, come se fosse il grande amore della tua vita.» Nick borbottò qualcosa, ma quello che Cade diceva aveva senso. Da quindici anni non pensava all'amore, o a degli impegni sentimentali e l'unica persona che glieli riportava alla mente era Maggie. «In tutti questi anni ti sei dimenticato i lati brutti e le cose che la rendevano umana e ricordi solo il bello. Ma le tue memorie sono false.» 206


Nick inspirò. «Non posso fare l'amore con lei.» «Perché?» «Perché la userei.» «Come fai a sapere che lei non sente le stesse cose? Darius mi ha detto che è divorziata. Forse ha rotto il matrimonio perché suo marito non riusciva a eguagliarti e adesso che è tornata e lavora per te...» «Questa sera è venuta allo Shack a giocare a Wiffle Ball.» Cade gli lanciò un'occhiata interrogativa. «Mia madre gestisce un asilo. Conosce tutti i bambini, così una sera sì e una no si reca allo Shack, riunisce i bambini e organizza una partita di Wiffle Ball in modo che i loro genitori abbiano qualche momento di pace.» Cade sorrise. «E la tua ex era là?» Nick annuì. «Sono sicuro che è curiosa di te come tu lo sei di lei.» Cade bevve un lungo sorso di birra. «Prova la temperatura dell'acqua, fratello, e vedrai che ho ragione. Lei è tornata per verificare se la situazione tra voi è cambiata.» L'ego di Nick inghiottì quel bocconcino ghiotto e si sentì rinascere. «È probabile che entrambi vi siate fatta un'immagine sbagliata l'uno dell'altro» continuò Cade. «Dormite insieme una volta. Vi renderete conto che non siete gli dei che credevate. E dopo la dimenticherai.»

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4

Maggie si rigirò nel letto tutta la notte, turbata perché Nick era turbato. Non era tornata a casa per risvegliare i suoi ricordi. Se avesse avuto delle altre possibilità non si sarebbe messa a lavorare per lui. Ma ormai era stata assunta ed entrambi dovevano affrontare quella realtà. Il martedì mattina si svegliò in ritardo e, ancora intontita, non riuscì a prepararsi nei soliti quaranta minuti. Poi dovette andare nei campi a cercare suo padre, aspettare che si togliesse gli stivali infangati e l'accompagnasse in città con il suo vecchio furgone. Arrivata alla Andreas Manufacturing, corse dentro il palazzo e appena entrò nel suo ufficio trovò Nick che l'aspettava, appoggiato contro la scrivania di Julie, l'espressione corrucciata. Magnifico. «Scusa il ritardo. Mi sono dimenticata che non ho la macchina e ho dovuto cercare mio padre nei campi...» Lui la interruppe con un gesto della mano. «Julie ha chiamato questa mattina. Una sua amica sta male e lei è volata a Las Vegas per assisterla.» Maggie si sentì assalire dalla paura. «È andata via?» Niente più salvagente? «Ha aggiunto che il suo preavviso è terminato e che ormai è in pensione.» «Quindi non avrò un periodo di addestramento?» «Ne hai bisogno?» 208


«No.» Maggie sollevò il mento. Il lavoro non le creava problemi. Era il rapporto diretto con lui a preoccuparla, ma l'inferno avrebbe dovuto congelarsi prima di ammetterlo. Nick si scostò dalla scrivania. «Bene.» Mentre andava nel suo ufficio, lei non poté fare a meno di ammirare i suoi fianchi stretti, fasciati dai jeans e i glutei perfetti. Accidenti! Sarebbe mai riuscita a guardarlo senza pensare alle due settimane del loro matrimonio? A com'era stata orgogliosa d'essere sua moglie? A com'era stata felice? Sentirsi tanto attratta da lui era una follia. Non solo erano trascorsi quindici anni, ma adesso le era stata concessa una seconda opportunità. Non succedeva tutti i giorni e lei non voleva rovinare tutto, perdendo la testa per un uomo che forse la desiderava, ma non la voleva perché l'aveva fatto soffrire. Arrivato alla porta, Nick si voltò. «Non mi segui? Prendi penna e taccuino, vieni nel mio ufficio e cominciamo.» Contenta di non essere stata sorpresa a guardargli il fondoschiena, Maggie buttò la borsetta e il suo sandwich sulla scrivania e lo seguì. Lui indicò il tavolo delle conferenze, ingombro di documenti, fogli sparsi, mail e messaggi. Julie aveva detto che quelle informazioni gli servivano per preparare la gara, ma lui non aveva ancora toccato niente. «Siediti lì» le ordinò, indicando una sedia alla sua destra. «Io mi metterò qui. A capotavola.» Erano separati dall'angolo, ma tanto vicini da toccarsi. Maggie soffocò un gemito. Non riusciva a capire perché lui la tentasse tanto, salvo imputare la colpa agli ormoni della gravidanza che quella notte, dopo averlo visto a petto nudo, le avevano impedito di dormire. 209


Guardando la pila di scartoffie, lui sospirò. «Il problema è da dove cominciare.» «Io provo con i documenti. Sono i più corposi. Una volta eliminati quelli, ci sembrerà d'aver fatto il lavoro maggiore.» Lui aggrottò la fronte, ma ubbidì e prese un fascicolo dalla copertina verde. «Questa è l'analisi fatta dal nostro ingegnere sui costi di produzione degli ultimi cinque anni. L'offerta che dobbiamo fare per ottenere l'appalto attuale deve basarsi su questi dati.» Poi prese un rotolo e lo aprì sul tavolo. «La previsione sui tempi di consegna è stata cambiata in modo significativo.» Maggie alzò lo sguardo. «E questo cambierà la nostra offerta.» Nick distolse lo sguardo. «Mentre ero via, suppongo che il reparto valutazioni abbia fatto i calcoli. Stanno aspettando che li chiamiamo, perciò fallo.» Lei prese il taccuino e annotò l'ordine. «Chi devo chiamare?» «Chiedi di John Sprankle. È lui il capo di quel reparto. Deve aver fatto lui la valutazione perché è la nostra prima offerta.» Maggie sorrise. «Magnifico.» Nick evitò di guardarla. Era la seconda volta, ma lei non aveva bisogno di chiedergli la ragione del suo disagio. La sera prima avevano passato dei momenti di grande tensione. Lui era andato via per colpa sua. Avrebbe potuto ignorarlo, lasciare che risolvesse da solo i suoi problemi, ma sapeva che quel progetto era molto importante e che per portarlo a termine dovevano essere sereni, sbarazzare il campo da ogni incomprensione. «A proposito di ieri sera... Mi è dispiaciuto che tu abbia abbandonato il gioco» iniziò lei titubante. Nick continuò a guardare altrove. «Non è il caso. 210


Quando sono arrivato a casa, mio fratello Cade mi aspettava. Voleva farmi una sorpresa.» Lei ne fu felice. Nick aveva sempre odiato stare solo. Era meraviglioso sapere che aveva riallacciato i rapporti con i suoi fratelli. «E che cos'è successo?» «Quando?» «Con tuo fratello, testone» rise lei, toccandogli la fronte. Una corrente elettrica le corse lungo il braccio. Era cominciato così la notte che da amici erano diventati amanti. Un tocco giocoso si era trasformato in una scarica elettrica. Si erano guardati e il desiderio li aveva travolti. Lui l'aveva baciata e lei si era sciolta. Ma non era una cosa da ricordare, essendo già sovraccarica di ormoni. «Tuo fratello si fermerà per il fine settimana, o che cosa?» Ignorandola, Nick si mise a leggere un prospetto. Doveva lasciarlo lavorare, rallegrarsi che lui non avesse certi ricordi. Ma la curiosità la vinse. «È alto? Magro? Burbero, o simpatico?» Lui ruotò la testa per intercettare il suo sguardo. «Perché? Vuoi che te lo presenti?» Che opinione aveva di lei?, si domandò Maggie, addolorata. «Stai scherzando? Sono solo curiosa» replicò battendo la mano sulla sua e soffocando un gemito. Lui era caldo, solido, maschile. Un magnete per le sue dita. Nick guardò le loro mani e poi il suo viso. I loro sguardi si agganciarono. Negli occhi di lui affiorava lo stesso bisogno che tormentava lei. «Perché sei qui?» Rapita dal suo sguardo magnetico, lei non riuscì a connettere. «Qui?» «In questo posto. Perché lavori per me?» «Non sono riuscita a trovare un altro impiego.» 211


«Volevi sapere di Cade. Ebbene lui ti direbbe che la tua risposta è una balla. È convinto che tu sia tornata perché c'è ancora qualcosa tra noi.» Il viso di Maggie s'incendiò. Se gli avesse detto che era vero, lui l'avrebbe baciata? Mordendosi le labbra, s'impose di ragionare. Non poteva cedere a un uomo che aveva respinto, un uomo che non voleva avere niente a che fare con lei. Ma sapeva che, come aveva detto brutalmente Cade, quelle erano balle. Era attratta da Nick. Lo era sempre stata. Lavorare insieme era stata un'idea folle. Nessuno di loro due gradiva sentirsi succube di quell'attrazione e se lei avesse ceduto in quel momento, avrebbe gettato al vento la sua seconda possibilità. «Non c'è niente tra noi.» «Sei sicura?» «Sì.» «Menti.» Maggie balzò in piedi. «Certo che mento, Nick! A che cosa servirebbe ammettere che siamo attratti l'uno dall'altro? A niente.» Si premette le mani sul ventre. «Ho un bambino che ha bisogno di me. Devo essere forte, non cedere alla tentazione di riallacciare un rapporto che già una volta non ha funzionato.» Nick ebbe l'impressione di ricevere in faccia una secchiata d'acqua fredda. I suggerimenti di Cade gli avevano fatto dimenticare che lei quindici anni prima l'aveva lasciato. Non lo aveva mai amato. Fare l'amore non avrebbe risolto niente. Che si piacessero fisicamente era un fatto assodato. Sapendo quanto fossero stati soddisfacenti i loro amplessi, benché lei non l'amasse, si era convinto che per godere fino in fondo un rapporto fisico non fosse necessario essere innamorati. In ogni caso un uomo intelligente non si portava a letto l'assistente di cui aveva un'urgente necessità. 212


«Hai ragione. Non so a che cosa pensassi. Torniamo al lavoro.» Prese in mano un foglio e inspirò. «Ti detterò delle frasi che dovrai inserire nella parte narrativa dell'offerta. Sai stenografare?» Il sollievo che vide sul suo viso, gli fece capire d'aver ragione. Lei non voleva fare quell'esperimento. Voleva solo quel lavoro. «No, ma so scrivere molto velocemente.» «Bene.» Nick dettò adagio e in termini concisi, concentrato su quel lavoro complesso. Ma quando lei lasciò l'ufficio, si passò la mano sul viso. Adesso aveva un ottimo motivo per prendere a calci entrambi i suoi fratelli. Fatto sorprendente, il padre di Maggie quella sera si ricordò di andarla a prendere. Nick era stato tanto impegnato che non aveva guardato l'ora, ma quando Charlie Forsythe entrò nell'ufficio ancora con gli abiti da lavoro e il cappello in mano, si accorse che mancavano quindici minuti alle sette. Lieto di vedere il padre di Maggie a cui non aveva potuto fare le condoglianze, Nick si alzò per salutarlo proprio mentre lui annunciava in tono gioioso. «Charlie Jr. ha chiamato oggi.» Maggie raccolse le sue cose sparse sul tavolo. «Magnifico.» «Già, ma con lui è sempre la stessa cosa. È occupato, occupato, occupato. Lavoro. Lavoro.» Nick corrugò la fronte. Quel vecchio andava a prendere la figlia che aveva sgobbato per dieci ore e non si accorgeva di parlare solo del figlio che aveva sempre adorato. «In effetti Charlie è sempre molto impegnato» confermò Maggie allegramente. Nick s'impose di non intromettersi. Era così che era cominciato tra loro. Maggie era sempre stata pronta ad 213


aiutarlo, cosicché quando si era accorto di quanto lei si sentisse sola ed emarginata nella sua famiglia, l'aveva portata a casa sua. Non poteva farlo di nuovo. Non l'avrebbe fatto. Ma nonostante quella decisione, il bisogno di proteggerla e di confortarla insorse dentro di lui come una belva rabbiosa. «Nick.» Maggie fece capolino nel suo ufficio. «È arrivato mio padre. Se non hai bisogno di me, vado a casa.» Benché desiderasse consolarla, Nick capì d'avere le mani legate. Non poteva intromettersi tra lei e suo padre. «Vai pure» rispose, rivolgendole un cenno. Ma appena lei se ne fu andata, emise un gran sospiro e si passò le dita tra i capelli. Dannazione! Non avrebbe dovuto partecipare così intensamente ai suoi problemi, ma il ricordo della Maggie giovane, triste e bisognosa di appoggio gli spezzava il cuore. Era ridicolo. Lei non ci aveva pensato due volte a lasciarlo. L'aveva fatto soffrire. Allora perché gl'importava tanto che potesse sentirsi sola?

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5

Nick dormì malissimo. Il mercoledì si svegliò presto e mentre faceva la doccia, si diede dell'imbecille per essere tanto in pena per lei, mentre a lei non importava niente di lui. Pensando che prima avesse preparato l'offerta per la gara e prima avrebbe potuto andare a New York a dare una mano a Darius e a divertirsi, si precipitò in ufficio. Lei era là, radiosa come un raggio di sole. «Buongiorno!» «Buongiorno» le rispose, schiarendosi la gola. «Mi sono alzata un'ora prima e sono venuta qui per mettere in ordine tutte le carte che ieri sera avevo lasciato in giro, in modo da poter cominciare appena tu fossi arrivato.» «Benissimo.» La freddezza della sua risposta fece calare un'ombra sul suo viso. Nick s'impose d'essere più gentile e si costrinse a sorridere. «Magnifico. Abbiamo molte cose da fare, oggi. Prendi il tuo block notes e cominciamo.» «Va bene.» Maggie afferrò penna e taccuino e lo seguì nel suo ufficio. Nick gettò le chiavi e il cellulare sulla scrivania, sentendosi più forte e più sicuro di sé. Se avesse continuato a pensare a New York, niente avrebbe potuto guastargli il buonumore. 215


Mentre gli correva dietro, Maggie si disse che il fatto di avergli parlato con sincerità sembrava avere dato dei buoni frutti. Per la prima volta dall'inizio della settimana, Nick non brontolava e non aveva l'espressione cupa. Stavano imparando a camminare con lo stesso passo e a comportarsi come un datore di lavoro e la sua assistente. Rilassata e sorridente, si sedette al tavolo delle conferenze e lui a capotavola, poi, in silenzio, prese un documento e si mise a leggerlo. Passò un minuto e lei, in attesa che lui finisse la lettura, intrecciò le mani in grembo. Ne passò un secondo e al terzo cominciò a guardarsi intorno. Sulla parete era appeso il suo diploma, il master successivo e il dottorato. «Caspita!» Lui sollevò la testa. «Che cosa?» «Hai un dottorato?» «Perché ti sorprende?» domandò lui, tornando al documento. «Perché hai aperto la tua fabbrica a diciotto anni.» «Frequentavo le scuole serali.» «Molto a lungo» commentò lei, ammirata. «Bisogna aver studiato per dirigere un'azienda di successo.» «Giusto. Altrimenti avresti sprecato i tuoi cinque milioni di dollari.» Nick smise di leggere e la guardò. «Scusami?» Maggie si accorse troppo tardi dell'errore che aveva commesso. Lui non le aveva mai rivelato che suo padre gli aveva regalato quella somma. Glielo aveva sentito dire mentre parlava con l'avvocato di suo padre. Ma che importanza aveva? Erano passati quindici anni. Entrambi si erano fatti una vita. Poteva confessare di co216


noscere la provenienza del denaro con cui aveva iniziato la sua attività. «Il fondo fiduciario. Ho udito quello che ti diceva l'avvocato, il giorno in cui ho perso il bambino.» Nick posò la penna, fissandola. Non aprì bocca, ma lei si sentì in obbligo di spiegare: «Ho sentito che tu lo rifiutavi e non mi è sembrato giusto che lo perdessi». Lui s'impietrì. «Ti prego, non dirmi che mi hai lasciato perché hai udito l'avvocato di mio padre dire che non avrei potuto ottenere quel fondo se fossi rimasto sposato.» «Altrimenti non avresti accettato quei soldi.» Nick spinse indietro la seggiola e si alzò. «Non volevo i soldi!» La sua espressione inorridita la fece sentire incerta, ma non convinta. Forse Nick non aveva voluto i soldi, ma lui e sua madre ne avevano avuto bisogno. «Oh, andiamo, Nick. Tu e tua madre non riuscivate ad andare avanti. Avrei dovuto restare con te e lasciare che rinunciassi a cinque milioni di dollari? Il rimorso mi avrebbe perseguitato per tutta la vita.» «Sul serio? Allora beccati questo» ringhiò lui, sbattendo le mani sul tavolo. «Non ho accettato quei soldi.» «Che cosa?» «Non li ho presi. Non li volevo. Desideravo dimostrare a mio padre che ce l'avrei fatta senza di lui e ci sono riuscito.» Incapace di comprendere quello che lui diceva, Maggie lo guardò a occhi sbarrati. «Davvero non li hai presi?» «No.» Nick scosse la testa, incredulo per quello che lei aveva fatto. Poi, senza dire una parola, uscì dall'ufficio a passi rabbiosi, sbatté la porta e poco dopo lei udì il rombo assordante della sua macchina. 217


Annichilita, rimase dov'era. Aveva sacrificato il suo amore affinché lui potesse intascare quei soldi e lui... non li aveva presi. Nick stava attraversando il centro della città quando squillò il suo cellulare. Tremante di collera, decise d'ignorarlo, poi vide che chi lo chiamava era sua madre. Sospirò per calmarsi e rispose. «Ciao, mamma. Che cosa succede?» «La toeletta nel mio ufficio perde acqua.» «Chiama un idraulico.» «L'ho chiamato, ma questa mattina non può venire. Oh, mio Dio, Nick! L'acqua deborderà e allagherà il parquet nuovo.» Il fatto che sua madre si perdesse davanti a dei problemi spiccioli mentre, appena lui le aveva prestato dei soldi, aveva avviato un'attività redditizia, lo faceva sempre ridere, ma in quel momento non era di umore ridanciano. «Va bene. Calmati. Sono in macchina. Tra poco sarò da te.» Compì un'inversione di marcia proibita, ripetendosi che la confessione di Maggie non aveva importanza e che sperava che lei gli lasciasse una lettera di dimissioni, ma la fitta di dolore al petto non lo abbandonò. Maggie l'aveva lasciato da molti anni, lui era una persona diversa, non avrebbe più dovuto importargli. Ma gl'importava. Bastava distrarsi e i suoi pensieri si precipitavano in un terreno proibito. Sapeva anche il perché. Ma non poteva permetterselo. E non serviva dirsi che forse lei l'aveva amato. Che l'aveva lasciato proprio perché lo amava. Stringendo il volante, imboccò il viale che portava davanti all'ingresso della palazzina di mattoni rossi che 218


aveva regalato a sua madre perché aprisse un asilo appena aveva ottenuto il primo contratto da un milione di dollari. Salendo la scala, contò fino a duecento per impedirsi di pensare a Maggie e la porta si aprì prima che bussasse. Poi sua madre gli afferrò un braccio e lo trascinò dentro. «Corri!» lo incitò, guidandolo oltre una fila di stanze piene di colori e di bimbi in età prescolare. «Rilassati, mamma. L'acqua non arriverà al parquet a meno che tu non abbia versato dentro la tazza centinaia di litri. Comunque, anche in quel caso, immagino che tu abbia sparso degli asciugamani dappertutto.» Entrando nel suo ufficio, vide che aveva ragione. Una montagna di asciugamani era arrotolata davanti alla porta del bagno per proteggere il suo amato parquet. Scavalcata la barriera, entrò nel bagno e si chinò a guardare. «Vedi? Basterà che stringa questa rondella e l'acqua non uscirà più. Poi chiameremo un altro idraulico.» Spalle appoggiate contro la porta, la madre incrociò le braccia. «Perché? Non puoi aggiustarlo tu?» «Probabile. Ma posso permettermi di pagare un idraulico.» «Devi tornare in ufficio?» Incapace di mentire a sua madre, lui scrollò le spalle. «Ah. Non torni in ufficio. Mmh... Vediamo.» Avvicinandosi al bagno, lei fece ondeggiare la gonna colorata e tintinnare i braccialetti. «Sei stato via più di un mese, quindi immagino che tu abbia molto lavoro da sbrigare. Ma hai assunto la tua ex moglie e questo potrebbe rappresentare un problema.» «Noto che questa notizia non ci ha messo molto a fare il giro della città.» «Come accade a tutti i pettegolezzi succosi» replicò lei, sorridendo. «Ieri sera, quando Maggie ha lasciato 219


lo Shack, Mary Bryant ci ha detto che tu l'avevi assunta.» Nick cercò di sembrare indifferente. «Non mi sembra un evento importante. Maggie e io non ci vedevamo da quindici anni. Lavorare insieme non sarà un problema. Io mi sento bene.» Sua madre rise. «Non è vero. Ti ho visto abbandonare la partita l'altra sera. Non sono stupida. Ho capito che non ti senti a tuo agio con lei.» Ragazzi, non riusciva a nascondere niente a sua madre! «D'accordo, piccola volpe. Non sto bene.» «Che cos'è successo questa mattina per farti scappare dall'ufficio?» Nick ruotò le spalle. «Maggie mi ha detto che il giorno in cui perse il bambino, sentì la telefonata che mi fece l'avvocato di mio padre. Mi lasciò affinché potessimo intascare i soldi.» Sua madre impallidì. «Ma tu non li accettasti.» «Lo so.» «Caspita!» «Già. Caspita...» Tacquero per alcuni momenti durante i quali Nick rimase immobile e sua madre lo studiò. «Non sei solo arrabbiato» decretò alla fine. «Sei sorpreso.» «Non sapevo che avesse origliato. Perciò, sì, sono sorpreso.» «Oh, caro. Menti a me, o a te stesso?» mormorò lei, scuotendo la testa piena di riccioli biondi. «La sorpresa non è che lei abbia udito la tua conversazione con l'avvocato, bensì apprendere il motivo per cui se ne andò.» La sofferenza che provava stava diventando così acuta che Nick chiuse gli occhi. L'analisi dettagliata che stava facendo sua madre lo faceva stare peggio. «Senti, mamma. Adesso devo andare.» Lei gli prese un braccio. «Maggie è sempre stata 220


pronta ad aiutarti. Non puoi aspettarti che restasse seduta senza fare niente dopo averti sentito rifiutare cinque milioni di dollari.» Nick strinse i denti. «Io l'amavo.» «E lei amava te.» «Non scherziamo» borbottò lui, infilandosi le dita tra i capelli. Sua madre gli prese il viso tra le mani. «È questo che ti turba? Che lei ti amasse?» Fu come un lampo in una notte tempestosa e la verità lo abbagliò. Si era obbligato ad andare avanti dopo aver perso l'unica donna che avesse amato, dicendosi che era da stupidi spasimare per una donna che non lo amava. Adesso, sapere che invece l'aveva amato, cambiava tutto. Il cuore gli si spezzò di nuovo, ma questa volta per un motivo diverso. Ma non l'avrebbe detto a sua madre. Non l'avrebbe detto a nessuno. «Eravamo una squadra. Avrebbe dovuto consultarmi.» Scavalcò di nuovo la montagna di asciugamani, allontanandosi da sua madre e dai suoi occhi penetranti. «Di' a Berenice, la tua segretaria, di chiamare tutti gli idraulici finché ne trova uno disposto a venire subito. E fammi mandare il conto.» «Sono in grado di pagare i miei conti, adesso. Ma il punto non è questo. Tu sei ferito. Sei furioso e non dovresti esserlo.» Nick ruotò su se stesso. «Davvero? Ho la sensazione che qualcuno abbia gettato per aria la mia vita e che ricadendo, i pezzi si siano sparsi senza alcun senso.» «Invece ha senso. Nick, Maggie aveva appena perso un bambino, soffriva di brutto, era stanca e aveva soltanto diciotto anni.» Lui si premette le dita sugli occhi. Odiava pensare che Maggie fosse stata spaventata, sola, addolorata per 221


la perdita del loro bambino quando lui avrebbe dovuto starle accanto. Quando le sarebbe stato accanto. «Adesso devi fartene una ragione. Sono passati quindici anni. Tu hai avuto successo, lei è andata avanti. La vita è andata avanti. Devi fartene una ragione.» Maggie restò in ufficio tutta la mattina, aspettando che Nick tornasse. Ma non tornò. Nel pomeriggio si mise al computer e analizzò il programma della contabilità, lavoro che competeva a lei. Alle cinque prese le sue cose e uscì, sperando che suo padre si fosse ricordato di andarla a prendere. Non si era ricordato. Lo chiamò, ma non rispose nessuno. Immaginando che fosse fuori, aspettò mezz'ora e ritentò, ma non ottenne risposta. Lo trovò solo alle sei e mezza. Lui si scusò e uscì per andare a prenderla. Maggie era in attesa davanti al cancello quando lo vide arrivare. Salì sul furgone traballante e si diressero verso casa. «Mi ero dimenticato. Mi dispiace.» Lei si sforzò di sorridere. «Hai tante cose da fare. Capisco.» «Il fatto è che sto meglio in mezzo ai campi. La casa mi ricorda troppo Vicky.» Maggie lottò per non piangere. Si era trattenuta tutto il giorno. Aveva finto che non fosse successo niente e aveva pregato che Nick, benché furioso, riflettesse e capisse che lei si era comportata in quel modo perché lo amava. Erano troppo giovani per sposarsi, per legarsi a una persona per tutta la vita. Doveva rendersi conto che lei aveva fatto la cosa giusta. Tuttavia, quando lui non era tornato e non l'aveva chiamata, aveva dovuto affrontare la realtà: Nick non l'avrebbe perdonata e forse l'indomani l'avrebbe licen222


ziata. La cosa peggiore era dover ammettere che aveva ragione. Non avrebbero dovuto lavorare insieme. Aveva commesso un errore chiedendogli di assumerla. Avrebbe dovuto restare a Pittsburg. Ma suo padre aveva bisogno di lei. «So che dev'essere terribile perdere l'amore della tua vita» mormorò. Perché pronunciare quelle parole era così doloroso? Lei aveva perso Nick da molto tempo e l'aveva superato. Si era sposata con un altro e aspettava un figlio da lui. Nick era una figura di un passato tanto lontano che non avrebbe dovuto farla soffrire. Suo padre sospirò. «Più di quanto tu possa immaginare. Eravamo una squadra...» Un fiotto di lacrime le sgorgò dagli occhi. Anche lei e Nick erano stati una squadra. Lo erano stati fino a quella decisione fatale. Una decisione che aveva preso da sola perché sapeva che lui non avrebbe mai preferito dei soldi a lei. Anche se lui e sua madre ne avevano un gran bisogno. Il padre la guardò. «Stai bene?» «Sì. Ho caldo e sono stanca.» Maggie abbozzò un sorriso. «In gravidanza si hanno le lacrime in tasca. Colpa degli ormoni.» «Certo che lo so. Quando Vicky aspettava Charlie era strana. Piangeva per niente.» Rise mentre percorrevano la Main Street. «Ma so anche che è difficile trovare un lavoro quando si è incinte. È stata una grazia che Nick ti abbia assunta.» «Davvero?» Lavorava con Nick da cinque giorni e non solo era piombata in un mare di confusione, ma l'aveva ferito. Di nuovo. «Ma certo! È davvero in gamba. Lo amano tutti. Mi hanno detto che alla fine dell'anno offre un premio sufficiente a coprire il finanziamento per un'auto. Quei soldi ti farebbero comodo. E l'assistenza medica. Nick 223


non ti farà un'assicurazione prima della nascita del bambino, ma dopo potrai usufruire dell'assistenza medica gratuita. Basterà che metti da parte i soldi per il parto. Sei fortunata.» No, pensò Maggie, sconsolata. Non era fortunata. Era incastrata.

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Sabato mattina, quando Nick arrivò in ufficio, Maggie lo aspettava. I suoi occhi arrossati le dissero che non aveva dormito. Per un po' si guardarono senza parlare, poi lui ruppe il silenzio. «Oggi è sabato.» «Lo so. Ma Julie mi ha detto che quando preparate una gara lavorate sei giorni la settimana, perciò sono qui» rispose lei, con la speranza che mostrandogli la sua buona volontà l'avrebbe indotto a non licenziarla. Suo padre aveva ragione. Il lavoro che le aveva offerto Nick era una benedizione. «Ti hanno aggiustato la macchina?» domandò lui. Maggie tremò. Se avesse risposto di sì, l'avrebbe licenziata perché aveva un mezzo per tornare a casa? «No. Ho bloccato mio padre prima che uscisse nei campi.» Nick si passò le dita tra i capelli, poi si voltò e andò nel suo ufficio. «Prendi il block notes. Cominciamo.» Stordita dal sollievo, lei prese penna e taccuino e lo seguì. Mentre lui gettava sul tavolo le chiavi e il cellulare, si sedette al solito posto, cercando di non pensare alla conversazione che avevano avuto il giorno prima. Nick prese il documento che aveva letto la mattina precedente, lo aprì e glielo mise davanti. «Qui ci sono i resoconti sulla produttività. Ogni giorno scriviamo quello che un dipendente ha fatto durante il suo turno.» Pre225


se diversi fogli e li sistemò sul tavolo. «Questi dati mi servono per determinare il costo del lavoro e per stimare la data di consegna della nostra offerta alle gare come quella a cui stiamo lavorando.» Controllò uno schema e lo confrontò con una lista scritta a mano. «Voglio rivedere questi documenti per assicurarmi che vi sia il rendiconto di tutte le settimane.» «Non vuoi che faccia i conteggi?» Lui le rivolse un sorriso sarcastico. «Vorresti stabilire il costo lavorativo e le date delle consegne?» «Perché no?» Nick sospirò. «Controlla le relazioni e segnala quello che non c'è.» Maggie strinse le labbra. Come avrebbe fatto a dimostrargli le sue capacità se lui le faceva svolgere solo dei compiti da semplice segretaria? «Ti rifiuti di farmi fare i conteggi perché sono una donna? O perché sei arrabbiato con me?» «Sono io che faccio i conteggi finali.» «Non sopporti l'idea che la tua assistente sappia fare quello che fai tu?» Nick posò il documento e la guardò. «Stai cercando di litigare?» Il cuore le saltò in gola. Gli occhi di lui brillavano di collera, le labbra erano serrate. Maggie ebbe voglia di scappare, ma s'impose di mostrarsi forte. «Non voglio litigare. Voglio solo fare il mio lavoro.» Lui si protese in avanti, pallido d'ira. «Ho l'impressione che tu stia cercando di prendermi la mano.» Invece di demordere, Maggie lo sfidò. «Sono sempre stata più brava di te a pianificare.» «Vuoi dire che sei sempre stata pressante.» «Se è necessario affinché il lavoro venga fatto, allora sì, sono pressante» ribatté decisa lei. Nick prese il resto dei fogli e glieli buttò. 226


«Magnifico. Fai i conti.» Con il cuore che le batteva forte, Maggie si alzò, prese i documenti e andò alla sua scrivania. Erano quindici anni che non teneva testa a qualcuno e, accidenti!, era una bella sensazione. Non solo perché aveva vinto la battaglia, ma perché era in grado di combattere. Non doveva temere di essere licenziata. La cosa che importava era la sua capacità, non il loro passato. Rimasto solo, Nick si strofinò gli occhi. Invece di essere arrabbiato con lei, trovava il suo atteggiamento di comando molto stimolante. Perché? Perché gli ricordava la sua Maggie. Ecco perché. Come la sera allo Shack, lei aveva i capelli sciolti e lisci, indossava dei jeans e una semplice T-shirt e non si truccava più. E lo comandava. Voleva mettersi al lavoro senza perdere tempo. Era proprio la sua Maggie. Ma la sua Maggie l'aveva lasciato. Forse aveva avuto una buona ragione, però se n'era andata. E adesso, mentre lui era furioso per i fatti che gli aveva rivelato, lei era tranquilla, in grado di lavorare. Che cosa significava tutto quello? Sapendo che lei aveva deciso di lasciarlo perché lo amava, avrebbe dovuto sentirsi meglio? Se non altro, prima di conoscere la verità, aveva potuto incolparla d'averlo fatto diventare un uomo cinico e disincantato che evitava ogni impegno sentimentale, che rifiutava d'innamorarsi e che considerava l'amore una calamità. Adesso niente aveva senso. Com'era possibile che lei, dopo avergli confessato d'aver mentito, facesse sentire lui in errore? Maggie passò la giornata a confrontare le relazioni con il documento corrispondente del software e alle tre aveva estrapolato le cifre di cui Nick aveva bisogno. Lui la ringraziò appena e prese il documento. «Queste 227


sono le relazioni per i supervisori del personale coinvolto nel progetto, insieme ai dati sull'esperienza e sul livello d'istruzione degli operai. E questa» spiegò, prendendo in mano un enorme rilegatore bianco, «è l'offerta che facemmo cinque anni fa. Leggi le relazioni e crea un documento, ricalcando quello di cinque anni fa, ma tenendo conto dei dati odierni.» Maggie guardò il plico e annuì, sorridendo. «D'accordo.» «Non darti delle arie. C'è molto lavoro da sbrigare e non posso fare tutto io. Sei stata assunta per aiutarmi e hai detto di voler fare il tuo lavoro, perciò fallo. Comincia.» «Va bene.» Felice come non si sentiva da molto tempo, Maggie si mise a leggere quella montagna di dati. Alle quattro e mezza li stava ancora studiando, perciò telefonò a suo padre per dirgli di tardare ad andarla a prendere. Come al solito lui non rispose. Riprovò alle cinque e mezza con il medesimo risultato. Alle sei girò la sedia verso la finestra in modo da vederlo arrivare e continuò a leggere. Ma non doveva preoccuparsi. Suo padre non apparve. Alle sette, finalmente rispose. «Oh, piccola! Mi dispiace.» «Non preoccuparti. Sembra che lavoreremo fino a tardi.» «Sembra?» «Non ci parliamo, perciò non lo so. Ma finché resta lui, rimarrò anch'io.» «È ancora arrabbiato?» «O lo è, o con gli anni è diventato un gran rompiscatole.» Invece di ridere, suo padre sospirò. «Avresti dovuto dirgli anni fa quello che hai raccontato a me ieri sera a proposito del fondo fiduciario.» Maggie chiuse gli occhi. Non era più fiera della de228


cisione che aveva preso, ma come poteva rimproverarsi, non avendo immaginato nemmeno lontanamente che Nick non avrebbe accettato i soldi di suo padre? La sola cosa che poteva fare per farsi perdonare era lavorare il più possibile in modo da fargli risparmiare del tempo e della fatica. Uscendo dal suo ufficio alle otto con le chiavi in mano, Nick si fermò, sorpreso di trovarla lì. «Che cosa fai ancora qui?» «Lavoriamo dieci ore al giorno. Resto finché rimani tu.» Se si fosse trattato di un'altra assistente, avrebbe ammirato la sua dedizione, ma Nick voleva solo che lei se ne andasse. Sapeva di non essere giusto, ma era quello che sentiva. Scoprire che lei l'aveva lasciato per consentirgli di accettare i soldi, aveva scombussolato la sua vita. Ogni volta che la guardava e pensava che lei aveva rinunciato a tutto quello che sognava per amore suo, provava una sensazione orribile. Soffriva e cominciava ad avere delle visioni su quello che avrebbe potuto essere. Che avrebbe dovuto essere. Gli venne da ridere. Nella vita aveva valore solo quello che succedeva, non quello che avrebbe dovuto succedere. Ed era successo che lei aveva preso una decisione che avrebbero dovuto prendere insieme. Lei aveva sbagliato ma era stato lui a pagare e pagava ancora. «Raccogli le tue cose» le disse, sospirando. «Visto che oggi abbiamo lavorato undici ore, ti accompagno a casa.» «Non importa. Mio padre...» «Prendi le tue cose.» Udito il suo tono, Maggie si affrettò a ubbidire e, afferrata la borsetta, andò alla porta. Salirono in macchina in silenzio e non avrebbero a229


perto bocca per tutto il tragitto se lei non avesse annunciato d'aver quasi finito di compilare le statistiche sui dipendenti. «Mi sono bastati due minuti per trovare i file nel computer, così non ho dovuto ribattere a macchina niente, solo mettere in ordine le informazioni.» Una ciocca di capelli rossi, scintillanti sotto il sole, le scivolò sulla bocca e lei la soffiò via. «Ho visto la quantità di lavoro che devi fare per preparare la gara in tempo e so che hai bisogno d'aiuto. Smettila di pensare al passato e accetta il mio supporto.» L'ingenua. Se pensava che bastassero poche parole per fargli dimenticare che l'aveva tradito, era matta. Concordava con sua madre sul fatto che quel giorno, avendo perso il bambino, fosse stata sconvolta, ma loro due erano sempre stati una squadra e lei aveva rotto il loro patto. Adesso si comportava come se non fosse successo niente e questo lo faceva impazzire di rabbia. Non voleva che lei fosse in gamba e intelligente. Non voleva il suo aiuto. Voleva sfogare la sua rabbia. Aveva sofferto per cinque anni prima di superare lo strazio del suo abbandono. Meritava la sua rabbia. Se l'era guadagnata. Appena giunsero alla fattoria, Maggie scese. Lui stava per ripartire quando suo padre uscì sotto il portico. Alto e asciutto, con una massa di capelli che da rosso scuro erano diventati castani con striature bianche, aveva un'aria energica e giovanile. «Ehi, Nick!» lo salutò. «Salve, signor Forsythe.» «Entra a bere una birra.» Ansioso di andare via, Nick scosse la testa. «No, grazie. È tardi. Devo andare a casa.» «Tardi? Sono le otto e mezza. Coraggio, vieni. Concedi a un vecchio qualche minuto del tuo tempo.» Sembrava maleducato ignorare la richiesta di un uo230


mo che aveva appena perso la moglie. Nick guardò Maggie che si era bloccata in mezzo al prato e sembrava rassegnata. Soffocando un sospiro, spense il motore e scese dalla Porsche. Gli uccelli cinguettavano, i fiori ondeggiavano nella brezza. In lontananza un cavallo nitrì. Maggie lo precedette fino al portico. «Portaci due birre, piccola» le disse suo padre, seduto sul dondolo. Lei sorrise e scomparve dietro la porta schermata. Nick si appoggiò contro la balaustra. «Quanto tempo è passato?» «Quindici anni.» Charlie scosse la testa. «Caspita! Sto invecchiando. Tutti quelli che ricordo bambini, non sono più dei bambini.» Nick rise. «Possiamo dirlo tutti.» Maggie apparve con due birre, gliene diede una e l'altra a suo padre. Nick la ringraziò senza guardarla. «Non c'è di che» rispose lei, tornando in casa. «Vado a togliermi questi jeans.» «Buona idea» approvò suo padre, guardandola allontanarsi. «Mi dispiace per Vicky.» Charlie annuì. «Grazie» rispose. Sbirciò dentro casa, poi si voltò. «Aveva sposato un tipo spregevole» confidò a bassa voce. Nick rischiò di soffocarsi con la birra. «Lei non vuole dirtelo perché è molto orgogliosa, ma il giorno dopo il funerale della sua matrigna, si è sbottonata. Il suo ex aveva una relazione con una ragazza conosciuta in un club e la lasciò. Un giorno tornò a casa per prendere la sua roba e mise incinta Maggie. Lei credeva che volesse riappacificarsi, invece lui cercava solo una galoppata in onore dei vecchi tempi. Quando lei gli 231


disse di aspettare un bambino, lui rispose che non lo voleva. Ha passato dei momenti molto brutti. Sono contento che tu l'abbia assunta.» Poiché Nick voleva licenziarla, si sentì soffocare dalla vergogna. La storia del suo matrimonio era sconvolgente. Maggie era stata fortunata a liberarsi di quel bastardo. Ma la cosa migliore era che Charlie dimostrava di amare sua figlia. «Non deve ringraziarmi. È svelta e competente» replicò. Poi, volendo fargli capire che Maggie non era da meno del fratello, aggiunse: «Mi aiuta molto più di Julie. Abbiamo già svolto metà del lavoro per preparare la gara e avendo accanto una persona tanto esperta, per me sarà più facile viaggiare e dare una mano a mio fratello». «A quanto pare avete fatto grandi cose.» «Mio padre, negli ultimi due anni, aveva trascurato le imprese e mio fratello ha bisogno di me perché l'aiuti a rimetterle in sesto.» Charlie grugnì. «Per me non ha molto senso rimettere in piedi un'azienda, rischiando di rovinarne un'altra. Anche la tua fabbrica ha bisogno di te.» Dalla sua stanza al primo piano, Maggie udì il commento di suo padre e si sedette sul letto non sapendo se ridere o piangere. Non solo suo padre aveva raccontato a Nick quello che era successo con il suo ex marito, ma l'aveva rimproverato di essere stato via troppo a lungo e di avere l'intenzione di assentarsi di nuovo. «Adesso va tutto bene.» «Già. Scommetto che tuo padre ha detto la stessa cosa quando le sue aziende andavano al diavolo in un sandwich al prosciutto.» Nick scoppiò a ridere. «Al diavolo in un sandwich al prosciutto?» 232


Suo padre grugnì. «Non capisco il detto "Mandare al diavolo in un cestino". Per me ha più senso un sandwich al prosciutto con tutto il suo colesterolo. L'infarto che ti provoca ti manda al diavolo molto più in fretta.» Nick rise di nuovo e Maggie ricordò quando era un ragazzo allegro e spensierato. «Grazie per la birra, signor Forsythe, ma adesso è meglio che vada a casa.» «Perché non ceni con noi?» Una pausa. «Per la verità devo chiamare mio fratello per sapere come sono andate le cose questa settimana.» Il dondolo cigolò. «Va bene. Ci vediamo lunedì mattina, quando verrai a prendere Maggie per portarla in ufficio. A me sembra che sia più facile per te passarla a prendere che per me accompagnarla, dato che tu vai là comunque.» Maggie sbiancò. Se non fosse stata in mutande e reggiseno, si sarebbe affacciata alla finestra e avrebbe detto a Nick che suo padre era fuori di testa. «A meno che tu non venga a prenderla domani per lavorare anche la domenica. Sai, non mi piace la gente che lavora di domenica. Tutti hanno bisogno di riposo. Vieni lunedì.» Mortificata fino alle lacrime, Maggie nascose il viso tra le mani. Ma Nick rispose: «Certo. Verrò a prenderla».

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7

Tornando a casa Nick pensò al matrimonio disgraziato di Maggie. Lei gli aveva detto che suo marito aveva fatto molti debiti. Aggiungi a questo che l'aveva lasciata incinta per unirsi a un'altra donna e il quadro era completo. Nella mente gli apparve l'immagine di Maggie sola di notte, che soffriva in silenzio. Arrivato a casa, entrò in cucina come un bolide. Era arrabbiato con lei. Furioso. Non avrebbe dovuto importargli che avesse sposato un cretino che l'aveva abbandonata incinta e senza un soldo. Invece gl'importava. Non voleva vederla soffrire perché lei lo aveva fatto soffrire. Sarebbe stato un sentimento meschino e lui non era meschino. Chiamò Darius per informarsi sull'andamento della settimana, poi lo salutò in fretta perché non voleva che il suo perspicace fratello gli facesse delle domande a cui non poteva rispondere. La domenica mattina si precipitò in ufficio, contento di stare solo e si buttò nel lavoro per evitare di pensare a Maggie. Alle otto di sera comprò al volo qualcosa da mangiare e appena arrivato a casa si mise a letto e dormì come un morto. Il lunedì mattina si sentì un po' meglio. Il giorno precedente aveva predisposto tutti i lavori da svolgere 234


quel giorno. Si diresse verso l'ufficio, poi si ricordò di dover passare a prendere Maggie. Mentre si recava alla fattoria, ripensò a tutto quello che gli aveva detto Charlie Forsythe e il cuore gli si strinse. Finché avesse lavorato insieme a Maggie, sarebbe stato risucchiato in un vortice di emozioni. La odiava per quello che aveva fatto, ma non voleva punirla, né che fosse infelice. Voleva solo starle lontano, ma a causa della gara non poteva farlo. Doveva trovare un modo per superare indenne quel periodo. Non si era ancora fermato davanti alla casa che la porta si aprì e lei corse fuori e salì in macchina. «Non vuoi che tuo padre si metta a chiacchierare di nuovo con me, vero?» le domandò, ridendo per la prima volta dal risveglio. Gli occhi verdi di Maggie si adombrarono. «Lo faresti?» «Si sente solo. Voleva che gli dedicassi qualche minuto. Tutto qui.» Per fortuna il discorso s'interruppe, ma il ricordo delle cose che gli aveva confidato suo padre lo fece sentire a disagio. Avrebbe voluto essere in collera con lei per il male che gli aveva fatto, ma era diventato ricco, aveva avuto molte donne, una bella vita mentre lei aveva sofferto. «Non vedo l'ora che mi aggiustino la macchina.» Nick le lanciò un'occhiata di sottecchi. «Spero che non te la prenda con me perché ti accompagno in ufficio.» «Sì e no. M'imbarazza che mio padre ti abbia costretto a farlo.» «Va tutto bene.» Lei guardò fuori dal finestrino. «Va sempre tutto bene, tuttavia tu e mio padre avete un mezzo di trasporto. Un'auto non serve solo per andare al lavoro. A 235


volte avrei voglia di mettermi alla guida, di uscire di casa per respirare una boccata d'aria.» Nick pensò alle sue corse lungo la costa. «Lo so.» Maggie chinò la testa, avvilita. «Tu abiti da solo. Hai tutta l'intimità che vuoi a casa tua.» Era vero, ma lui non si lasciò impietosire. «Forse troppa intimità. Delle volte c'è un tale silenzio che mi costringe a pensare.» Lei rise. «Sarebbe il mio sogno.» «Oh, andiamo. Siete soli tu e tuo padre. Quanto rumore può fare un uomo di cinquantacinque anni?» «Non lo sento quasi mai» rispose lei, scrollando le spalle. «È così impegnato a tenersi occupato per non sentire la mancanza di Vicky che in certi giorni non c'incontriamo nemmeno.» Come poteva desiderare di prendersi cura di un padre che da quando aveva avuto un altro figlio l'aveva ignorata?, si domandò Nick. Era meglio che glielo chiedesse altrimenti si sarebbe preoccupato anche di quello e non sarebbe riuscito a lavorare. «Come vanno le cose con tuo padre?» «Le cose?» «Non ci sono dei problemi con Charlie Jr.?» Maggie rise. «Quali problemi?» «Se ben ricordo i tuoi genitori lo preferivano.» «Ah! Alludi a molto tempo fa, quando frequentavo il liceo. Tutto si risolse quando andai all'università. Poiché lavoravo, non potevo tornare a casa per le vacanze e così venivano loro a trovarmi. Recuperai la mia identità. Non so spiegartelo, ma era come se le difficoltà che incontravo a casa loro, a casa mia non esistessero più.» Nick annuì. «Quindi è tutto risolto.» «Già» asserì lei, sorridendo. «A volte Vicky è perfino venuta a Pittsburg senza papà per rifornire il suo 236


guardaroba.» Tacque un momento, poi si voltò a guardarlo. «E a te che cos'è successo? Hai detto che vedevi tuo padre solo una volta l'anno, e poi hai cambiato il tuo cognome da Roebuck ad Andreas e lo hai dato perfino alla tua impresa.» Nick strinse le labbra. «In realtà avrebbe dovuto essere uno schiaffo in faccia.» «Davvero? In che senso?» Lui la guardò. Il vento le sollevava i capelli. I suoi occhi erano dolci ma seri. I vecchi ricordi emergevano. Un tempo avevano parlato, si erano confidati. Non lo aveva mai più fatto con altre persone. Nemmeno con i suoi fratelli. E adesso non riusciva a fermarsi. «Pensaci. Tu sei Stephone Andreas, imprenditore conosciuto in tutto il mondo, multimilionario e all'improvviso, quando entri in Google, non sei più il solo Andreas nel mondo degli affari. Nel Nord Carolina c'è una piccola fabbrica impiantata... indovina un po'? Dal figlio che non hai mai riconosciuto.» «Caspita!» Lui scrollò le spalle. «Ero giovane. Arrabbiato. Avevo gettato in faccia a mio padre i suoi cinque milioni di dollari per fargli sapere che non ne avevo bisogno.» «E adesso te ne rammarichi.» Era un'affermazione, non una domanda. «Sì» ammise lui, guardandola. «Non d'aver rifiutato il denaro, ma di essere stato così pieno di rancore. A vent'anni ero felice d'essere una spina nel suo fianco, però quando la mia fabbrica ha iniziato a ingrandirsi e a farsi un nome, ho cominciato a sentirmi un idiota. Lui aveva abbandonato mia madre e non mi aveva riconosciuto, ma stava cercando di rimediare.» «E così lo perdonasti?» Ora come poteva spiegarle che era diventato quasi 237


come suo padre e che quindi non aveva il diritto di essere in collera con lui? «Sì, lo perdonai» mormorò. «Non mi hai mai raccontato come hai fatto a cominciare senza soldi.» Lieto di lasciar cadere il discorso su suo padre, Nick rispose senza pensarci: «Ho incontrato un tale che conosceva un tale che conosceva un altro tale che vendeva non solo i suoi macchinari vecchi, ma aveva un contratto per un lavoro. Ci accordammo di dividerci il guadagno e diventai un uomo d'affari». «Furbo.» Nick si sentì gonfiare d'orgoglio. Ce l'aveva fatta. Nessuno poteva togliergli quello che aveva, pensò arrivando alle Andreas Manufacturing, parcheggiando l'auto e salendo in ufficio con Maggie. Ma quella piacevole sensazione durò poco. Lei non era la sua amica. Era la sua impiegata. Eppure avevano parlato come se non fossero trascorsi quindici anni. Le aveva raccontato delle cose che non aveva mai detto a nessuno. Un brivido di paura fece squillare un campanello d'allarme. Che cosa diavolo stava facendo? Maggie aveva bisogno di quel lavoro e lui aveva bisogno di lei. Ma non voleva farle del male. L'amore della sua vita era stato Nick Roebuck, non Nick Andreas. Nick Andreas non voleva essere il grande amore di nessuno ed era meglio che lo tenesse a mente. Dopo averle dato il tempo di sistemare la borsetta nel cassetto e aver acceso il computer, la chiamò nel suo ufficio e le dettò una lista di cose da fare entro la mattinata. Poi si rimise a lavorare sull'offerta di gara. Chiuse la porta, si isolò e tornò ad acquistare l'umore di Nick Andreas. Quando Maggie tornò in ufficio, dopo essere stata 238


nel bar della ditta a mangiare un sandwich, Nick non era ancora rientrato. In attesa che arrivasse, si mise a guardare i file riguardanti i dipendenti e notò qualcosa che la sorprese. Quando Nick arrivò in ufficio e le passò accanto, sollevò la testa. «Aspetta. Ho trovato una cosa interessante nei documenti relativi alla manodopera.» Lui esitò un attimo, poi si fermò. «Che cosa?» Sembrava di nuovo di cattivo umore, come se fosse arrabbiato con lei. Sospirando, Maggie si disse che doveva rassegnarsi. Non aveva il diritto di pretendere la sua amicizia. Nick le aveva offerto un impiego. Doveva mantenerlo, facendo leva sulle sue capacità. «Guarda qui» indicò, battendo un dito su un foglio. «La produttività dell'operaio che lavora alla macchina vicina a Jake Graessle è aumentata notevolmente.» Nick le si avvicinò e dopo aver tentato inutilmente di leggere il documento dall'alto, si fermò alle sue spalle. Il profumo del suo dopobarba le colmò le narici e quando si curvò, lei si sentì avviluppare dal suo calore. «Interessante.» Sforzandosi d'ignorare la sua vicinanza, Maggie annuì. «Se il supervisore ha dei problemi con la capacità produttiva di un altro operaio, potrebbe tentare di piazzarlo accanto a Jake. Se anche il suo rendimento migliorerà, sapremo che Jake è una di quelle persone che esercitano una pressione positiva sul loro prossimo.» «Mmh» mormorò lui, raddrizzandosi. «Comunque è una buona strategia.» «Quando vuoi parlargli?» «Pensaci tu. Ti lascio l'onore di riferirgli quello che hai notato e di aiutarlo a trovare il modo migliore per sfruttare questa scoperta.» Maggie arrossì di piacere. «Davvero?» «Certo» rispose lui con voce atona. «Il posto che oc239


cupi ti offre varie opportunità. Julie preferiva il lavoro di segretaria. Tu hai ricevuto un addestramento diverso. Non intendo ostacolarti. Fai quello che ti suggerisce l'istinto, quello che pensi debba essere fatto.» Ripetendosi che il suo rancore era giustificato, ma che per lo meno Nick non metteva più in dubbio la sua capacità professionale, Maggie aspettò che si allontanasse e chiamò il supervisore di Jake. Quando l'uomo arrivò, passò quasi un'ora con lui a controllare le relazioni sulla produttività e quando George Wyman lasciò il suo ufficio era pieno di entusiasmo e di ottimismo. Non avendo altre cose da fare, Maggie prese penna e taccuino e andò nell'ufficio di Nick. Lui non alzò nemmeno la testa. «Sì?» «Se hai bisogno di me, sono libera.» Dopo un momento di silenzio, lui la guardò. «Siediti al tavolo delle conferenze. Ti raggiungo subito.» Maggie occupò il solito posto, ma lui, invece di sedersi all'angolo, le si piazzò di fronte. Il fatto che volesse mettere della distanza tra di loro la rattristò, però ancora una volta si disse che doveva accontentarsi e ringraziarlo per il lavoro che le aveva dato. Nick aprì un plico voluminoso che conteneva le correlazioni che lei aveva fatto basandosi sui dati estrapolati dal computer. Le spiegò in fretta che a lui le relazioni arrivavano mensilmente, talvolta settimanalmente, talaltra giornalmente. Stamparle tutte e portargliele sulla scrivania era un suo compito, come anche fornirgli le copie dei documenti in modo da permettergli di trovarli rapidamente quando voleva consultarli. Subito dopo le dettò delle lettere da spedire via email. Il suo tono non variò mai e nemmeno la sua espressione. Non disse niente di gradevole o di personale e sebbene lei facesse di tutto per non amareggiar240


si, la temperatura nella stanza passò da fredda a gelida. Quando ebbe finito, Nick si alzò. «È tutto. Penso che tu abbia abbastanza da fare fino al momento di andare via.» «Sì, grazie» rispose lei, lasciandolo. Arrivata alla sua scrivania, si prese la testa tra le mani. Doveva averlo bene impressionato con quella scoperta su Jake, ma lui aveva ricominciato ad affibbiarle dei lavori di segreteria. La buona impressione era stata solo momentanea. Ma che cosa ti aspetti?, si domandò. In realtà si era aspettata che lui avesse preso i cinque milioni di dollari. Si era aspettata che lui fosse soddisfatto del successo che aveva ottenuto, impiegando bene quei soldi. In quel caso, lei sarebbe stata felice di essersi sacrificata. Invece lui era arrivato al successo senza il suo aiuto e non le perdonava d'aver preso una decisione tanto importante senza averlo consultato. In tutta quella storia la perdente era lei. Alle cinque non si prese nemmeno la briga di avvertirlo che se ne andava. Il lavoro di segreteria che le aveva affibbiato era finito. Non avendo altro da fare, era inutile che restasse in ufficio. Prima di raccogliere le sue cose, chiamò suo padre e lasciò un messaggio nella segreteria ricordandogli di andarla a prendere. Aveva il suo cellulare. Non c'era ragione di aspettare a dieci metri di distanza da un uomo tanto freddo che intorno alla sua porta si stavano formando delle stalattiti di ghiaccio. Arrivata nel parcheggio assolato, si ricordò che suo padre aveva chiesto a Nick di accompagnarla al lavoro e riportarla a casa. Anche se avesse ascoltato il suo messaggio, avrebbe pensato che riguardava la settimana precedente. Doveva tornare dentro. Compì alcuni passi e si bloccò. Non voleva umiliar241


si, tornando nel suo ufficio a non fare niente, o peggio, a pregare Nick di assegnarle degli altri compiti. Aspettò un minuto sperando che qualche impiegato uscisse e le desse un passaggio, ma nessuno emerse dal palazzo. Dovevano essere andati a casa già tutti, infatti il parcheggio era deserto. Raddrizzando le spalle e imprecando contro il destino, rientrò nel palazzo. L'accordo era che avrebbero lavorato dieci ore al giorno perciò era previsto che lei restasse. E lavorasse. Non che si rigirasse le dita in attesa che Nick uscisse dal suo ufficio e le dicesse che cos'altro fare. Arrabbiata, bussò alla sua porta e fece capolino. «Mi dispiace, ma ho fatto tutto quello che mi hai chiesto» spiegò in fretta, prima di perdere il coraggio. «Puoi assegnarmi qualche altro compito da svolgere, in attesa che tu sia pronto ad andare?» «Possiamo andare subito» rispose lui, alzandosi e afferrando il cellulare e le chiavi dalla scrivania. Furibonda e piena di umiliazione, Maggie giurò che se avesse incontrato il fato, l'avrebbe preso a calci. «Non è necessario che mi porti subito a casa. Dammi solo del lavoro da svolgere, in attesa che tu sia pronto.» «Sono pronto adesso.» In verità, guardando fuori dalla finestra, Nick l'aveva vista uscire e fermarsi nel parcheggio come se aspettasse suo padre, poi voltarsi e guardare il portone come se si fosse ricordata che il suo autista era lui. Avrebbe potuto alzarsi subito e raggiungerla, invece era rimasto seduto a osservarla, perché non era pronto ad affrontarla. Quando lei gli aveva chiesto di affibbiarle dei compiti, non era riuscito a sedersi al tavolo, vicino a lei. Maggie aveva un profumo delicato. Ed era bella. La sua voce morbida gli solleticava la spina dorsale. Ave242


va dovuto compiere uno sforzo erculeo per starle vicino e dettarle le lettere. E adesso doveva accompagnarla a casa in un'auto sportiva dove le loro braccia si sarebbero sfiorate. I suoi dannati ormoni non avevano ricevuto il messaggio che adesso lei era il nemico. E questo lo rendeva furioso con se stesso. «Non volevo che interrompessi tutto per me...» Nick si sentì un verme. Era comprensibile la sua volontà di non esserle amico, ma perché tutta quella rabbia? «Non c'è problema.» «Va bene.» Maggie si voltò e di profilo lui vide la protuberanza del ventre che di solito si notava appena. Il suo orgoglio di maschio subì una profonda ferita. Il giorno che lei lo aveva lasciato, non solo si erano persi, ma avevano perso il loro bambino. Avevano perso sogni e speranze. Tutto. Se lei fosse rimasta, ci sarebbero stati degli altri bambini e a quel punto lui sarebbe stato un padre. Non un donnaiolo. Avrebbe avuto una frotta di bambini, una moglie devota, delle persone da cui tornare la sera e non una casa vuota. E quelle persone, quei valori, l'avrebbero trattenuto dov'era, invece di farlo correre a New York per divertirsi. Sarebbe stato un padre. Ma lei aveva fatto le sue scelte e lui era diventato un altro uomo. I suoi desideri erano cambiati. Le fece cenno di precederlo e la seguì alla macchina. La linea snella della sua schiena e dei fianchi lo sorprese. Durante la gravidanza non era aumentata di peso, se non pochissimo. La sua cintura era stretta, le anche morbide e i glutei alti e rotondi. Maggie si era sempre lamentata d'essere troppo magra, troppo piatta per essere sensuale, ma a lui era pia243


ciuta così com'era con quella pelle vellutata dal sapore del miele... Dannazione! Doveva smetterla di ricordare dei dettagli che facevano parte di una persona idealizzata, anzi mitizzata perché era stata il suo primo amore. Quindici anni prima l'aveva amata, ma dopo cinque anni di sofferenza e dieci vissuti da giovane ricco e felice, quella parte della sua vita era diventata polvere. Per molto tempo era stato un miscuglio tra il suo padre infedele e il fedelissimo, fiducioso diciottenne Nick Roebuk. Adesso era Nick Andreas e Nick Andreas non era un ragazzino sciocco. Appena salirono a bordo, Maggie lo ringraziò: «Ti sono molto grata». «È una sciocchezza.» Nick uscì dal parcheggio in silenzio. Durante il tragitto sino alla fattoria non sarebbe stato tanto sciocco da mettersi a chiacchierare. Le aveva già detto troppe cose di se stesso. Non voleva illuderla che tra loro andasse tutto bene e potessero essere amici. Giunti a destinazione, lei lo guardò sorridendo. «Sai, voglio dirti una cosa, dopo di che non parleremo più di argomenti personali.» Nick non replicò. Voleva farle capire che se voleva parlare era libera di farlo, ma che lui non le assicurava una risposta. «Sono orgogliosa di te. Hai raggiunto tutte le mete che ti eri prefisso.» Qualunque uomo si sarebbe inorgoglito per quel complimento, invece quelle parole lo turbarono. Di colpo gli fecero capire la ragione della sua rabbia e una fitta di dolore gli trapassò il petto. Annuì per farle capire che aveva sentito. Lei scese e lui uscì dal viale sterrato. Quando fu a distanza di sicurezza, sbatté i pugni sul volante. Adesso sapeva 244


perché era in collera con lei. Perché, nonostante fossero passati quindici anni, il fatto che lei l'avesse lasciato gli faceva ancora tanto male. Maggie se n'era andata non perché lui potesse prendere i cinque milioni, bensì perché non si era fidata di lui. Non aveva creduto in lui. La sola persona che aveva sempre pensato che sarebbe rimasta al suo fianco, l'aveva lasciato. Perché non aveva creduto in lui.

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Quella sera Nick fece la solita telefonata a Darius, ma quando suo fratello non rispose, gli lasciò detto di richiamarlo il mattino dopo. Non voleva parlare con lui quella sera. Darius era troppo perspicace. Avrebbe captato la minima nota stonata nella sua voce e gli avrebbe tirato fuori tutta la storia. E lui era stanco di rispolverare il suo passato un pezzetto alla volta. Non si trattava di mantenere un segreto, piuttosto era una questione di orgoglio. Il mattino seguente, quando Darius telefonò, Nick era più calmo. Adesso che sapeva per quale motivo non riusciva ad accettare che Maggie l'avesse lasciato, riusciva a controllare la sua rabbia e a vedere tutta la storia in una prospettiva diversa. Non era più lo stupido che non riusciva a superare il dolore dovuto all'abbandono da parte della donna che amava. Era un grande lavoratore, un uomo ambizioso che era stato messo fuori strada. La donna di cui si era fidato non aveva creduto che lui potesse diventare l'uomo che sapeva di poter essere e l'aveva messo da parte. Questa poteva essere una ragione per arrabbiarsi, ma non per restare arrabbiato all'infinito. Non si sarebbe più lasciato coinvolgere da Maggie, nemmeno come amico, però poteva lavorare insieme a lei. Diavolo, aveva bisogno di lei e se avesse continuato a vedere la 246


situazione da quel punto di vista, ci sarebbe riuscito! Quella settimana trascorse in modo tranquillo. Maggie non cercò più d'intavolare degli argomenti personali e lui le assegnò del lavoro da svolgere. Un lavoro complesso e difficile. Quello che lei voleva. Questo gli permise non solo di concentrarsi su quei compiti di cui lui solo poteva occuparsi, ma sembrò renderla felice. Non ci furono più domande insidiose, o conversazioni delicate. Persino il sabato trascorse senza che si verificassero degli incidenti. Lui era un capo molto impegnato, lei un'assistente soddisfatta, e la vita tornò a scorrere in modo normale. La domenica mattina, quando Darius lo chiamò per dirgli che le Industrie Andreas avevano urgente bisogno di lui e che lo aspettava a New York il lunedì mattina, Nick non esitò a chiamare Maggie a casa. In quel momento, indaffarato com'era, lei era solo la sua assistente. La preparazione dell'offerta per la gara era a buon punto. Poteva permettersi di assentarsi un paio di giorni. Gli rispose suo padre. «Ciao, Nick!» «Salve, Charlie. Domattina presto sono atteso a New York, così mio fratello Cade manderà un aereo per me oggi pomeriggio. Ho pensato di passare da voi per dire a Maggie quello che deve fare nei due giorni in cui starò via.» «Capisco. Vieni pure. Ti lascerò qualcosa da mangiare.» «Non disturbarti. Posso trattenermi solo due minuti, poi dovrò correre all'aeroporto.» Nick riappese e, mentre si preparava, scrisse un elenco di cose da fare per Maggie. Mentre percorreva il viale della fattoria, la sua auto sollevò una nuvola di polvere che non ebbe il tempo di 247


posarsi prima che lui balzasse fuori dalla macchina. Tenendo in mano il foglio con le istruzioni, fece per salire sotto il portico quando udì il rumore prodotto da qualcuno che si tuffava nella piscina sul retro della casa. Ricordava d'aver nuotato con Maggie in quella piscina quando avevano circa sei anni, dopo che sua mamma era morta, ma prima che Vicky entrasse nelle loro vite. Charlie faceva da bagnino e una volta, provando a tuffarsi, aveva dato una gran panciata. Essendo più rilassato riguardo a Maggie, pensò di poter perdere due minuti a punzecchiare Charlie riguardo alla sua abilità di tuffatore. Ridacchiando, fece il giro della casa e restò impietrito. Non era il vecchio Charlie, bensì Maggie che emergeva dalla piscina. L'acqua scendeva a rivoli dai suoi lunghi capelli rossi, dalle braccia e nel solco dei seni. La parte superiore del suo costume blu era provvisto di un gonnellino che nascondeva il gonfiore del ventre e la parte inferiore era così sgambata da esporre ogni centimetro delle sue gambe lunghe e snelle. Il respiro gli si bloccò. Buon Dio! Non si era dimenticato quanto fosse bella e sensuale. Ma si era dimenticato che nessuna donna stava bene in costume come lei. Maggie si voltò e, vedendolo, rimase sorpresa. «Nick? Che cosa fai qui?» domandò, frizionandosi i capelli con un asciugamano. Mentre parlava notò che lui indossava un completo scuro, una camicia bianca e una cravatta. Abbassò lo sguardo sui suoi mocassini italiani e infine sulle mattonelle bianche e bagnate che circondavano la piscina. «Sono subito da te.» «No. Non preoccuparti» la rassicurò lui, spostando i 248


piedi per non bagnarsi le scarpe. «Ho telefonato a tuo padre perché ti dicesse che sarei passato.» Maggie abbozzò un sorriso. «Dev'essersi dimenticato di riferirmelo.» Lo sguardo di Nick le scivolò sulle gambe, ma lo distolse subito per riportarlo sul suo viso. «È probabile» ammise. «Volevo parlarti un momento per dirti quale lavoro devi svolgere domani.» Buttato l'asciugamano su una sedia, lei si distese su una sdraio. «Siediti» lo invitò, indicando la sdraio più vicina. Non sapendo che cosa fare, ma soprattutto non volendo sgualcire il suo vestito e fare la figura di un imbecille, disteso sul bordo di una piscina agghindato in quel modo, Nick si sedette da un lato, accorgendosi subito di essere a pochi centimetri di distanza dal suo corpo liscio e lungo. Lei emise un sospiro, si stiracchiò e chiuse gli occhi come se godesse la carezza del sole. Lieto che lei avesse chiuso gli occhi, Nick infilò due dita nel colletto per allargarlo e poter respirare. «Io... ecco, ieri sera mi ha telefonato mio fratello Darius. C'è bisogno di me a New York.» Maggie aprì gli occhi. «Ma tu devi preparare la gara.» «Lo so, ma la settimana scorsa abbiamo fatto molti progressi e siamo in anticipo. Inoltre, ormai tu hai le idee chiare su quello che stiamo facendo. Ho scritto un elenco di cose da fare» spiegò, mostrandole il foglio di carta. «In fondo ho aggiunto il numero del mio cellulare e quello di Julie, nel caso non riuscissi a trovare qualcosa.» Maggie prese il foglio, lo scorse rapidamente e sorrise. «Va bene.» Il sole aveva dato alla sua carnagione chiara un toc249


co dorato. I suoi occhi verdi scintillavano, le sue labbra erano dischiuse nel sorriso e Nick riuscì a pensare solo che un tempo aveva potuto baciare quelle labbra, infilare le dita tra quei capelli di seta, toccare tutte quelle curve. Ma quella donna non aveva creduto in lui e adesso era solo la sua assistente, un'assistente in grado di sostituirlo durante la sua assenza. «Sei sicura?» domandò, schiarendosi la voce. «Nessuna domanda?» Lei annuì. «Nessuna. Nel caso avessi qualche dubbio, posso chiamarti.» «Oppure puoi rivolgerti a Julie» le ricordò lui in fretta. «È tornata da Las Vegas. Se non riesci a trovare qualcosa, lei saprà dirti dove cercare.» «Bene.» Nick si rimise in piedi, sentendosi un idiota. «Bene» ripeté. Disgraziatamente si alzò anche lei e gli si mise davanti. Una fiammata gl'incendiò il sangue. Non voleva eccitarsi. Credeva d'aver superato quella debolezza. Per tutta la settimana avevano lavorato insieme come una macchina bene oliata, dimenticando l'attrazione che esisteva tra loro. E adesso invece il cuore gli batteva a raffica e respirava a fatica. Negli ultimi quindici anni aveva avuto molte donne, però nessuna era paragonabile a Maggie. Aveva sempre creduto che dipendesse dal fatto che lei era stata la sua prima donna, il suo primo amore, ma il desiderio che gli mozzava il respiro era più violento, più forte... Maledizione! Doveva smetterla. Certo, lei era molto bella e gli piaceva da impazzire, ma non era superiore a tutte le donne del pianeta. Dovevano dimenticare il passato. 250


Diavolo, venti minuti prima era convinto di esserci riuscito! Con gesti impacciati, indicò la sua auto. «Allora è meglio che vada.» «Certo.» Purtroppo lei gli stava davanti. Se avesse fatto un passo indietro, sarebbe inciampato nella sdraio. Se invece fosse andato avanti, si sarebbe scontrato con lei. Quel pensiero portò con sé l'immagine del seno di lei schiacciato contro il suo petto, delle loro gambe che si toccavano, delle labbra che si univano e di colpo comprese che tutto quel tumulto interiore dipendeva dal sesso. Perché no, del resto? Lei era stupenda ed era stata la sua prima donna. Era naturale che esercitasse un'attrazione particolare su di lui. Ma i sentimenti non erano coinvolti. Era solo una fantasia. Niente di più. Si spostò di lato. «Tornerò martedì pomeriggio, o mercoledì mattina. Non lo so ancora con certezza.» «Va bene.» Lui si diresse verso la Porsche. «Nick?» Lui si voltò. «Sì?» «Grazie.» «Di che cosa?» Maggie agitò il foglio. «D'aver fiducia in me. So che non è facile per te, ma io ho bisogno di questa opportunità.» Sentendosi chiudere la gola dall'emozione, lui deglutì. Ogni volta che riusciva a convincersi che tutta la tensione che c'era tra loro fosse dovuta al sesso, lei gli ricordava che non si era mai trattato solo di sesso per loro. Anche se non l'aveva amato, erano stati amici. Grandi amici. Amici che si prendevano cura l'uno dell'altro. 251


Ma alla fine tutto era andato in fumo. Quando si era presentata l'occasione per lui di dimostrare che sapeva stare in piedi da solo, lei non si era fidata. «Non c'è di che» le rispose, andando via. Rimasta sola, Maggie strappò via l'asciugamano dalla sedia e imprecando rientrò in casa. Per undici anni aveva lavorato in vari uffici, ma non aveva mai visto nessuno così bello in un completo elegante come Nick. L'abito non aggiungeva niente alla sua avvenenza, ma ricordava a lei e al mondo intero che lui era qualcuno. Un uomo importante. Uno da rispettare. E lei si era appena comportata come una pazza. L'agitazione l'aveva costretta a distendersi su una sdraio e a invitarlo a sedersi vicino a lei. Se si fosse fermata lì, si sarebbe sentita quasi a posto. Ma no, si era stiracchiata, aveva chiuso gli occhi ed era scattata in piedi quando lui aveva cercato di andare via. Però tutto questo era successo perché lui non era stato capace di toglierle gli occhi di dosso. Ecco perché aveva commesso tante stupidaggini. Nessuno l'aveva mai guardata come Nick. Come se fosse affamato e lei un festino. Si era dimenticata quanto le fosse piaciuto vedere che lui la divorava con gli occhi. La sensazione di potere che quegli sguardi le avevano dato. Non avendo mai provato con altri uomini quelle sensazioni, aveva pensato di averle immaginate. O forse avere consapevolezza del proprio potere l'aveva fatta reagire come una donna che si sente notata da un uomo per la prima volta. Eppure, dopo quindici anni, sentiva di nuovo le stesse emozioni. Il fiotto di adrenalina. I brividi di desiderio. Basta!, s'impose. Doveva smetterla di tormentarsi e di comportarsi come una matta. Era evidente che Nick 252


non desiderava affatto essere attratto da lei, ammesso che lo fosse. Magari voleva solo vedere quanto fosse cambiata dall'epoca del loro matrimonio. O quanto si stesse arrotondando. Lavorava per lui da due settimane e il suo ventre adesso era più pronunciato. Non aveva le dimensioni di un cocomero, ma era cresciuto. Forse le differenze non si notavano, stando insieme tutti i giorni, ma vedendola fuori dall'ufficio e per di più in costume da bagno doveva essersene accorto. In ogni caso, anche se fosse stato attratto da lei, non avrebbe assecondato quell'attrazione. Il tempo era passato. Adesso lui era ricco e in città dicevano che avesse molte donne. Mentre lei aveva sposato il primo ragazzo incontrato all'università, lui era diventato un playboy. Che cosa poteva voler fare con lei un playboy?, si domandò, guardandosi il ventre. Niente. «Cade mi ha detto che questa storia con la tua ex moglie non funziona.» Seduto sui sedili posteriori della limousine di Darius, Nick guardò da Darius a Cade che ridacchiò. «Niente segreti, ricordi?» «Ho riflettuto molto su questo nostro patto e ho deciso che esiste un confine tra non avere segreti e la vita privata di una persona. Stiamo entrando nella mia sfera personale. Dobbiamo smetterla di parlare di Maggie.» «Sei incavolato perché lei ti piace ancora e non sai come muoverti.» Nick lo fulminò con un'occhiata. «Non mi piace ancora e non voglio fare una mossa. Voglio un'assistente. Voglio andare in ufficio ed essere il capo, non un ex 253


marito. Non un ex amante. Credo che ci stiamo riuscendo.» Non accennò all'emozione che lo aveva pervaso sul bordo della piscina. Era inutile parlarne, visto che non intendeva concedere dello spazio a quell'emozione. Riferì invece della proficua settimana di lavoro che avevano svolto insieme e che li faceva sembrare due persone normali. «Lei è la migliore assistente che abbia mai avuto. È tanto brava che ho messo nelle sue mani la preparazione della gara senza temere che la mia azienda vada al diavolo in un sandwich al prosciutto...» Dannazione, pensò, era la stessa espressione usata da Charlie Forsythe! Quelle due persone si stavano insinuando nella sua vita un tempo piacevole. «Mi piace essere libero di venire qui senza preoccuparmi per le Andreas Manufacturing.» La lucente limousine nera imboccò il viale che conduceva davanti all'ingresso della villa di famiglia di Montauk. Essendo il primogenito, Darius l'aveva ereditata e insieme aveva ereditato il loro fratellastro Gino, ma la casa era tanto spaziosa che c'era posto per tutti. Cade e Nick alloggiavano sempre lì quando andavano a New York. «Dunque va tutto bene» commentò Darius mentre l'autista apriva gli sportelli. «Non male come ha detto Cade.» «Cade non ha mentito. Il giorno che venne a trovarmi, la situazione era pessima, ma la marea è cambiata. Lei è perfetta. Fantastica direi.» Ecco. L'aveva detto. Adesso i suoi fratelli potevano smettere di punzecchiarlo. Darius andò alla porta. «Spero che questo significhi che possiamo cominciare a pensare di darti un ruolo ufficiale in seno alle Andreas Holdings. Assegnarti un 254


ufficio e delle responsabilità che puoi togliermi dalle spalle.» Poi, senza aspettare la risposta, entrò in casa. Nick fece per seguirlo, ma Cade gli afferrò un braccio, fermandolo. «Il fatto è questo. Darius non vuole dirtelo, ma ha bisogno che tu sia presente in ogni momento. La presidenza delle Andreas Holdings lo occupa molto; aggiungi il ruolo di dirigente delle Andreas Shipping e non gli resta un minuto libero. Lui pensa che tu voglia un lavoro part-time perciò è quello che ti propone, ma ha bisogno di te qui e io credo che dovresti trasferirti a New York. Vendi la tua casa sulla spiaggia e vieni qui.» «Definitivamente?» Nick si sentì prendere dal terrore. «E dovrei vendere la mia casa sulla spiaggia?» «Oppure puoi tenerla per i fine settimana. In ogni caso dovrai tornare una volta al mese per controllare la tua ex, dopo che l'avrai messa a capo della fabbrica.» «Maggie direttrice della mia fabbrica?» «Certo. Non dico di nominarla presidente. Dico soltanto che grazie ai fax e alle e-mail, non è necessario che tu risieda nel Nord Carolina per dirigere la tua azienda.» Nick si sentì girare la testa. Per prima cosa non aveva mai pensato di trasferirsi a New York in pianta stabile e di vendere la sua casa. In secondo luogo trasferire tutti i compiti e le responsabilità a una donna incinta... «Non posso affidarle l'intera gestione perché è incinta.» «E allora? Sta già lavorando. Le cedi il tuo comodo ufficio, la tua ancora più comoda poltrona e il divano. Diamine, metti anche la televisione e in pratica avrà un appartamento!» 255


«E che cosa succederà alla ditta mentre lei sarà in licenza di maternità?» «Ci sarai tu. Lascerai le Andreas Holdings per un periodo e io verrò a sostituirti.» «Oppure potremmo dividerci i compiti relativi alle Andreas Holdings come abbiamo sempre fatto.» «Per me non è possibile. Posso spostarmi per qualche mese mentre la tua ex è in maternità, ma venire qui una settimana ogni mese mi distrugge. Al contrario di te, non ho un'assistente che può sostituirmi. Io ho un ranch a cui pensare e un'industria petrolifera. Dovrei trovare almeno due persone. Forse quattro. Tu hai una sola ditta e ti basta una persona. Hai detto tu stesso d'aver lasciato la preparazione della gara alla tua ex perché ti fidi di lei.» Vedendo che il fratello lo fissava inebetito, Cade sospirò. «Andiamo, a te piace la vita notturna e stare con Gino ti diverte. Fai un favore a tutti e trasferisciti.» Non riuscendo ad analizzare l'idea del fratello e non volendo discutere con lui di cose che non lo riguardavano, Nick annuì. «Ci penserò.» «Pensaci in fretta.» Cade indicò con un cenno la scenetta famigliare che si vedeva attraverso la porta a vetri dell'ingresso. La bionda, graziosa Whitney stava baciando Darius prima di porgergli il piccolo Gino di un anno. Il bambino gli buttò le braccia al collo e lo strinse. «Non possiamo più accollare a Darius l'intera gestione delle Andreas Holdings. Adesso ha altre cose a cui pensare, oltre a fare soldi.» Tornando in ufficio il martedì sera tardi, Nick trovò Julie seduta al posto di Maggie. Il cuore gli sobbalzò nel petto e la paura gli accelerò i battiti cardiaci. Maggie si era licenziata? 256


Per due giorni aveva rimuginato sulla proposta di Cade e aveva quasi deciso di offrire a Maggie il lavoro della sua vita. Come poteva andarsene? E per quale ragione? La risposta gli giunse immediata. Era stato un datore di lavoro pessimo, irascibile e intrattabile. Lei aveva fatto di tutto per compiacerlo e lui l'aveva maltrattata. Tuttavia la settimana precedente avevano lavorato bene insieme... Doveva ammettere anche che quando l'aveva vista in costume, l'aveva divorata con gli occhi. Ogni volta che stavano vicini generavano una energia elettrica sufficiente a illuminare una piccola città. E lei era incinta. Forse non aveva resistito a tutta quella pressione. Anche lui ce la faceva a malapena. Stava per domandare dove fosse Maggie quando lei arrivò, correndo. «Ho visto l'auto di Nick...» Poi lo vide e s'interruppe. Con gli occhi della mente Nick la rivide emergere dalla piscina, grondante d'acqua e distendersi sulla sdraio. Provò di nuovo la tensione che aveva sentito stando in piedi davanti a lei e il respiro gli mancò. Poteva capire perché lei fosse stanca di rappresentare un oggetto di desiderio. Ma non era andata via. Era lì, pronta a lavorare. E lui la stava di nuovo divorando con gli occhi. Maggie fece un passo indietro e abbassò lo sguardo. «Non riuscivo a trovare alcune cose e ho chiamato Julie.» «Hai fatto bene.» Devo smetterla!, s'impose lui. Lei era un'impiegata capace, efficiente e manifestava una evidente insofferenza davanti alla sua incontinenza. Se non voleva perderla, doveva trattarla come la brava assistente che era. «Anzi, benissimo.» Julie intercettò il suo sguardo. «Ho controllato e ho visto che ti dovevo una settimana.» 257


«Vero» confermò lui. Agitando la bottiglia d'acqua minerale che teneva in mano, Maggie gli fece segno di seguirla nel suo ufficio. La scrivania era sommersa di fogli e di documenti. Il computer era acceso. Senza esitare un istante, lei si sedette sulla sua poltrona, batté alcuni tasti e chiamò un documento. Sembrava che il suo posto fosse quello. Era così perfetta, seduta al suo posto, che il suggerimento di Cade di nominarla direttrice generale non gli sembrò più assurdo. «Questa» annunciò lei, indicando lo schermo con orgoglio, «è la tua offerta finale per la gara.» Incredulo, Nick aggirò la scrivania. «Finale?» «Certo. È stato come il famoso uovo di Colombo.» Poi, temendo di offenderlo, aggiunse in fretta: «Non che il tuo metodo non funzionasse. Ma tu chiedevi ai vari reparti i dati più recenti dei vecchi moduli e li confrontavi con le informazioni contenute nella proposta di gara. È stato molto più semplice creare un modulo nuovo sul computer e aggiungervi i numeri che avevi annotato a mano. Specialmente da quando ho affidato a ogni reparto il compito di formulare un'offerta riguardante la sua sezione». «Decisamente molto più semplice» confermò Julie arrivando alle spalle di Nick. Lui si voltò. «Hai lavorato anche tu su questa idea?» «Ho solo monitorato. È stata Maggie ad assegnarci i compiti, a dire ai tecnici di creare il nuovo documento e a compilarlo.» Lui guardò Maggie. «Dunque la responsabile sei tu.» «Solo se ti soddisfa» mormorò lei, arrossendo. «Sono sbalordito. Ma non mi dichiarerò soddisfatto a meno che l'offerta sia giusta. Non intendo accontentarmi della tua parola.» 258


«Certo.» Maggie balzò in piedi. «Puoi cominciare a leggere subito.» Cercò di girargli intorno, ma lo spazio era limitato e la rotondità del ventre un ostacolo. Alla fine si trovarono faccia a faccia. Lei alzò lo sguardo. Lui lo abbassò. Maggie non poté nascondere il lampo che le accendeva gli occhi verdi, o il leggero trasalimento. Nick ne fu sorpreso. Lei era attratta da lui, come lo era lui da lei? La scrutò intensamente. Lo era. Adesso nessuno dei due poteva negarlo. I loro sguardi rimasero agganciati più a lungo del necessario e una sensazione strana passò tra loro. Di colpo erano di nuovo la Maggie Forsythe e il Nick Roebuck che da amici erano diventati amanti. Ma anche le nuove persone che erano diventate sentivano quell'attrazione. E un legame. Questo spiegava perché si era tanto arrabbiato sapendo come la trattava il suo ex marito. Si era sempre sentito legato a lei. Responsabile per lei. Non come se dovesse solo proteggerla, bensì come se lei fosse l'altra metà di un intero che dovevano creare. In un certo senso, negli ultimi quindici anni senza di lei, si era sentito un po' perso. Ma era sbagliato. Solo un pazzo si sentiva perso senza la donna che non aveva creduto in lui. Soprattutto uno come lui la cui arma più importante era la fiducia in se stesso. Muovendosi in fretta si spostò a destra e lei a sinistra. Julie andò alla porta. «Sono quasi le cinque, perciò vado a casa. Anzi, dato che la gara è pronta, non c'è ragione che torni domani. A meno che tu non voglia che io lavori anche gli altri giorni che ti devo.» 259


«No. Va bene così» rispose Nick, sorridendo. «Grazie di essere venuta a dare una mano. Ritengo saldato il tuo debito.» «Mille grazie.» Julie se ne andò e lui si girò a guardare Maggie che si era seduta davanti a lui e sorrideva timidamente. Comprendere quello che stava succedendo tra loro lo aiutò a controllarsi, ma rinfocolò la sua rabbia. Si rifiutava di sentirsi legato a una donna che non credeva in lui. Che non aveva creduto che lui potesse realizzare i suoi sogni. Lei l'aveva lasciato molti anni prima e il bambino che adesso portava nel grembo non era suo. In più suo fratello aveva bisogno di lui e lui aspirava a iniziare una nuova vita. Come Cade aveva detto, gli piaceva la vita notturna e voleva divertirsi. Se Maggie aveva davvero terminato la preparazione dell'offerta, aveva dimostrato di essere qualificata per assumersi la guida della Andreas Manufacturing. Lui era libero di andarsene e lei sarebbe diventata il capo, lasciando a lui solo le decisioni finali. Sarebbero stati tutti contenti. Sempre che lei avesse completato il lavoro. Cercò di leggere le pagine sullo schermo, però non riuscì a concentrarsi. Guardò Maggie che attendeva il suo verdetto e udì la porta d'ingresso che si chiudeva. Julie era andata via. Benissimo. Adesso erano soli. Ma tra loro c'era una solida scrivania e lui aveva mille ragioni per starle lontano. Stava per offrirle un lavoro importante e a quel punto, sapendo che i suoi problemi economici erano risolti, non si sarebbe più preoccupato per lei. Non avrebbe rovinato tutto, cedendo a un desiderio epidermico. Desiderando stare più comodo, si alzò, si tolse la 260


giacca e poi, tornando a sedersi, si sbottonò i polsini della camicia. «Hai per caso una copia stampata di questo documento?» domandò. Maggie balzò in piedi. «Certo.» Corse nel suo ufficio e tornò con un plico che gli diede. Erano di nuovo uno davanti all'altro, ma per lo meno tra loro stava una consistente risma di carta. Quando i loro sguardi s'incrociarono, l'aria divenne irrespirabile, ma lui ricordò a se stesso che avendo trovato il modo di prendersi cura di lei, non avrebbe più dovuto preoccuparsi. «Benissimo. Comincerò subito a leggere» annunciò, spostandosi al tavolo delle conferenze che era più spazioso. Maggie prese il suo taccuino e lo seguì. «Mi siederò qui, così se troverai degli errori, mi dirai la pagina e io prenderò nota. Possiamo inviare la correzione al reparto interessato che provvederà a inserirla.» «Ha funzionato davvero chiedere a ogni sezione di formulare la sua previsione di costi?» «I supervisori erano felici di questa opportunità. Dicono tutti che tu fai troppo. Che potresti delegare dei compiti a qualcuno e avere più tempo per te stesso.» Nick ridacchiò. Il fato sembrava spingerlo fuori dalla porta della sua ditta. Mentre lei prendeva posto all'angolo del tavolo, Nick lesse le pagine introduttive, nelle quali si rispondeva alle domande sull'azienda e dovette ammettere d'essere impressionato. Le risposte erano brevi e concise. «Chi le ha scritte?» domandò, indicando lo schermo. «Io.» Giusto. Solo lei aveva delle conoscenze che nessun altro nella fabbrica aveva. Ma la sua concisione derivava soprattutto dal fatto che non era andata a smuo261


vere delle acque fangose per ricavare delle informazioni non necessarie. Riprese a leggere con il piede di lei, calzato in un sandalo, a pochi centimetri dalla sua gamba. Così non funzionava. «I capireparto ti hanno dato una documentazione che giustifichi le cifre?» «Sì!» Maggie si precipitò nel suo ufficio e tornò con una pila di fogli così spessa che se lui avesse dovuto leggere tutti i dati, sarebbe rimasto lì fino al mattino dopo. Tuttavia andava bene. Poteva avvalersi di quella scusa per mandarla a casa, dicendole che avrebbe annotato gli eventuali problemi perché aveva bisogno di stare solo per concentrarsi e leggere. Proprio così. Quando lei posò i fogli sul tavolo, Nick si alzò. «Molto bene. Visto che ho tutto quello che mi serve per controllare, puoi andare a casa.» «Andare a casa? Pensavo di prendere nota dei problemi.» Erano di nuovo uno davanti all'altro, troppo vicini. Nick pensò di fare un passo indietro, ma non volle sembrarle un cretino. «No. Non ti voglio qui. Tu hai creato questo, perciò non puoi essere imparziale. Vai a casa. In questi ultimi giorni hai lavorato molto e ormai sono le cinque passate. Vai. Io sono a posto.» Gli occhi verdi di lei si colmarono di paura e Nick si sentì male. Non voleva vederla spaventata, soprattutto perché non aveva motivo di temere. Diamine, stava prendendo in considerazione l'idea di promuoverla! «Hai svolto un lavoro eccellente» disse, cercando di rassicurarla. Maggie continuò a fissarlo e lui si accorse che il suo sguardo si era addolcito e non esprimeva più paura. Lo 262


fissava perché era tormentata come lui a causa di quella terribile attrazione che non voleva abbandonarli. Era sbagliato e lo sapeva, ma la sua testa si abbassò. Lei sollevò il viso e fece un passo avanti. Le loro labbra si unirono e una marea di dolci ricordi si riversò su di lui. Quella era Maggie. La sua dolce, dolce Maggie. Prendendole la testa tra le mani, approfondì il bacio, bevendo alla sua fonte come un assetato beve a una sorgente. Le labbra di lei si aprirono, emettendo quello che sembrava un gemito di piacere. Lui non lo notò, non gl'importò, ma ne approfittò per affondare la lingua nella sua bocca. Questa volta lei gemette e quel suono femminile di piacere gli colmò le orecchie. Mille sensazioni lo bombardarono, ciascuna legata a un ricordo. Il ruggito dell'oceano. La luminosità del sole. Il sapore dell'innocenza. Nick si permise di gustare quel momento e di tornare con la mente al tempo idilliaco che aveva creduto sarebbe durato per sempre. Ma quando la sua mano scese dalla spalla dentro il colletto della sua camicetta, il suo buonsenso prevalse. Un bacio era una cosa, toccare un'altra. Si staccò da lei e i loro corpi si separarono adagio. I loro respiri avevano un suono aspro. Che cosa doveva dire, o fare?, si chiese Nick. Si sentiva vivo dentro. Ma era vero, o il bacio li aveva riportati indietro, lungo il sentiero della memoria? Quello che sentiva era un riflesso di quello che aspettava di sentire giungere dal passato? Doveva essere così. Non conosceva la nuova Maggie per volerla tanto. Il bacio aveva testimoniato solo la loro attrazione. La reazione chimica che baciandosi avevano sempre 263


innestato. Indulgere in quell'errore avrebbe rovinato un piano altrimenti perfetto. «Mi dispiace.» «Ti dispiace?» fece eco lei, sorpresa. «Sai che non possiamo permetterci questi cedimenti.» «Perché lavoriamo insieme?» Nick fece un passo indietro. Non poteva dirle che voleva promuoverla, non prima di aver controllato l'offerta di garae di aver indagato un po' più a fondo sui lavori che lei aveva svolto in passato. Così si attenne alla scusa che le aveva già ammannito. «Per quel motivo e anche perché noi due non ci conosciamo più. E forse è meglio che non cerchiamo di conoscerci. Tu hai bisogno di questo impiego e io ho bisogno di te. Abbiamo alle spalle un passato che probabilmente non riusciremmo a sopportare, anche se scoprissimo di piacerci. Ti propongo di dimenticare quello che è successo. Che cosa ne dici?» Maggie lo studiò con occhi tristi e lui si sentì un imbecille. Era stato lui a baciarla per primo. Poi aveva liquidato il bacio come se la colpa fosse di entrambi. Sperando di alleggerire la tensione, allargò le braccia. «Va bene. Sono stato io a sbagliare. Non so che cosa mi sia preso, ma ho sbagliato.» Poi si allontanò, aggirò il tavolo delle conferenze e si sedette dietro la sua scrivania. «Tornatene a casa, Maggie. Voglio controllare tutto senza interruzioni. Ne parleremo domattina.»

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9

Il mercoledì mattina la costa della Carolina fu investita da una pioggia torrenziale. Quando Nick arrivò in ufficio, Maggie aveva già appeso il suo impermeabile all'attaccapanni e acceso il computer. «È meglio che prendi il tuo block notes e mi segui» le disse, precipitandosi nel suo ufficio. «Sono riuscito a revisionare solo metà dell'offerta di gara e ci sono dei problemi. Non cose gravi, ma puntualizzazioni che dobbiamo fare questa mattina.» Preoccupata e confusa, lei lo seguì e si sedette al tavolo delle conferenze. La sera precedente Nick l'aveva baciata per pura curiosità. La tensione sessuale tra loro era così forte, che aveva voluto capirne la causa. Si era aspettata quel bacio e anche l'immediata fiammata di passione che l'aveva incendiata. L'emozione che invece l'aveva sorpresa era stata la speranza che avvenisse un miracolo. Che lui non l'avesse baciata per curiosità, bensì spinto da un impulso incontrollabile e dalla marea dei ricordi. Ma lei l'aveva ferito e per questo si era interrotto. Nick non aveva mai superato il fatto che lei l'avesse lasciato. Era troppo orgoglioso per perdonarla. Le sue speranze erano assurde. Nick si sedette. «Ieri ho dato un'occhiata al tuo curriculum. Non hai mai preparato una gara. Come hai fatto a capire quali dati ti servivano e in quale ordine?» 265


Maggie si strinse nelle spalle. «Ho analizzato decine di gare, forse un centinaio, e mi sono resa conto che se una ditta non ottiene l'appalto c'è sempre qualcosa che non va nella formulazione della gara, oppure nell'offerta che fa. La tua proposta è fantastica» aggiunse, sorridendo. «Mi è bastato perfezionare alcuni punti. Capisco come mai ogni cinque anni ottieni un appalto. La Andreas Manufacturing è una ditta favolosa.» Nick tossì, come faceva da ragazzo, per mascherare l'imbarazzo dovuto a quel complimento. «Non puoi non sapere che sei bravo.» I loro sguardi s'incrociarono e notando quanto lui sembrasse guardingo, Maggie si avvilì. Era chiaro che rimpiangeva d'averla baciata. «Ho steso una lista dei problemi che ho rilevato. Desidero parlare direttamente con i supervisori, ma vorrei che tu presenziassi alla riunione.» «Davvero?» domandò lei, sorpresa. Nick guardò altrove. «Questo è l'elenco dei caporeparto che desidero incontrare» dichiarò, porgendole un foglio. «Il tuo compito è convocare tutti e dare loro un appuntamento.» Maggie si protese in avanti per prendere il foglio e le loro spalle si toccarono. Lui si ritirò di colpo e lei sentì che le sue speranze morivano. Nick non voleva essere attratto da lei ed era un uomo forte e determinato. Poteva ignorare una stupida attrazione fisica anche se dopo quindici anni ne era ancora succube. «Fissa un'ora per ogni reparto con un'interruzione da mezzogiorno all'una, cosicché riusciremo a parlare con tutti in una sola giornata.» Tornata nel suo ufficio fece la prima telefonata, continuando a pensare a lui. Adesso che sapeva che Nick non aveva accettato il fondo fiduciario, la curiosità di sapere che cosa sarebbe potuto succedere era ancora più 266


tormentosa. Se suo padre non gli avesse offerto cinque milioni di dollari. Se lei non avesse udito la sua conversazione con l'avvocato e non si fosse sentita in colpa perché per amore suo Nick rifiutava i soldi. Se, se, se... Continuare a pensarci era stupido. Erano passati quindici anni. Quindici anni. Poteva solo immaginare come sarebbe stato il loro matrimonio se fossero rimasti insieme. «Sì, Maggie? Che cosa c'è?» La voce di Mark Nelson la fece sobbalzare. Premendosi una mano sul petto, lei cercò di rispondere con calma. «Nick vuole vederti nel suo ufficio. Dedicherà un'ora a ogni reparto. Tu sei il primo convocato.» «Vado.» «Molto bene» commentò lei, depennando il suo nome dalla lista e sbirciando di nuovo nell'ufficio di Nick. Perché non riusciva a dimenticarlo? Quella sera Nick rimase in ufficio fino alle undici. Mandò Maggie a casa alle sette, assicurandole che sarebbe uscito subito dopo, pur sapendo di mentire. Cade aveva ragione. Maggie gli piaceva ancora da impazzire. Prima o poi non avrebbe resistito e l'avrebbe sedotta. E poi? L'avrebbe fatta soffrire? L'avrebbe costretta a dimettersi, perdendo una direttrice potenziale? Non poteva ferirla e privarla di un lavoro di cui aveva bisogno. Era lui che doveva muoversi. Darius aveva bisogno di lui. Appena arrivò a casa, lo chiamò. «Ehi, è quasi notte fonda.» Lieto di udire la voce di suo fratello, Nick si rilassò. «Sì. Spero di non aver svegliato nessuno.» «L'unico che dorme è Gino. Whitney è seduta sul divano accanto a me e legge delle deposizioni. Ti saluta.» «Ricambio.» 267


«Che cos'è successo?» domandò Darius. «Cade ha ragione. Il mio posto è accanto a te alle Andreas Holdings.» «Caspita!» «Ci penso da un po' di giorni. Tornando a casa ho trovato che Maggie ha completato l'offerta per la gara.» Darius rise. «Incredibile!» «Già. Cade pensa che sia pronta per prendere il mio posto come direttrice generale, lasciando a me le decisioni finali.» «Allora qual è il problema?» «Non ha esperienza in questo campo. Non ha mai gestito una fabbrica. Prima era un'ottima analista.» «Se quello che le difetta è un'esperienza pratica, addestrala.» «Non voglio dirle che sto pensando di offrirle quel ruolo se prima non ho verificato che sia all'altezza.» «Non esistono delle garanzie. Devi gettarti e correre il rischio.» «Lo so, ma la situazione è delicata.» Nick si passò le dita tra i capelli. «Ho paura di vedere in lei delle capacità che non ha perché desidero promuoverla e offrirle un'opportunità.» «Strano» commentò Darius. «Quando eri qui ci hai assicurato che non provavi niente per lei.» Nick chiuse gli occhi. Non poteva confidarsi. C'erano delle cose che un uomo doveva tenere per sé. «È incinta e non ha un soldo. Sarei senza cuore se non provassi qualcosa per lei.» «Pietà?» No, Maggie avrebbe rifiutato la sua pietà. «Direi più una specie d'indignazione. Non meritava davvero quello che le è successo dopo che ci siamo lasciati. Vorrei che lei avesse successo.» «Fai una cosa. Portala qui per il compleanno di Gino. 268


Parlerò con lei cercando di valutare le sue capacità senza che se ne renda conto. Di certo sarò più obiettivo di te.» «Sarebbe fantastico, ma come faccio a portarla lì? Dovrei dirle che mio fratello, che non l'ha mai vista, vuole che sia presente alla festa per il compleanno di Gino.» «Dille che noi fratelli ci riuniremo per dividerci le rispettive quote delle Andreas Holdings e che lei dovrebbe prendere degli appunti.» Era un'idea fantastica. Inoltre gli faceva piacere partecipare alla festa di Gino. Gli piaceva stare con i bambini e fare tutte quelle cose che fa un genitore. Cominciava a rimpiangere di non avere dei figli, ma con Gino nella famiglia non dovevano preoccuparsi di non avere un erede. «D'accordo. Mi sembra un buon piano. Verremo.» Il mattino dopo, arrivando nel parcheggio della Andreas Manufacturing, Nick vide Maggie che stava entrando nell'edificio. Affrettando il passo, la raggiunse e le tenne aperta la porta. «Grazie.» «Non c'è di che.» Sorpresa dal suo comportamento, lei si chiese che cosa dovesse fare. Camminare al suo fianco? Chiacchierare? Lo desiderava. Dio sapeva quali speranze rinascessero in lei ogni volta che lo vedeva! Forse, concedendogli del tempo, lui l'avrebbe perdonata. E dopo? Era pronta per tornare insieme a lui? Aveva superato l'amarezza dovuta a Josh? La risposta era facile. Josh l'aveva abbandonata e non aveva voluto riconoscere suo figlio. L'amore che aveva nutrito per lui era morto da un pezzo. Ma era pronta ad andare avanti? Sciocca, si disse. An269


che se lo fosse stata, Nick non sarebbe stato d'accordo. Era capacissimo di mostrarsi gentile, tenerle aperta la porta, poi chiudersi nel suo ufficio e non rivolgerle più la parola. Sperare era da stupidi. Arrivati in ufficio, lui si diresse verso il suo, poi si fermò. «Ieri sera ho parlato con mio fratello Darius. Sta organizzando una festa per il primo compleanno di Gino, il nostro fratellastro, e vorrebbe che tu partecipassi.» Il cuore le si fermò. La sua famiglia la invitava a una festa? «Sabato mattina noi fratelli ci riuniremo per prendere delle decisioni importanti e nessuna segretaria delle Andreas Holdings può intervenire perché nascerebbe un conflitto d'interessi. Darius ha suggerito d'invitarti in modo che tu possa trascrivere quello che diremo.» La delusione fu dolorosa. Quando avrebbe imparato che quell'uomo non la voleva? «Io... io...» Nick le guardò il ventre. «Scusa. Dimenticavo che forse non puoi viaggiare.» «Posso viaggiare.» «Oh.» Era chiaro che Nick non capiva perché esitasse. Lei era la sua assistente, quella che poteva prendere degli appunti senza creare un conflitto d'interessi, perciò se lui voleva portarla a New York, ci sarebbe andata. «Verrò con piacere. Ringrazia tuo fratello per l'invito.» «Bene.» Nick tornò a voltarsi verso la porta. «Partiremo domattina e alloggeremo a Montauk, nella proprietà di famiglia. Porta l'occorrente per la spiaggia.» La spiaggia! Maggie si emozionò. Viveva vicino al mare, ma non riusciva quasi mai ad andarci. Chissà? Forse quel fine settimana sarebbe stato un po' una vacanza. Maggie incontrò Nick nel piccolo aeroporto privato a pochi chilometri da Ocean Palms. 270


Un aereo soltanto era fermo sulla pista, in attesa, e Nick era in piedi lì vicino. «Caspita!» esclamò lei, raggiungendolo. «Dunque è così che vive l'altra metà.» Lui le tolse di mano la valigetta e la consegnò a un tizio in divisa. Poi le fece segno di salire a bordo. «È così che vive mio fratello Cade. È lui il multimilionario della famiglia. Mi ha messo a disposizione il suo aereo per il prossimo anno.» Maggie sbarrò gli occhi. «Per un anno? È molto generoso.» «Ne ha altri sei. Non si accorgerà nemmeno che questo gli manca.» Sette aerei? L'enorme ricchezza degli Andreas non finiva mai di stupirla. Come poteva sperare di essere la donna adatta a Nick? All'interno la fusoliera del velivolo sembrava un salotto con tanto di divani e mobile bar. «Se ti domandi perché lo spazio è così esiguo» le spiegò lui, notando il suo stupore, «è perché nella parte posteriore ci sono un ufficio e una camera da letto.» «Santo cielo!» «Cade non si ferma mai. Scommetto che quando vola, lavora o dorme. Non spreca nemmeno un minuto.» Appena il velivolo si alzò in volo, Nick slacciò la cintura di sicurezza e si avvinò al bar. «Vuoi bere qualcosa?» Lei esitò. «Non credo che...» «Abbiamo dei succhi di frutta. Non solo alcolici.» Maggie scosse la testa. «Il volo è lungo. Non voglio dovermi alzare molte volte per andare in bagno.» «Come preferisci.» «Dunque tu hai un fratello piccolo» commentò lei, quando Nick tornò a sedersi con in mano un bicchiere. Con sua sorpresa lui scoppiò a ridere. «È stata una 271


cosa incredibile. Abbiamo saputo che nostro padre aveva un altro figlio solo quando l'avvocato ha letto il testamento. Gino è stato affidato a Darius e ha ereditato una parte uguale delle Industrie Andreas.» «La cosa ti ha irritato?» «No. Non ho bisogno di soldi e non m'importa che la torta sia divisa in molte parti. Tra l'altro» aggiunse con un tenero sorriso, «quel piccolino è adorabile.» Ah! Bene. A Nick piacevano i bambini. «Ed è un vero Andreas» continuò lui. «Occhi e capelli scuri e robusto come un torello. Se non sapessi che erediterà le Andreas Holdings, direi che potrebbe fare il calciatore.» Percependo una nota di orgoglio nella sua voce, Maggie sorrise. «Sembra delizioso.» «Lo vedrai. È alla sua festa che stiamo andando. Forse...» aggiunse, indicando il suo ventre, «potresti chiedere a Whitney di farti esercitare.» «Forse» convenne lei, sorridendo. Era doloroso constatare quanto lui fosse affezionato al fratellino. Pensando al bambino che avevano perso, Maggie s'immalinconì. Aveva sempre saputo che Nick sarebbe stato un padre meraviglioso. Vedendolo aprire la sua ventiquattrore e tirare fuori dei fogli, sollevò una mano. «Perché non vai nell'ufficio? Starai più comodo» gli suggerì. «Sei sicura?» domandò lui, incerto. «Sicurissima. Sto bene.» Nick si alzò. «Se avrò bisogno di te, ti chiamerò.» «Va bene.» Dieci minuti dopo Maggie si addormentò e si svegliò solo quando Nick le scrollò una spalla. «Stiamo per atterrare. Devi allacciarti la cintura di sicurezza.» Aprendo piano gli occhi, Maggie si ritrovò a pochi 272


centimetri soltanto dal suo viso. La sua espressione era dolce, la voce carezzevole. Come se si fosse accorto di essersi fatto cogliere impreparato, lui si raddrizzò di colpo e spostò lo sguardo altrove. Maggie cercò di non emozionarsi. Molte persone guardavano con tenerezza le persone che dormivano, tuttavia lui l'aveva invitata nella sua casa di famiglia quando, per prendere nota della riunione con i suoi fratelli, avrebbero potuto avvalersi di una segretaria esterna. Per quanto fosse pazzesco non riusciva a togliersi dalla testa che stesse succedendo qualcosa. Atterrarono in un aeroporto privato. Una limousine nera li stava aspettando. Lì accanto, in piedi, c'erano una bella donna bionda ed elegante e un uomo alto e bruno che teneva in braccio un bambino. Tutti e tre portavano degli occhiali da sole e questo la fece ridere. Nick scese per primo e mentre Maggie lo seguiva, aiutata da lui, il terzetto andò loro incontro. «Darius, Whitney, Gino» annunciò Nick. «Questa è Maggie.» «Salve» salutò lei. Il bambino era così bello e aveva un'aria così felice che avrebbe voluto abbracciarlo. «È adorabile» mormorò. Gino rise e quel suono le scese nel cuore. Non vedeva l'ora di udire i gridolini di suo figlio. Di avere qualcuno che le volesse bene senza condizioni. «A noi piace» assicurò Darius, sollevando Gino che balbettò qualcosa di molto simile a papà. Whitney strinse la mano di Maggie e le guardò il ventre. «Sei incinta» constatò. «Sì. Mancano poco più di due mesi al parto.» Cingendole una spalla con un braccio, Whitney la guidò verso la limousine. «Devi essere molto emozionata. Darius e io pensiamo di dare un fratellino a Gino 273


prima che si abitui a essere un figlio unico troppo viziato.» Maggie si guardò intorno. L'aeroporto era lindo e deserto. Di certo apparteneva agli Andreas. «Credo che non esista una sola possibilità che Gino cresca senza essere viziato.» Whitney rise allegramente. «Ti sorprenderebbe sapere come sono brava a impedire che si vizi troppo.» L'autista aprì gli sportelli e mentre Whitney saliva a bordo, Maggie cercò Nick con lo sguardo. Lui le arrivò subito accanto. «Tutto bene?» Sì, pensò lei, annuendo. Era solo esterrefatta da tutto il lusso che vedeva. Ma... come aveva fatto lui a percepirlo? Stavano ritrovando l'antica sintonia? Sì. La risposta le giunse immediata. C'era sempre stato qualcosa di speciale tra loro, una sorta di collegamento invisibile. Mentiva a se stessa se pensava di poterlo ignorare. Che lo volesse o no, lei e Nick stavano riallacciando il rapporto. Lei, almeno, lo capiva. Nick... Si guardò intorno. L'aveva invitata a conoscere la sua famiglia. Le era stato sempre vicino... Quel viaggio aveva un significato diverso da ciò che le aveva fatto capire? Forse era lei quella che esitava, non essendo sicura di essere pronta, quando in verità non importava che lo fosse. Lei e Nick erano una forza della natura e se lui si stava di nuovo innamorando, allora non avrebbe più avuto dubbi. «Sto bene» rispose. «Volevo solo essere sicura di non salire sulla limousine sbagliata.» Lui rise. «Spiritosa» commentò, aiutandola a sistemarsi sull'ampio sedile di pelle. I finestrini erano oscurati, il bar discreto, l'atmosfera così rilassante che avrebbe potuto schiacciare un altro pisolino. Appena gli sportelli vennero chiusi, Darius le sorrise. «Grazie, Maggie, di aver accettato di venire qui e di 274


prendere appunti durante la riunione che faremo domattina.» «È un piacere per me» assicurò lei. «Non vedo l'ora di vedere la vostra casa. Abito anch'io vicino alla spiaggia, eppure non ci vado mai. Domattina voglio fare una bella passeggiata in riva al mare.» «Se vuoi, verrò con te» si offrì Whitney. «Non importa. Non andrò tanto lontano da perdermi e di certo non potrò imboccare qualche traversa.» Darius rise. «Mi piacciono le persone che hanno uno spiccato senso umoristico.» Maggie sorrise, ma vide che Nick mandava al fratello un messaggio con gli occhi. Credendo di interpretarlo bene, avvertì una stretta al cuore. Quella gente l'aveva invitata perché prendesse delle note e partecipasse alla festa di compleanno, però voleva escluderla. Oh, Dio! Nick doveva aver detto qualcosa su di lei che li aveva allarmati. D'accordo, l'aveva fatto soffrire, ma non potevano escluderla affinché non lo ferisse di nuovo.

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Quando giunsero alla stupenda villa della famiglia Andreas, molte persone entravano e uscivano con aria indaffarata. Erano tutti vestiti in bianco e nero e sembravano degli scacchi mossi a caso sul pavimento del loro stesso colore dell'atrio. «Stanno preparando la festa di sabato» spiegò Whitney, sorridendo. «Hai bisogno di un esercito di inservienti per il primo compleanno di un bambino?» domandò Nick. «No, sciocco. La festa di compleanno si terrà domenica pomeriggio. Sabato sera Darius e io elargiremo un somma cospicua a nome di Gino a una delle tre opere di beneficenza che abbiamo fondato, e vogliamo ringraziare gli altri donatori con un ballo.» Nick notò che Maggie impallidiva e, spaventato, le afferrò un braccio. «Ci sarà un ballo?» sussurrò lei, sconvolta. «Con solo duecento invitati» rispose Whitney, osservandola con aria preoccupata. «Niente di grandioso.» Maggie emise un sospiro e si posò le mani sul ventre. Nick per poco non ebbe un infarto. Ricordava il giorno in cui lei aveva abortito. Era stato improvviso e imprevedibile. «Maggie?» 276


«Io non... Ecco ho portato solo un costume e un prendisole.» Inondato dal sollievo, Nick vide che Whitney si volgeva verso Darius. «Non hai detto loro del ballo?» Lui trasalì. «Spiacente. Temo d'averlo dimenticato.» «Nessun problema.» Whitney sorrise a Maggie. «Noi due andremo a fare delle spese.» «Ma io...» «Fallo per me. Non sono mai andata in giro per i negozi con un'amica.» Whitney la prese sottobraccio e la guidò su per la scala. «Per prima cosa voglio che ti sistemi. Puoi fare un pisolino, un bagno, o una passeggiata lungo la spiaggia. Quando sarai pronta, andremo a fare delle compere.» Dieci minuti dopo Maggie era nella sua camera da letto e metteva a posto le poche cose che si era portata. La stanza era rivestita di seta color avorio e sulla coperta del letto, dello stesso tessuto, erano disposti dei cuscini di pizzo. Le tende anch'esse di seta color avorio erano aperte per offrire una splendida veduta del mare. Davanti alla camera da letto c'era il salotto. Poltrone e divano erano rivestiti di velluto verde salvia e i mobili erano di ciliegio. Camera da letto, salotto e bagno erano più grandi del primo appartamento in cui aveva abitato. Guardando i calzoni corti, le magliette e i jeans che aveva tirato fuori dalla valigia, Maggie emise un gemito. Era necessario che uscisse per comprare qualcosa di adatto a un ballo, ma le dispiaceva spendere dei soldi che non aveva per un abito che avrebbe indossato una sola volta. Quando l'avrebbero invitata di nuovo a un ballo? Mentre rifletteva, sconsolata, qualcuno bussò alla porta. Pensando che fosse una cameriera invitò a entrare e con suo stupore vide apparire Nick. «Mi dispiace tanto» fu la prima cosa che disse. Sapendo che alludeva al ballo, lei scosse la testa. 277


«Non importa. Non immaginavo che organizzassero un ballo di beneficenza subito prima della festa di compleanno di un bambino.» «A Whitney è morta una figlioletta di pochi anni. Ci tiene molto a fare qualcosa per i bambini.» Maggie si premette una mano sul petto. «Oddio, quanto mi dispiace.» «Adesso sta bene. La cosa migliore è non accennare al passato. Resta il fatto che tu non hai un vestito per il ballo.» Mortificato, Nick le si avvicinò e lei si accorse che fra tanta gente estranea, lui era l'unico che conosceva e con cui si sentiva a suo agio. «Tua cognata si è offerta di rimediare.» Nick rise e lei si sentì inondare di gioia. Era bello trovarsi da sola con lui in un campo neutrale. Lui non temeva di dare adito a dei pettegolezzi e lei non doveva preoccuparsi di quello che pensavano le persone che conoscevano la loro storia. Lì, dove poteva essere se stesso, Nick dimostrava di tenere a lei. La strada che avrebbero dovuto percorrere insieme si presentava ardua, ma se lui avesse dimostrato di muoversi in quella direzione, l'avrebbe seguito senza indugio. Certo la disturbava il pensiero che lui l'avesse portata a Montauk per farla valutare dai suoi famigliari. E non le piaceva sentire di non fare parte di quell'ambiente, ma lei e Nick non vivevano lì. Abitavano in una piccola città vicino al mare, i cui abitanti si salutavano anche se non si conoscevano e non portavano delle uniformi bianche e nere. «Non ti preoccupare.» «In ogni caso...» Lui tirò fuori il portafoglio e sfilò una carta di credito. «Prendila. Conosco i gusti di Whitney. Non potresti permetterti l'abito che ti suggerirà.» Maggie si morsicò le labbra. Quell'offerta la umiliava. 278


Era doloroso non poter affrontare nemmeno la spesa di un vestito elegante. Aveva lavorato per tutta la vita, risparmiando mentre il suo ex marito scialacquava... «Ho la mia carta di credito» mormorò, spostando dietro la spalla una ciocca dei suoi lunghi capelli. «Sì, ma non vogliamo caricarci di debiti.» Lei rise. Nick non se n'era accorto, ma parlava al plurale. Che peccato aver sposato un cretino ed essere rimasta con lui dieci anni. Avrebbe avuto il coraggio e la forza di ricominciare con Nick? Poi, commossa, si sentì colmare d'amore per la sua dolcezza. Amore puro. Amore semplice. Quello che si prova una sola volta nella vita. E quell'amore, adesso ne era certa, era sempre rimasto dentro di lei. Non l'aveva mai lasciata. Era quella la realtà che doveva affrontare. Lo amava. L'aveva sempre amato. E non aveva idea di quello che sentiva lui. Forse si stava innamorando. Forse aspettava il giudizio dei suoi famigliari. Oppure lei si stava immaginando tutto. Raddrizzando le spalle, respinse la sua carta di credito. Non intendeva accettare soldi, regali, niente da lui prima di capire che cosa stesse succedendo tra loro. «Va bene così.» Nick guardò la sua carta di credito, poi il suo viso. Lei tentò un sorrisetto e funzionò, perché sospirando la rimise in tasca. «Va bene. Fai come preferisci, ma se qualcosa va storto, hai il numero del mio cellulare.» Nell'ufficio del primo piano, Nick si lasciò cadere sul divano. Seduto dietro la sua scrivania, Darius stava parlando al telefono. Terminata la conversazione, si alzò. «Qualcosa da bere?» 279


«No. È troppo presto.» Darius rise. «Questo è un buon segno. Il giorno in cui Maggie ha cominciato a lavorare per te, ti ho sorpreso a bere di pomeriggio.» Nick sbuffò. «Erano le cinque passate.» «Come vuoi.» Darius si sedette vicino a lui sul divano. «Maggie mi piace.» «Piace a tutti.» «Un uomo può fare molto peggio.» «Che cosa vuoi dire?» «Andiamo! Sai che ti piace. Nella limousine l'hai covata con gli occhi tutto il tempo.» «È incinta e si ritrova in un posto che non conosce» replicò Nick, accalorandosi. «Lo farei per qualunque assistente.» Darius rise di nuovo e si alzò. «Se non ne vuoi parlare, ho qui tre contratti che dovresti vedere.» Andò a prenderli dalla scrivania, ma Nick non riuscì a concentrarsi. Non aveva covato Maggie con gli occhi. Era stato premuroso. Tuttavia aveva dato a suo fratello un'idea sbagliata e forse l'aveva data anche a Maggie. Doveva smetterla. «Allora, qual è la situazione fra te e Nick?» domandò Whitney mentre la limousine stava entrando in città. «Vuoi dire a parte il fatto che siamo stati sposati?» replicò Maggie. Whitney abbozzò un sorriso di scusa. «Perdonami. Darius mi ha detto che voi due vi sposaste da ragazzi. Conosco la storia. Mi interessa di più il futuro.» Sorpresa da tanta franchezza, Maggie corrugò la fronte. Whitney agitò una mano. «Scusami. Sono un avvocato e quasi tutto quello che dico sembra un interrogatorio.» «Non preoccuparti. Non sono il tipo che ama tenere i 280


segreti, ma non c'è molto da dire. Lavoro per lui.» Whitney sbuffò. «Ti sei bevuta la storia che hanno bisogno di te perché tu prenda delle annotazioni durante la riunione di domani?» «Sì e no.» Maggie giocherellò con il bicchiere pieno di spremuta che Whitney le aveva quasi imposto di bere prima di muoversi. Whitney era una persona che ispirava fiducia e lei, confusa com'era, aveva bisogno di un'amica. «Credo che Nick mi abbia portata qui affinché tuo marito possa studiarmi. Un po' come quando un ragazzo porta a casa la sua ragazza perché i suoi genitori capiscano se è adatta.» «Questo è un bene.» «No» protestò Maggie. «Non è un bene. Tra voi io sono fuori posto! Se lo scopo è questo, sono spacciata.» Whitney rise. «Non sei spacciata. Non ti sei portata un abito da ballo. Tutto qui. Ed è stata colpa di Darius che non vi ha avvertiti. Adesso andremo a comprare un vestito. Dovrà essere speciale perché quando lo indosserai, ti sentirai al posto giusto.» «Davvero?» «Fidati di me. I miei genitori appartenevano alla media borghesia, poi mio padre trovò dei clienti importanti e di colpo ci trasferimmo in Park Avenue. In quel nuovo ambiente mi sentivo fuori posto. Soprattutto all'inizio. Poi trovai il vestito giusto ed entrai nella sala da ballo a testa alta, sentendomi pari agli altri. Funzionò. A volte la cosa che serve è un po' di fiducia in se stesse.» «Spero che tu abbia ragione.» Whitney si sedette più comodamente e sorrise. «So d'avere ragione. Tra l'altro un abito giusto può spingere Nick a confessare quello che ha in mente.» «Allora l'abito è per fare colpo su Nick?» L'auto si fermò e Whitney scese. Indossava dei pantaloni bianchi, una camicia nera e portava gli occhiali da 281


sole e un ampio cappello di paglia nera. Era l'immagine dell'eleganza e della raffinatezza. «L'abito giusto può fare molte cose.» Quella sera Maggie si sentì stupida ad aver speso centinaia di dollari che non aveva nell'acquisto di un vestito che doveva fare colpo su un uomo. Avrebbe potuto accampare la scusa che Whitney era stata molto convincente. In realtà spasimava dal desiderio che Nick compisse un passo definitivo. Era sicura che tenesse a lei, ma se non fosse riuscita a farglielo ammettere, una volta tornati a Ocean Palms dove troppi ricordi li bloccavano, si sarebbe chiuso di nuovo nel suo guscio. Quella sera la cena fu informale, ma lei comprese che si stava compiendo un ennesimo passo dopo i tanti che avevano fatto. Doveva andare tutto bene. «Allora, ragazze, com'è andata la vostra giornata?» domandò Darius, stendendosi il tovagliolo sulle gambe. «Benissimo» rispose Whitney. «Maggie ha un gusto eccezionale.» Darius rise. Nick invece bevve un sorso d'acqua e cambiò argomento. «Che cos'è successo con quella gente di Londra?» domandò. «Ho rifiutato la loro proposta di entrare nelle Andreas Holdings. Ma non siamo i soli proprietari. Dobbiamo ottenere le quote della vecchia segretaria di nostro padre prima del gruppo londinese. Altrimenti quella gente entrerà in possesso di un terzo della nostra compagnia.» I due fratelli discussero a lungo di affari mentre Maggie e Whitney parlavano di bambini e di come dividersi tra il lavoro e la prole. Sembravano due coppie intente a chiacchierare finché Darius propose una partita a carte. Nick lanciò un rapido sguardo a Maggie e poi alla porta. «Io penso di salire nella mia suite e di accompagnare Maggie nella sua.» 282


Voleva stare solo con lei? Di certo era un buon segno. «Sì» accettò Maggie. «In realtà sono un po' stanca.» Lui le prese un gomito e la guidò lungo un'interminabile rete di corridoi. Arrivati davanti alla sua camera, si fermò. «Posso entrare un momento?» «Certo» rispose lei, tremante di emozione. Nick le aprì la porta e le indicò una poltrona. «Siediti.» «Dato che è la mia stanza, non dovrei essere io a dirlo?» Lui ridacchiò e il suo viso le ricordò il ragazzo che aveva amato un tempo e che amava anche adesso con la stessa intensità. Per facilitargli le cose, si sedette sul divano anziché sulla poltrona in modo che lui potesse sederle vicino. Lui lo fece. «C'è una cosa che devo dirti» esordì. «Immagino che tu abbia capito che non ti ho portata qui solo per prendere degli appunti.» Imponendosi di stare calma, Maggie annuì. «Dovrei essere tonta per non averlo capito. Anche Whitney nutre dei sospetti.» Lui rise nervosamente. «Già. Comunque, mi sembra inutile mantenere il segreto. Ho deciso di dirti quello che ho in mente.» A diciotto anni non aveva usato un giro di parole così lungo per dirle che l'amava, pensò lei. «Ho parlato a lungo di te con i miei fratelli. Cade ha detto che è ora che apra gli occhi.» Le mani di Maggie tremarono dal desiderio di stringere le sue. Per tacere dovette serrare i denti. «Devo trasferirmi a New York per alleggerire le responsabilità di Darius e vorrei nominarti direttrice generale della Andreas Manufacturing.» Maggie riuscì a non spalancare la bocca, ma per alcuni istanti non disse niente. 283


«Pensavo che ti avrebbe fatto piacere» mormorò Nick, sconcertato dal suo totale silenzio. «Sì!» Cercando di pensare al lavoro e di scacciare le lacrime che le colmavano gli occhi, lei scattò in piedi, ma la delusione era stata troppo forte. Tremando, si voltò a guardarlo. «Dunque si trattava solo della mia attività?» «Prenderai il mio posto. È un passo importante per te. Per entrambi.» Nick tacque. «Di che cosa pensavi si trattasse?» Lei deglutì e gli voltò le spalle. Se si fosse messa a piangere, si sarebbe presa a calci. «Maggie?» Vedendo che restava immobile, Nick le posò le mani sulle spalle e la costrinse a girarsi. «Volevi che riguardasse noi?» Lei tenne lo sguardo abbassato. «Non esiste un noi» sussurrò lui. «Non può esistere. Ti amavo quindici anni fa.» «Tuttavia sei ancora attratto da me» bisbigliò lei, a testa china. «È un'attrazione fisica. Non penso che finirà. Tra noi è sempre stata una questione di sesso. Eppure io ero sicuro che tu credessi in me.» Maggie alzò lo sguardo, sorpresa. «Io credevo in te!» Lui scosse la testa. «No. Non credevi in me. Mi hai lasciato. È stato come dire che eri certa che senza l'aiuto di mio padre non ce l'avrei fatta.» «Ero giovane, distrutta. Avevo perso mio figlio. Non pensavo a dimostrarti la mia fiducia, ma solo al fatto che tu e tua madre avevate bisogno...» «Io avevo bisogno di te, non dei soldi.» La voce di lui era calma e dolce, però Maggie cominciò ad arrabbiarsi. La sua sicurezza di essere nel giusto era arrogante e 284


intollerabile. Se lei l'aveva lasciato, lui non era senza colpe. «Già» sibilò. «Avevi bisogno di me? Allora perché non hai cercato di trovarmi? Perché mi hai lasciata andare? Prima di entrare all'università sono rimasta a casa una settimana, ma tu non sei mai venuto a cercarmi. Non hai pensato che nello stato in cui mi trovavo potevo fare delle scelte sbagliate? Mi hai lasciata andare senza muovere un dito.» «Nessun uomo insegue una donna che non ha fiducia in lui. Soprattutto se quella donna è stata la sua maggiore sostenitrice.» Maggie rise a denti stretti. «Pensi che non avessi fiducia in te? Allora perché quando ho avuto bisogno di un lavoro sono venuta da te? Ero incinta, sola, abbandonata da mio marito, senza un soldo e a chi mi sono rivolta? Non pensavo che ci saremmo rimessi insieme, né che tra noi ci fosse ancora la stessa attrazione. Ero nei guai e sapevo che la sola persona al mondo in grado di aiutarmi eri tu. Ecco in chi avevo fiducia. Da chi sono andata. Da te.» La verità di quelle parole disarmò Nick. «Sei venuta da me perché sapevi che potevo aiutarti?» «Cercavo un lavoro, ma sapevo di poter contare sul tuo aiuto. Sei sempre stato la sola persona su cui ho contato.» Nick tacque. Lei l'aveva lasciato, ma aveva ragione. Non l'aveva mai cercata. L'orgoglio glielo aveva impedito e per anni era rimasto ad ardere dentro di lui come una fiamma. Ma non era più il ragazzo di allora e lei era una donna intelligente, capace, che nel momento del bisogno si era rivolta a lui. E lui, ormai arrivato al successo, non aveva potuto voltarle le spalle. «Caspita!» «Sono stanca di pagare per quello che è successo 285


quindici anni fa» mormorò lei con la voce rotta dal pianto. «Sono stanca di parlarne, di pensarci...» «Anch'io.» Nick l'attirò contro di sé. Il passato non contava niente davanti alla realtà del presente. Adesso erano due persone diverse, due adulti che avevano commesso degli errori e che potevano sperare solo di redimersi a vicenda. Abbassando la testa, le schiacciò la bocca come desiderava fare dalla prima volta che lei era entrata nel suo ufficio. La baciò con impeto, pretendendo, non chiedendo, senza preoccuparsi d'essere rozzo, o violento. Aveva atteso quindici anni per baciarla e adesso intendeva godersi il momento. Maggie aprì la bocca con un singhiozzo di piacere che gl'incendiò il sangue. Folle di desiderio, le accarezzò le braccia, poi risalì con le mani sul suo seno. I loro respiri cambiarono, la passione esplose incontrollata. Era ciò che voleva, pensò lui. Che entrambi volevano. Ma Maggie lo respinse. «No. Aspetta. Smettila» ansimò. «Sta succedendo tutto troppo in fretta.» Benché sconvolto, Nick percepì la sua paura. Anche se quindici anni prima erano stati sposati, adesso erano due persone nuove e l'uomo che lui era diventato non assomigliava al ragazzo che lei aveva amato. Inspirando, fece un passo indietro. «E adesso?» domandò lei, incerta. «Non lo so.» Era vero. Non lo sapeva. Una parte di lui avrebbe voluto ricominciare dal punto in cui si erano interrotti. L'altra parte sapeva che era impossibile. Nessuno può fingere che non siano passati quindici anni. Inoltre Nick Andreas non aveva delle relazioni permanenti. «Non possiamo prenderci per mano e incamminarci.» «No. Non possiamo. Maggie, io sono diverso dal ragazzo che hai sposato.» 286


«Lo so.» «Sono un playboy.» «L'ho immaginato.» «Il fatto è che non sono sicuro di potermi sistemare in modo definitivo» insistette lui sempre più duro. Inaspettatamente lei rise. «Forse il nostro problema è proprio questo. Noi non pensiamo a un rapporto uomo donna. Pensiamo al matrimonio. Credo che dovremmo ripartire dall'inizio. Frequentarci.» «Noi non abbiamo avuto la fase del corteggiamento» mormorò Nick. «Da amici siamo diventati amanti e poi coniugi nel giro di poche settimane.» Maggie lo baciò. «Esatto.» «Allora che cosa dobbiamo fare?» domandò lui cingendole la vita con le braccia. «Io ti darò il bacio della buonanotte e tu andrai via.» «Non sono sicuro che mi piaccia» brontolò lui. «Forse è per questo che abbiamo saltato la fase del corteggiamento. Tu sai essere molto convincente.» Lei lo baciò di nuovo, leggermente. «Buonanotte.»

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Il sabato mattina prima delle nove, Maggie scese nell'ufficio del pianterreno, imponendosi un atteggiamento calmo e controllato. Era sicura che né lei, né Nick volessero far sapere ai suoi fratelli quello che era successo la sera prima, almeno finché non avessero capito loro stessi ciò che volevano fare. Comprese d'essere nel giusto quando Nick, dopo un saluto gentile ma sbrigativo, la presentò a suo fratello Cade, anche lui alto, prestante, con occhi e capelli scuri. Subito dopo Darius aprì la riunione. La mattinata passò in fretta e mentre i fratelli discutevano, programmavano e decidevano, Maggie si stupì di quanto, in poco tempo, si fossero affiatati e uniti. Fecero una breve interruzione per il pranzo, poi ripresero la discussione per un paio d'ore. Quando finì, Maggie salì nella sua stanza per scrivere al computer i dati raccolti, ma si addormentò e si svegliò solo quando qualcuno bussò alla porta. «Avanti» invitò. E pensando che fosse Nick si ravviò in fretta i capelli. Ma fu Whitney che entrò con in mano una semplice catena d'oro con un piccolo brillante e due orecchini di brillanti. «Ti ho portato questi.» Maggie trasalì. «Non posso accettarli.» Whitney sorrise. «Non agitarti. Te li presto. Sono perfetti per il tuo vestito.» 288


Maggie dovette riconoscerlo. Inoltre voleva piacere a Nick. «D'accordo, grazie.» «Bene. Ma rilassati. Darius ha detto che la riunione è andata bene e Nick gli ha riferito d'averti già assegnato il ruolo di direttrice generale.» «Davvero?» «Davvero. Sei sistemata.» Rimasta sola, Maggie si premette una mano sul ventre. Come poteva rilassarsi ed essere felice? Finalmente, dopo una parentesi di anni, lei era tornata a casa e Nick stava per trasferirsi a New York. Dieci minuti dopo l'inizio ufficiale del ballo, Nick andò a prendere Maggie, ben sapendo che nel momento in cui fossero entrati nel salone sarebbero stati una coppia. Ma andava bene così. Maggie desiderava che si frequentassero come due persone che non avessero un passato in comune. Voleva ricominciare dall'inizio e lui era d'accordo. Tuttavia era nervoso. La cravatta era troppo stretta. La sua pelle era troppo stretta. Quando lei aprì la porta, un'ondata del suo profumo unico lo avvolse, stordendolo. Poi la guardò. I suoi lunghi capelli rossi erano raccolti in un nodo sulla sommità del capo ma alcune ciocche inanellate le scendevano sul collo. Le maniche del suo abito giallo chiaro partivano dalle spalle e la scollatura ampia e profonda mostrava l'attaccatura del seno, non in modo sfacciato, ma abbastanza da stuzzicare l'appetito di un uomo. La gonna morbida le scivolava sui fianchi e sul ventre e sfiorava il suolo con grazia. «Caspita» mormorò. Maggie sorrise timidamente. «Tua cognata ha buon gusto.» Benché cominciasse a eccitarsi, Nick s'impose di 289


controllarsi. Doveva ignorare il playboy che sonnecchiava in lui. Quella era la donna che aveva amato e che si stava insinuando di nuovo nella sua vita. Con lei doveva mostrarsi colpito, affascinato. Sarebbe stato il primo passo verso una relazione stabile e non una delle tante avventure. «No. Tu hai un corpo stupendo. Potresti indossare un saio e saresti bellissima.» Poi le offrì il braccio con galanteria. «Andiamo?» «Sì» annuì lei. «Penso di essere pronta.» «Incanterai tutti.» «Figurarsi. Sono una ragazza di provincia. Non ho mai ottenuto un grande successo nelle città importanti. Sono stata fortunata che tu mi abbia assunta, Nick.» Il suo tono era così serio che lui, preso dal rimorso, si fermò. Avevano distrutto le loro vite. Lei andando via. Lui lasciandola andare perché non si era reso conto che, nello stato in cui Maggie si trovava, non era in grado di prendere delle decisioni. Avevano chiarito tutto la sera prima e non voleva che lei si sentisse ancora in colpa. «Siamo stati fortunati a ritrovarci.» Appena ebbe pronunciato quelle parole capì che erano vere, ma gli rimase un piccolo dubbio. Ignorandolo, scese la scala con lei. Darius e Whitney li aspettavano in fondo. Whitney indossava un abito azzurro pallido ed era così bella da fermare il traffico, ma per Nick non reggeva il paragone con Maggie. «Sei stupenda!» sussurrò Whitney, baciandole una guancia. Maggie rise. Darius le diede un bacio, si complimentò e infine guidò tutti dentro il salone. Cade li raggiunse subito. «Odio queste serate.» «Non sono tanto male» replicò Darius, ridendo. 290


«Forse non per te» sbuffò lui, allargandosi il colletto della camicia. «Ma io vivo in un ranch e non sono abituato a condurre una vita mondana.» Maggie scoppiò a ridere. «Se questo può consolarla, ha un aspetto magnifico. Scommetto che molte donne muoiono dalla voglia di ballare con lei.» «È un'offerta?» Lei stava per rispondere, ma Nick la prevenne. «Gliel'ho già chiesto io.» «E allora? Non sta ballando.» Prendendole una mano, Nick la guidò sulla pista. «Balla adesso.» Volteggiarono sulle note di un valzer con la gonna di lei che fluttuava intorno a loro. Poi si guardarono, sorrisero e lui pensò che era giusto così. Che era ciò che voleva. Ballando la portò verso le grandi finestre e poi fuori, sul terrazzo deserto. Nel chiarore lunare gli occhi di Maggie scintillavano e lui si sentì inondare di gioia. Seguitarono a ballare finché la musica cessò. Maggie sollevò il viso, offrendo le labbra a Nick, ma in quel momento apparve Cade. «Darius mi ha mandato a dirvi che la cena sta per essere servita. Siamo al tavolo principale insieme a loro.» Nick prese Maggie per mano e, mentre rientravano, Cade gli batté una mano sulla spalla. «Spero che tu abbia il libretto degli assegni, perché Whitney non si accontenterà di qualche spicciolo.» Nick rise. «L'ho lasciato a casa, ma pensavo di effettuare una rimessa bancaria.» «Questo ti salverà.» Ridendo, trovarono il tavolo e appena si furono accomodati, Whitney salì sul podio e rivolse una delicata 291


supplica ai presenti affinché aiutassero dei bambini bisognosi. L'orchestra cominciò a suonare e la cena ebbe inizio. Verso la fine, Darius si avvicinò a Nick. «Whitney, Cade e io andiamo a salutare Gino. Volete venire anche voi?» Maggie saltò in piedi. «Ne sarei felice.» «Anch'io» aderì Nick, sorridendo. Fu Liz, la giovane bambinaia di Gino ad aprire la porta della nursery dalla quale proveniva un gran frastuono, misto a grida e a risate. Due maschietti dell'età di Gino e tre femminucce poco più grandi erano seduti intorno a un tavolino e facevano merenda. Un neonato era in una cesta. «Chi sono tutti questi bambini?» «Ospiti di Gino» spiegò Liz. «Quando i loro genitori festeggiano, io mi offro di organizzare un ricevimento per Gino.» Whitney rise. «Le ho detto che è matta.» «Ma i bambini si divertono» si difese Liz. «Sanno quando i genitori escono e si sentono soli. Così hanno l'impressione di partecipare.» Nick osservò i piccoli discutere e avvertì un senso di disagio. Nell'asilo di sua madre vedeva molti bambini ma li aveva sempre guardati da lontano. Non era abituato a stare con dei piccoli che non giocavano a Wiffle Ball. Darius prese in braccio Gino che si protese subito verso Nick e lui si accorse subito di essersi sbagliato. Si era affezionato molto a Gino anche se non giocava a Wiffle Ball. Lo adorava e non sapeva descrivere quello che provava quando Gino lo abbracciava e lo baciava. All'improvviso nella nursery scoppiò un pandemonio. Mentre Darius portava Gino nell'altra stanza, il 292


neonato si mise a vagire e due maschietti cominciarono a litigare e a piangere. Tutti s'impietrirono, ma Maggie sollevò il neonato dal cesto senza esitare un istante. «Questo qui lo prendo io» disse decisa alla bambinaia. «Lei intanto tranquillizzi gli altri. Lo riporterò quando torneremo con Gino.» «Va bene. Grazie» rispose Liz in fretta, correndo a calmare i litiganti. Nel salotto della camera padronale, Darius era seduto sul divano con Gino sulle ginocchia che gli batteva le manine sulla faccia. «Mi sembra che tu abbia troppa energia per dormire» dichiarò. Gino uggiolò e tutti risero. Poi Cade lo tolse dalle braccia di Darius. «Ehi, amico. Vado giù a vedere se trovo qualche donna disposta a divertirsi, perciò ti saluto e me ne vado.» «Non sono cose da dire a un bambino» lo rimproverò Darius. Whitney rise. «Per adesso va bene. L'anno prossimo non potrai più fare un discorso del genere.» «Sissignora!» Cade si mise sull'attenti, poi scappò via. Nick prese in braccio Gino, ma Darius glielo tolse quasi subito. «Ho udito Liz che legge una favola. È bene che Gino stia nella sua culla e ascolti così si calmerà.» «Bene.» Whitney si rivolse a Maggie. «Puoi portare Bruce, se vuoi.» «Lo farò tra due minuti» rispose lei. Mentre Darius e Whitney uscivano, Nick si avvicinò a Maggie. «Fammi vedere Bruce.» Sorridendo, lei glielo mostrò. Poiché Bruce aveva la 293


stessa età di quando Gino era entrato nelle loro vite, Nick si aspettava di provare la stessa, intensa emozione e invece non sentÏ niente. Nessun empito d'amore. Nessuna gioia. Ma pensò che fosse normale. Gino aveva il suo stesso sangue ed era per questa ragione che aveva avvertito un legame immediato con lui. Mentre rifletteva, il suo sguardo cadde sul ventre di Maggie e gli prese un brivido. E se non avesse sentito niente per il bambino di Maggie?

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Quando tornarono a Ocean Palms, Maggie avvertì un cambiamento in Nick. Pareva più contento, più spensierato, così simile al vecchio Nick che a volte le sembrava impossibile che fossero passati quindici anni da quando si erano sposati. Chiusa l'offerta per la gara, cominciò il suo addestramento e il periodo di corteggiamento. Andarono al cinema, ai concerti e fecero delle passeggiate sulla spiaggia. Benché Nick ogni fine settimana si recasse a New York, non parlarono mai del suo trasferimento definitivo. A un certo punto lei ne comprese il motivo. Nick si rifiutava di prendere delle decisioni definitive perché, nonostante lei lo amasse e lui sembrasse ricambiarla, non c'erano garanzie che il loro rapporto funzionasse. Se tra loro le cose non fossero andate bene, trasferirsi a New York sarebbe stata una buona soluzione. Era un piano che le andava bene perché in ogni caso lei avrebbe avuto un ottimo impiego e lui sarebbe stato tanto lontano da rendere meno doloroso il distacco. Ma Maggie era convinta che sarebbe andato tutto bene. Lei e Nick si erano sempre incastrati come due pezzi di un rompicapo. Accorgendosi che la situazione era cambiata, suo padre, spudorato, domandò a Nick di aiutarlo a raccogliere il fieno. Dato che Nick trascorreva il fine settimana alla 295


fattoria, tanto valeva che lavorasse e Nick accondiscese di buon grado. Un venerdì, la seconda settimana d'agosto, con il sole ancora caldo e i bambini che si preparavano a tornare a scuola, Maggie, ormai concluso il periodo di addestramento, arrivò in ufficio sentendosi il capo. Fermando la sua nuova SUV rossa nel parcheggio privato, comodità riservata al suo grado, attese con impazienza l'arrivo di Nick che era stato a New York per due giorni. «Buongiorno, Jeannette» disse, sorridendo alla sua nuova assistente, una giovane mamma single che non aveva paura di affrontare un lavoro impegnativo. «Buongiorno, Maggie. La corrispondenza è sulla tua scrivania.» Maggie ringraziò e corse nel suo ufficio. Nick sarebbe dovuto arrivare alla Andreas Manufacturing solo nel pomeriggio, invece si presentò venti minuti dopo di lei, in abiti sportivi. Aggirando la scrivania, la baciò. «Pensavo che saresti tornato in volo questa mattina» sorrise lei, deliziata. Lui la baciò di nuovo. «Sono tornato ieri sera a mezzanotte ma... era tardi.» Lei rise. «Ehi, mi sei mancata.» «Anche tu.» E non aveva dimenticato che quella notte sarebbe stata la notte. Avevano atteso fino a quel momento, ma tra poco sarebbe stata troppo grossa e stanca per pensarci, così quando lui era partito, il martedì, le aveva fatto promettere che quella sera avrebbero fatto l'amore. «Oggi mio padre è andato a trovare Charlie Jr. nell'Ohio.» «Davvero?» «Sì, così non dovrò domandargli il permesso di passare fuori casa il fine settimana» fece lei ironica. 296


Nick rise. «Mi sembra di essere tornato ragazzo.» Maggie gli prese il viso tra le mani. «Non proprio. Questa volta sappiamo quello che facciamo.» Un'ombra passò sul viso di lui. Fu un attimo, ma lei si accorse che qualcosa lo turbava. «Che cosa c'è?» «Niente, però prima di tornare a casa dovremo lavorare otto ore.» Era una risposta rassicurante, ma Maggie comprese che lui nutriva ancora dei dubbi. Cercò di non pensarci e di non costringerlo a parlare di qualcosa che forse non aveva alcuna importanza. Alle cinque, Jeannette si preparò ad andare a casa. Nick aspettò che spegnesse il computer e facesse capolino dalla porta per salutarli. Appena sentì che era uscita, balzò in piedi dal divano. «Temevo che non andasse più via.» Appoggiandosi contro l'alto schienale della sua seggiola, Maggie rise. «Mancano due minuti alle cinque. Sei impaziente.» «Non discutere e andiamo» ordinò lui, afferrando chiavi e cellulare. «Precedimi.» «Aspetta. Non abbiamo ancora stabilito il da farsi. Vuoi accompagnarmi a casa perché metta in una borsa le cose indispensabili e poi portarmi a casa tua?» «Sì» rispose lui, rimpiangendo di non averla presa lì sul divano. «Andremo con due macchine. Lascerai la tua e dopo la vita sarà bella.» «Fantastico.» Durante il percorso fino alla fattoria, ricordò a se stesso che lei era una donna incinta, non delicata, ma nemmeno agile. Quella notte doveva essere speciale. Giunti a destinazione, fermò l'auto dietro al SUV ed entrò di volata in cucina. Charlie Forsythe era lì, seduto al tavolo, e si teneva stretta la testa tra le mani. 297


«Che cos'è successo?» «Non posso andare» rispose lui. «Non puoi?» «Gli manca Vicky» spiegò Maggie. «Ogni volta che percorro l'autostrada, ricordo quando Vicky e io andavamo a trovare Charlie Jr. e questo mi riporta al momento in cui l'ho incontrata.» «Direi che è normale» commentò Nick, sedendosi al suo fianco. Charlie sfilò le dita dai capelli. «Mi sentivo molto solo dopo la morte della mia prima moglie. Poi Vicky è entrata nella mia vita e non sono più stato solo.» Dalle cose che diceva, sembrava che Maggie non fosse mai esistita. Nick la guardò e vide che anche lei aveva avuto la stessa sensazione, tuttavia si chinò su suo padre e gli batté una mano sul braccio. «Lo so. Il fatto che Vicky sia entrata nella tua vita è stata una bella cosa.» «E anche Charlie Jr.» Il padre scosse la testa. «Quanto bene voleva a quel bambino! Era una mamma meravigliosa.» Maggie deglutì, poi si riprese e si appoggiò contro la sua spalla. «Sì, era fantastica.» Ma Nick non aveva il dovere di confortare suo padre e conosceva la verità. Vicky non era stata una madre meravigliosa. Forse lo era stata per suo figlio, ma non per la bambina che avrebbe dovuto crescere come sua. Maggie si era sentita emarginata in casa sua e suo padre non se n'era mai accorto. Forse neppure Vicky. Erano entrambi delle brave persone. Specialmente Charlie non avrebbe ignorato volutamente qualcuno, tuttavia non aveva notato che la sua seconda moglie non si era mai affezionata a sua figlia. Maggie si alzò per dare un bicchiere d'acqua a suo padre e Nick, guardando il suo ventre arrotondato, si sentì prendere dalla paura. Non sentiva niente per il suo 298


bambino, a parte una certa gelosia. Era stato un altro uomo a darle quel figlio. Come poteva non essere geloso e assicurare che non si sarebbe comportato come Vicky, e non avrebbe fatto soffrire quella creatura come Vicky aveva fatto soffrire Maggie? Aspettò che Maggie preparasse la cena, poi annunciò che andava a casa per lasciare a padre e figlia un momento d'intimità. Lei annuì e lo accompagnò alla porta. «Verrò da te appena si addormenterà.» Nick sorrise, ma i suoi dubbi aumentarono. Per quanto amasse Maggie, se avesse fatto soffrire suo figlio, lei non l'avrebbe mai perdonato. Lui stesso non si sarebbe perdonato. Alle nove, messo a letto suo padre, Maggie fece la doccia, si mise un prendisole grazioso e andò da Nick. Parcheggiò e lo chiamò. «Nick?» «Sono qui fuori.» Posata la borsa su un mobile, lo raggiunse sul pontile e, imitandolo, si appoggiò contro la balaustra di legno. «Che cos'hai?» «Le stelle sono belle questa notte.» «Vero» convenne lei, guardando il cielo luminoso e l'oceano di cui si udiva il respiro possente. Nick rimase in silenzio e lei sentì tornare la paura che aveva provato in ufficio. «Perché mi hai lasciata sola con mio padre?» gli domandò. Lui continuò a tacere e la paura prese forma. Le era sembrato tutto troppo bello per essere vero. Era sicura che lui avesse avuto un ripensamento. Nick sapeva che, se avessero fatto l'amore, non sarebbe più stato possibile tornare indietro e forse non si sentiva pronto. «Se non vuoi che io rimanga...» mormorò lei appena, staccandosi lentamente dalla balaustra. 299


Lui sobbalzò. «No. No. È solo che... ultimamente ho avuto dei brutti pensieri.» «Che genere di pensieri?» «Tutto quel parlare della bravura di Vicky come mamma mi ha buttato a terra.» «Lei era una brava mamma.» «Per Charlie Jr.» Maggie scoppiò a ridere. «Ti ho detto che si era risolto tutto.» Nick le strinse un braccio. «Non è quello che ho visto sul tuo viso questa sera.» «Un momento di debolezza.» «Davvero?» domandò lui, studiandola. «Può darsi che negli ultimi quindici anni tu e Vicky abbiate trovato un buon accordo, ma pensare alla tua infanzia ti rattrista.» «Un po'» ammise lei. Nick lo sapeva. Era stato il suo migliore amico e aveva visto come si era sentita sola e abbandonata. Quella sera le parole di suo padre avevano ravvivato quei ricordi. «Ma è stato solo un momento. Forse lei non è stata presente per me, ma lo è stata per Charlie Jr.» Senza accorgersene, si accarezzò il ventre. «Adesso capisco perché. Io non avevo il suo stesso sangue.» S'interruppe perché vide che Nick, pallido e sgomento, le fissava il ventre e di colpo comprese la verità. Nick non amava il suo bambino. Non voleva amarlo. «Oh, mio Dio!» Si voltò per andare via, ma lui la fermò. «Aspetta. Aspetta. Non è come pensi. In questo momento sono confuso.» «Spiegati.» «Sono legato a una donna che aspetta il figlio di un altro e so che genere di vita hai fatto da piccola, essendo figlia di un'altra donna. Non solo ho visto che Vicky t'ignorava. Ti ho vista piangere. So quanto hai sofferto.» 300


Maggie retrocesse. «Tu non vuoi il mio bambino.» «Non voglio fare del male al tuo bambino e sento...» «Che cosa senti?» incalzò lei, sentendosi gelare. Nick Andreas non esitava mai. Sapeva sempre quello che voleva. Se era confuso era solo perché non voleva confessare quello che provava. «È questo il punto. Non lo so. Ho paura che faremo al tuo bambino quello che Vicky ha fatto a te.» «Io non nutro questo timore perché conosco la tua capacità d'amare. Se temi di non volere bene a questo bambino è perché non gliene vuoi.» Detto questo, Maggie entrò in casa, prese la sua borsa e scese la scala di corsa. «Aspetta, Maggie!» gridò lui, rincorrendola. «Dannazione! Hai detto che potevamo parlare di tutto. Dobbiamo sviscerare questo argomento.» Lei salì sul SUV. «L'abbiamo appena fatto.» E Nick la guardò andare via. Ancora una volta lei aveva preso una decisione per entrambi. Lui voleva parlare e lei scappava. Forse fondamentalmente era questo che non funzionava tra loro.

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«Fammi capire. Sei qui di lunedì?» Nick si versò un caffè e si sedette nel suo ufficio di New York. «Maggie è addestrata. Non ha bisogno di me.» «Sta per partorire. Io penso che invece abbia bisogno di te.» «Mancano sei settimane.» «E tu sei qui.» «Sì, in pianta stabile.» Darius fissò Nick ma quando lui gli rivolse un'occhiata che diceva: Non oltrepassare il confine, si chiuse la bocca. «Bene» concluse, buttando una pila di fogli sulla scrivania del fratello. «Questa è la corrispondenza intercorsa tra me e quegli investitori londinesi che vorrebbero entrare nelle Andreas Holdings. Sanno che c'è un altro socio.» «Che cosa vuoi che faccia?» «Solo che tu conosca tutta la storia. Se non troviamo la socia prima dei londinesi, potremmo dover cominciare una guerra.» Rimasto solo, Nick si sedette dietro la sua scrivania e s'impose di studiare le carte che il fratello gli aveva lasciato, evitando di pensare a Maggie. Una parte di lui comprendeva perché fosse rimasta sgomenta davanti al suo timore di non riuscire ad amare 302


il suo bambino. Ma l'altra parte era arrabbiata. Diamine! Lui era un essere umano. Non aveva chiesto dei pensieri angosciosi, o di avere paura. Eppure si era comportato come se avesse deciso a tavolino di non amare suo figlio. L'aveva ferita. Tuttavia anche lui era rimasto ferito. Aveva cercato di telefonarle e di vederla, ma lei non gli aveva risposto e si era rifiutata d'incontrarlo. Forse era quello il motivo per cui non l'aveva rincorsa la prima volta. Era troppo ostinata. Quel pensiero lo addolorò. Maggie non era ostinata, o forse un po'. Era... ferita. Lo sapeva, ma sapeva anche che lei non gli avrebbe permesso di aiutarla perché era stato lui a creare quel problema. Ma quale colpa aveva se le sue sensazioni erano quelle? Non le aveva chieste. Però le aveva. Forse lei aveva ragione a non volerlo vedere. Forse non esisteva soluzione a quel problema. La sola cosa che poteva fare era lavorare e non pensarci. S'immerse nella lettura della corrispondenza e alle cinque si accorse di aver saltato il pranzo. Senza dire niente a nessuno, uscì dalle Andreas Holdings e andò direttamente nella mansarda di Darius. Di norma alloggiava a Montauk, ma prevedeva che Whitney sapesse che lui e Maggie si erano lasciati, perché lei e Maggie erano diventate amiche, e che gli avrebbe fatto molte domande a cui preferiva non rispondere. Come poteva spiegare alla dolce Whitney, che aveva perso una figlia, che lui non provava nessun affetto per il bambino di Maggie? Aveva provato ad amarlo, ma l'unica cosa che aveva sentito era stata una orribile gelosia. Maggie non era riuscita a portare avanti la gravidanza quando aspettava suo figlio mentre adesso non aveva alcun disturbo. 303


Non era colpa sua, quindi doveva prendersela con il destino. Quando entrò nella mansarda era in preda a un turbine di emozioni. Passata la rabbia, subentrò in lui una tristezza profonda, un desolante senso di perdita. Afferrata una bottiglia di scotch, si sedette davanti alla televisione, deciso a bere finché si fosse addormentato. Ci vollero due settimane prima che Maggie smettesse di piangere. Nick non veniva più in fabbrica. Stava a New York. Telefonava tutti i venerdì mattina a Jeannette che gli riferiva come procedevano le cose. Non parlava mai con Maggie. Lei pensava che fosse ancora in collera, ma aveva la sensazione che, come lei, prevedesse che parlandole avrebbe aumentato la sofferenza e resa più difficile la guarigione da quella ferita. Il che significava che voleva guarire. Era convinto di non poter amare il suo bambino e se non poteva amarlo, per loro non c'era futuro. In questo aveva ragione. Lei non avrebbe mai permesso che suo figlio crescesse accanto a un genitore che non lo amava. Suo figlio poteva essere un maschio e in quel caso avrebbe avuto bisogno di una presenza maschile. Non di un uomo che amava sua madre ma non lui, bensì di un vicepadre che gli insegnasse, che lo guidasse, che lo aiutasse a diventare un uomo. Dalla sua esperienza con Vicky aveva imparato che se un genitore dello stesso sesso non nutre interesse per il figlio, non si crea alcun legame e nel bambino resta un senso di vuoto. Non avrebbe mai fatto un torto simile a suo figlio. Quindi passò le tre settimane seguenti a ripetersi che era un bene che Nick fosse partito. Quel venerdì non guardò la porta nella speranza di vederlo apparire, non si attardò in ufficio fino alle sei, 304


pensando che se lui fosse arrivato tardi proprio per non incontrarla, avrebbe potuto almeno vederlo. Ormai non ci pensava più. Si stava preparando a ricevere suo figlio. Mentre tornava a casa vide dei pesanti nuvoloni neri coprire il cielo. Suo padre, in un completo con camicia bianca, guardava in alto e lei comprese dalla sua espressione che l'aspetto del cielo non gli piaceva. «Sei sicura che non ti dispiaccia che io vada via?» le domandò. «Sicurissima» rispose lei, posando la ventiquattrore sul tavolo di cucina. Lui non le credette e si tolse la giacca. «Sai che cosa ti dico? Non è necessario che vada alla riunione dei vedovi questa sera.» «Devi andarci!» Maggie prese in mano la sua giacca e gliela diede. «Sto bene.» Lui rise. «Ho capito. Hai paura che senza il supporto del gruppo, io crolli. D'accordo. Vado.» Arrivato alla porta, esitò. «Caspita. Sembra che si prepari una bella tempesta.» Maggie gli si avvicinò e guardò il cielo cupo e le nubi rabbiose. «Papà, è meglio che tu prenda il mio SUV. È più affidabile.» «Il furgone va benissimo.» «È un catorcio» insistette lei, afferrando le chiavi e dandogliele. «Prendi il SUV.» Dapprima lui rise, poi le guardò il ventre e rimise le chiavi sul ripiano. «Non puoi guidare il furgone. Se prendo la tua auto, resti bloccata.» «Come se volessi uscire con questo tempo. Coraggio, prendi le chiavi e vai.» Ma suo padre continuò a essere incerto. La fissò a lungo, poi si arrese. «Va bene. Vado.» Maggie respirò di sollievo. Non vedeva l'ora di fare una doccia e poi di sedersi per due ore davanti alla te305


levisione, dimenticando di dover aspettare un'altra settimana prima del parto e che lei e Nick non erano più una coppia. Prima di chiudere la porta, vide suo padre barcollare per la furia del vento. Sapendo d'avere a disposizione una ventina di minuti prima che il temporale scoppiasse, salì le scale e fece una doccia calda. La schiena le aveva fatto male tutto il giorno e i suoi piedi erano un po' gonfi, ma soprattutto le faceva male il cuore. Nick le mancava. Perdere Josh non era stato niente in confronto a perdere Nick. Avrebbe dovuto sapere che lasciarsi coinvolgere da un uomo che le aveva rubato il cuore a sei anni e a diciotto l'aveva lasciata andare via, l'avrebbe distrutta. Sollevando il viso, lasciò che l'acqua lavasse via le sue lacrime. Non era addolorata per se stessa. Era arrabbiata con se stessa. Ci era già passata una volta. Benché fosse stata lei a lasciare Nick, aveva sempre saputo di non essere la donna adatta a lui. Lui era intelligente, forte, affascinante. Lei non era niente di tutto questo e non avrebbe saputo come muoversi nel suo mondo. Accidenti, adesso assomigliava più a una balena che a una donna! Nuove lacrime le colmarono gli occhi, ma non cercò di arginare il pianto. Poiché la sofferenza era tanto forte, non l'avrebbe combattuta. Quella notte avrebbe pianto il suo perduto amore e l'indomani si sarebbe sentita meglio. Suo padre non avrebbe dovuto preoccuparsi per lei. Pur sentendosi sola e disperata, si sarebbe stampata un sorriso sulle labbra e sarebbe andata avanti come se fosse la donna più fortunata del mondo. In realtà lo sarebbe stata una volta che avesse avuto il suo bambino e suo padre, e cioè quella famiglia che le era sempre mancata. 306


Uscendo dalla doccia, si avvolse in un asciugamano. In quel momento il primo lampo tagliò il cielo e lei avvertì una fitta di dolore alla schiena. Per tutta la settimana aveva avuto dei fastidi, ma non si era aspettata quel tipo di tortura. Mentre entrava nella sua camera da letto, altri lampi saettarono nel cielo cupo e uno cadde molto vicino. Luce e tuono furono quasi simultanei, il che significava che la tempesta era a poca distanza. La lampada si spense. No, no, no! Non poteva restare senza l'elettricità. Piangere al buio era patetico. Che almeno restasse la luce. Dal bagno, dove aveva lasciato accesa una candela, giungeva un debole chiarore. Premendosi una mano sui reni, Maggie tornò nel bagno, prese due candele, e arrivata in camera s'infilò una camicia da notte. Aveva programmato di prepararsi una cioccolata calda, sedersi sotto il portico e piangere, ma con quel tempo non era pensabile. In quanto al pianto, avrebbe potuto farlo a letto. Si distese e subito il dolore ai reni si diffuse nel ventre. Santo cielo! Era entrata in travaglio? Con una settimana di anticipo e senza macchina. Doveva chiamare il 911 ma la sua borsa era rimasta in cucina e adesso i dolori erano tanto forti da impedirle di camminare. Nick era in piedi sul pontile quando sentì che il vento aumentava e gli strappava la camicia. Di solito gli piacevano i temporali, la furia dei marosi che si avventavano sulla spiaggia, ma quella tempesta era troppo vicina e tra poco valanghe di pioggia l'avrebbero investito. Tuttavia non aveva voglia di tornare dentro. Il petto gli doleva tanto che si strofinò il punto in cui riteneva fosse il cuore. Adesso i lampi si susseguivano sempre più vicini. Il 307


rumore dei tuoni era assordante. Soltanto un imbecille sarebbe rimasto ancora all'aperto, aspettando d'essere incenerito da un fulmine. Sbuffando, Nick si staccò dalla balaustra per rientrare e inaspettatamente si trovò faccia a faccia con i suoi fratelli. Darius sembrava preoccupato. Cade aveva portato una confezione di birre. Il suo umore migliorò all'istante e per la prima volta da quando aveva scoperto di non essere l'unico Andreas, fu felice d'avere dei fratelli. «Siamo al centro di un tornado?» domandò Darius. Cade scoppiò a ridere. «Pivello, da dove vengo io questo è considerato poco più di un temporale.» Nick posò le braccia sulle spalle di entrambi e li spinse in casa. «Forse da dove vieni tu questo è considerato un piccolo temporale, ma qui è un diluvio, perciò muoviti.» Fece appena in tempo a chiudere la portafinestra che cominciarono a cadere le prime gocce, le quali colpirono il vetro come migliaia di piccoli brillanti. «Perfetto.» «Già, dato che manca l'energia elettrica dovremo bere queste birre tiepide.» Nick non riuscì a trattenersi e rise. Cade era sempre pragmatico. Una notte con i suoi fratelli era quello che gli ci voleva per dimenticare d'aver perso Maggie un'altra volta. E questa volta era colpa sua. «Lanciami una lattina.» «Sono bottiglie. Vieni qui e prenditela.» Per prima cosa Nick si mise a frugare nel ripiano più alto di un armadietto per prendere una torcia. L'accese e un raggio luminoso tagliò l'oscurità della stanza. Darius prese la birra che Cade gli porgeva. «Peccato non potersi sedere fuori e ammirare lo spettacolo.» 308


«Già.» Cade lanciò un'occhiata colma di rimpianto all'oceano. «È un bel temporale.» «Pensavi di essere abituato a vederne dei più violenti?» domandò Nick accettando la birra che Cade gli offriva. «Sì, ma sono ancorato alla terraferma e non vedo mai lo spettacolo delle onde infuriate.» «Possiamo andare giù e sederci sotto la casa.» Cade balzò in piedi prima che finisse. «Me l'ero dimenticato.» In due minuti erano tutti e tre seduti su delle sdraio, sotto la casa e guardavano l'oceano. «Spero che Maggie non sia in giro con questo tempo.» Bastarono quelle parole per far capire a Nick il motivo che aveva spinto i suoi fratelli a venire lì. Quel pomeriggio, lasciando le Andreas Holdings, si era accorto che erano preoccupati. Lunedì mattina doveva andare in fabbrica e avrebbe rivisto Maggie per la prima volta dopo sei settimane. Loro sapevano che soffriva a causa sua. Sapevano anche che lui era sicuro d'aver fatto la scelta giusta e che il pensiero di rivederla lo metteva in una grande agitazione. Dovevano essere saliti su uno degli aerei di Cade e l'avevano seguito. Ma non per offrirgli il loro supporto. Non erano lì per lui. Erano in ansia per Maggie. «Sta bene. Ha suo padre. I suoi amici. I dipendenti della fabbrica l'adorano. Ci sono almeno otto mamme che la coccolano dalla mattina alla sera.» Darius bevve un sorso di birra. «Lei non vuole suo padre, o le altre mamme. A sentire Whitney, si sta disperando e si domanda in che cosa ha sbagliato.» «Non ha fatto niente di male.» Protendendosi sopra Darius, Cade toccò il braccio di Nick. «Questo l'abbiamo capito, genio.» 309


«Allora che cosa volete? Siete arrabbiati con me?» «Diciamo che siamo confusi.» Calmo e controllato come sempre, Darius si espresse con autorevolezza. «Non puoi venirci a dire che non l'ami. Lo abbiamo letto sulla tua sciocca faccia. Eppure le hai voltato le spalle nel momento in cui aveva più bisogno di te.» «Lei non ha bisogno di me.» Cade rise come se abbaiasse. «Ah, povero Nick. L'amore della sua vita non ha bisogno di lui.» «Piantala.» Darius si voltò verso Cade. «Sì, Cade. Questo non aiuta.» Cade si mise a guardare l'oceano. «Va bene. D'accordo. Berrò la mia birra e aspetterò che le onde vengano a bagnarci i piedi.» Tacquero per qualche minuto mentre il vento, i lampi e l'oceano davano spettacolo. «Penso che l'energia elettrica non tornerà prima di domani» affermò Nick a un certo punto. «Ma Maggie non è sola.» Si disse che lo affermava per tranquillizzare i suoi fratelli e non perché cominciava a sentirsi prendere dal panico. «Ha suo padre, una macchina e un cellulare.» «Giusto» convenne Darius. «Probabilmente starà bene.» «Voglio dire... che cosa potrebbe succedere?» Nick trangugiò una sorsata di birra, sentendo delle dita gelate corrergli lungo la schiena. «Il parto è previsto per la prossima settimana. Anche se l'ultima volta che l'ho vista era molto grossa. Così grossa che mi sono chiesto se non avesse sbagliato i calcoli.» «Spero che tu non glielo abbia detto» commentò Darius. Stava cercando di indurlo a raccontare il motivo per cui avevano litigato, ma il disgusto che provava per se stesso gl'impediva di confidarsi. Non poteva farlo dopo 310


il modo in cui tutti e tre si erano affezionati a Gino. Avrebbero pensato che era matto come Maggie. «Non ho voglia di morire» rispose. Cade rise, ma con suo sollievo non disse niente e lui tornò a sistemarsi sulla poltrona, massaggiandosi la barba di un giorno. Maggie stava bene. Mancava la corrente elettrica, ma c'era suo padre con lei. Di colpo si ricordò. «Jeannette mi ha detto che tutti i venerdì sera suo padre va a una riunione di vedovi.» Balzò in piedi come una molla e andò a prendere le chiavi del suo SUV. «Maggie è sola.» Non si stupì vedendo che i suoi fratelli non protestavano e non cercavano di trattenerlo. Non si stupì nemmeno di voler correre da Maggie per vedere come stava. Fece il numero del suo cellulare, ma lei non rispose e poi dovette concentrarsi sulla guida. Alcuni alberi erano caduti e la strada era invasa dall'acqua. Gettò il telefonino sul sedile accanto al suo e continuò ad avanzare. L'amava. Non aveva mai nutrito dubbi in proposito. Poteva essere tanto pazzo da essere combattuto nei confronti di suo figlio, o sua figlia, ma non aveva mai messo in dubbio il suo amore per lei. Appena giunse alla fattoria, scese sotto il diluvio e cominciò a picchiare contro la porta. «Maggie!» Lei non rispose. Dopo diversi tentativi, ci rinunciò. Benché non fosse tardi, poteva già essere andata a letto ed essersi addormentata e lui si comportava come un pazzo. Era scoppiato un temporale... e allora? Magari Maggie aveva accompagnato suo padre alla riunione e aveva deciso di restare con lui invece di tornare a casa da sola. Era molto probabile. Sentendosi stupido, Nick tornò verso il suo SUV sotto la pioggia ma si fermò con la mano sulla maniglia. 311


E se lei fosse stata dentro e non potesse udirlo? Se aveva paura? Un lampo colpì un albero vicino e il tuono ruggì come un leone inferocito. Diavolo, anche lui aveva paura! Corse di nuovo sotto il portico e questa volta provò ad aprire la porta anteriore. Non era chiusa a chiave. Maggie non sarebbe uscita lasciando la porta aperta. Dapprima la cercò al pianterreno, chiamandola. «Maggie! Maggie!» Non ricevendo risposta, salì la scala a tre gradini per volta, in preda al panico. Irrompendo nella sua camera, la vide rannicchiata sul letto in posizione fetale. «Maggie» sussurrò. Lei si voltò. Il suo viso era striato di lacrime. I suoi occhi erano vitrei. «Il bambino sta nascendo. Non posso muovermi. Non sono nemmeno riuscita a prendere il mio cellulare.» Nick temette di perderla. La linee telefoniche ed elettriche erano interrotte. Gli alberi erano caduti. Anche se fosse riuscita a chiamare il 911, era difficile che un'ambulanza potesse arrivare fin lì. Sedendosi sul letto, cercò di ricordare il libro che aveva letto quindici anni prima, quando lei era rimasta incinta. «Sono così contenta che tu sia venuto» singhiozzò lei. Nick dovette lottare per non piangere. Era un essere inutile, immeritevole e incapace quando si trattava di Maggie. «Anch'io sono contento» mormorò, prendendole una mano. «Oddio, Nick, il bambino sta nascendo!» Senza darsi il tempo di pensare, lui si alzò e afferrate le coperte, le buttò da un lato. Lei si distese sulla schie312


na, sollevò le ginocchia come se la natura avesse preso il sopravvento. Il che era un bene. Avrebbe davvero avuto bisogno di un bel po' di aiuto da parte di madre natura se volevano che tutto andasse bene. «Dove tieni le forbici, gli asciugamani e una bacinella per l'acqua?» Aggrappandosi alle ginocchia, Maggie emise un gemito prolungato. «Gli asciugamani sono nell'armadio del bagno. Le forbici nel cassetto del tavolino. La bacinella è in cucina, sotto il lavello.» «Va bene. Resisti. Torno il prima possibile.» Prendendo una delle candele, Nick si precipitò in cucina e trovò la bacinella. Subito dopo volò su per la scala, piombò nel bagno, afferrò una pila di asciugamani e le forbici. Quando tornò nella stanza, Maggie ansimava. La camicia da notte le era salita sullo stomaco. Nick grondava di sudore, ma non perse tempo. Prese due asciugamani e glieli infilò sotto la schiena. Poi andò a riempire la bacinella di acqua calda e visto che c'era, prese una bottiglia di alcol. Stava chiamando il 911 sperando che l'ambulanza arrivasse prima del bambino quando lei urlò. «Sta uscendo!» Nick si lavò le mani con l'alcol, le risciacquò e si precipitò ai piedi del letto. Come aveva detto lei, il bambino stava uscendo. Vide dapprima la testa, poi le spalle sgusciare fuori una alla volta e afferrò il corpicino prima che cadesse sul letto. Avvolse il bambino in un asciugamano e lo posò sullo stomaco di Maggie per poter tagliare il cordone ombelicale. Gli occhi di Maggie erano colmi di lacrime. «Oh, mio Dio, Nick! È un maschio. Guardalo! È bello.» 313


«Com'è piccolo» mormorò lui, osservando le dita dei piedi e delle mani, simili a miniature perfette. Poi un sorriso spontaneo gli dischiuse le labbra. «È l'essere umano più piccolo che abbia mai visto.» Si accorse di tremare d'emozione, ma incolpò l'adrenalina che gl'inondava le vene. Terminato di accudire Maggie, chiamò il 911. Spiegò la situazione alla centralinista e lei gli assicurò che avrebbe mandato immediatamente un'ambulanza. Dopo aver chiuso il cellulare, un silenzio innaturale cadde nella stanza. Non sapeva che cosa fare e che cosa dire. Quando Maggie aveva avuto bisogno, non aveva esitato ad agire, ma adesso che tutto era passato, loro due tornavano a essere le solite persone. Maggie batté una mano sul letto. «Siediti.» Lui ubbidì e guardò il neonato. «È così bello.» Lei sorrise. «Sì. Lo è. Grazie. Non so che cosa sarebbe successo se non fossi stato qui.» Nick chiuse gli occhi, immaginandola distesa sul letto, sola, spaventata e incapace di gestire quella situazione senza un aiuto. «Avresti fatto tutto bene. È stato un parto molto facile.» Lei lo fissò. «Non l'hai ancora capito, Nick? Io ho bisogno di te. Tutti hanno bisogno di qualcuno e ogni volta che io avuto bisogno, tu sei arrivato.» Nick sorrise debolmente. «Sembra frutto del destino.» Guardò di nuovo il bimbo. Così minuto. Così perfetto. Poi guardò Maggie. Così contenta. Così perfetta. «A volte sono proprio un imbecille» mormorò. «Forse ti occorre un po' di tempo per capire certe cose e accettarle.» Nick sollevò il fagottino dal seno di Maggie e lo alzò all'altezza dei suoi occhi. «Benvenuto al mondo, piccolo.» Maggie rise. 314


«Santo cielo, la prima volta che ho visto Gino a sei mesi, mi sembrava piccolo, ma lui lo è molto di più. Ha davvero bisogno di noi» concluse lui, guardandola. «Sì» con fermò lei. «E io di te.» Udirla pronunciare quelle parole, gli diede il coraggio necessario ad aprirle il cuore. «E io di te.» Maggie gli strinse la mano. «Mi dispiace tanto di essermi arrabbiata quando hai confessato di temere di non poterlo amare.» «Ssst. Va tutto bene» assicurò lui, guardando il bambino. «Più che bene. Mio Dio, è così adorabile. Non posso credere d'aver avuto dei dubbi.» «Posso capirti. Io...» «No, Maggie. Ero geloso» confessò lui, chiudendo gli occhi. «I miei fratelli e io, quando stabilimmo di diventare dei veri fratelli, giurammo di non avere dei segreti. Non voglio averli nemmeno con te. Ero geloso» ripeté. «Avevi perso nostro figlio e un altro uomo ti aveva dato questo bambino che tu avresti amato con tutto il cuore. Non riuscivo ad accettarlo.» «Nick» sussurrò lei, infilando la mano nella sua. «Hai mai sofferto davvero per nostro figlio?» Lui trasalì. «Non ne sono sicuro.» «Bisogna che tu non respinga la sofferenza dovuta alla sua perdita e che la chiuda in un posto speciale del tuo cuore.» «Mi domando che aspetto avrebbe avuto.» «Nella tua famiglia i geni predominanti sono quelli degli Andreas perciò penso che avrebbe avuto i capelli e gli occhi scuri.» Nick sorrise. «Un demonietto irascibile ma simpatico.» Lui rise. «Sì, è così che lo immagino.» «Allora chiudilo dentro il tuo cuore.» Nick annuì adagio. 315


«E prenditi cura di me e di Egbert.» Nick sollevò la testa di scatto. «Egbert?» «È un vecchio nome di famiglia che nessuno usa da decenni.» Lui si alzò, cullando il neonato tra le braccia. «Se non è mai stato usato c'è una ragione. È orribile.» Lei rise. La sirena dell'ambulanza che arrivava nella fattoria, giunse quasi insieme al lampeggiare delle luce blu. «Se Egbert non ti piace, quale nome vorresti dargli?» Nick abbassò lo sguardo e il suo cuore si gonfiò d'amore fino a fargli scoppiare il petto. «Michael, Nicholas Andreas.» Maggie sorrise. «È un nome bellissimo e importante.» «Lui è un bambino importante.» «Sì.» Nick andò alla finestra per vedere se l'ambulanza si era fermata. Poi si voltò. «E tu mi sposerai.» «Lo farò se adotterai mio figlio e gli darai il tuo nome.» I paramedici irruppero nella stanza e dopo aver avvolto il piccolo in una coperta, si presero cura di Maggie. In attesa che finissero, Nick si appoggiò contro lo stipite della finestra. Aveva maledetto il fato per quindici anni. Adesso non lo odiava più. Aveva di nuovo Maggie. Per sempre. E aveva un figlio.

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