Scintille di Natale D. PALMER - C. SCHIELD - K. GARBERA - T. RADLEY
Titoli originali delle edizioni in lingua inglese: The Maverick The Rogue's Fortune Calling All the Shots Staking His Claim Silhouette Desire Harlequin Desire © 2009 Diana Palmer © 2012 Harlequin Books S.A. © 2012 Katherine Garbera © 2012 Tessa Radley Traduzioni di R. Canovi, R. Pierangeli, C. Vicano e F. Ressi Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Books S.A. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. Harmony è un marchio registrato di proprietà HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved. © 2010 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prime edizioni Harmony Destiny dicembre 2010; novembre 2013; novembre 2013; dicembre 2013 Questa edizione Harmony Maxi dicembre 2017 Questo volume è stato stampato nel novembre 2017 da CPI, Barcelona HARMONY MAXI ISSN 2036 - 3230 Periodico mensile n. 92 del 23/12/2017 Direttore responsabile: Chiara Scaglioni Registrazione Tribunale di Milano n. 121 del 16/03/2009 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - Via Mondadori, 1 - 20090 Segrate (MI) Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 045.8884400 HarperCollins Italia S.p.A. Viale Monte Nero 84 - 20135 Milano
Pagina 7
Il milionario ribelle Pagina 161
Un'ereditĂ proibita Pagina 333
Rivincita sotto i riflettori Pagina 483
Natale milionario
Il milionario ribelle
1 Harley Fowler era così concentrato sulla lista della spesa che andò a sbattere contro una giovane morettina. Alzò gli occhi, scioccato, quando lei rimbalzò contro la porta del negozio, fulminandolo con lo sguardo. «Ho sentito parlare di uomini che sanno concentrarsi quanto le donne, ma questo è troppo» l'apostrofò la ragazza con un'occhiata eloquente. Si risistemò i capelli neri, tastando la testa alla ricerca di un bernoccolo. Un paio di occhi di un blu intenso si fissarono nell'azzurro dei suoi. Lei notò che aveva i capelli castano chiaro seminascosti da un cappellino da baseball che gli donava. Aveva un'aria sexy. «Non è questione di concentrazione» rispose secco. «Vorrei tornare al lavoro, ma questo elenco di faccende da sbrigare me lo impedisce.» «Il che non giustifica il fatto che tu aggredisca le persone con le porte, direi.» I suoi occhi fiammeggiarono. «Non ti ho aggredito con una porta. Sei tu che mi sei venuta addosso.» «Niente affatto. Eri così concentrato su quel pezzo di carta che non avresti notato neanche un treno merci.» Sbirciò la lista oltre il suo braccio. «Delle cesoie per potare? Due rastrelli?» Serrò le labbra, ma quando lo guardò di nuovo quegli occhi blu sorridevano. «Eviden9
temente sei un giardiniere» dedusse notando le scarpe infangate. Le sopracciglia di Harley si congiunsero sulla sua fronte. «Non sono un giardiniere» replicò indignato. «Sono un cowboy.» «Non ci credo!» «Scusa?» «Non hai un cavallo, non porti un cappello da cowboy.» Accennò ai suoi piedi. «Non hai neanche gli stivali da cowboy!» Harley la guardò allibito. «Cos'è, sei appena scappata da un ospedale psichiatrico?» «Non sono mai stata in terapia» lo informò altezzosa. «Le mie idiosincrasie sono talmente uniche che non sono riusciti a classificarmi nemmeno con l'ultima edizione del SDM-IV, figuriamoci a psicoanalizzarmi!» Si riferiva a un classico volume di psicologia usato per diagnosticare le malattie mentali, ma lui non aveva idea di cosa stesse parlando. «Quindi sai cantare?» riprese lei. «E perché dovrei cantare, scusa?» ribatté sempre più perplesso. «I cowboy cantano. L'ho letto in un libro.» «Allora sai leggere» osservò con finto stupore. Alla sua espressione confusa, Harley accennò al cartello sulla porta di ingresso, che recava a chiare lettere la scritta tirare. Lei la stava spingendo. Notando l'errore, la ragazza mollò immediatamente la maniglia e strofinò i piedi per terra. «L'ho visto» dichiarò sulla difensiva. «Volevo vedere se prestavi attenzione.» Inclinò la testa da una parte. «Hai una corda?» «Perché? Hai intenzione di impiccarti?» Lei sospirò con infinita pazienza. «I cowboy hanno sempre una corda con sé.» 10
«A che scopo?» «Così possono prendere al lazo il bestiame!» «Non è facile trovare dei bovini che pascolano nei negozi» le fece presente lui recuperando terreno. «E se succedesse?» insistette lei. «Come trascineresti una mucca fuori dal negozio?» «Un toro. Alleviamo tori purosangue Santa Gertrudis al ranch del signor Parks» la corresse. «E non avete mucche?» Fece una smorfia. «Allora vuol dire che non allevate vitelli» concluse annuendo soddisfatta. Il viso di Harley si infiammò. «Alleviamo eccome vitelli. E abbiamo le vacche. Solo non le portiamo a spasso per negozi!» «Be', scusa tanto!» ribatté lei per niente contrita. «Non ho mai detto questo.» «Cappelli da cowboy, corde e mucche...» borbottò tra sé mentre apriva la porta. «Entri o te ne stai qua fuori? Io ho del lavoro da sbrigare.» «Tipo che cosa? Colpire donne innocenti con una porta in testa?» domandò con tono sdolcinato. Lo sguardo impaziente di Harley si posò sui suoi pantaloni puliti, sulla giacca di lana e sulla borsa che aveva con sé. «Ripeto: intendi entrare nel negozio?» domandò cercando di mantenere il controllo mentre le teneva aperta la porta. «Sì, in effetti sì» rispose lei avvicinandosi. «Ho bisogno di un metro, di colla, fiammiferi, gesso, puntine, spago colorato e nastro adesivo.» «Non mi dire» considerò. «Sei un'impresaria edile, per caso?» «Oh, fa un mestiere un po' meno convenzionale di questo, Harley» intervenne Cash Grier, il comandante della polizia, mentre saliva gli scalini verso la porta del 11
negozio. «Come va, Jones?» domandò quindi alla sconosciuta. «Sono sommersa dai cadaveri, Grier» replicò lei con un sorriso. «Ne vuoi un po'?» L'uomo alzò le mani. «Non facciamo molti affari con gli omicidi, qui a Jacobsville. Preferirei continuare così.» Si accigliò. «Sei un po' fuori dal tuo territorio, eh?» «Già. Sono stata chiamata dal tuo sceriffo, Hayes Carson. In realtà è lui ad avere un cadavere. Non ho portato con me tutto il necessario, spero di riuscire a trovare quello che mi serve qui in negozio: è lunga tornare a San Antonio quando si lavora a un caso.» «Un caso?» si informò Harley, confuso. «Sì, un caso» rispose. «A differenza di te, qualcuno è un professionista con un vero lavoro.» «Lo conosci?» le domandò allora Cash. Lei rivolse a Harley un'intensa occhiata. «Non proprio. Ha marciato su per le scale come un bulldozer e mi ha sbattuto la porta in faccia. Dice di essere un cowboy» aggiunse con tono confidenziale. «Ma, detto tra noi, sono certa che stia mentendo. Non ha né un cavallo né una corda, non indossa il cappello né gli stivali da cowboy, sostiene di non saper cantare e pensa che i tori pascolino liberi nei negozi.» Harley rimase a fissarla con un misto di emozioni quale non provava da tempo. Cash strozzò una risata. «Be', in effetti è un cowboy» lo difese. «Harley Fowler, manager del ranch di Cy Parks.» «Incredibile!» esclamò lei. «Che colpo all'immagine del Texas se qualche turista passasse di qui per caso e lo vedesse vestito a quel modo!» Indicò l'abbigliamento di Harley con un gesto della mano. «Non possono definirci la capitale mondiale dei cowboy se chi bada alle mandrie 12
va in giro con cappellini da baseball! Saremo messi in ridicolo!» Cash stava cercando di non ridere, mentre sembrava che Harley stesse per esplodere. «Meglio un cowboy senza cavallo che un'impresaria con un simile caratteraccio!» ribatté Harley con gli occhi che scintillavano. «Mi meraviglia che qualcuno possa contattarti per affidarti la costruzione di qualcosa.» Al che lei gli rivolse un'occhiata altezzosa. «Io non costruisco niente. Ma potrei farlo, se volessi.» «Sta dicendo la verità» confermò Cash. «Harley, ti presento Alice Mayfield Jones. È un'investigatrice del dipartimento di medicina legale di Bexar County.» «Lavora con i morti?» esclamò Harley indietreggiando di un passo. «Cadaveri» confermò Alice, impassibile alla sua espressione disgustata. «E sono dannatamente brava nel mio mestiere. Puoi chiederlo a lui» aggiunse accennando a Cash. «Ha una certa reputazione» confermò il comandante, e gli scintillarono gli occhi. «La conosco dai tempi di San Antonio.» «Quando nell'ufficio distrettuale avevi la fama di professionista solitario con un brutto carattere e nessun senso dell'umorismo.» «Oh, sono cambiato.» Le sorrise. «Una moglie e un figlio possono trasformare il peggiore di noi.» Anche lei rispose al sorriso. «Scherzi? Se ho tempo, mi piacerebbe conoscere questa ragazzina di cui parlano tutti. È bella come la mamma?» Annuì. «Oh sì, ha preso tutto da lei.» Harley si allargò il collo della camicia. «Vi spiace piantarla di parlare di bambini?» borbottò. «Mi fate venire la pelle d'oca.» 13
«Allergico ai piccoli?» lo punzecchiò Alice. «Allergico all'argomento matrimonio in toto» rimarcò con un'espressione eloquente. A quelle parole Alice inarcò le sopracciglia. «Mi spiace, speravi forse che ti chiedessi di sposarmi?» scherzò con disinvoltura. «Non hai un brutto aspetto, suppongo, ma ho uno standard molto elevato per quanto riguarda i possibili mariti. Francamente» aggiunse studiandolo da cima a fondo, «se fossi in vendita in un negozio, ti posso assicurare che non ti comprerei.» Harley la fissò come se dubitasse delle proprie orecchie, mentre Cash Grier dovette voltarsi dall'altra parte – il suo viso ormai era paonazzo. Dalla porta del negozio uscì un uomo alto e taciturno, dai capelli scuri, che subito aggrottò la fronte. «Jones? Che diavolo ci fai qui? Avevano chiesto che se ne occupasse la Longfellow!» Lei rispose all'occhiataccia. «La Longfellow si è nascosta nel bagno e si è rifiutata di venire fuori» replicò senza scomporsi. «Quindi hanno mandato me. E poi, perché ti interessa un caso dello sceriffo Carson? Tu sei un federale.» Kilraven si portò un dito alle labbra, e si guardò intorno in fretta per assicurarsi che non ci fosse nessuno in ascolto. «Sono un poliziotto e lavoro nelle forze di polizia locali» precisò secco. Alice alzò entrambe le mani in gesto di resa. «Scusa tanto! È così difficile tenersi al passo con tutti questi segreti!» Kilraven guardò il proprio comandante prima di riportare l'attenzione su Alice. «Quali segreti?» «Be', qui abbiamo il cowboy senza cavallo» iniziò indicando Harley, «e il cadavere giù al fiume...» Gli occhi argentati di Kilraven si spalancarono. «Al 14
fiume? Pensavo fosse in città. Nessuno mi ha informato!» «L'ho appena fatto io» gli fece notare lei. «Ma è proprio un segreto, non dovrei dirlo a nessuno.» «Io faccio parte della polizia locale» insistette Kilraven. «A me puoi dire tutto. Chi è il cadavere?» «Gli ho solo dato un'occhiata veloce prima di accorgermi che avrei avuto bisogno di altro materiale» rispose con uno sguardo vago e la mano sul fianco. «È maschio, e morto. Non ha alcun documento di identità, è nudo, e nemmeno sua madre lo riconoscerebbe.» «Le impronte dentali...» cominciò Kilraven. «Per averle, c'è bisogno dei denti» replicò lei con voce sdolcinata. Harley stava sbiancando, e Alice si rivolse a lui. «Sei debole di stomaco?» domandò speranzosa. «Ascolta, una volta ho esaminato un tizio che la fidanzata aveva sorpreso con una prostituta. Dopo averlo fatto fuori, lei gli ha tagliato... Ehi, dove vai?» Harley si stava affrettando nel negozio. «In bagno, suppongo.» Grier sorrise a Kilraven, che ridacchiò. «Lavora con il bestiame ed è così suscettibile?» domandò Alice, divertita. «Immagino sia uno spasso quando nascono i vitelli!» «Non è carino, Jones» la riprese però Kilraven. «Tutti abbiamo i nostri punti deboli. Anche tu.» «Io non ho alcun punto debole» lo rassicurò allora lei. «E neanche una vita privata» osservò Grier. «Ho sentito dire che hai cercato di fare l'autopsia al tacchino del Ringraziamento, durante delle indagini in North Carolina.» «Era una morte sospetta» replicò lei impassibile. Entrambi gli uomini ridacchiarono. «Devo rimettermi al lavoro.» Si fece seria. «Questo 15
caso è strano. Nessuno sa chi sia il morto, né da dove venga, ed è evidente il tentativo di renderlo non identificabile. Persino con il test del DNA – e ci vorrà del tempo per avere i risultati – non sono certa che riusciremo a scoprire la sua identità. Se non ha la fedina penale sporca, non sarà presente nei registri.» «Per lo meno non ne capitano molti» considerò Kilraven sommessamente. Jones gli sorrise. «Quand'è che torni a San Antonio?» gli domandò. «Hai risolto il rapimento Pendleton e hai aiutato a prendere i colpevoli.» «Ho ancora qualche faccenda da sistemare qui» rispose. Poi fece un cenno di saluto a lei e al capo. «Torno di pattuglia.» «La moglie di Brady ha preparato la zuppa di patate con vero pane di granturco, per pranzo. Non perdertelo.» «Non ci penso nemmeno, capo.» Alice seguì con lo sguardo il federale che si allontanava. «È un bel bocconcino, ma non ha ormai svolto il suo compito, qui?» domandò a Cash. Lui si avvicinò prima di rispondere. «Winnie Sinclair lavora per il centro 911. In giro si dice che lui si sia preso una bella cotta, per questo continua a trovare scuse per non andarsene.» Alice parve preoccupata. «E si porta appresso un passato di cui praticamente nessuno è al corrente. Finge che non sia mai accaduto.» «Forse è meglio così.» Lei annuì. «Uno dei casi peggiori sui quali abbia mai lavorato. Povero ragazzo.» Si accigliò. «Non l'hanno mai risolto, sai? Il bastardo è ancora là fuori, libero come l'aria. Deve aver fatto impazzire sia Kilraven sia il fratello, non sapere se sia qualcuno che hanno arrestato, qualcuno che cercava vendetta.» 16
«Il padre era un agente dell'FBI di San Antonio, prima di cominciare a bere tanto da lasciarci la pelle – e tutto per colpa di quegli omicidi. Blackhawk è ancora coi federali» aggiunse poi Cash con aria assorta. «Potrebbe essere un caso su cui aveva lavorato uno dei tre.» «Potrebbe» convenne Alice. «L'idea deve perseguitare quei due. Il senso di colpa sarebbe già più che sufficiente, ma non vogliono rischiare che succeda di nuovo, a qualcun altro a cui sono legati. Per questo evitano le donne, soprattutto Kilraven.» «Non vuole affrontare di nuovo quell'inferno.» «Questa Sinclair... Lei cosa prova per Kilraven?» Cash le rivolse un sorriso amichevole. «Non sono un pettegolo.» «Balle.» L'altro scoppiò a ridere. «È pazza di lui. Ma è molto giovane.» «L'età non conta, alla lunga» sentenziò Alice con sguardo assente. «Per lo meno in certi casi.» Quindi aprì la porta del negozio. «Ci vediamo, Grier.» «Ci vediamo, Jones.» Quando fu entrata, notò Harley vicino alla cassa, pallido e scombinato. Lui la fulminò con gli occhi. «Non sono neanche scesa nei particolari» si giustificò allora Alice sollevando le mani. «E solo Dio sa come puoi marchiare le bestie, con quello stomaco.» «Ho mangiato qualcosa che non andava d'accordo con il mio stomaco» dichiarò Harley, freddo come il ghiaccio. «In questo caso non devi avere molti amici...» Il cassiere si piegò in due dalle risate. «Io non mangio la gente!» protestò Harley borbottando. Quella ragazza era impossibile! «Spero proprio di no» replicò lei. «Voglio dire, essere 17
un cannibale è molto peggio che essere un giardiniere.» «Non sono un giardiniere!» Alice rivolse al cassiere il suo sorriso più dolce. «Avete del gesso e degli spaghi colorati?» si informò. «Ho anche bisogno delle batterie per la macchina fotografica e di un detergente antibatterico per le mani.» Il ragazzo rimase a bocca aperta e Harley sogghignò: lui lo conosceva molto bene ma, per sua sfortuna, Alice no; forse aveva trovato il modo di ricambiare il favore. «Ehi, John, abbiamo una vera investigatrice, sai?» informò il giovanotto. «Lavora per la scientifica di San Antonio!» Lo stomaco le precipitò ai piedi quando notò il guizzo interessato negli occhi del commesso. Il suo viso si animò all'improvviso. «Davvero? Ehi, io guardo tutte le serie di CSI!» esclamò eccitato. «So dei test del DNA, e so anche come stabilire da quanto tempo qualcuno è stato ucciso tramite gli insetti presenti sul cadavere...» «Le auguro una splendida giornata, signorina Jones» la salutò Harley al di sopra del monologo esuberante del commesso. «Oh, grazie tante» borbottò lei con un'occhiata gelida. Si portò due dita sul cappellino. «Ci vediamo, John» salutò il ragazzo prima di recuperare i propri acquisti e incamminarsi verso la porta con un diabolico sorrisetto soddisfatto. Il commesso gli rivolse un generico cenno di saluto senza distogliere lo sguardo da Alice. «Comunque, a proposito di quegli insetti...» riprese con entusiasmo. Alice lo seguì per il negozio alla ricerca del necessario, grugnendo tra sé mentre il tizio continuava a blaterare. Non mancavano mai i sapientoni che volevano insegnarle il mestiere, grazie alla proliferazione di telefilm sull'argomento. Ogni volta cercava di spiegare che la 18
maggior parte dei laboratori aveva personale insufficiente, budget limitati, e che i risultati non erano pronti in un'ora, neanche per un dipartimento come il suo, quello dell'Università del Texas, che aveva una reputazione eccellente a livello nazionale. Ma il sedicente esperto di insetti era partito in quarta e non la ascoltava; si rassegnò alla lezione e si costrinse a sorridere: non era il caso di farsi dei nemici, considerato che avrebbe potuto averne bisogno in seguito. Tuttavia, l'avrebbe fatta pagare a quel malefico cowboy – questo era sicuro. La riva del fiume brulicava di poliziotti. Alice sbuffò mentre si chinava sul povero cadavere e cominciava a prendere le misure. Aveva già fatto circondare la scena del crimine con il nastro giallo, ma questo non impediva alla gente di oltrepassarlo come se niente fosse. «Non fate un altro passo» ordinò a due uomini che indossavano la divisa da vice sceriffo. Entrambi si fermarono con il piede a mezz'aria all'udire il suo tono. «La gente deve finirla di sguazzare sulla mia scena del crimine! Quel nastro giallo serve a tenere le persone fuori.» «Scusi» borbottò uno imbarazzato, prima che entrambi ritornassero al di là della linea. Con il dorso della mano ricoperto dal guanto di lattice, Alice si scostò dalla fronte un ciuffo sudato e mugugnò tra sé; era quasi Natale, ma il clima sembrava impazzito e faceva molto caldo. Aveva già sfilato la giacca di lana, sostituendola con un camice, ma anche i pantaloni erano di lana e lei si stava sciogliendo. Per non parlare del fatto che il cadavere era stato abbandonato da almeno un giorno e puzzava. Aveva spalmato la necessaria crema Vicks sotto il naso, ma non era di grande aiuto. Per l'ennesima volta, si chiese perché avesse scelto una simile professione. Ma era molto appagante quando 19
aiutava a catturare un assassino, il che era accaduto numerose volte, negli anni. Non che fosse sufficiente a rimpiazzare una famiglia... Purtroppo la maggior parte degli uomini che conosceva provava repulsione per quel mestiere. Alle volte lei cercava di tenerlo nascosto, tuttavia, inevitabilmente, un film o un telefilm menzionava qualche dettaglio assurdo e lei non riusciva a non sottolineare l'errore. A quel punto arrivavano i sorrisi forzati, le scuse. Era sempre così. Di solito accadeva prima della conclusione del primo appuntamento, al massimo del secondo. «Scommetto che sono l'unica ventiseienne ancora vergine in tutto il dannato Texas» borbottò tra sé. «Mi scusi?» uno dei vice sceriffi, una donna, esclamò con occhi sbarrati. «Appunto, mi guardi pure come se mi fossero spuntate le corna e la coda» mormorò senza interrompere il lavoro. «So di essere un anacronismo.» «Non è quello che intendevo» ridacchiò il vice. «Ascolti, ci sono un sacco di donne della nostra età in questa condizione. Parlando per me, non intendo prendermi qualcosa di poco piacevole da un uomo che si presenta come una ciotola di noccioline al bar. E pensa che la informerebbe se avesse qualche malattia?» Alice si illuminò. «Lei mi piace.» Il vice ridacchiò di nuovo. «Grazie. Per me è solo buonsenso.» Abbassò la voce. «Vede Kilraven, laggiù?» domandò, attirando l'attenzione di Alice sull'arrivo di un altro poliziotto – anche se in realtà si trattava di un federale che fingeva di essere un poliziotto. «Dicono che suo fratello, Jon Blackhawk, non abbia mai avuto una donna in vita sua. E noi pensiamo di essere quelle puritane!» Anche Alice sorrise. «Anch'io l'ho sentito. Dev'essere un uomo di buonsenso!» 20
«Decisamente.» Protetta dai guanti di lattice, il vice stava raccogliendo ogni pezzo di carta, ogni mozzicone di sigaretta che riusciva a trovare, imbustandoli perché fossero analizzati. «Guardi quel vecchio straccio, Jones. Pensa che debba prendere anche quello? Ha una macchia che sembra piuttosto recente.» Alice studiò l'oggetto in questione, stringendo gli occhi. Era vecchio, sì, ma il vice sembrava aver ragione. «Sì» rispose. «Probabilmente è qui da tempo, ma potrebbe essere utile. Attenta a non toccare la macchia.» Nel frattempo Kilraven aveva scavalcato il nastro giallo e si era avvicinato alla scena. «Che cosa pensi di fare?» protestò Alice. «Kilraven...!» «Guarda» la interruppe lui, gli occhi argentei fissi sull'erba proprio sotto la mano destra del corpo, che era stretta a pugno e pressata nel fango. «C'è qualcosa di bianco.» Alice seguì il suo sguardo. Sulle prime non lo vide neppure, ma quando si mosse il sole lo illuminò: un pezzo di carta. Scostò l'erba nelle vicinanze, e notò quella che poteva essere l'impronta di un piede. «Ho bisogno della macchina fotografica prima di prenderlo» dichiarò tendendo la mano. Il vice sceriffo recuperò la macchina dalla borsa e gliela porse, e lei scattò le foto necessarie e le registrò sulla piantina della scena. Dopodiché, con estrema delicatezza, infilò una matita sotto la mano e la sollevò finché non fu in grado di vedere il pezzo di carta; recuperò delle pinze dalla propria borsa e lo estrasse dal pugno chiuso. «È un foglietto ripiegato» annunciò aggrottando la fronte. «Grazie al cielo non ha piovuto.» «Amen» concordò Kilraven studiando l'oggetto appena raccolto. 21
«Vista acuta» aggiunse Alice con un sorriso. Lui rispose al sorriso. «Sangue Lakota» ridacchiò. «Cercare tracce fa parte del mio patrimonio genetico. Il mio bis-bisnonno era a Little Big Horn.» «Meglio che non chieda da quale parte» scherzò lei con un finto sussurro. «Non c'è bisogno di essere modesti. Era al fianco di Cavallo Pazzo.» «Buon per noi che adesso state dalla nostra parte, allora.» «L'avresti visto anche tu, Jones, prima o poi» replicò lui. «Sei la migliore.» «Wow! Ha sentito? Prenda nota» Alice invitò la vice sceriffo. «La prossima volta che mi urlano dietro che non faccio bene il mio lavoro, citerò Kilraven.» «Servirebbe a qualcosa?» domandò lui. Alice scoppiò a ridere. «A San Antonio hanno ancora paura di te» rispose. «Jacobs, uno dei veterani, al sentire il tuo nome sbianca come uno straccio. Avete avuto un piccolo disaccordo, se non ricordo male.» «L'ho sbattuto contro un espositore di frutta e verdura nel supermercato. Brutto affare. Lo sapevi che i mirtilli lasciano macchie viola sulla pelle?» aggiunse come se niente fosse. «Lavoro alla scientifica» gli ricordò inarcando le sopracciglia. «Posso chiederti perché l'hai fatto?» «Stavamo indagando su una serie di furti e ha cominciato a fare commenti sulla verdura con un poliziotto che era accanto a me – e che è omosessuale. Lui non poteva fare niente senza finire nei guai.» Sogghignò. «È incredibile come possano cambiare gli atteggiamenti con un po' di incoraggiamento.» «Ehi, Kilraven, cosa ci fai sulla scena del crimine?» chiamò Cash Grier dalle retrovie. 22
Pagina
Romanzo
Un'ereditĂ proibita
1 Avanzò tra la folla elegante elargendo un sorriso indolente a quelli che lo colmavano di congratulazioni. Alto, di costituzione robusta, aveva attirato gli sguardi ammirati di metà delle donne presenti in sala. Da parte sua, non sembrava interessato allo scalpore che suscitava mentre si faceva largo tra i duecento ospiti riuniti per l'asta di vini pregiati. Mentre perlustrava l'ambiente, soltanto i suoi occhi penetranti rivelavano che non era così rilassato come sembrava. La maggior parte della gente non si sarebbe accorta che Roark Black era sulle spine. La maggior parte della gente non possedeva radar ipersensibili per i tipi pericolosi. Elizabeth Minerva lo possedeva. «I gamberetti stanno finendo!» Strappata alle sue riflessioni da Brenda Stuart, la sua assistente facile preda del panico, Elizabeth distolse lo sguardo dal bell'avventuriero e si asciugò i palmi umidi sul vestito. «Ho appena controllato e ci sono ancora gamberetti in abbondanza.» Abbondavano anche lo champagne e le tartine, oltre a una decina di altre cose per cui Brenda si era agitata nell'ultima ora. «Perché non ti prepari un piatto e vai a gustartelo nel retro?» 163
Qualsiasi cosa pur di sbarazzarsi della ex organizzatrice di matrimoni. Josie Summers, il capo di Elizabeth, le aveva appioppato Brenda perché, come sempre, ne aveva sottovalutato le capacità. Era il secondo evento che organizzavano insieme e trovarsi in contatto con i ricchi e i famosi di Manhattan rivelava perché Brenda non era pronta ad affrontare quell'ambiente. Invece di muoversi tra gli ospiti come se fosse invisibile, aveva assillato un cameriere in presenza di Bunny Cromwell, rinomata in città per la perfezione dei suoi ricevimenti, e aveva rimproverato un barista per non aver preparato secondo le regole un drink per un consigliere municipale. Lei, invece, si sentiva perfettamente a suo agio. Prima che decidesse di rendersi indipendente dalla famiglia, lei era considerata una delle ereditiere più in vista della città ed era abituata a certi ambienti, anche se non negava che lo stare dietro le quinte le era più congeniale. «Non posso rilassarmi» esclamò Brenda, in un tono così acuto da richiamare l'attenzione di due ospiti lì vicine, che si scambiarono un'occhiata di disgusto. «E non dovresti rilassarti nemmeno tu.» Incollandosi sul volto un sorriso soave, Elizabeth l'afferrò per il braccio, stringendoglielo senza troppa delicatezza. «Ho tutto sotto controllo. L'asta inizierà tra mezz'ora. Perché non te ne vai a casa?» «Non posso.» Brenda oppose resistenza mentre Elizabeth la trascinava verso i tramezzi, dietro i quali veniva preparato il rinfresco, al riparo dagli occhi degli ospiti. «Certo che puoi» ribatté Elizabeth, continuando ad allontanare la donna dal party. «Questa settimana hai fatto molti straordinari. Meriti di riposarti. Io posso cavarmela.» «Se ne sei sicura...» Come se Elizabeth non avesse gestito ricevimenti ben 164
più numerosi nei tre anni da quando, dopo il diploma, era andata a lavorare per la Event Planning di Josie Summers. Certo, quella era la prima volta che si trovava a lavorare per conto di ospiti tanto altolocati. Ed era stata sulle spine fino a quando non li aveva uditi fare apprezzamenti lusinghieri sul modo in cui aveva trasformato uno spazio anonimo in un luogo sofisticato ed elegante. «Più che sicura. Va' a casa e rimbocca le coperte alla tua bella bambina.» Erano passate le dieci ed era probabile che la sua figlioletta di sei anni dormisse già, ma Elizabeth aveva scoperto che tutto quello che Brenda faceva era in funzione della sua piccola. Era l'unica cosa di lei che a Elizabeth piaceva. E che le invidiava. «D'accordo. Grazie.» Elizabeth aspettò che Brenda fosse scomparsa prima di tornare al ricevimento. «Bene, salve.» Lei era quasi riuscita a dimenticare Roark Black, invece eccolo lì, a meno di due metri, appoggiato a una delle colonne che sorreggevano il soffitto. Dannazione. Da vicino, quell'uomo emanava un'energia sbalorditiva. Da lui trasudava virilità e pericolo. Aveva rinunciato al tradizionale farfallino e aveva lasciato slacciati i primi due bottoni della camicia bianca. Vizioso e sexy, quell'uomo la turbava. Hai chiuso con i cattivi ragazzi, per sempre, ricordi? E se c'era un cattivo ragazzo, quello era Roark Black. Anche il suo nome la faceva rabbrividire. Eppure, poco prima, aveva sognato a occhi aperti cos'avrebbe provato a infilare le dita nella sua folta capigliatura castana. «Posso offrirle qualcosa?» gli chiese. «Credevo che non me l'avrebbe mai domandato» re165
plicò lui, sollevando un angolo della bocca. Aveva un tono che la invitava ad accettare la schermaglia. I suoi occhi la sfidavano a togliersi l'abito nero per offrirgli una visione di quello che nascondeva. Deglutì a fatica. «Ha bisogno di qualcosa?» Appena ebbe pronunciato quella domanda, se ne pentì. E se la interpretasse nel modo sbagliato? «Tesoro...» «Elizabeth» lo interruppe lei, tendendogli la mano in un gesto professionale. «Elizabeth Minerva. Sono l'organizzatrice dell'evento.» Si aspettava che lui le prendesse la mano in una stretta vigorosa, invece gliela voltò con il palmo insù e vi passò sopra l'indice. Il suo corpo fu attraversato da una scarica elettrica, e i suoi sensi scattarono in allarme. «Roark.» Lui le scrutò il palmo. «Roark Black. Hai una linea dell'intelligenza molto sinuosa.» «Una cosa?» Fu tutto quello che lei riuscì a dire, tanto secca era la sua bocca. «Linea dell'intelligenza.» Con la punta del dito riprese il suo viaggio attraverso il palmo. «Guarda qui. Significa che ti piace giocare con idee nuove. È così, Elizabeth?» «Cosa mi piace?» L'aria nella sala sembrava essersi rarefatta negli ultimi sessanta secondi. Con la testa che le girava, era a corto di ossigeno. «Ti piace giocare con idee nuove?» Elizabeth si schiarì la gola e recuperò la mano con un gesto così brusco che il sorriso di Roark si allargò mentre lei si sentiva avvampare. «Mi piace creare ambienti particolari per ricevimenti, se è questo che intende.» Più a suo agio quando si parlava del suo lavoro, Elizabeth incrociò le braccia sul petto ed esaminò quello che aveva realizzato nelle ultime ventiquattr'ore. 166
«Non c'era molto quando ho iniziato. Solo un pavimento di cemento e pareti bianche. Oltre a quelle incredibili finestre ad arco con una vista spettacolare sulla città.» Le indicò, sperando che lui avrebbe distolto quel suo sguardo inquietante. «Mi dicono che è sua l'idea della proiezione di diapositive per onorare Tyler.» Tyler Banks era morto l'anno prima. Si era sempre comportato in modo sgradevole e nessuno aveva mai sospettato che, nell'ultimo decennio, fosse stato uno dei principali finanziatori delle opere di carità di New York. «Può darsi che non abbia voluto attirare l'attenzione su ciò che di buono aveva fatto, ma la sua generosità ha aiutato molte persone. Pensavo che meritasse un tributo.» «Bella e intelligente.» Roark la divorava con gli occhi. «D'accordo, sono affascinato.» Come lo era lei. Naturalmente. I cattivi ragazzi erano la rovina della sua vita sentimentale. Quanto peggio erano tanto più li voleva. Da tutto quello che aveva letto sul conto di Roark Black, si era aspettata un tipo arrogante e privo di scrupoli. Macho e sexy, certo, ma con una morale discutibile. Il tipo di uomo per il quale, fino a un anno prima, lei avrebbe perso la testa. Ma dopo quello che era successo con Colton l'ottobre scorso, aveva giurato sulla tomba di sua sorella di aver chiuso con uomini di quel genere. Purtroppo, dal momento che sembravano essere l'unico tipo di uomo che stuzzicava il suo interesse, in quegli ultimi dodici mesi la sua vita amorosa era stata di un vuoto desolante. Il che spiegava come mai i suoi ormoni fossero impazziti quando Roark aveva fatto la sua comparsa. «Non esageri, signor Black» disse Elizabeth in tono a167
cido, nella speranza di controbattere lo stato sdolcinato e melenso in cui si trovava nel suo intimo. «Io non le piaccio?» Non sembrava particolarmente preoccupato di non piacerle. Anzi, si sarebbe detto che la sfida lo stuzzicasse. «Non la conosco.» «Ma si è fatta un'opinione. Che dice, scopriamo le nostre carte?» Ah, voleva farle intendere che si sarebbe comportato lealmente! Lei non lo credeva neanche per un secondo. Anzi, sospettava che, se avesse abbassato la guardia, si sarebbe ritrovata in una toilette con l'orlo del vestito sopra le orecchie. Rimase sconvolta avvertendo un formicolio tra le cosce. L'irritazione aggiunse più veemenza di quanta intendesse alla sua replica. «Ho letto delle cose.» «Che genere di cose?» Lui era il motivo per cui si stava svolgendo quel party. Se non avesse convinto la nipote di Tyler ad acconsentire che la Waverly's mettesse all'asta i pezzi più rari della collezione di vini di Tyler, quell'evento non avrebbe mai avuto luogo, e lei non sarebbe stata scelta per organizzarlo. Si pentì di non aver tenuto la bocca chiusa. Quell'uomo era troppo sicuro di sé. La sua personalità era troppo forte. «Certe cose.» Le scure sopracciglia ebbero un guizzo sopra un paio di penetranti occhi grigioverdi. «Oh, non fare la timida con me dopo aver gettato il guanto.» Prima di allora, nessuno l'aveva mai accusata di essere timida. «Ascolti, non sono affari che mi riguardino, inoltre devo assicurarmi che tutto fili liscio.» Lui si spostò, bloccandole la strada. «Non prima di aver risposto alla mia domanda.» 168
Con il suo metro e ottantotto, lui rappresentava una barriera massiccia mentre la spingeva verso la colonna che li aveva nascosti agli occhi curiosi degli altri ospiti. Elizabeth si accorse con fastidio che il suo corpo reagiva alla mole minacciosa di lui. Un lampo le saettò nello stomaco e si diramò lungo i nervi, lasciando un ronzio inquietante nella sua scia. «Tu hai un'opinione.» Roark piazzò una mano sulla colonna sopra la sua spalla. «Vorrei ascoltarla.» «Non capisco perché.» Da quello che aveva udito dire sul suo conto, gli era indifferente quello che gli altri pensavano. O dicevano. Lui andava per la sua strada e al diavolo le regole. Per di più, a detrimento del suo impegno anti mascalzoni, la totale sicurezza di quell'uomo la eccitava. «Diciamo che tu sei la prima donna da molto tempo a questa parte che non fa la preziosa. E credo che tu sia incapace di giocare sporco. Ora, dimmi che cosa sai di me» concluse Roark, avvicinandosi ancora di più. Turbata dall'effetto che la vicinanza di quell'uomo aveva sul suo battito cardiaco, lei sbottò: «La Waverly's è nei guai per via di uno scandalo. Se la casa d'aste fallisce, lei potrebbe esserne la causa principale». Preoccupata per quello che aveva appena detto, Elizabeth trattenne il fiato e aspettò le conseguenze. «E questo dove l'hai letto?» Lui non sembrava né sorpreso né seccato dalla sua schietta accusa. «Mi dispiace. Non sono affari che mi riguardino. Dovrei proprio tornare al ricevimento.» «Non così in fretta.» Lui la studiò socchiudendo gli occhi. Il suo fascino era svanito. Con la bocca stretta e ogni muscolo contratto che prometteva terribili conseguenze se si fosse rifiutata di rispondere, Roark aggiunse: «Credo che tu mi debba una spiegazione». 169
«Ho parlato a sproposito.» «Ma con notevole cognizione di causa.» L'affascinante avventuriero aveva lasciato il posto a un cacciatore dagli occhi di ghiaccio. Elizabeth tremò, ma non di paura. La parte avventata di lei, che si era data tanta pena per arginare, reagiva alle vibrazioni pericolose di Roark. «Ascolti...» Prima che potesse spiegarsi, fu salvata dalla comparsa di Kendra Darling, sua vecchia compagna di scuola e assistente di Ann Richardson, direttrice della Waverly's. «Signor Black, Ann mi ha mandata a cercarla.» «Non può aspettare? Elizabeth e io stavamo facendo una piccola chiacchierata.» Dietro gli occhiali dalla montatura di tartaruga, i grandi occhi nocciola di Kendra si spalancarono quando riconobbe la persona che Roark aveva monopolizzato con la sua presenza carismatica. «È importante» disse. «Ci sono degli uomini che vogliono parlarle. Sono dell'FBI.» Stringendo i denti per l'irritazione, Roak annuì. «Le dica che la raggiungo fra un paio di minuti.» «Credo che preferirebbe se la raggiungesse subito.» In altre parole, l'assistente non voleva tornare senza di lui. Era abituata a trattare con clienti ricchi e a volte difficili, non con i rappresentanti della legge. Altrimenti avrebbe saputo che l'FBI voleva parlare con lui ogni volta che succedeva qualcosa di discutibile in materia di antichità medio-orientali. Roark era stato sia soggetto di indagini sia l'esperto che li aveva aiutati a incastrare i ladri. Prima di allontanarsi, diede un'ultima occhiata a Elizabeth. La stupenda bionda non si era mossa. Anzi, si sarebbe detto che le sarebbe piaciuto amalgamarsi con la colonna alle sue spalle. Roark ripensò a tutte le volte che aveva tenuto in ma170
no un oggetto e aveva capito subito se era un pezzo autentico o un'ottima copia. Quell'incontro con Elizabeth gli aveva fatto lo stesso effetto. Le aveva tenuto la mano e aveva riconosciuto che lei era l'articolo autentico. Senza artifici. Senza trucchi. Pura attrazione. E intendeva averla. «Continueremo questa conversazione più tardi» le assicurò. Gli occhi di lei dicevano: Non ci contare. «Signor Black?» Lasciò l'organizzatrice di eventi dalla figura voluttuosa e dagli indimenticabili occhi color indaco e puntò dritto sui due ovvi intrusi ai lati di Ann. A differenza della sua assistente, la direttrice della Waverly's non era per niente agitata. La calma che mostrava quando era sotto pressione era una delle qualità che Roark apprezzava di più. Gli rivolse un sorriso neutrale. «Roark, loro sono gli agenti speciali Matthews e Todd. Vorrebbero farti qualche domanda in privato.» Guardandoli uno alla volta, Roark riconobbe Todd per averlo incrociato altre volte. L'agente Matthews, invece, era nuova di zecca. Alta e magra, con capelli neri che le scendevano sulle spalle in morbide onde, i suoi occhi castani l'avevano seguito mentre attraversava la sala, e Roark sapeva che quell'agente pensava a una promozione. «Possiamo parlare sulla terrazza» suggerì. Togliendosi la giacca dello smoking, la drappeggiò sulle spalle di Ann mentre si dirigevano al piccolo spazio all'aperto. L'abile tocco di Elizabeth era visibile anche lì. Con luci bianche intrecciate in rami di pino e candele poste in moderne lanterne controvento, aveva creato un ambiente romantico. Dopo tre mesi passati nella giungla, Roark apprezzava la fresca serata di novembre così come godeva della vi171
sta delle luci di Manhattan. Il più delle volte trovava la città troppo addomesticata per i suoi gusti, ma non si poteva negare che, di notte, sfavillasse. «Cosa posso fare per aiutarvi?» chiese Roark appena la porta si fu richiusa alle loro spalle. «Si tratta della statua del Cuore d'Oro di Rayas che è scomparsa» rispose il primo agente dell'FBI. «Abbiamo ricevuto un nuovo rapporto dal principe Mallik Khouri secondo il quale un uomo mascherato dell'esatta corporatura del signor Black ha rubato la statua dalle sue stanze al palazzo reale.» «Non potete pensare che sia stato Roark a rubarla» protestò Ann, anche se non era per niente sorpresa che lo accusassero di furto. «Secondo i nostri rapporti, si trovava a Dubai a quell'epoca» disse l'agente Matthews. «Non sarebbe impossibile per uno con il suo talento...» Dal modo in cui pronunciò l'ultima parola era chiaro che cosa pensava delle capacità di Roark, «... introdursi a Rayas, penetrare nel palazzo e sottrarre la statua.» «Sono perfettamente in grado di farlo.» L'occhiata truce di Ann lo ammonì a lasciare che fosse lei a gestire l'accusa. «Non lo farebbe mai.» «Proprio come un migliaio di altre cose illegali che sono in grado di fare» proseguì Roark, fissando l'agente Matthews fino a costringerla ad abbassare lo sguardo. «Ma non le faccio.» «Ci dispiace se non possiamo crederle sulla parola» disse l'agente speciale Todd. «Non ci sono prove che Roark fosse implicato.» Ann non mostrava segno di credere il contrario e Roark le era grato che, qualunque fosse l'opinione che aveva di lui, non l'aveva gettato in pasto ai lupi. «Il ladro ha commesso l'errore di imprecare durante il 172
tafferuglio» disse Matthews. «La voce era profonda e particolare. Lui sostiene che fosse la sua voce, signor Black.» «Ci siamo incontrati un'unica volta, e brevemente, a Dubai, anni fa. Non riesco a immaginare che ricordi la mia voce.» Roark, tuttavia, ammetteva di essere un perfetto capro espiatorio. E Mallik aveva un altro motivo per sospettare che lui si fosse introdotto nelle sue stanze. «Perché è la prima volta che sentiamo parlare di questo ladro?» chiese Roark. «Per il principe Mallik era imbarazzante spiegare al nipote di non essere riuscito a bloccare il ladro» rispose Matthews. «Ma è convinto che fosse lei.» «Si sbaglia» sbottò Roark. Ann gli mise una mano sul braccio e parlò con voce pacata ma ferma. «Ho conosciuto il principe Mallik. Mi è sembrata una persona onesta e gradevole. Tuttavia, nel fervore di una mischia, sopraffatto dall'adrenalina, può essersi immaginato di aver udito la voce di Roark. Non avete detto che il ladro portava una maschera?» Ann non aspettò la conferma dell'FBI. «Perciò, può darsi che la sua voce fosse distorta.» Roark si sforzava di restare calmo. «Avete interrogato Dalton Rothschild a proposito del furto?» Il proprietario della casa d'aste rivale era da anni una spina nel fianco della Waverly's. «Ha un conto in sospeso con la Waverly's, e non mi stupirei se avesse mandato uno dei suoi scagnozzi a Rayas per rubare la statua e dare la colpa a me.» «Dalton Rothschild non condivide i suoi metodi discutibili per procurarsi manufatti, signor Black» disse l'agente Matthews. «Non avremmo motivo di interrogarlo su questa faccenda.» Era ovvio che non l'avessero. Per Roark non sarebbe 173
stata una sorpresa scoprire che era stato proprio Rothschild a indirizzare l'FBI sulla Waverly's. Quell'individuo era uno scaltro trafficante, avido come nessun altro. Mentre Ann scortava l'FBI all'uscita, Roark rimase sulla terrazza, lasciando che l'aria fredda gli facesse sbollire l'ira. Attraverso le grandi vetrate, perlustrò la sala cercando Elizabeth Minerva. Si muoveva tra gli ospiti come un'apparizione, con i capelli biondi raccolti in uno chignon, favolosa nel semplice abito nero. In pochi secondi, la collera cominciò a trasformarsi in desiderio. E, preoccupato, si domandò come mai si sentisse tanto attratto da lei. Le bionde minute e dalle curve voluttuose non erano il suo tipo. Preferiva le donne alte e snelle, con occhi neri e pelle dorata. Era la passione a dominarlo quando si trattava di antichità o di fare l'amore. Era probabile che i suoi appetiti sessuali avrebbero spezzato una creatura fragile come Elizabeth. «Roark, cosa stai guardando?» Senza che se ne accorgesse, Ann era uscita sulla terrazza. Lui sfogò la preoccupazione imprecando. In molti dei posti dove si avventurava, farsi cogliere di sorpresa poteva significare una morte certa. «Come posso mettermi in contatto con la tua organizzatrice di eventi?» «È stata la mia assistente a tenere i rapporti» rispose Ann, stupita da quella richiesta. «Le dirò di mandarti via e-mail tutte le informazioni.» «Fantastico. Tra qualche settimana avremo motivo di festeggiare.» «Intendi a causa della statua del Cuore d'Oro? Sei sicuro che non sia quella rubata a Rayas?» «Mi stai chiedendo se l'ho rubata io?» «No di certo. Ma sei sicuro che la tua fonte sia assolutamente legale?» 174
«Sicurissimo. Puoi fidarti di me. La tensione di Ann si allentò un po'. «Lo so, ma con questa nuova accusa, dobbiamo essere più prudenti che mai.» Una qualità che a lui faceva difetto. «È indispensabile che mi consegni la statua» proseguì Ann. «Il modo più rapido per risolvere la questione è che io la porti a Rayas e faccia verificare dallo sceicco che non è quella rubata.» «Non lo è.» «Né l'FBI né il principe ereditario Raif Khouri ti crederanno sulla parola. Sei scomparso per tre mesi, Roark. La Waverly's è nei guai.» Poteva darsi che lui fosse stato isolato dal mondo, ma non significava che fosse all'oscuro di quanto accadeva. Era al corrente dello scandalo di accordi fraudolenti che aveva fatto tremare la Waverly's e del coinvolgimento di Ann Richardson. Il suo fratellastro, Vance Waverly, era convinto che lei non avesse mai avuto storie sentimentali con Dalton Rothschild e che non ci fosse niente di vero nelle voci che accusavano le due case d'aste rivali di aver fatto cartello. Roark era convinto che la fiducia di Vance in Ann fosse ben riposta per quanto riguardava pratiche illegali, ma non era altrettanto convinto che l'OPA ostile di Rothschild nei confronti della Waverly's fosse solo una voce infondata. Né che Ann non si fosse innamorata di Dalton. E questo significava che non sapeva fino a che punto poteva fidarsi di lei. «È importante chiarire la questione della statua» proseguì Ann, restituendogli la giacca. «Capisco, ma farla arrivare qui presenterà un problema.» «In che senso?» «Nel senso che, con tutta la pubblicità che ha suscitato 175
e l'evidente determinazione di Rothschild a creare guai, è più che mai importante proteggerla.» «Falla arrivare al più presto possibile o potrebbe essere troppo tardi per salvare la Waverly's.» Roark affrontava le situazioni difficili con la stessa determinazione di Ann. Perciò era disposto a fare di tutto per aiutarla a salvare la Waverly's. Pensieroso, la riaccompagnò dentro. Si stava infilando la giacca quando si sentì osservato da un paio di occhi. Appartenevano a un membro molto influente del consiglio di amministrazione della Waverly's. Qualcosa nel suo sguardo stuzzicò la curiosità di Roark. Che lo avesse visto mentre parlava con gli agenti dell'FBI? Prese un bicchiere di champagne da un cameriere di passaggio e andò a stringergli la mano. «Ti sei procurato una bella collezione» lo complimentò George Cromwell. «Non avevo idea che Tyler fosse un simile conoscitore.» «Era un uomo dai molti segreti.» Cromwell sollevò il suo bicchiere. «Auguriamoci che li abbia portati con sé nella tomba.» Roark si limitò a un sorriso educato. Che stesse vedendo guai dove non ce n'erano? Il suo istinto si era sbagliato a proposito di quell'uomo? Oppure stava diventando paranoico dopo anni passati a scansare pericoli, e gli ultimi tre mesi trascorsi in un mortale gioco a rimpiattino con un cartello sanguinario? «Cosa ci faceva qui l'FBI?» chiese Cromwell. Rassicurato che il suo istinto non si era sbagliato, Roark sorrise con aria distaccata. «Avevano ricevuto delle informazioni errate e sono venuti per chiarire la questione.» A modo suo, quella giungla di cemento era non meno pericolosa di quella tropicale che aveva appena lasciato. «Ed è stata chiarita?» 176
Roark non intendeva mentire. «Credo che abbiano ancora qualche dubbio.» Cromwell s'incupì. «Sono preoccupato per il futuro della Waverly's.» «Come mai?» Roark sorseggiò il suo champagne con noncuranza. Odiava i maneggi politici e gli mancava il pericolo a lui familiare di criminali che non esitavano a uccidere chi si metteva sulla loro strada. «Alcuni di noi azionisti della Waverly's siamo stati contattati per indagare se eravamo interessati a vendere le nostre quote.» «Lasciami indovinare: Rothschild.» «Sì.» «Vendere a lui non sarebbe nell'interesse di nessuno.» «Visti i recenti guai, si teme che la Waverly's sia gestita male.» Oltre a esprimere la propria opinione, Cromwell era a caccia di informazioni. Il vero legame di Roark con Vance Waverly non era di dominio pubblico, ma c'era chi sapeva che loro due avevano un padre in comune. Se Cromwell dava per scontato che Roark avrebbe divulgato quello che sapeva dei problemi della Waverly's, si sbagliava. «È ridicolo. Ann è la scelta perfetta per dirigere la Waverly's. I guai che abbiamo avuto di recente sono attribuibili a un'unica persona: Dalton Rothschild.» «Forse. Ma il tuo operato degli ultimi tempi non è stato di aiuto.» Roark rimase in silenzio. Sarebbe stato inutile protestare che quello che lui faceva non c'entrava con i giochi di potere della Waverly's, ma fino a quando fosse rimasto legato alla casa d'asta, qualunque cosa lui avesse procurato avrebbe suscitato sospetti. Essendo abituato ad agire da solo, che qualcuno dipendesse da lui lo metteva a disagio. 177
«Quello che faccio è del tutto legale.» «Naturalmente. Ma il mondo degli affari non sempre è interessato ai fatti. I mercati salgono e scendono in base alla percezione che la gente ha di quello che sta succedendo.» «E io sono percepito come...?» «Troppo sconsiderato, sia nella vita professionale che in quella privata.» Roark non poteva contraddirlo. Basava le proprie azioni su esigenze e desideri personali. Prendere in considerazione gli altri non rientrava nell'equazione. Ma il giudizio espresso da Cromwell colpiva un punto sensibile, già ammaccato dalla severa opinione di una biondina. La sua attenzione si spostò su di lei. Sapeva esattamente dov'era. La sua presenza era un raggio di luce per i suoi sensi. Una piacevole sensazione gli serpeggiò lungo le terminazioni nervose quando la sorprese a fissarlo. Le strizzò l'occhio, e sorrise quando lei si voltò così in fretta che rischiò di scontrarsi con un cameriere. Ignaro della distrazione di Roark, Cromwell proseguì dicendo: «Credo che se tu dimostrassi di essere legato alla Waverly's, potrei convincere gli altri membri del consiglio che tu, Vance e Ann siete il futuro che vogliamo». «E cosa mi suggerisci per riuscirci?» «Dimostraci che ti sei sistemato.» In altre parole, per il futuro immediato rimanda qualsiasi operazione pericolosa. Poteva rivelarsi problematico. Al momento, Roark stava dando la caccia a un nuovo e raro manufatto – la seconda metà di una coppia di teste di leopardo che un tempo avevano ornato il trono di Tipu Sultan, una figura importante della storia indiana e islamica. La prima testa, incastonata con diamanti, smeraldi e rubini, era stata scoperta in un baule abbandonato a 178
Winnipeg, Canada, ed era andata all'asta molti anni prima. Se l'era aggiudicata un collezionista d'arte medio orientale e aveva acconsentito che Roark consultasse documenti esclusivi nella sua biblioteca personale se riusciva a trovargli il secondo leopardo. Per Roark, le informazioni racchiuse nella casa del collezionista erano molto più preziose del mezzo milione di dollari che gli aveva offerto come compenso. Roark lasciò vagare lo sguardo sulla sala finché localizzò Ann. «Avevo in programma di lasciare New York tra qualche giorno.» «Non è una buona idea, se sei preoccupato per il futuro della Waverly's.» «Ho degli affari a Dubai.» «Credi che sia saggio lasciare la città quando l'FBI s'interessa a te? Resta a New York e dimostra che la tua vita privata si è stabilizzata.» «Come?» «Le tue prodezze sentimentali sono leggendarie. Se ti potessi sistemare con una donna, convinceresti tutti che sei l'uomo di cui abbiamo bisogno al timone.» Roark ignorò la sensazione di un cappio che gli veniva infilato al collo. Sistemarsi con l'amore della sua vita. Non così facile per un uomo la cui passione erano le avventure pericolose in giro per il mondo. Nessuna donna, per quanto sensuale, bionda e adorabile, poteva competere con l'eccitazione di scoprire oggetti smarriti da secoli. Ma le prospettive della Waverly's dipendevano dalla sua capacità di proiettare un'immagine affidabile di sé. Quello di cui aveva bisogno era una donna in grado di recitare la parte della sua adorante fidanzata. Una che capisse che era per il bene della Waverly's. 179
In quel modo, quando fosse finita, non avrebbe dovuto preoccuparsi di spezzarle il cuore. Roark sorrise. «È buffo che tu abbia tirato in ballo questo argomento perché frequento da un po' una donna, e stiamo per rendere pubblica la nostra relazione.» «Fantastico. Portala a cena domani sera e discuteremo del vostro futuro.» «Ci saremo.» «Non vedo l'ora. Come si chiama la signora?» «Elizabeth.» Roark guardò in direzione della zona della sala separata da un tramezzo. Se doveva sistemarsi, preferiva scegliere una donna che stuzzicasse il suo interesse. «Elizabeth Minerva.»
180
Pagina
Romanzo
Rivincita sotto i riflettori
1 Nella maggior parte dei casi Willow Stead amava il proprio lavoro; doveva rispondere solo a se stessa, e si sentiva molto fortunata. Ma non quel giorno. In realtà, il problema aveva avuto origine mesi prima, quando i pezzi grossi del network avevano riscosso qualche favore e avevano ottenuto che il conduttore al secondo posto nella classifica dei presentatori più popolari d'America lavorasse nel suo programma. Grandioso, no? No. Perché quel conduttore era Jack Crown. Certo, era di bell'aspetto e affascinante, ma sotto quel sorriso a quarantadue denti e quella personalità effervescente batteva il cuore di uno stronzo. E anche se gli uomini di quel genere potevano incontrare la redenzione nei film o nelle pagine di un romanzo, nella vita reale non accadeva. Questo Willow lo sapeva per esperienza diretta, dato che il suddetto le aveva spezzato il cuore alla tenera età di sedici anni. «Qualcosa da bere, Willow. Suggerisco solo questo» stava insistendo Jack con quel suo sorriso accattivante. A guardarlo, si capiva subito perché la redazione di People lo aveva inserito nell'elenco degli uomini più sexy d'America per ben quattro anni di fila. Ma su di lei, 335
il suo fascino non aveva effetto. Sì, come no. Se solo la perfidia che ricordava – l'aveva piantata in asso la sera del ballo della scuola, per la miseria! – fosse stata sufficiente a impedirle di cadere nella sua trappola... Negli ultimi sei mesi Willow aveva fatto del proprio meglio per tenerlo a distanza, nonostante lavorassero fianco a fianco sul set di Sexy & Single, il reality show ambientato a New York basato sulle storie di coppie che si erano formate in seguito all'iscrizione a un'agenzia di appuntamenti, e di cui lei era produttrice. Tuttavia, non poteva negare di essere attratta dal suo invito a bere qualcosa. «Mmh... non hai ancora detto di no, perciò suppongo che tu stia aspettando che ti convinca» riprese lui abbassando la voce a un sussurro intimo. «È questo che vuoi?» «Ciò che voglio è che tu la smetta di comportarti come se facessi parte del tuo harem» rispose lei, cercando un tono sprezzante. «Non sono come tutte le altre donne, che cadono ai tuoi piedi non appena schiocchi le dita.» «Ah, mi ferisci.» Teatralmente, si portò le mani al petto, dove avrebbe dovuto battergli il cuore – se ne avesse avuto uno. «Ne dubito» commentò Willow, «ma dato che dobbiamo parlare del programma, accetto.» «Diamine, Willow, non mostrare tutto questo entusiasmo» ironizzò Jack. «Un tempo apprezzavi la mia compagnia.» Lei arricciò il naso. Non le piaceva che le ricordassero la sua passata infatuazione per lui. Diavolo, all'epoca non avrebbe potuto essere più trasparente; se avesse potuto scrivere una lettera alla ragazza che era stata a sedici anni, avrebbe cominciato con un bel: Piantala di sbavare dietro a Jack Crown! «Non sono più la stessa ragazza» gli fece notare. 336
«Non ne sono convinto» obiettò però lui. «Ne vedo ancora il riflesso in come ti comporti con tutti, tranne che con me. Perché? Evidentemente ho fatto qualcosa che ti ha irritato.» «Non puoi offenderti solo perché non mi bevo l'immagine che vendi al pubblico. Gail mi ha raccontato abbastanza sulle pubbliche relazioni da capire che, nella vita reale, non puoi essere davvero il bravo ragazzo che ogni padre di famiglia vorrebbe come genero.» Gail Little era una delle migliori amiche di Willow, e il motivo per cui lei aveva proposto l'idea del programma al proprio responsabile alla rete televisiva. L'esperienza personale di Gail con i servizi dell'agenzia di appuntamenti era stata trasmessa nei primi episodi di Sexy & Single; la tranquilla e sofisticata Gail che domava il selvaggio Russell Holloway, playboy milionario neozelandese, aveva catturato l'audience. «Lascia perdere l'immagine: tu mi conosci» le fece notare Jack. Appunto. E non aveva alcuna intenzione di scoperchiare il vaso di Pandora. «Non credo proprio. Passi più tempo a volare da una parte all'altra del paese per presentare i tuoi programmi che qui sul set con me. Ma non ha importanza. Allora, per quel drink?» Lui roteò gli occhi. «Ti offro da bere e la cena, se la smetti di aggirare la domanda e mi dici cosa sta succedendo. Lavoriamo insieme da sei mesi e continui a trattarmi con freddezza. Evidentemente i nostri ricordi degli anni del liceo sono piuttosto diversi, perché pensavo che fossimo amici.» «Evidentemente» tagliò corto. «Possiamo mangiare fuori senza che le tue legioni di fan ci trovino?» «No» ammise. «Ma ho un appartamento a pochi passi da qui. Che ne dici, ti va di venire da me?» 337
Stava già per scuotere il capo quando si fermò. Cenare con lui era un'ottima idea. Quasi quasi, sperava che fosse sul serio interessato a lei, così avrebbero potuto uscire insieme, e poi lei avrebbe potuto scaricarlo come aveva fatto lui la sera del ballo. Era consapevole che fosse un'idea meschina e non le piaceva pensarla così, ma non era mai stata il tipo da porgere l'altra guancia. Aveva aspettato a lungo l'occasione di vendicarsi, e sembrava che alla fine fosse giunta, dopo solo quattordici anni... Chi lo dice che la pazienza non viene premiata? «Okay, ci sto» accettò quindi. «Io ne ho ancora per una ventina di minuti; lasciami l'indirizzo e ti raggiungo là.» «Non hai intenzione di bidonarmi, vero?» «No. Ho detto che verrò, e verrò.» «Ottimo. Mi sembrava di ricordare che fossi una ragazza di parola.» Aveva una sicurezza naturale che lo rendeva estremamente attraente – peccato che lei la detestasse. Voleva trovare qualche crepa nella facciata dell'uomo perfetto, voleva scoprire che anche a lui, di tanto in tanto, la vita aveva lanciato qualche palla curva. «Jack?» «Sì?» «Alle donne non piace essere definite ragazze.» «Chiedo umilmente perdono» scherzò facendole l'occhiolino. «Fallo di nuovo e te ne pentirai.» Jack scoppiò a ridere mentre si voltava per andarsene, e lei non poté fare a meno di restare a fissare il suo considerevole fondoschiena finché non fu scomparso dietro la porta. «Pare che ci sia rischio di glaciazione all'inferno» considerò Nichole Reynolds mentre le si avvicinava. «Taci.» Nichole era l'altra sua migliore amica, cronista di costume di America Today, il quotidiano naziona338
le, che stava gestendo un blog sul dietro le quinte del programma. Ed era una delle poche persone che conoscevano la verità su Jack. «Dico tanto per dire. E dovresti essere più carina con me» replicò Nichole, posandosi una mano sul pancione. «Sto per diventare mamma.» Di recente aveva sposato Conner MacAfee, il proprietario dell'agenzia di appuntamenti che collaborava col programma, ed era incinta del loro primo figlio. Nichole era veramente felice con Conner e Willow era contenta per lei. «Quindi dovrei essere carina con te perché aspetti un bambino?» In verità, c'erano due persone al mondo che le erano veramente care, e Nichole era una delle due. «Non può far male. Quindi ho sentito bene, vai a cena con Jack Crown? Che cos'è successo al tuo piano di vendetta?» «C'è ancora» ammise Willow. «È solo una cena. Non sono così irresistibile da conquistare un uomo così su due piedi.» Oddio, e questo da dove era venuto fuori? Non era più la ragazzina insicura del liceo, quella che aveva raggiunto il culmine della felicità quando il ragazzo più popolare della scuola le aveva sorriso. «Oh, Willow, non sottovalutarti» la rincuorò l'amica. «È chiaro che è interessato a te.» «Per ora. E solo perché non ho fatto altro che ignorarlo. Scommetto che, se stasera gli permetterò di corteggiarmi, perderà subito interesse.» Nichole inarcò le sopracciglia. «Accetto la scommessa» dichiarò quindi. «Come?» «Scommetto che non perderà l'interesse» ribadì Nichole. «Che cosa ci giochiamo?» 339
«Niente» rispose lei d'istinto. «Non ho intenzione di scommettere su Jack.» «Perché no? Hai detto che è un superficiale. Che cos'hai da perdere?» Il mio orgoglio. E se si fosse innamorata di lui per la seconda volta, e per la seconda volta fosse stata scaricata? «Stavo solo scherzando.» «Oh, andiamo. Scommetto una giornata alle terme Red Door di Elizabeth Arden» propose Nichole. «Non vale, sai che adoro quel posto» si lamentò Willow. «Perché insisti tanto?» Al che l'amica le posò un braccio sulle spalle. «Tu non ti fidi degli uomini, e la colpa è tutta di quello che successe con Jack tanti anni fa. Voglio vederti voltare pagina, trovare un bravo ragazzo e sistemarti come abbiamo fatto Gail e io. Noi siamo felici, e vogliamo che lo sia anche tu.» Willow ricambiò l'abbraccio: anche lei lo desiderava. «Voglio solo che patisca quello che ho patito io.» Nichole l'allontanò per guardarla negli occhi. «Non importa quale che sia il risultato, basta che tu riesca a lasciarti il passato alle spalle.» «Okay» concesse infine lei. «Accetto la scommessa. Ma tu perderai e io gongolerò: si potrà pattinare sul ghiaccio all'inferno, prima che io mi innamori di Jack Crown.» «Continua pure a ripetertelo» sorrise Nichole. «La mia vittoria sarà ancora più dolce.» Nel mese di novembre New York sembrava ricevere una sferzata di energia. Non che alla Grande Mela manchi vitalità, ma c'era un qualcosa di speciale in quel periodo dell'anno, quando tutto e tutti sembravano prepararsi al Natale. 340
Per Jack, era l'inizio di uno dei momenti più impegnativi: aveva tre special da filmare dal vivo e la puntata conclusiva della stagione di Carriere Estreme. Proprio per questo motivo, in un certo senso non fu una sorpresa che Willow avesse finalmente accettato di uscire con lui: era proprio da lei rendergli la vita ancora un po' più frenetica. D'altro canto, forse era proprio per questo che lui l'aveva invitata. Si guardò intorno, nel proprio appartamento, accertandosi che ogni dettaglio fosse perfetto. Non che fosse nervoso – ehi, lui era Jack Crown, e ogni donna avrebbe voluto stare con lui – ma si trattava di Willow, e sapeva che non gli avrebbe concesso una seconda possibilità. Non avrebbe saputo dire quando era diventata un'ossessione, per lui. Sospettava che la ragione fosse che, a differenza delle altre ragazze che aveva conosciuto, lei lo trattava come uno qualunque; nessun sorriso speciale, nessun tentativo di restare sola con lui... Sapeva che non avrebbe dovuto esserne infastidito, ma in realtà lo era. Aveva vaghi ricordi del tempo del liceo, quando lei gli aveva dato ripetizioni di inglese in modo che non restasse bocciato e potesse continuare a giocare a football. A quei tempi il football era la sua vita; essendo cresciuto in Texas, in una famiglia tutt'altro che agiata, lo sport era stato il suo unico biglietto per abbandonare la povertà. Aveva conquistato diversi premi, ed era perfino stato scelto dai New York Giants. Purtroppo, alla sua prima apparizione sul campo con la maglia blu e rossa era stato atterrato da un placcaggio che aveva messo fine alla sua carriera; fortunatamente, aveva sempre avuto un certo feeling con le telecamere ed era riuscito a intraprendere la strada della conduzione televisiva. Quando suonò il campanello si affrettò ad andare ad 341
aprire, preparandosi mentalmente a mandarla al tappeto: doveva assicurarsi che quando se ne fosse andata – preferibilmente, il mattino successivo – non avrebbe visto l'ora di stare di nuovo con lui. Willow aveva una spiccata sensualità che ogni volta gliela faceva desiderare un po' di più. Sulle prime aveva soltanto desiderato rinfrescare la loro vecchia amicizia, ma quando lei aveva continuato a ignorarlo, gli aveva risvegliato qualcosa di primordiale. Aveva il presentimento che un'avventura con lei avrebbe avuto un'influenza negativa sul loro rapporto lavorativo, ma a quel punto il suo ego non gli avrebbe permesso di accontentarsi di niente di meno che possederla totalmente: doveva dimostrare a entrambi che lei aveva commesso un errore a non considerarlo. Aprì la porta e si ritrovò davanti una Willow piuttosto imbronciata, evidentemente stanca; non l'aveva notato quando si erano lasciati, anche perché lei sembrava sempre piena di energia. In quel momento, però, appariva esausta. Non proprio l'umore adatto per ciò che aveva in mente... Tuttavia, era cresciuto con una madre single e aveva imparato presto come risollevare l'umore a una donna, perciò perfezionò rapidamente la tattica che aveva pianificato. L'attirò in un abbraccio, strofinandole la schiena, ma lei gli poggiò i palmi sul petto e lo allontanò con sgarbo. «Cosa stai facendo?» «Hai l'aria di una che ha bisogno un abbraccio» le spiegò, scostandosi di lato per lasciarla entrare. Il suo appartamento era un open space con una cucina da una parte e una grande zona ricreativa dall'altra, dotata di comodi divani e di un'area per il pranzo con tutti gli annessi e connessi; era ben sistemato, ma tutt'altro che 342
opulento: ne aveva fatta di strada da quando aveva lasciato il Texas. «Mi andrebbe un drink» rivelò Willow. «Vino, birra o qualcosa di più forte?» offrì allora Jack. Aveva un bar rifornito di tutto punto, ma lui stesso non beveva un granché; non gli piaceva sentire di perdere il controllo – l'aveva imparato dopo un breve lasso di stupidità che aveva avuto luogo durante la convalescenza dall'incidente al ginocchio, quando non aveva ancora avuto prospettive di lavoro. «Che tipo di vino?» indagò lei. «Più o meno qualsiasi genere. Promuovo un'azienda vinicola e mi mandano una cassa di tutto ciò che producono» la informò con un sorriso asciutto. «Ma certo. Sei la pubblicità vivente preferita da tutti. Gradirei un bianco secco.» «Arriva subito. La cena sarà pronta tra una decina di minuti; ti va di aspettare sulla terrazza?» Lei storse il naso. «Fa freddo, fuori.» «Ho i radiatori da esterno» la rassicurò. «Starai benone, fidati.» La raggiunse poco dopo, con due bicchieri in mano. «Grazie.» Accettando uno dei due calici, Willow gli concesse un sorriso. «E scusa se sono stata scostante, prima.» «Nessun problema. Possiamo sempre far finta che tu sia appena arrivata.» Era tesa, e non sembrava dell'umore adatto per godersi la serata; se fosse stato un uomo diverso, Jack avrebbe rinunciato, ma non era da lui: era abituato a superare gli ostacoli e a uscire sempre vincitore. In fondo, tutti avevano affermato che, dopo l'incidente, avrebbe fatto meglio a tornare a Frisco, in Texas. Ma lui non l'aveva fatto. «Ai nuovi inizi» propose come brindisi sollevando il bicchiere. 343
«Ai nuovi inizi» ripeté lei. «E dimmi, questo brindisi è solo per onorare questa serata o anche il giorno in cui ci siamo conosciuti?» Qualcosa nel suo tono gli fece capire che la chiave per capire il problema tra loro probabilmente giaceva nel passato. «A tutto. So di essere cambiato da quando ho lasciato Frisco, e sono sicuro che anche tu lo sia.» «Non quanto credi» rispose lei bevendo un sorso di vino. «Mi piace sempre il football e mi sento in colpa se non vado a messa la domenica. Anche se la chiesa battista che frequento qui non ha niente a che vedere con Prestonwood.» Jack ridacchiò: da nessuna parte la religione era vissuta come in Texas. «So cosa vuoi dire. Mia madre continua a pregare per la mia anima, dato che di solito lavoro e non vado in chiesa così spesso.» «Peccatore! Che ragazzaccio» lo accusò, ma stava ovviamente scherzando. «Non lo sono sempre stato?» «Questo è vero» confermò. «Parlami del nuovo Jack Crown: cos'è che non ho ancora visto?» Fece per iniziare a rispondere, ma si fermò; aveva la sensazione che blaterare dei propri programmi televisivi e del proprio stile di vita non fosse il giusto approccio, con Willow. «Non è così interessante. Dimmi di te, invece; ricordo che al liceo volevi diventare una scrittrice.» Vide la momentanea sorpresa nei suoi occhi prima che lei la mascherasse. Girò la testa, sorseggiò di nuovo il vino e si schiarì la gola. «È vero, hai ragione, ma poi mi sono accorta di essere più portata a dare ordini alla gente.» Jack sorrise, come probabilmente lei si aspettava. Ma era stato un astro nascente del football e aveva perso la possibilità di giocare, perciò sapeva fin troppo bene che i 344
sogni – specie quelli su cui si fantastica fin dalla gioventù – sono difficili da abbandonare. «Sono contento che per te la transizione sia stata facile. Per me non è stato così.» «Intendi dire dal football?» indagò Willow. «Ho visto la partita in cui hai avuto l'incidente e, nonostante tutto, mi è dispiaciuto per ciò che è successo.» «Cosa vuoi dire con nonostante tutto?» «Solo che non ero una tifosa dei Giants.» Di nuovo, Jack ebbe la sensazione che ci fosse dietro ben altro, ma non poteva pretendere di scoprire la verità al primo appuntamento. Era ovvio che in passato lui avesse fatto qualcosa che l'aveva turbata, ma non riusciva assolutamente a ricordare di cosa potesse trattarsi; raramente gli capitava di pensare a quei giorni. Il timer dell'iPod scattò e lui si alzò in piedi. «La cena è pronta» annunciò prima di andare in cucina a recuperare i piatti mentre lei si accomodava al tavolo e, quando la guardò di nuovo in faccia, vide che si era stampata in viso un bel sorriso brillante – e falso. «Ha un profumo delizioso» si complimentò Willow. «Non immaginavo che sapessi cucinare.» «Infatti, non ne sono capace. Ho un'ottima governante, è stata lei a preparare la cena.» «Un'altra illusione infranta» scherzò lei. «Non ho mai detto di saper cucinare.» «Lo so. È solo che dai l'idea di uno che sa fare tutto» cercò di spiegare. «L'immagine, il fascino... Sembra proprio che la vita ti sorrida sempre.» «Sarà, ma questo non vuol dire che sia tutto facile, per me. Anch'io devo superare delle difficoltà, proprio come chiunque altro.» «Jack Crown non è come chiunque altro.» «Speravo che lo notassi, ma ho l'impressione che detto 345
da te non sia un complimento» osservò. «Perciò illuminami: cos'ho fatto per farti arrabbiare tanto?» Willow deglutì e lo guardò con quegli occhioni marroni. «Niente. Però in passato sono rimasta scottata da uomini che sembravano troppo belli per essere veri.» «Impara a conoscermi, così vedrai che sono esattamente come credi che sia.» «Questo potrebbe ritorcertisi contro» gli fece notare. «L'impressione che ho di te non è poi così lusinghiera.» «Ma pensa.» Aveva sempre avuto la sensazione che lei lo stesse giudicando, e se c'era una cosa che sapeva di Willow era che non aveva remore né a parole, né coi fatti. «Come mi descriveresti?» «Troppo affascinante per il tuo stesso bene.» «Pensavo peggio. Sinceramente, non credevo che fosse un insulto.»
346
Pagina
Romanzo
Natale milionario
1 «Avete deciso di fare cosa?» Era venerdì pomeriggio, la fine di una settimana estenuante, ed Ella McLeod voleva soltanto rilassarsi. Sperò che le successive parole della sorella facessero evaporare lo shock che ancora riecheggiava nel suo organismo. Come se il pancione di Ella le tormentasse la coscienza, Keira distolse lo sguardo ed ebbe la decenza di mostrarsi a disagio. «Dmitri e io abbiamo deciso di andare in Africa per un anno.» Ella si spostò per alleviare il dolore alla schiena che era cominciato quando si trovava ancora in tribunale. «Sì, questo l'ho capito. Volete lavorare per un'organizzazione internazionale di volontariato.» Lo sguardo della sorella minore tornò di nuovo su di lei, pieno di sollievo. «Sapevo che avresti capito!» Non questa volta. «Che ne sarà della bambina?» La bambina. La bambina che cresceva dentro di lei e che Keira aveva desiderato così tanto. La figlia di Keira. E adesso quella bambina aveva cessato di essere il centro dell'universo di sua sorella. «È ovvio che la bambina non può venire con noi.» 485
Non era affatto così ovvio. «Perché no?» Ella non le avrebbe permesso di sfuggire alle proprie responsabilità. Non questa volta. Non si trattava del costosissimo corso di francese di cui Keira si era stufata... o del negozio di fiori in cui Ella aveva investito tanti soldi perché la sorella si dedicasse a un'attività appagante. Questa era la figlia che aveva sempre desiderato. Quando Keira si morse il labbro e i suoi occhi si riempirono di lacrime, Ella percepì un familiare senso di colpa. Prima di intenerirsi come al solito, aggiunse: «Non c'è ragione per cui la bambina non possa venire con voi». «E se si ammalasse? O morisse? Non stiamo parlando di un resort a cinque stelle in riva al mare. Ma di un'attività di cooperazione internazionale in una delle aree più povere dell'Africa.» Rifiutando di farsi trascinare dalla teatralità della sorella, Ella prese un fazzolettino dalla scatola sul tavolino da caffè e lo passò a Keira. «Non sai nemmeno che tipo di infrastrutture ci sono. Potresti chiedere se un neonato sarebbe al sicuro.» Ma Ella sospettò di combattere una battaglia persa in partenza quando Keira non riuscì a replicare. Fece un altro tentativo. «Se è così pericoloso, allora che mi dici della vostra salute? Della vostra sicurezza? Tu e Dmitri avete pensato a questo? Vuoi davvero vivere in una zona di guerra?» «Non è una zona di guerra» ribatté Keira risentita. Le lacrime erano miracolosamente evaporate senza l'aiuto del fazzoletto, che era scivolato sul tappeto. «Credi che non abbia un briciolo di senno? È il Malawi. Il Paese è stabile, la popolazione amichevole. Sono la povertà e l'analfabetismo il vero problema.» Con questo si chiudeva l'argomento. Keira aveva 486
cambiato idea, la piccola non sarebbe andata con lei. «Allora che ne sarà della bambina?» Silenzio. Keira le rivolse uno sguardo supplichevole. «No! Non resterà con me.» Ella fu categorica. La bambina scelse quel momento per scalciare. Ella serrò gli occhi e trattenne il fiato per il forte colpo alle costole. Il sudore le imperlò la fronte. Si massaggiò il fianco. Riaprì gli occhi e disse alla sorella: «Hai parlato con Jo dei tuoi nuovi progetti?». Ella sospettava che Jo Wells, l'assistente sociale incaricata di gestire le pratiche per l'adozione da parte di Keira e Dmitri, sarebbe stata altrettanto sconcertata dal fatto che sua sorella avesse cambiato idea. «Dmitri ha ragione. Siamo troppo giovani per diventare genitori» mormorò Keira, evitando la domanda di Ella. «Siamo sposati da meno di un anno.» «Un po' tardi per giungere a questa conclusione.» Ella si accarezzò il pancione e osservò con sguardo implacabile la sorella che arrossiva. «La bambina dovrebbe nascere tra una settimana. Come puoi andartene e abbandonare tua figlia?» Aveva il brutto presentimento di sapere cosa, o meglio chi, c'era dietro quel ripensamento. Il fratello maggiore di Dmitri. Yevgeny Volkovoy. Quel prepotente. Ella non lo sopportava. Si era arrabbiato quando aveva saputo che Dmitri si era sposato senza il suo consenso. Aveva fatto versare alla povera Keira fiumi di lacrime con le sue sfuriate terrificanti. E non era stato favorevole nemmeno all'idea del bambino. Ora sembrava che fosse riuscito ad averla vinta e a convincere Dmitri che non era pronto per diventare padre. 487
Ella cercò di arginare le emozioni che vorticavano dentro di lei. Sconcerto. Confusione. Un accenno di rabbia. Niente di tutto ciò era salutare per la bambina. Ella si era presa molta cura di lei. Si era nutrita bene, aveva fatto di tutto per perdere l'abitudine di bere quattro tazze di caffè al giorno, aveva persino accorciato la giornata lavorativa e si era assicurata di andare a dormire ogni sera alle dieci. Tutto perché voleva essere sicura che la bambina fosse perfetta. Il suo regalo per Keira. Un regalo che adesso sua sorella stava rifiutando. «Non puoi partire per l'Africa prima della nascita della bambina. Bisognerà prendere delle decisioni prima che tu parta.» Il panico offuscò lo sguardo di Keira. «No! Non posso.» «Cosa significa che non puoi?» «Non posso decidere nulla. Abbiamo già prenotato il volo. Sarai tu a occuparti di tutto.» «Io? Keira, stiamo parlando di una bambina... non puoi andartene e basta.» Lo sguardo della sorella cadde sull'addome arrotondato di Ella. «Legalmente sei ancora tu la madre. L'adozione non viene ufficializzata prima del dodicesimo giorno dalla nascita. Lo sai, Ella. Me lo hai detto tu stessa.» Certo che lo sapeva. Era uno dei più stimati avvocati di Auckland specializzati in diritto famigliare. «Eh no! L'unica ragione per cui ti ho prestato il mio corpo è perché tu potessi avere il figlio che hai sempre desiderato. Questo è il tuo sogno, Keira.» Il mio incubo. Poi, in caso non fosse stata abbastanza chiara, aggiunse in modo significativo: «Tuo e di Dmitri». «Ma l'ovulo è tuo.» «Solo perché tu non...» 488
Ella si rimangiò le parole che stava per pronunciare. Troppo tardi. Keira era impallidita. «Scusami, tesoro, non avrei dovuto dire questo.» «È la verità.» Il tono della sorella era piatto. «Non ho né ovuli né utero. Non posso avere figli.» «Allora perché...» Ella si interruppe di nuovo. «Non preoccuparti, chiedi pure. No, lo farò io per te. Perché fai questo? Perché te ne vai in Africa senza la bambina? È questo che vuoi sapere, no?» Ella rimase in attesa. «Non sono sicura di riuscire a spiegartelo.» Keira si prese qualche istante per raccogliere i pensieri. Poi cominciò a parlare. «È una cosa che io e Dmitri dobbiamo fare.» Lo sguardo vacuo, spento che rivolse a Ella faceva quasi paura. «Devo trovare me stessa, Ella. Scoprire chi sono. Per tutta la vita ho desiderato insegnare ai bambini... e avere una casa tutta mia piena di bambini. Ma le cose non sono andate secondo i piani.» «Keira...» «Adoravo il mio lavoro all'asilo...» «Keira.» Il dolore nella voce della sorella era insopportabile. «Smettila!» Ma Keira continuò come se non l'avesse sentita. «Non potevo continuare a lavorare lì dopo l'incidente, dopo che ho scoperto la verità... che non avrei mai avuto dei figli.» «Oh, tesoro...» Keira si scansò per evitare l'abbraccio della sorella. Ella si rimproverò subito per il proprio egoismo. Non avrebbe dovuto sentirsi ferita. Keira stava soffrendo. Tuttavia, la domanda più importante non aveva ancora 489
ricevuto una risposta: E la bambina? La bambina che ho contribuito a creare per realizzare il tuo sogno? «Ma Keira, presto avrai una bambina... e hai un marito che ti ama.» Non era abbastanza? Lo sguardo di Keira si addolcì. «Sì, sono stata molto fortunata a trovare Dmitri.» Ella non ne era stata così sicura all'inizio. L'arrivo di Yevgeny Volkovoy a Auckland aveva fatto notizia. Non soddisfatto dei milioni ereditati dall'impero alberghiero costruito dal padre, il russo aveva fondato la migliore compagnia di navi da crociera fluviale della Russia. Negli ultimi anni aveva inaugurato una linea per le crociere oceaniche. Con l'apertura del nuovo terminal a Auckland, Yevgeny intendeva puntare su Auckland come destinazione di viaggio. Che sorpresa scoprire dai giornali che il russo si era innamorato della Nuova Zelanda e progettava di trasferirvisi in modo permanente. Aveva mandato il fratello in avanscoperta per aprire gli uffici della nuova succursale della Volkovoy Cruising. Con tutti i soldi che sperperava in giro, Ella aveva creduto che Dmitri fosse viziato e irresponsabile. Ma non c'erano dubbi sul fatto che amasse Keira... e fortunatamente aveva perduto quell'indole scriteriata che in un primo tempo l'aveva preoccupata tanto. Ma partire per l'Africa senza la bambina non era la cosa giusta per Keira. La bambina... Ella fece scivolare la mano sul proprio addome. «Non puoi lasciare una bambina per mesi o addirittura un anno... e sperare di trovarla qui quando tornerai.» «Lo so, Ella. Mi sento già abbastanza in colpa. Ma non sono pronta per un figlio... nessuno dei due lo è.» Ella cercò di capire cosa significasse la risposta di 490
Keira. Aveva intenzione di dare la bambina in adozione? Lo shock la raggelò. Aveva riflettuto seriamente su questa possibilità? Forse doveva farglielo presente. «Se stai pensando di dare la bambina in adozione, ricorda che non sarà facile trovare un'altra madre surrogata, se tornerai dall'Africa e deciderai di volere un bambino.» Lei non aveva la minima intenzione di farlo di nuovo. Non avrebbe nemmeno dovuto accettare questa volta. Era stata una pessima idea. Ecco cosa succedeva quando prendeva una decisione seguendo il cuore e non la testa. «Possiamo fare quello che ha suggerito Yevgeny quando noi gli abbiamo raccontato che saresti stata la nostra madre surrogata: proporci per adottare un bambino...» borbottò lei. Ma certo, c'era il fratello di Dmitri dietro a tutto questo! Il dolore alla schiena che l'aveva tormentata per tutto il giorno si intensificò. Non valeva la pena di litigare con Keira, sottolineando che fare domanda non era una garanzia di riuscire ad avere un bambino, perché ben pochi venivano considerati idonei per un'adozione. E pur riuscendoci, la madre biologica aveva sempre l'ultima parola. Solo lei poteva scegliere. Non c'era una lista d'attesa, né un modo per prevedere quale coppia avrebbe scelto. Ma in quel momento i progetti futuri di Keira non erano un suo problema. «Che ne sarà di questa bimba?» Ella era furiosa. Yevgeny le faceva ribollire il sangue, anche quando non era presente. Era sufficiente menzionare il suo nome. «Non puoi semplicemente abbandonarla e...» «Non la sto abbandonando... legalmente sei tu la madre. So che prenderai la decisione migliore per la piccola...» mormorò lei. 491
Oh no! Keira pensava davvero di lasciare la bambina con lei per poi reclamarla quando fossero tornati. Ella fu travolta dal panico. «Non posso tenere la bambina.» Keira scoppiò di nuovo a piangere. «So che non avrei dovuto aspettarmi una cosa del genere da te. Ma hai sempre voluto che l'adozione fosse aperta. Così speravo prendessi in considerazione la...» «No, abbiamo un accordo...» Keira scosse la testa. «Ma Ella, mi hai spiegato che non possiamo adottare la bambina prima che tu abbia firmato il consenso dodici giorni dopo la nascita. Hai il diritto di cambiare idea... e anche noi.» Le aveva spiegato fin troppo bene gli aspetti legali. «Non potete cambiare idea... perché io proprio non posso tenerla.» Keira sospirò. «Lo abbiamo già fatto. Non siamo pronti per crescere un figlio. Non voglio nemmeno pensare alla decisione che dovrai prendere, ma devi fare ciò che ritieni giusto, Ella. Si tratta del tuo corpo, di tua f...» «Non è mia figlia!» Keira parve afflitta. «Credo di aver sempre saputo, nel profondo, che non avresti accettato di tenerla, e lo capisco. Anche se speravo tanto che...» Non riuscì a proseguire. Sua sorella aveva forse una vaga idea di quanto tutto questo fosse straziante? Di cosa le stesse chiedendo? Il dolore che si annidava nel suo petto era acuto e inesorabile. E il senso di colpa non faceva che peggiorare le cose. Ella desiderò di poter scoppiare a piangere... per sfogarsi. Ma non poteva. Invece, lottò per trovare la padronanza di sé. Era sempre stata lei l'adulta delle due. Keira aveva sempre saputo che avrebbe acconsentito a sistemare le cose. 492
Il cuore le batteva all'impazzata, le pulsava la testa. Il dolore alla schiena peggiorava di minuto in minuto. Sapeva che tutto questo non doveva essere un bene per la bambina. Doveva calmarsi. Pensa alla bambina. Fece un respiro tremante, contò sino a cinque... ed espirò lentamente. «Ho un lavoro... un lavoro molto impegnativo. Non ho tempo per un cucciolo, figuriamoci per un bambino.» Le sarebbe piaciuto tanto avere una bestiola, un gatto. Ma non aveva tempo per prendersi cura di un qualunque essere vivente. Keira la stava fissando di nuovo, con il labbro inferiore che tremava. Ella rifiutava di sentirsi in colpa. Non aveva intenzione di cedere e tenere la piccola. Non poteva tenerla. Non era sua figlia. «Allora siamo intesi. Non ho altra scelta, devo darla in adozione.» «Se non vedi altra soluzione...» Prima di poter ribadire che la bambina era una responsabilità di Keira e Dmitri, con orrore Ella sentì il caldo flusso delle acque che si rompevano. La figlia di Keira non aveva intenzione di aspettare un'altra settimana. Era già notte quando Yevgeny Volkovoy entrò nella sala d'attesa destinata ai parenti al primo piano dell'ospedale. Non fece caso ai colori tenui della stanza, e nemmeno alle foto appese alle pareti che ritraevano mamme che cullavano teneramente i loro bambini. Invece la sua attenzione si concentrò sul fratello, seduto su una poltrona imbottita a guardare la televisione. «Dov'è?» «Chi?» Dmitri lo fissò con uno sguardo vacuo. «Il bambino.» 493
«Non è un maschio, è una femmina» lo corresse subito il fratello. «Te lo avevo detto dopo l'ecografia.» Yevgeny represse un moto improvviso di amara delusione. Era così sicuro che vi fosse stato un errore. Per quasi un secolo la famiglia Volkovoy aveva generato maschi... Tipico di Ella McLeod mettere al mondo una bambina. Che creatura testarda. «Voglio vederla.» Tornò sui suoi passi e trovò la cognata in corridoio. Le fece un cenno ed entrò nella stanza privata. Quel ghiacciolo della sorella di Keira era a letto, seduta, sostenuta da enormi cuscini. Yevgeny si fermò di colpo. Non aveva mai visto Ella McLeod a letto prima d'ora. Quella visione lo mise estremamente a disagio. Anche se in piedi gli arrivava a malapena all'altezza delle spalle, gli era sempre sembrata così imponente. Austera. Mai un sorriso. Persino in famiglia si vestiva in modo formale, rigoroso. Colori scuri, abiti neri con sciarpe dai colori tenui. Adesso lasciò vagare lo sguardo su di lei per scoprire altre differenze. Niente sciarpa. E nemmeno quegli occhialoni da vista che indossava di solito. Niente trucco. Del pizzo avorio le copriva il petto, proprio sopra il seno. Sembrava più giovane, più pallida... più fragile. Evidentemente il ghiacciolo si stava sciogliendo. Come se avesse percepito la sua presenza, lei sollevò lo sguardo dal display di un telefono bianco che stava fissando con gli occhi socchiusi. «Cosa ci fai tu qui?» gli domandò. «Dov'è la bambina?» Si era aspettato di trovarla tra le sue braccia. 494
Avrebbe dovuto saperlo. Non c'era il minimo istinto materno in Ella McLeod. Né tenerezza. Solo quegli occhi rapaci da avvocato che di solito nascondeva dietro gli occhiali... Lei non aveva risposto. Un lampo spiritato dardeggiò nel suo sguardo, ma poi svanì e la sua attenzione si spostò dietro di lui. Yevgeny si voltò e vide la culla. La raggiunse. La piccola era avvolta in una copertina, addormentata. Una manina era chiusa accanto al visetto arrossato. Il cuore di Yevgeny si contrasse e una violenta ondata di emozione inattesa lo travolse. Ci volle solo un istante perché si innamorasse profondamente, totalmente, irrevocabilmente. «È perfetta...» sussurrò, studiando ogni minimo dettaglio. I capelli scuri, il tratto distintivo dei Volkovoy. Allungò una mano e sfiorò quel visetto con l'indice. «Non svegliarla!» La voce brusca di Ella rovinò l'atmosfera. «Non ho alcuna intenzione di svegliarla» ribatté lui sottovoce, per non disturbare la neonata. «Si sveglierà, se continui a tormentarla così.» «Io non tormento nessuno.» Ella non replicò. Yevgeny aveva già visto quello sguardo. Era assolutamente certa dell'esattezza della propria opinione. Quella donna era insopportabile. Forse era un bene che non cullasse la piccola: avrebbe congelato quel fagottino se si fosse avvicinata troppo. «Dmitri mi ha detto che vuoi dare la bambina in adozione.» Aveva preso una decisione che li riguardava tutti, senza nemmeno consultarsi con loro. Tipico dell'arrogante egoismo di quella donna. «Allora saprai anche che tuo fratello e mia sorella hanno deciso di non adottare la bambina.» 495
C'era dell'ironia nascosta nella sua voce? Non riusciva a decifrare la sua espressione. «Sì, Dmitri me lo ha detto in ufficio. Allora è vero? Hai intenzione di abbandonarla, così?» Uno schiocco delle dita accompagnò le sue parole. Ella sollevò il mento indispettita. «Cercherò di trovare una coppia di genitori al più presto.» Abbassò lo sguardo sul telefono che aveva in grembo. «Ho già lasciato un messaggio all'assistente sociale che seguiva la procedura di adozione da parte di Keira e Dmitri, informandola del fatto che hanno cambiato idea e chiedendole di richiamarmi al più presto.» «Non hai considerato l'eventualità di tenerla?» Non che desiderasse una cosa del genere. Ella scosse la testa. «Non è possibile.» «Certo che no...» «Trovare dei genitori adottivi appropriati è l'unica alternativa praticabile.» «Alternativa praticabile?» Era così che aveva ragionato anche sua madre quando aveva divorziato? Quando aveva mentito per ottenere la custodia esclusiva dei figli, per poi voltare loro le spalle e abbandonarli? «Stiamo parlando di una bambina... adesso non sei al lavoro.» «Ne sono più che consapevole. E la mia preoccupazione primaria sono gli interessi della bambina... e farei lo stesso se si trattasse di lavoro.» «Tu ti occupi di divorzi...» «Mi occupo di diritto famigliare» lo corresse. «La dissoluzione di matrimoni è solo una parte della mia attività. Salvaguardare gli interessi dei minori e...» «Come no.» Fece un gesto impaziente con la mano. «Io mostro un po' più di compassione quando prendo decisioni per il benessere della mia famiglia.» Lei scoppiò a ridere, un suono pieno di incredulità. 496
Yevgeny digrignò i denti e si rifiutò di replicare. Era sempre stato tenacemente protettivo con coloro che amava. Suo fratello. Suo padre. La sua babushka. Con un sospiro secco e impaziente, disse: «La tua è una visione ristretta della situazione. Non hai considerato tutte le alternative praticabili». Per la prima volta l'emozione incrinò il ghiaccio. «Non posso tenere la bambina!»
497
Non perdere l’appuntamento
LOVE & LIPSTICK
Il dottor Dante Gates è una star della TV dove spiega la Chimica della Seduzione. Quando, però, applica le sue teorie al rapporto con la sua migliore amica Harper Livingston la realtà si rivela più complicata del previsto. Il Dottor Sexy avrà una ricetta per quando le cose nella pratica vanno in maniera tanto diversa dalla teoria?
Dal 28 novembre in EDICOLA e sul nostro store www.eHarmony.it - Seguici su
IL COFANETTO DI NATALE A UN PREZZO IMBATTIBILE!
6 ROMANZI HARMONY SCONTO
-50%
Dal 22 NOVEMBRE in EDICOLA e sul nostro store www.eHarmony.it - Seguici su