Schiava del vichingo

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MICHELLE STYLES

Schiava del vichingo


Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: Sold to the Viking Warrior Harlequin Historical © 2017 Michelle Styles Traduzione di Mariachiara Balocco Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Books S.A. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. Harmony è un marchio registrato di proprietà HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved. © 2017 HarperCollins Italia S.p.A., Milano Prima edizione I Grandi Romanzi Storici settembre 2017 Questo volume è stato stampato nell'agosto 2017 da CPI, Barcelona I GRANDI ROMANZI STORICI ISSN 1122 - 5410 Periodico settimanale n. 1083 del 22/09/2017 Direttore responsabile: Chiara Scaglioni Registrazione Tribunale di Milano n. 75 dello 01/02/1992 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - Via Mondadori, 1 - 20090 Segrate (MI) Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 045.8884400 HarperCollins Italia S.p.A. Viale Monte Nero 84 - 20135 Milano


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873 d.C., isola di Islay, arcipelago delle Ebridi, nel regno scozzese di Alba sotto il controllo vichingo «Non serve che tu mi guardi con quell'aria di disapprovazione, Coll. Ho fatto una promessa e devo mantenerla, anche se è l'ultimo posto dove vorrei recarmi.» Eilidith si strinse nel leggero mantello di lana, cercando di ignorare il freddo pungente dell'aria e procedette, accompagnata dal passo silenzioso dell'imponente levriero irlandese. Nel crepuscolo che precedeva l'alba, Liddy riusciva già a scorgere davanti a sé la fortezza degli uomini del Nord. Dietro le imponenti palizzate di legno, si stagliavano all'orizzonte le cime grigio violacee dei monti della vicina isola di Jura. Ma le apparenze erano ingannevoli e Liddy, pur facendo conto di arrivare prima che cominciasse l'assemblea, sapeva di avere davanti a sé almeno un'intera giornata di arduo cammino prima di raggiungere la meta. Si era rifiutata di compiere il viaggio via mare perché non era più salita su un'imbarcazione dal giorno dell'incidente che 5


aveva tolto la vita ai suoi due gemellini, Keita e Gilbreath. Dietro di lei, il rumore di passi che l'aveva seguita a distanza nel corso delle ultime miglia s'interruppe. Liddy si chinò ad afferrare il collare dell'animale. Sua madre si era opposta a che portasse con sé Coll, arrivando persino a chiamarla per intero Eilidith, e ricordandole che era una nobildonna del clan Fergusa, non una vagabonda senza famiglia. Ma Liddy aveva insistito e la donna aveva finito col cedere, come spesso accadeva di recente. Mentre si accomiatava, aveva osservato che le pareva di rivedere la Eilidith appassionata di un tempo, quella che pareva essere svanita alla morte del marito. A quel pensiero Liddy sollevò gli occhi al cielo, continuando a camminare. Quella donna era sparita molto prima di apprendere della morte di Brandon. Il suo cuore aveva cessato di battere, infrangendosi in mille pezzi, nel momento in cui i figli avevano esalato l'ultimo respiro. Liddy carezzò le orecchie di Coll e il cane si appoggiò alla sua gamba strofinandole la mano col muso in un gesto rassicurante. Da quando, poco tempo prima, l'isola era definitivamente caduta nelle mani degli invasori vichinghi, i boschi erano infestati da fuorilegge, uomini disperati pronti a tutto. Ma persino individui del genere ci avrebbero pensato due volte ad attaccarla, trovandosi di fronte un levriero irlandese adulto, la cui testa le arrivava al petto. Coll aveva una cicatrice sul muso, lasciatagli da una baruffa tra cuccioli più che da un combattimento vero e proprio, ma che gli conferiva lo stesso un aspetto spaventoso, capace di tenere alla larga la maggior parte della gente e degli altri cani e faceva sì che Liddy gli volesse ancor più bene. 6


Anche lei aveva il volto sfigurato, era nata con una voglia purpurea sulla parte inferiore della mascella. Da piccola, quando gli altri bambini la prendevano in giro per quello, sua nonna, la seanmhair, aveva dichiarato che Liddy era stata baciata da un angelo e che avrebbe portato fortuna al clan Fergusa. Ma il suo defunto marito trovava quella macchia assai sgradevole e la sua amante aveva insinuato che Liddy fosse stata maledetta sin dalla nascita. Dopo la morte dei gemellini, Liddy si era convinta che la donna avesse ragione e che una maledizione pesasse su di lei. Suo marito aveva persino bestemmiato in chiesa, mettendo in pericolo la propria anima immortale. Piuttosto che affrontare i mormorii della gente al suo passaggio, Liddy cercava di evitare tutti ed era diventata una specie di reclusa. Ma in quel momento non aveva altra scelta: le toccava agire. «Noi sapremo farlo, vero, Coll? Saremo in grado di liberare mio padre e mio fratello. Le promesse di Jaarl Ketil non possono essere parole al vento.» Coll emise un latrato sommesso, dandole un leggero colpetto alla mano col muso, come a esprimere il proprio accordo, benché quelle di Liddy fossero parole pronunciate per vincere l'oppressivo silenzio e darsi un po' del coraggio che le stava venendo a mancare. Lei riprese animo, raddrizzando le spalle. Nessuno l'avrebbe potuta fermare. Sarebbe riuscita a far rilasciare i suoi cari. C'era sicuramente stato un malinteso perché, a differenza del suo defunto marito, il padre di Liddy era stato tra i primi a giurare lealtà al rappresentante del sovrano norreno. Lo aveva fatto per proteggere la propria gente e le terre ancestrali del clan. La pace avrebbe portato con sé prosperità e il clan Fergusa doveva poter continuare a vivere su 7


quelle terre, che erano parte del loro sangue e delle loro membra. Liddy strinse i pugni. Persino i vichinghi, nella loro fortezza, dovevano seguire un qualche codice d'onore. In fondo anche loro avevano delle leggi e un sovrano. Bastava semplicemente ricordare allo jaarl quali fossero i suoi obblighi e costui avrebbe compreso come fosse nel suo stesso interesse rispettare la legge. Anche lui non poteva fare a meno di desiderare la pace e la prosperità, anziché la guerra con gli isolani. E una piccola parte di lei si aggrappava ancora alla speranza che la seanmhair avesse ragione, dopo tutto, e che Liddy avrebbe portato fortuna alla propria famiglia. «Avanzate con passo determinato e spinta da un fermo proposito» osservò dietro di lei una voce dal leggero accento, facendola sobbalzare. «La maggior parte della gente se ne starebbe alla larga da un posto simile, a quest'ora.» Liddy si voltò a guardare dietro di sé e vide la figura che da un bel pezzo si sforzava di ignorare, avvolta in un pesante mantello. L'uomo aveva cominciato a seguirla quasi un'ora prima e aveva percorso dietro di lei già un paio di miglia. Era di alta statura e aveva il volto nascosto nelle pieghe del cappuccio. Avanzava con la schiena eretta e il suo passo non mostrava alcuna incertezza, almeno quando non si sentiva osservato. In quel momento, sotto lo sguardo indagatore di Liddy, lo sconosciuto incurvò le spalle come se volesse dissimulare la propria statura e prestanza. Liddy si sforzò di continuare a respirare con calma. Non c'era alcuna ragione di temere un uomo solo, non quando aveva Coll al proprio fianco e un pugnale infilato nella cintola. 8


«In cosa dovrebbe riguardarvi?» chiese riprendendo ad avanzare lungo il sentiero. Era lieta che la sua ultima collana d'oro fosse al sicuro, cucita nell'orlo della veste. Nessun bandito avrebbe pensato di cercarla lì. Non era di gran valore, ma la madre di Liddy aveva insistito affinché la portasse con sé. Se non fosse riuscita ad appellarsi al senso dell'onore e al rispetto della legge da parte del signore norreno, avrebbe potuto acquistare da lui la libertà di padre e fratello. Liddy aveva acconsentito più per speranza che per convinzione. Non poteva permettersi alcun errore. Sapeva cosa sarebbe accaduto se avesse fallito nel compito che si era data, ma doveva comunque provarci. «E come fate a sapere dove sono diretta?» «Non capita spesso di incontrare una donna sola lungo la strada, a quest'ora» replicò lo sconosciuto soffermandosi con lo sguardo sul mantello che la avvolgeva. «Soprattutto se di nobili natali.» «Ho affari da sbrigare presso la fortezza dei vichinghi» ribatté Liddy resistendo alla tentazione di sollevare il cappuccio per nascondere la macchia sul suo volto. Strinse invece la mano sull'elsa del pugnale e gettò all'indietro le spalle in un gesto di sfida. Forse lo straniero, vedendola bene in faccia, avrebbe deciso che non era il caso di importunare una donna maledetta. Coll, avvertendo il suo stato d'animo, scoprì le gengive ed emise un ringhio. Lo sconosciuto indietreggiò di qualche passo e sollevò le mani davanti a sé. Coll si accucciò ai piedi della padrona, senza distogliere lo sguardo dall'uomo, con aria diffidente. «Siete davvero molto coraggiosa o estremamente incosciente ad avvicinarvi alla fortezza senza un protettore. Non sapete come trattano le donne di bell'aspetto?» 9


«Il mio cane è il mio protettore. Non ama gli estranei, men che meno i vichinghi che abbordano donne per la strada» ribatté lei a denti stretti. Di bell'aspetto, lei? Ma non aveva visto la macchia che le sfigurava il volto? «E persino i vichinghi sono costretti a obbedire alle proprie leggi.» «È da un pezzo che non incontro qualcuno come voi. Tanto coraggio di fronte a un simile rischio è insolito in una donna» aggiunse l'altro, abbassando lentamente le mani e arrischiandosi a compiere un passo nella sua direzione. Coll tornò a ringhiare piano. «Le lusinghe non hanno alcuna presa su di me. Le so distinguere.» Il volto di lui assunse un'espressione guardinga. «Viaggiamo entrambi nella stessa direzione. Cosa c'è di male nel fare un po' di conversazione per passare il tempo? Vi siete chiesta come farete a entrare nel forte per sottomettere la vostra richiesta allo jaarl? L'ingresso è molto sorvegliato di questi tempi. Non a tutti è concesso varcarne la soglia e una donna sola e senza protezione raramente lo supera.» «Ci siete stato di recente? È vero che alla gente viene permesso di entrare soltanto a determinate ore del giorno?» chiese Liddy incapace di trattenersi. Lo straniero la sbirciò di sottecchi e per un istante Liddy vide lampeggiare l'azzurro intenso del suo sguardo, prima che il cappuccio tornasse a oscurare i suoi lineamenti. «Il grande portone viene sprangato ogni sera al calare del buio e nessuno ha il permesso di entrare o uscire per tutta la notte. Durante il giorno, chiunque penetri nella fortezza o ne esca, viene perquisito. L'attuale jaarl è guardingo, sull'isola serpeggia il risentimento.» «Voi siete uno di loro» dichiarò Liddy. Aveva identificato nelle parole dell'uomo una leggera traccia 10


del pesante accento norreno, mescolata alla cantilena della lingua gaelica. Di solito gli uomini del Nord parlavano come se ringhiassero ed era difficile comprenderli. «Ma parlate la mia lingua molto meglio di tanti altri. Un fatto insolito.» L'altro fece scivolare lo sguardo su di lei, dal basso verso l'alto e viceversa, dall'orlo della veste macchiata di fango della strada al copricapo che lasciava sfuggire alcune ciocche di capelli. Di nuovo, Liddy si trattenne dall'impulso di celare la macchia infamante. «Le genti gaeliche di solito proteggono le loro donne, non si limitano a farle accompagnare da un cane, benché di grossa taglia, quando le mandano a negoziare con uno dei più famigerati capi vichinghi. Vi siete fermata a pensare a cosa potrà fare di voi quando avrete perso la vostra causa?» Liddy tenne la mano poggiata sul capo di Coll. Forse lo sconosciuto aveva indovinato che portava con sé una collana d'oro? Avrebbe potuto pugnalarlo, ma per far questo si sarebbe dovuta avvicinare. Non avrebbe avuto che una sola opportunità, pertanto la mossa migliore sarebbe stata colpirlo nel punto tra la spalla e la base del collo. Era il modo più rapido, secondo il suo defunto marito, che era solito vantarsi della propria esperienza in battaglia. Liddy si sentì raggelare al pensiero di uccidere un essere umano, in particolare quest'uomo che pareva così pieno di vita. «La maggior parte della gente ci penserebbe su due volte prima di attaccare il mio cane» si limitò a dire. «Mi lasceranno andare, una volta che avrò sbrigato la faccenda per cui sono venuta. Si comporteranno da uomini d'onore e manterranno la promessa fatta a mio padre da Jaarl Ketil.» 11


Quelle parole le parvero ancora più vane di quanto non lo fossero state prima. Ma se avesse perso anche quella tenue speranza, tanto valeva che tornasse indietro. Doveva credere nella possibilità di un miracolo e nel fatto che la sua stessa vita avesse un senso e non fosse soltanto un crudele scherzo della divinità. Liddy aveva anzi cominciato a chiedersi se non fosse proprio quello il suo destino, la ragione per cui era stata risparmiata, affinché potesse liberare il padre e il fratello, riscattando così la propria parte di colpa per la morte dei suoi figli. Aveva fatto di tutto per salvarli. «Ho visto uccidere altri cani in passato. Ma sarebbe un peccato. Sembra una brava bestia, fedele.» «Ho visto uomini scappare davanti a lui, in passato» ribatté Liddy scacciando da sé il ricordo del giorno immediatamente successivo all'incidente che aveva portato alla morte dei bambini, quando si era imbattuta nei vichinghi lungo la strada che costeggiava il promontorio. Coll l'aveva difesa efficacemente, allora. L'uomo si strinse nelle spalle e Liddy si accorse di quanto fossero ampie e possenti. «Basta gettargli un pezzetto di carne per renderli felici e farseli amici in un batter d'occhio. I cani hanno una concezione più semplice della vita.» Liddy incrociò le braccia con aria di sfida. Quel vichingo poteva credere di saperne, sui cani, ma non conosceva Coll. «Non il mio. Il mio cane diffida degli sconosciuti e in particolare degli uomini del Nord.» Un lampo azzurro intenso balenò nello sguardo di lui. «Non sarò certo io a sottrarmi a una sfida.» «Provate pure, ma rimarrete deluso. Conosco il mio cane. È molto bravo a giudicare il carattere delle persone.» 12


Lo straniero infilò una mano nella bisaccia e ne trasse un pezzo di carne essiccata. Un odorino invitante si diffuse nell'aria. Coll, quel traditore, esitò un attimo appena, prima di ricevere l'ambito boccone dalle mani dell'uomo che si chinò ad accarezzarlo dietro alle orecchie. L'animale allora si arrese completamente, accucciandosi ai suoi piedi. «Non tutti gli uomini del Nord sono uguali.» La voce dello sconosciuto aveva un tono carezzevole, come se la sua mano stesse sfiorando i suoi capelli anziché le orecchie di Coll. «E l'istinto probabilmente gli ha fatto capire che io potrei diventare un amico e un alleato. Fareste meglio a fidarvi di lui, visto che lo ritenete bravo a giudicare le persone.» «Prendo atto del mio errore. Non lo ripeterò» concesse lei a denti stretti, pensando che si stava comportando come una fanciulla appena uscita dal convento, senza alcuna esperienza degli uomini e delle loro tecniche di seduzione, anziché una giovane vedova. «Coll, vieni qui» ordinò al cane. Subito dopo, rivolgendosi allo sconosciuto, aggiunse: «Vi auguro una buona giornata. In quanto a me, devo riprendere il cammino. Ho una faccenda urgente da sbrigare con Jaarl Thorbin e sono certa che quando gli avrò spiegato come stanno le cose, lo jaarl farà rispettare la legge». Coll subito rizzò il pelo, come imbarazzato per il proprio comportamento e scivolò via dal fianco del suo nuovo amico. Liddy afferrò l'animale per il collare e riprese il cammino con passo deciso. L'uomo parve aver colto il segnale che metteva termine a quella conversazione, ma Liddy avvertì il suo sguardo posato su di sé, come se la stesse soppesando. Affrettò il passo e, dopo un certo numero di svolte 13


del sentiero, lo abbandonò per un viottolo secondario. Qui la vegetazione era più densa e nell'aria regnava un pesante silenzio. Volgendo il capo di lato, Liddy per poco non inciampò. Alberi carichi di corpi umani, che pendevano come frutti velenosi, le bloccavano la strada. Avrebbe voluto fuggire via, ma le gambe si rifiutarono di obbedire ai suoi comandi. D'istinto, si voltò dall'altra parte, mentre lo stomaco le si sollevava dal disgusto. Accanto a lei, Coll prese ad abbaiare a gran voce. «Jaarl Thorbin è solito sacrificare donne agli dei» spiegò dietro di lei lo sconosciuto a bassa voce. Coll tacque immediatamente mentre l'altro proseguiva: «E prova un gran piacere nel farlo. Non prende alcuna decisione importante senza fare almeno un sacrificio umano. Siete certa di volere continuare nella vostra impresa?». «Come fate a sapere che è opera sua?» Gli occhi dello straniero si ridussero a una fessura, come due sottili schegge di ghiaccio azzurro. «L'ho già visto in azione prima d'ora.» «E le donne? Di chi si trattava?» bisbigliò Liddy attirando Coll più vicino a sé mentre un brivido le correva lungo la spina dorsale. Dunque quell'uomo conosceva Thorbin e le sue imprese. «Schiave liberate prima di essere immolate. Donne sole senza parenti che le proteggessero, o donne ripudiate dalla loro famiglia.» La bocca dell'uomo si contorse in una piega amara. «I sacrifici devono essere compiuti con il consenso della vittima, altrimenti gli dei potrebbero infuriarsi. Quanto libera sia stata la loro scelta è impossibile a dirsi... ma erano schiave. A volte morire liberi può apparire la sorte migliore.» Liddy appoggiò le mani sulle ginocchia tentando 14


di riprendere il fiato. I vichinghi pagani potevano anche credere in queste cose, ma lei sapeva che si trattava di falsità. Quelle donne erano state assassinate senza un valido motivo. Come appellarsi all'onore di un uomo capace di massacrare delle donne? La sua idea le parve ora più ingenua che mai, tuttavia non poteva rimanere inattiva. Non serviva illudersi che sua madre fosse in grado di farcela da sola. Le terre rimaste incolte testimoniavano il contrario. «Pensavo che fossero soltanto racconti dei preti, per spaventare la gente.» «Volete che tiri giù uno di quei corpi e ve lo mostri? Davvero rischiereste di disturbare il sonno dei defunti?» Liddy volse nuovamente lo sguardo verso il gruppo di alberi e le parve che uno dei cadaveri facesse un gesto verso di lei. Un urlo proruppe dal profondo del suo essere. Tentò di fuggire, ma i suoi piedi parevano essersi tramutati in un blocco di pietra. «Io... io...» Lo sconosciuto l'afferrò per il gomito distogliendola con fermezza da quel macabro spettacolo. Bastò quel semplice contatto a calmarla. «Nel mio paese, la gente di solito sta alla larga da simili luoghi. Rimanete sul sentiero battuto. Allungherete il cammino, certo, ma sarà sempre meglio che disturbare i morti.» «Posso capire che sia preferibile, ma io ho il tempo contato» replicò lei svincolandosi con uno strattone. Non sapeva, quell'uomo, che lei non aveva più nulla da perdere? «I morti non possono più fare del male a nessuno e io devo raggiungere la fortezza in tempo per l'assemblea. Intendo far udire la mia voce. Non voglio si dica che sono stata cacciata via per essere arrivata troppo tardi. E attraversare quel bosco mi farà risparmiare tempo prezioso.» Ma il cuore le batteva all'impazzata mentre pro15


nunciava quelle parole. Doveva sperare che fossero vere. Tornare sul sentiero principale avrebbe significato aggiungere un'altra mezza giornata di cammino. Per quelle donne morte non poteva più far nulla, ma qualcosa poteva ancora tentare di fare per i vivi. «Che cosa contate di fare del vostro cane se Jaarl Thorbin vi darà udienza?» chiese l'altro porgendo la mano a Coll che le diede una rapida leccata. «Thorbin detesta i cani tanto quanto le donne. I segugi come il vostro, poi, gli sono particolarmente sgraditi da quando uno di loro lo ha morso da bambino. Va anche detto che Thorbin lo aveva preso a bastonate, sicché la reazione del cane era comprensibile.» Liddy si arrestò bruscamente e si voltò verso l'uomo. Costui sapeva anche troppe cose sulle abitudini di Jaarl Thorbin, eppure non pareva temerlo a differenza di tanta altra gente sull'isola. «In che cosa dovrebbe riguardarvi?» L'altro si strinse nelle spalle. «Mi piace il vostro cane. È un animale di carattere, ma proprio per questo può essere considerato come un'arma da Thorbin. Il che gli fornirebbe una scusa per farlo uccidere e ridurvi in schiavitù. E quale migliore maniera, per guadagnare l'oro di cui ha bisogno, che acquisire nuovi schiavi da rivendere?» Liddy nascose il mento contro la spalla per celare la sua maledizione. Senza saperlo, aveva rischiato di condannare a morte il fedele Coll. «Ma voi avete un'idea di come potrei farmi ricevere dallo jaarl senza mettere in pericolo la vita di Coll.» «Un modo ci sarebbe, se siete abbastanza coraggiosa. Potremmo diventare alleati, voi e io.» Lo sconosciuto indicò col capo gli alberi col loro sinistro carico. «Sarebbe meglio che finire in loro compagnia.» Liddy rabbrividì. Ma le parole di quell'uomo non 16


erano dissimili dagli avvertimenti che il prete e sua madre le avevano rivolto il giorno prima, quando si era messa in cammino. Sollevò il mento e replicò con le esatte parole con cui aveva affrontato la preoccupazione materna. «Riuscirò nel mio intento. Farò in modo che Jaarl Thorbin intenda le mie ragioni. Un sacro giuramento del suo signore significherà pure qualcosa per lui. Dovrà onorarlo o sarà screditato per sempre agli occhi dei suoi guerrieri.» L'uomo si fece improvvisamente attento. «Avete un pegno della stima di Jaarl Ketil? O soltanto la parola di vostro padre, che ora si trova in prigione?» «Eccome, se ho una prova.» Liddy infilò la mano nella saccoccia che portava appesa alla cintura e ne trasse l'anello che il padre aveva dimenticato di indossare quando era partito da casa l'ultima volta. «È stato Ketil Nasopiatto in persona a infilare quest'anello al dito di mio padre.» Rimase a guardare, soddisfatta, mentre l'altro si chinava a osservarlo e il suo sguardo si faceva ancora più intenso. Così avrebbe imparato a prendersi gioco di lei! «Perché vostro padre non lo ha portato con sé?» «Le dita gli si sono ispessite ultimamente e se lo era dovuto togliere qualche mese fa» spiegò lei riponendo il gioiello nella saccoccia. «Nella fretta di precipitarsi in soccorso di mio fratello deve averlo dimenticato, ma io me ne sono ricordata e l'ho cercato. Il prete mi ha detto che non avrebbe fatto alcuna differenza, ma io so che invece servirà.» «Così, avete scelto di non dar retta al vostro prete. Anche mia madre apparteneva al vostro popolo e so quanto possano essere testarde le donne gaeliche» osservò l'uomo, carezzando distrattamente la testa di 17


Coll. «Vi compatisco, perché ci vorrà molto più della forza di volontà per sconfiggere Thorbin e riavere indietro i vostri familiari.» La compativa? Un vichingo provava compassione per lei? La prendeva dunque per idiota? Sapeva bene lei come si manifestasse la compassione dei vichinghi. Aveva visto gli uomini massacrati e le fattorie bruciate. Per non parlare delle sgeula-steach tana adhair, le donne scomparse senza lasciare traccia. Il loro numero era diminuito, ora che i vichinghi avevano preso controllo della maggior parte delle isole, ma ogni anno accadeva che ne venisse ancora rapita qualcuna. «Dunque vostro padre era un uomo del Nord. In tal caso» ribatté, «è vostra madre a meritare compassione.» Lo sconosciuto la ascoltò, pensieroso. «Perché dite questo?» «Immagino che fosse nata libera e sia stata catturata, trascorrendo il resto dei suoi giorni in schiavitù.» «Non avete idea di cosa accadde» ripose lui in tono glaciale. «Vi limitate a saltare alle conclusioni. Vi meritereste che vi abbandonassi al vostro destino, anziché tentare di aiutarvi.» «Eppure questi sono i fatti. Le donne vengono rapite e più nessuno le rivede. Questi boschi, queste colline e questi campi sono incisi nella mia anima e io farò ritorno a loro da donna libera. Non intendo morire in un paese straniero o pendere da un ramo di quegli alberi» dichiarò Liddy stringendo con forza il collare di Coll e sperando che l'uomo non notasse il tremito della sua mano. Era consapevole di quel che accadeva alle prigioniere dei vichinghi ma sapeva anche che alcune di loro erano riuscite a scampare a 18


quella sorte dopo il pagamento di un riscatto. La collana le sarebbe servita a negoziare la propria libertà, nel caso l'anello di Ketil non fosse bastato. «Non sarò mai una schiava e non lo sarà nessun membro della mia famiglia.» «Una questione d'onore?» «Le genti gaeliche prendono molto sul serio il proprio onore». Troppo tardi la mano di Liddy corse a coprire la macchia infamante sul suo volto. «Mia madre dichiarava di essere figlia di un re» osservò l'altro con una smorfia amara. «Più tardi ho scoperto che almeno una prigioniera su due sostiene la stessa cosa.» «Che ne è stato di lei?» chiese Liddy emettendo un sospiro di sollievo. Era lieta di non avergli rivelato che anche suo padre era stato un re prima dell'arrivo dei vichinghi. All'epoca, Islay contava numerosi sovrani, anche troppi: erano sempre in guerra tra di loro e molti uomini validi avevano trovato la morte in quei conflitti. «Fu liberata prima di trarre l'ultimo respiro.» Liddy si trattenne a stento dal chiedergli se anche lei fosse stata impiccata a un albero sacro, ma uno sguardo al volto dello sconosciuto la zittì. Per una volta, le parole le morirono sulle labbra. «Chi la liberò?» «Fui io. Misi fine ai suoi tormenti. Era quel che desiderava di più al mondo.» L'uomo portò la mano all'elsa della spada e il cappuccio gli scivolò dal volto. Il raggio di luce nascente che penetrò tra i vapori dell'alba le rivelò uno degli uomini più attraenti che Liddy avesse mai visto. Nel volto incorniciato da capelli color dell'oro che gli ricadevano sulle spalle, le labbra erano sensuali ma il resto dei lineamenti pareva scolpito nella pietra e gli occhi tradivano una riso19


lutezza d'acciaio. Non si trattava di un guerriero come gli altri, c'era qualcosa nel suo modo di muoversi e nella determinazione del suo volto. Era un uomo avvezzo a essere obbedito. Un condottiero. «Chi siete voi?» chiese Liddy e subito si pentì di averlo fatto. Il suo defunto marito le aveva sempre predetto che avrebbe finito col mettersi nei guai a causa della sua lingua troppo lunga. Era uno dei rimproveri meno severi che era solito rivolgerle. «Se accettassi di unire le mie forze con le vostre, mi aiutereste davvero o mi state soltanto lusingando con false promesse?» Suo malgrado, una fiammella di speranza le si era accesa nel petto. Eppure avrebbe dovuto saperlo che certe cose capitavano soltanto nei racconti dei bardi. Non poteva permettersi di dipendere da nessuno, e in particolare non da un vichingo sotto mentite spoglie. Tre volte maledetta, l'aveva definita suo cognato poco dopo il funerale di Brandon. Il fatto di aver incontrato quello straniero sul suo cammino, anziché proseguire sola e indisturbata tendeva a dargli ragione. «Ditemi il vostro nome» insistette, vedendo che lui taceva continuando a fissarla. «Quello vero, non uno di quei ridicoli nomignoli che usano i vostri. Voglio sapere con chi ho a che fare, altrimenti non potremo mai essere alleati.» «Sigurd Sigmundson, un viandante come voi e come voi in cerca di giustizia» rispose l'altro tornando a nascondere il volto nel mantello. L'indumento era piuttosto consunto. Tuttavia, Liddy era convinta che non fosse il suo. E poi c'era quel modo di muoversi. E quella spada, che lei aveva intravisto al di sotto della cappa: di fattura troppo pregiata per essere quella di un semplice mercenario. «State cercando di avvicinarvi all'insediamento 20


senza dare nell'occhio. Per questo indossate quel vecchio mantello!» esclamò. «Voglio dire, dev'essere così: altrimenti ci andreste a bordo della vostra nave drakkar, risalendo il Loch Indaal e sbarcando nei pressi della fortezza.» Sigurd Sigmundson fece per avvicinarsi allungando una mano verso di lei. Liddy indietreggiò di un passo e per poco non inciampò in una radice che sporgeva dal terreno. Coll prese a ringhiare sommessamente e l'uomo si arrestò, lasciando ricadere la mano lungo il fianco. «Perché mai dovrei nascondere la mia identità?» chiese inclinando il capo di lato. Attraverso le ciglia, Liddy intravide di nuovo il lampo azzurro del suo sguardo. «Perché in caso contrario verreste rispedito indietro fatto a pezzi e chiuso in un barile in salamoia. Persino dalle mie parti sono giunte le voci di come Thorbin tratta i propri nemici» rispose Liddy sollevando una mano a coprirsi il mento. «Il mio defunto marito era un guerriero e so riconoscere il passo di un uomo d'armi. Voi non siete un vagabondo e se non volete che altri se ne accorgano dovreste trascinare i piedi e non avanzare a grandi passi. Un consiglio che non vi costerà nulla.» Sigurd le rivolse un inchino col capo. «Cosa avete intenzione di fare con ciò che sapete? Volete la mia rovina?» «Sempre che non abbiate voi intenzione di farmi del male, le vostre faccende non mi riguardano. Una volta che avrò sbrigato in modo soddisfacente l'affare tra me e Thorbin, potrete fare di lui quel che vorrete.» Dopo una pausa, la giovane proseguì: «Io, Eilidith del clan Fergusa, non ho alcuna ragione di oppormi. Lo jaarl non è certo un amico della mia fami21


glia. Ma prima devo ottenere soddisfazione da lui». L'altro rimase in silenzio per un lungo tratto. Liddy avvertì il suo sguardo percorrerle il corpo. Era da molto che un uomo non le aveva rivolto quel genere di occhiate. Si strinse ancor più nel mantello, sperando che l'indumento nascondesse le sue curve femminili. Non si faceva illusioni sulla propria avvenenza. La sua figura era abbastanza piacente, ma riteneva di avere la bocca troppo grande e i capelli troppo rossi. Del colore delle fiamme, aveva detto Brandon all'epoca in cui la corteggiava. Uno dei rari complimenti che le avesse mai rivolto. «Sono qui per portare a termine un compito affidatomi da Jaarl Ketil» dichiarò lui finalmente. «E questa missione ha la precedenza sulla vostra, Eilidith del clan Fergusa. Thorbin dovrà rispondere dei propri crimini, dopodiché cercherete vostro padre e vostro fratello. Sempre che non siano già stati messi a morte come traditori.» Liddy si sentì avvampare di collera. Chi era costui per potersi permettere di giudicarli? Non aveva idea di quale fosse la sua storia né di ciò che aveva fatto suo padre per proteggere il loro clan da quei feroci invasori. «Mio padre ha giurato lealtà a Ketil Nasopiatto la prima volta che costui si è recato quaggiù. A quell'epoca, mio fratello era ancora in fasce e da allora il tributo è sempre stato versato. Nessuno ha mai accusato mio padre di tradimento... sinora.» Liddy scosse il capo. Non osava pensare allo stato in cui versavano ora i campi, praticamente abbandonati sotto il sole estivo. Sua madre le aveva detto che il marito, prima di partire, aveva nascosto l'oro e le sementi. Senza queste ultime, non ci sarebbe stato raccolto e non avrebbero potuto pagare i futuri tributi. Strinse i denti e ribatté: «Se necessario, mi recherò 22


dallo stesso Jaarl Ketil per ricordargli il giuramento fatto a mio padre». Sperò che la propria voce non l'avesse tradita rivelandogli che stava mentendo: viaggiare per mare era l'ultima cosa che intendeva fare. L'idea di ritrovarsi al largo, lontano dalla terraferma, la terrorizzava. «Davvero fareste ciò?» «Cos'altro mi rimarrebbe, altrimenti?» Sigurd soffermò lo sguardo sulla giovane donna che gli stava di fronte. Nella luce fioca dell'alba vide che i suoi capelli non erano bruni come li aveva immaginati, bensì color rosso scuro, come il cielo di un bel tramonto estivo. La voglia a forma di farfalla sotto il suo labbro inferiore conferiva carattere a un volto dai tratti anche troppo regolari. Aveva dimostrato molto coraggio nel recarsi fin lì, senz'altra protezione che quella di un grosso cane. Sigurd conosceva soltanto due donne capaci di fare altrettanto: la propria madre e Beyla, colei a cui aveva dato il suo cuore quando ancora pensava di averne uno. Ma Beyla aveva preferito la sicurezza alla passione e aveva scelto il fratellastro di Sigurd, Thorbin: quello stesso che ora governava su Islay. «Vi credo capace di recarvi presso Ketil a esigere giustizia com'è diritto di chiunque rechi il suo anello» disse, scacciando quei ricordi importuni dalla propria mente. «Ma temo che Thorbin non si lascerebbe sfuggire tanto facilmente una preda come voi. Avete pensato a cosa fare in tal caso?» Eilidith si colpì il petto col pugno, col piglio di un guerriero più che di una nobildonna. «Ho giurato su quel che ho di più sacro che farò liberare mio padre o morirò nella mia impresa.» Sigurd raddrizzò la schiena. Si chiese se anche sua madre fosse stata come lei, un tempo: forte e risolu23


ta, anziché timorosa persino delle ombre come l'aveva vista negli ultimi anni della sua vita. «Il mondo perderebbe molto se voi moriste. Si vede che avete una famiglia che vi ama.» Lei sollevò il capo e lo squadrò da capo a piedi, come avrebbe fatto con un toro al mercato del bestiame. «Thorbin vi teme o c'è qualcuno che gli incute ancora più timore?» «Per Thorbin è finalmente giunta l'ora della resa dei conti e mi dà un immenso piacere sapere che ciò accadrà per mano mia. Anch'io ho fatto un giuramento che intendo compiere.» Islay era il perno della strategia di Ketil per il possesso delle Isole Occidentali. Colui che avesse dominato Islay sarebbe stato in grado di controllare i lucrativi traffici commerciali tra l'Irlanda e il regno di Alba. Tutte le rotte marittime passavano dall'isola e il pericoloso vortice a nord della vicina Jura faceva sì che il modo più veloce di trasporto avvenisse via terra. Thorbin governava su Islay dalla primavera dell'anno precedente. All'inizio, pareva che l'astro di quel farabutto fosse destinato a brillare sempre più e Sigurd aveva disperato di riuscire a trovare un modo di vendicare sua madre, ma quell'inverno il tributo dovuto dall'isola non era pervenuto e all'inizio della primavera Ketil aveva inviato un suo uomo a investigare le ragioni. Quando se lo era visto tornare fatto a pezzi in un barile, accompagnato da un messaggio insultante, Ketil aveva finalmente perso la pazienza col suo protetto e gli aveva ordinato di presentarsi immediatamente al suo cospetto e fornirgli le dovute spiegazioni. Era compito di Sigurd trasmettergli quel messaggio e far sì che Thorbin comparisse davanti allo jaarl per rispondere delle accuse. Sigurd aveva trascorso la settimana precedente e24


splorando i dintorni della fortezza e, non appena si era reso conto che se avesse tentato di risalire il braccio di mare per approdare nelle vicinanze con la nave sarebbe andato incontro a un disastro, aveva cominciato a cercare un piano alternativo. Conosceva il fratellastro e sapeva che costui non era uno sprovveduto. Benché si fosse chiaramente ritenuto immune da ogni castigo, era altrettanto evidente che aveva preso le sue precauzioni. L'insenatura era sorvegliata da numerosi uomini, così come tutti gli accessi e le vie d'uscita dalla fortezza. La disgrazia di Eilidith lo impietosiva, ma era altamente probabile che il padre e il fratello della ragazza fossero già stati venduti come schiavi o uccisi. Invece lei, e soprattutto l'anello che portava, potevano essergli utili. «Nella vita ho imparato che le cose raramente accadono per caso. Se i nostri cammini si sono incrociati è per una ragione» prese a dire cautamente. «Un disegno del destino che ci invita a procedere insieme per far sì che Thorbin risponda delle proprie azioni.» Un'espressione ostinata le irrigidì la mascella mentre un lampo le attraversava gli occhi, azzurro verdi come il mare dopo una tempesta estiva. «E per quale motivo dovrei fidarmi di voi, Sigurd Sigmundson? Perché mai non dovreste rivelarvi uguale a tutti gli altri vichinghi? Proprio come il vostro Jaarl Thorbin?» Sigurd scelse di ignorare la fiammata di collera che gli procurava sentirsi accomunare al fratellastro e si sforzò di imporre alla propria voce un tono suadente, come se dovesse tranquillizzare un cavallo innervosito. Doveva darle una ragione per fidarsi di lui. «Conosco Thorbin da quando eravamo bambini, so quanto è forte ma so anche quali sono i suoi punti 25


deboli. È per questo che Jaarl Ketil mi ha affidato questo compito. Sono il solo a poterlo sconfiggere, ma per farlo devo riuscire ad avvicinarmi a lui.» Eilidith prese a tormentarsi nervosamente il labbro inferiore che si fece scarlatto come il cielo dell'aurora sotto i suoi denti bianchi e regolari. «E voi potreste salvare i miei sconfiggendo Thorbin?» «Se vostro padre e vostro fratello si trovano ancora a Islay, lo farò. In caso contrario mi recherò personalmente da Ketil a perorare la vostra causa.» «Perché, d'un tratto, siete così desideroso di aiutarmi?» «Intendo provarvi che non tutti gli uomini del Nord sono uguali. Io riconosco i miei debiti e mantengo le mie promesse.» Eilidith affondò il mento nella spalla, nascondendo la macchia a forma di farfalla. «Ho bisogno di rifletterci su.» Sigurd reagì scrollando le spalle in un gesto di simulata indifferenza poi, come se niente fosse, offrì al cane l'ultimo pezzo di carne essiccata. L'animale gli pose le zampe sulle spalle e prese a leccargli il volto con la ruvida lingua. «Coll, non si fa così!» Il cane subito si sedette sulle zampe posteriori, leccandosi le labbra e guardando speranzoso Sigurd in attesa del prossimo boccone prelibato. «Il vostro cane ha fiducia in me. Vuole che io vi salvi. Accettate di unire le nostre forze?» Eilidith chinò il capo e prese a parlare con l'animale, prima di porgere la mano a Sigurd. «Forse avrò occasione di pentirmene, ma accetto di unire le nostre forze sino a che non sarà tempo che la nostra alleanza si interrompa.» Sigurd serrò nella propria mano le dita snelle di 26


Eilidith resistendo all'impulso di attirarla a sé per gustare le sue labbra. La giovane nobildonna del clan Fergusa era per lui uno strumento e Sigurd non mischiava mai il dovere col piacere. A malincuore, allentò la stretta e indietreggiò, curandosi di mantenere un'espressione neutra, ma esultando tra sé e sé. Aveva trovato l'arma perfetta, in grado di aprirgli un varco nella fortezza di Thorbin, per permettergli di distruggerlo, compiendo così il giuramento pronunciato di fronte alla pira funeraria dei suoi genitori. «Ringrazierete di aver dato retta al vostro cane.»

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Ritratto d'artista JULIANNE MACLEAN EUROPA-AMERICA, 1892 - Dopo tredici anni di silenzio, Annabelle riceve una lettera dall'uomo che le ha rubato il cuore e l'innocenza da fanciulla. Magnus Wallis vuole infatti...

Il riscatto di Aden VANESSA KELLY LONDRA, 1814 - Figlio illegittimo del Principe Reggente, Aden St. George deve ritornare in società per proteggere Lady Vivien. Ma tale vicinanza sarà una deliziosa agonia.

La rinascita dell'highlander SHARON CULLEN SCOZIA, 1746 - Catturato dagli inglesi, Colin MacLean viene liberato dal silenzioso compagno di cella, che è in realtà una donna bellissima! Diviso tra l'attrazione e il dovere...

Schiava del vichingo MICHELLE STYLES SCOZIA, 873 - Eilidith viene venduta a un cupo guerriero vichingo, accanto al quale non si sente una schiava, bensì una donna finalmente desiderata e benedetta dal destino.


Un eroe per Bella CAROLINE KIMBERLY GIAMAICA-LONDRA, 1820 - Isabella ha bisogno di un eroe e il capitano Ashford, mercenario arrogante, ubriacone e incredibilmente avvenente, è l'unica scelta a sua disposizione!

La nuova strada di Lady Sybil MARGARET MALLORY SCOZIA, 1522 - La bellissima Sybil Douglas, ostaggio della regina, viene salvata da un guerriero scozzese, che pretende di essere vincolato a lei da un contratto di matrimonio.

L'occasione di Griffin VANESSA KELLY LONDRA, 1815 - Noto libertino proprietario di case da gioco e di piacere, l'ultima cosa che Griffin si aspetterebbe è di trovarsi affidato un neonato. Chiede quindi aiuto a Justine...

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