Susan Mallery
Il profumo dei ricordi
Titoli originali delle edizioni in lingua inglese: Sweet Talk Sweet Spot Sweet Trouble HQN Books HQN Books HQN Books © 2008 Susan Macias Redmond © 2008 Susan Macias Redmond © 2008 Susan Macias Redmond Traduzione di Elena Spagnoli/Grandi & Associati ed Elisabetta Lavarello Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Enterprises II B.V. / S.à.r.l Luxembourg. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. Harmony è un marchio registrato di proprietà Harlequin Mondadori S.p.A. All Rights Reserved. © 2009 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prima edizione Harmony Romance giugno 2009 Prima edizione Harmony Romance agosto 2009 Prima edizione Harmony Romance dicembre 2009 Questa edizione Harmony Special Edition luglio 2011 HARMONY SPECIAL EDITION ISSN 1722 - 067X Periodico trimestrale n. 83 del 23/07/2011 Direttore responsabile: Alessandra Bazardi Registrazione Tribunale di Milano n. 102 del 24/02/2003 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - 20090 Segrate (MI) Harlequin Mondadori S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano
L'accordo perfetto
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Claire si precipitò a rispondere al telefono: in fondo, un'eventuale telefonata della sua manager infuriata era sempre meglio che sistemare quella pila di abiti sporchi, abbandonata nel bel mezzo del salotto. «Pronto?» «Ciao. Ehm, Claire? Sono Jesse.» Claire fu sollevata di sentire che non si trattava della sua manager. «Jesse chi?» «Tua sorella.» Claire allontanò una camicetta con un calcio e si lasciò cadere sul divano. «Jesse?» mormorò. «Sei davvero tu?» «Eh, già. Sorpresa!» Sorpresa non era la parola esatta. Claire non vedeva la sorella minore da anni. Per l'esattezza dal giorno del funerale di suo padre, quando aveva tentato di riallacciare i contatti con la sua famiglia e si era sentita rispondere che non era la benvenuta, non lo sarebbe mai stata, e che, nel caso in cui fosse stata investita da un autobus, né Jesse né Nicole, la sorella gemella di Claire, si sarebbero affannate a chiamare i soccorsi. Claire ricordava bene quanto quelle parole l'avevano sconvolta. Si era sentita come se qualcuno l'avesse malmenata e poi abbandonata sul bordo di una strada. Jesse e Nicole erano la sua famiglia. Come potevano respingerla in quel modo? Non sapendo cos'altro fare, aveva lasciato la città e non vi aveva mai più fatto ritorno. Da allora erano passati sette anni. «Allora» disse Jesse, con una disinvoltura che suonava forzata, «come stai?» 7
Claire cercò di riprendersi dalla sorpresa e lanciò un'occhiata al disordine del suo appartamento. C'erano abiti sporchi sparpagliati qua e là nel salotto, valigie aperte vicino al pianoforte, una pila di lettere che non credeva sarebbe mai riuscita a leggere e una manager pronta a spellarla viva pur di costringerla a fare quello che voleva. «Sto benone» mentì. «E tu?» «Non potrei stare meglio. Ma, e qui sta il problema, Nicole non sta bene per niente.» Claire strinse più forte la cornetta. «Che cosa le è successo?» «Niente... ancora. Dovrà sottoporsi a un intervento chirurgico alla cistifellea. È nel posto sbagliato, o qualcosa del genere. Non mi ricordo. Comunque, non possono farle l'intervento più veloce con le incisioni piccole. La lapaqualcosa.» «Laparoscopia» mormorò Claire distrattamente, tenendo d'occhio l'orologio. Mancava solo mezz'ora all'inizio della sua lezione. «Quella. Invece l'apriranno in due come un cocomero, il che significa una convalescenza più lunga. Con la pasticceria e il resto, è un bel problema. Normalmente l'aiuterei io, ma in questo momento non posso. È un po'... complicato. Così ne abbiamo parlato e Nicole si chiedeva se non ti andasse di tornare a casa e occuparti di tutto. Lo apprezzerebbe molto.» Casa, pensò Claire con nostalgia. Poteva tornare a casa. Alla casa che quasi non ricordava, ma che era sempre stata al centro dei suoi pensieri. «Pensavo che tu e Nicole mi odiaste» sussurrò, sperando di essere smentita. «Allora eravamo molto arrabbiate. Era un periodo di grande tensione. Sul serio, era da un po' che parlavamo di rimetterci in contatto con te. Nicole avrebbe chiamato di persona, ma non si sente bene e temeva che avresti detto di no. E in questo momento non è nelle condizioni adatte per accettare un rifiuto.» Claire rimase di sasso. «Non direi mai di no. Certo che tornerò a casa. Lo desidero anch'io. Voi due siete la mia famiglia.» «Bene! Quando arrivi?» 8
Claire pensò al disastro che era la sua vita e alla chiamata furibonda di Lisa, la sua manager. E c'erano anche le lezioni del master che doveva frequentare e quelle che invece doveva tenere alla fine della settimana. «Domani» rispose, sicura, «posso essere lì domani.» «Sparami adesso» disse Nicole Keyes, mentre puliva il bancone della cucina. «Davvero, Wyatt. Devi pure avere una pistola. Fallo. Lascerò una lettera dove dico che non è colpa tua.» «Mi spiace. Non ho armi in casa.» E nemmeno lei, pensò tristemente, lanciando la spugna per i piatti nel lavandino. «Non si poteva scegliere un momento peggiore per questa stupida operazione» mormorò. «Dicono che non potrò tornare al lavoro per sei settimane. Sei. La pasticceria non va mica avanti da sola. E non osare nemmeno suggerirmi di chiedere aiuto a Jesse. Sono stata chiara, Wyatt?» Il suo futuro ex cognato alzò le mani in segno di resa. «Non dirò una parola. Lo giuro.» Sapeva di potersi fidare. Non perché pensava di averlo spaventato, ma perché lui capiva che il suo dolore era causato solo in parte dalla cistifellea infiammata; ciò che la turbava ancor di più era il tradimento di Jesse. «Odio questa storia. Odio che il mio corpo si rivolti contro di me in questo modo. Che cosa gli ho fatto di male?» Wyatt avvicinò una sedia al tavolo. «Siediti. Arrabbiarti così non serve a niente.» «Tu non puoi capire.» «Posso immaginarlo.» Lei si lasciò cadere sulla sedia, perché era più facile che discutere. A volte, come in quel momento, si chiedeva se le fosse rimasta ancora energia per combattere. «Vediamo se mi sto dimenticando qualcosa» rifletté a voce alta. «Penso di aver provveduto a tutto. Ti ricordi che non potrò badare ad Amy per un po', vero?» Amy era la figlia di otto anni di Wyatt. Nicole si prendeva cura di lei qualche pomeriggio alla settimana. Wyatt le posò le mani sugli avambracci. «Rilassati. Non ti 9
sei dimenticata niente. Ti prometto che andrò a dare un'occhiata alla pasticceria ogni due giorni. Le persone che lavorano per te sono in gamba, ti vogliono bene e sono leali. Andrà tutto bene. Sarai a casa in pochi giorni e presto starai meglio.» Sapeva che Wyatt non si riferiva solo all'intervento chirurgico. C'era anche la questione del suo futuro ex marito. Invece di pensare a quel bastardo di Drew, fissò la mano di Wyatt. Aveva mani grandi, segnate da calli e cicatrici, mani che si guadagnavano il pane. Era onesto, carino e spiritoso. Lo guardò negli occhi scuri. «Perché non mi sono innamorata di te?» Lui sorrise. «Lo chiedo a te, piccola.» Sarebbero stati perfetti insieme... se solo ci fosse stato almeno un briciolo di attrazione fisica. «Avremmo dovuto provarci» mormorò. «Avremmo dovuto provare a fare l'amore.» «Pensaci anche solo per un minuto» la esortò lui, «e dimmi se riesci a immaginarlo.» «No.» Onestamente l'idea di fare sesso con Wyatt, che era come un fratello, le ripugnava. Se solo anche il suo fratellastro, Drew, le avesse fatto lo stesso effetto. Sfortunatamente, invece, con lui erano stati fuochi d'artificio fin dall'inizio. Si tirò indietro per studiare Wyatt. «Abbiamo parlato abbastanza di me. Tu dovresti risposarti.» Lui prese la sua tazza di caffè. «No, grazie.» «Amy ha bisogno di una madre.» «Per carità.» «Ci sono donne meravigliose là fuori.» «Dimmene una, a parte te.» Nicole ci pensò su un attimo e sospirò. «Come faccio a darti torto?» Claire arrivò al Sea Tac Airport nelle prime ore del pomeriggio, estremamente compiaciuta per come aveva organizzato il viaggio. Aveva perfino noleggiato un'auto. Normalmente avrebbe usato una macchina con autista, ma dato che doveva andare avanti e indietro tra l'ospedale e la pasticceria e Nicole le avrebbe affidato delle commissioni era meglio avere un'auto propria. 10
Dopo aver prelevato le sue due enormi valigie dal nastro trasportatore, ne prese una per ogni mano e le trascinò su per la scala mobile. Il tragitto fino al garage era lungo e le valigie pesantissime. Quando finalmente raggiunse gli ascensori che portavano al noleggio auto, ansimava. Non era ancora arrivata all'ufficio della Hertz che già rimpiangeva di essersi messa quel cappotto di lana lungo. Rivoli di sudore le colavano lungo la schiena e il golf di cachemire le si era appiccicato addosso. Attese in fila, eccitata di trovarsi lì, nervosa e decisa a fare tutto il possibile per riallacciare i rapporti con le sorelle. Le avevano dato una seconda possibilità, e lei non l'avrebbe sprecata. La donna al banco le fece segno di avanzare. Claire si avvicinò, trascinando le due valigie. «Salve. Ho una prenotazione.» «Nome?» «Claire Keyes.» Claire le porse la patente e la carta di credito. La donna studiò la sua patente. «Ha un'assicurazione o ne vuole una per il periodo del noleggio?» «Userò la vostra assicurazione.» Claire, in effetti, non aveva mai avuto un'automobile. La sola ragione per cui aveva una patente era che a diciotto anni si era impuntata e aveva preso lezioni di guida e di teoria finché era riuscita a passare il test. «Ha preso multe? Ha fatto incidenti?» le chiese la donna. Claire sorrise. «Nemmeno una.» Bisogna guidare per farsi multare o causare incidenti. E negli ultimi dieci anni, lei non aveva guidato più di un paio di volte. Dopo che Claire ebbe firmato qualche modulo, la donna le restituì la patente e la carta di credito. «Numero sessantotto. È una Malibu. Ha chiesto una media cilindrata. Posso procurarle qualcosa di più grande, se vuole.» Claire batté le palpebre, perplessa. «Numero sessantotto cosa?» «La sua auto. È al posto numero sessantotto. Le chiavi sono dentro.» «Oh, fantastico. Credo che mi accontenterò di una media cilindrata.» «Okay, le serve una cartina?» 11
«Sì, grazie.» Claire infilò la cartina nella borsetta e ricominciò a trascinare le valigie lungo la struttura esterna in vetro. C'erano file e file di auto in parcheggi numerati. Alla fine arrivò al sessantotto e alla sua Malibu argento. Era a quattro porte e le sembrò decisamente enorme. Davvero intendeva guidare? Ci avrebbe pensato dopo, si disse. Prima di tutto doveva riuscire a uscire dal parcheggio. Il primo problema fu quello di infilare le valigie nel portabagagli. Sembrava che non ci fosse modo di aprirlo. Niente bottoni, niente maniglie. Premette, tirò, ma inutilmente. Alla fine ci rinunciò e caricò le valigie sul sedile posteriore. Dopodiché si sedette al posto di guida. Ci volle un paio di minuti buoni per sistemare il sedile in modo da riuscire ad arrivare ai pedali. A quel punto infilò la chiave nel cruscotto e mise in moto. Il motore partì immediatamente. Claire sistemò gli specchietti con cura e inspirò profondamente. Ormai era in ballo e doveva ballare. Accese il GPS. La salutò in francese. Claire lo fissò. Era uno scherzo? Schiacciò un po' di tasti. Parlava francese. E allora? Anche lei lo parlava, ma non abbastanza da capirci qualcosa mentre era al volante. La possibilità di andare fuori di testa guidando era già altissima, senza bisogno di aggiungerci una lingua straniera. Armeggiò con i tasti, trovò l'olandese e il giapponese, prima di riuscire a sentire una rassicurante voce inglese. Forse aveva ancora qualche possibilità di evitare di impazzire. Continuò a leggere le istruzioni, infine digitò con attenzione l'indirizzo della pasticceria. Avendo dimenticato di chiedere a Jesse l'indirizzo dell'ospedale dove avrebbero operato Nicole, le sembrò l'unica soluzione sensata. Finalmente si accinse a uscire dal parcheggio. Non riusciva a respirare. Fece finta di nulla e ignorò anche la fitta che, partendo dalla schiena, si irradiava a tutto il corpo. Non ora, pensò, sempre più agitata. Non ora. Poteva abbandonarsi al panico dopo, quando non stava guidando. Chiuse gli occhi, fece di nuovo un profondo respiro e im12
maginò sua sorella che giaceva in un letto d'ospedale, disperatamente bisognosa del suo aiuto. Rammentò a se stessa che il suo posto era là, vicino a Nicole. Il senso di panico si attenuò leggermente. Aprì gli occhi e partì. Il parcheggio era buio e angusto. Fortunatamente non aveva auto davanti, così c'era un sacco di spazio per la manovra. Lentamente, con molta cautela, mise in prima. L'auto partì a razzo. Schiacciò il freno e l'auto sobbalzò. Sollevò il piede dal freno e ripartì. Con movimenti di tre o quattro centimetri per volta, riuscì a uscire dal parcheggio. Quindici minuti dopo era fuori dal garage e lasciava l'aeroporto. «Tra duecentocinquanta metri tenere la destra. La I-5 è sulla destra.» La voce del GPS era molto autoritaria, come se sapesse che Claire, oltre a essere assolutamente incapace di guidare, non aveva la minima idea di dove stesse andando. «Che cos'è la I-5?» chiese Claire un attimo prima di vedere un'insegna che indicava l'autostrada I-5. Frenò di colpo. «Io non posso andare in autostrada» disse al GPS. «Dobbiamo percorrere strade normali.» Si sentì un ding. «Tenere la destra.» «Non voglio.» Si guardò intorno terrorizzata, ma sembrava che non ci fossero altre strade. Si trovava a un imbocco autostradale. Non poteva spostarsi a sinistra perché stavano arrivando troppe auto. E all'improvviso tutta quella massa di auto iniziò ad andare veloce, velocissima. Claire si aggrappò al volante con entrambe le mani, tesa come una corda di violino, la sua mente piena di terrificanti incidenti. «Posso farcela» sussurrò. «Posso farcela.» Spinse leggermente di più sull'acceleratore, fino a toccare quasi i settanta. Le parve una velocità più che sufficiente. Da dietro arrivò un grosso camion che iniziò a suonare il clacson. Claire sobbalzò. Stavano arrivando parecchie auto, alcune erano davvero molto vicine. Era così impegnata a non farsi prendere dal panico che si era dimenticata della confluenza, finché il GPS non le ricordò: «La I-5 nord è sulla destra». 13
«Cosa? Quale destra? Perché devo andare a nord?» Poi la strada curvò e lei non poté far altro che seguirla. Avrebbe voluto chiudere gli occhi, però non avrebbe migliorato la situazione, anzi... Sudava per la paura e avrebbe voluto togliersi il cappotto, ma non poteva farlo senza finire schiantata. Le mani le dolevano da quanto convulsamente stringeva il volante. Ricordati che lo stai facendo per la tua famiglia, per tua sorella Nicole, si ripeteva. Finalmente si immise nella I-5. Sempre a settanta all'ora, Claire si spostò nella corsia di destra, decisa a rimanerci finché non fosse giunto il momento di uscire. E quando ciò avvenne, a nord dell'università, tremava tutta. Odiava guidare. Odiava le auto e i guidatori, pazzi furiosi che le urlavano contro. Comunque l'importante era che ce l'aveva fatta. Seguendo le indicazioni del GPS, arrivò alla pasticceria. Spense il motore, appoggiò la fronte al volante e si concesse un po' di tempo per respirare e riportare i battiti cardiaci dal ritmo di un uccellino spaurito a quello di un mammifero medio. Guardò la Pasticceria Keyes: era lì da ottant'anni. I suoi bisnonni in origine avevano affittato solo metà dell'edificio, ma col tempo gli affari erano aumentati e avevano comprato anche la parte dei loro vicini e infine tutto l'edificio, circa sessant'anni prima. Le vetrine traboccavano di pane, pasticcini e torte. L'insegna diceva: Pasticceria Keyes. La migliore torta di cioccolato del mondo. Il dolce multistrato al cioccolato era stato ordinato da presidenti e reali, era diventato un must per matrimoni, concerti di celebrità, servizi fotografici. Era un concentrato mostruoso di calorie tra farina, zucchero, burro, cioccolato e un ingrediente segreto tramandato di generazione in generazione. Nemmeno Claire sapeva che cosa fosse e sperava che stavolta Nicole glielo avrebbe rivelato. Scesa dall'auto, si sistemò il maglione e il cappotto, trasse un bel respiro ed entrò. Era metà pomeriggio e all'interno regnava una relativa cal14
ma. Due giovani mamme erano sedute a un tavolino d'angolo con caffè e pasticcini e i passeggini tra le sedie. Claire sorrise alla ragazza al banco. «Desidera?» «Sono Claire. Claire Keyes.» La ragazza, una brunetta grassoccia, sospirò. «Va bene. Che cosa posso darle? La focaccia all'aglio e rosmarino è stata appena sfornata.» Claire sorrise, speranzosa, e ripeté: «Sono Claire Keyes». «Ho capito.» Claire indicò l'insegna. «Keyes, sono la sorella di Nicole.» La ragazzina spalancò gli occhi. «Oh, mio Dio, la famosa pianista? Davvero?» Claire puntualizzò: «Per la precisione, sono una concertista». In fondo, perché stare a discutere. «Sono qui per l'intervento di Nicole. Jesse mi ha chiamato per chiedermi di...» «Jesse?» gridò la ragazza. «Non è possibile, sta scherzando! Oh, mio Dio! Non ci posso credere. Nicole la ucciderà, se non lo ha ancora fatto.» Sollevò una mano. «Un attimo, io devo... aspetti un attimo, okay? Torno subito.» E prima che Claire potesse aprire bocca, era già scomparsa nel retro. Claire si mise a guardare la vetrina dei dolci. Lo stomaco brontolò, ricordandole che non mangiava dalla mattina. Sull'aereo era troppo nervosa anche per bere. Magari avrebbe preso un po' di quella focaccia al rosmarino e... «Che cosa diavolo ci fa qui?» Claire fissò l'uomo che si avvicinava. Era molto alto e sembrava anche pericoloso, con quella massa di muscoli abbronzata. Per non parlare della camicia scozzese e i jeans stazzonati. «Sono Claire Keyes...» cercò di dire. «Lo so chi è. Ho chiesto perché è qui.» «Per la precisione mi ha chiesto che cosa diavolo ci fa qui e c'è una certa differenza.» La guardò, torvo. «Sarebbe?» «Una domanda implica un interesse per la risposta. Lei, in15
vece, mi ha semplicemente fatto capire che non sono gradita, indipendentemente dalle ragioni che mi portano qui. Il che è strano, considerando che non ci siamo mai incontrati prima.» «Sono un amico di Nicole e quindi so tutto quello che mi occorre sapere su di lei.» Claire non riusciva a capire. Se Nicole la odiava ancora, perché Jesse l'aveva chiamata? «Lei chi è?» «Wyatt Knight. Nicole è sposata con il mio fratellastro.» Nicole si è sposata? Quando? Con chi? Un senso di profonda tristezza l'assalì: sua sorella si era sposata e non si era nemmeno presa la briga di comunicarglielo. Si sentiva davvero patetica, e chiunque lo avrebbe notato se si fosse preso la briga di osservare. Ma Wyatt non lo fece; per lui, le donne e quello che passava loro per la testa erano un assoluto mistero, che non spettava ai mortali risolvere. Cercare di comprendere la mente femminile poteva portare all'alcolismo e poi alla morte. Si concentrò piuttosto sulla bionda alta e snella che aveva di fronte, cercando somiglianze tra lei e Nicole e Jesse. Forse gli occhi grandi e azzurri o magari la forma della bocca. Un pochino il colore dei capelli, ma quello di Nicole era un biondo normale rispetto alle mille sfumature e alla luminosità delle chiome di Claire. Per il resto non si somigliavano affatto. Nicole era sua amica da una vita, era carina, ma piuttosto comune. Claire era vestita completamente di bianco, con la borsa beige coordinata agli stivali. Sembrava la regina dei ghiacci... anzi, la regina del male. «Vorrei vedere mia sorella. So che è in ospedale, ma non so quale» disse Claire. «Può anche scordarsi che glielo dica. Non so perché sia qui, signora, ma so che Nicole non vuole vederla.» «Non è quello che risulta a me.» «Da chi?» «Jesse. Ha detto che Nicole avrebbe avuto bisogno di aiuto dopo l'operazione. Mi ha chiamato ieri e ho preso l'aereo stamattina. Non ho intenzione di andarmene, signor Knight, e non riuscirà a mandarmi via. Io vedrò mia sorella. Se non vuole dirmi dov'è, chiamerò tutti gli ospedali di Seattle finché 16
non lo scoprirò. Nicole è la mia famiglia.» «Da quando?» brontolò, avendo capito dal modo in cui Claire aveva alzato il mento che non aveva intenzione di cedere. Almeno in questo le gemelle si somigliavano. Perché Jesse lo aveva fatto? Per procurargli ancora più noie? O per cercare di aggiustare una situazione disperata? La verità era che Nicole aveva davvero bisogno di aiuto e non lo avrebbe mai chiesto. Lui avrebbe fatto il possibile, ma aveva anche i suoi affari da mandare avanti e poi c'era Amy... Nicole non voleva avere tra i piedi quel buono a nulla di Drew. E Jesse era una soluzione peggiore del male. Quindi non rimaneva nessun altro. Perché doveva essere proprio lui a prendere quella decisione? «Dove alloggia?» «A casa. E dove, se no?» «Bene. Nicole tornerà tra un paio di giorni. Dopo ne potrete parlare tra voi.» «Non ho intenzione di aspettare due giorni per vederla.» Egoista, viziata, egocentrica e narcisista. Wyatt ricordò la lista dei difetti che Nicole attribuiva a sua sorella. Adesso la capiva perfettamente. «Ascolti» disse, «o aspetta a casa oppure può tornarsene a Parigi o dove cavolo vive.» «New York. Abito a New York.» «Dove vuole lei. Ma sia chiaro che non vedrà Nicole finché non si sarà ripresa un po', dovessi mettermi a guardia della porta della sua stanza. Sono stato chiaro? Soffre già abbastanza per l'intervento, senza dover sopportare anche una grandissima rompiscatole come lei.»
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