Sedotta dal nemico di Sarah Rodi

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SARAH RODI

Sedotta dal nemico


Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: Escaping with Her Saxon Enemy Harlequin Historical © 2022 Sarah Rodi Traduzione di Anna Polo Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Enterprises ULC. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. Harmony è un marchio registrato di proprietà HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved. © 2022 HarperCollins Italia S.p.A., Milano Prima edizione I Grandi Storici Seduction agosto 2022 Questo volume è stato stampato nel luglio 2022 da CPI Black Print, Spagna, utilizzando elettricità rinnovabile al 100% I GRANDI STORICI SEDUCTION ISSN 2240 - 1644 Periodico mensile n. 146 del 10/08/2022 Direttore responsabile: Sabrina Annoni Registrazione Tribunale di Milano n. 556 del 18/11/2011 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distribuzione canale Edicole Italia: m-dis Distribuzione Media S.p.A. Via Carlo Cazzaniga, 19 - 20132 Milano HarperCollins Italia S.p.A. Viale Monte Nero 84 - 20135 Milano


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Fortezza di Kald, autunno 821 La sposa e il suo seguito erano in ritardo. Ashford Stanton cercò di moderare l'impazienza e trasse un respiro profondo per calmarsi, ripetendosi che non aveva importanza. Era passata una lunga estate da quando l'aveva vista per la prima volta sul campo di battaglia e sebbene quel giorno lo avesse colpito più del dovuto, il suo ritardato arrivo in quel pomeriggio insolitamente caldo non avrebbe dovuto disturbarlo. Odiava l'idea che invece fosse così. Si guardò intorno nella spiaggia riparata e senza vento per accertarsi ancora una volta che fosse tutto a posto, che Re Eallesborough fosse al sicuro e tutto andasse come doveva andare. D'altra parte quello non si poteva certo descrivere come un giorno normale. L'eccitazione nell'aria era palpabile e Ash si rese conto che di lì a poco sarebbe stato testimone di un momento storico. Se solo suo padre fosse stato presente per documentarlo nelle sue cronache! 5


Il sole splendeva sulla sabbia dorata e un velo di sudore si formò sulla nuca. Ash si passò una mano nei capelli cercando di lisciarne le punte. Avrebbe tanto voluto entrare in acqua per rinfrescarsi. Se fosse stato a Braewood l'avrebbe fatto, ma non era nella fortezza paterna o nel castello sassone del re a Termarth. Si trovava in territorio nemico e avrebbe preferito essere da qualsiasi altra parte. Ash era già stato due volte a Kald e si era fatto un'idea del posto. Non poteva negare che la vista fosse magnifica, con i vasti cieli azzurri che incontravano il mare e le paludi salmastre che si fondevano con le dune di sabbia e le baie, ma in quel momento la bellezza del paesaggio non riusciva ad attenuare la tensione nel suo corpo. Osservò le scogliere familiari che si innalzavano sopra la spiaggia, dove il fortino norreno incombeva sull'oceano e studiò i visi animati degli invitati alle nozze, in maggioranza danesi. Ash si passò una mano sul viso. Aveva pensato a diverse scuse per evitare di scortare Re Eallesborough nel suo viaggio a Kald per il matrimonio della principessa sua figlia, ma sapeva che il sovrano non le avrebbe accettate. Così lo aveva accompagnato di malavoglia, offrendogli la sua spada e la sua protezione e osservando con attenzione le difese del forte. Avrebbe continuato a stare in guardia e a fare il suo dovere, ma era comunque distratto. Maledizione. Quell'oscuro desiderio era una complicazione di cui non aveva bisogno. Per questo attendeva 6


con tanta impazienza l'inizio della festa di nozze – per dimostrare a se stesso che rivedere la fanciulla danese non gli avrebbe fatto alcun effetto. Si era messo alla fine di una fila da cui poteva tener d'occhio le persone in arrivo, ma in realtà ne stava aspettando solo una. Proprio in quel momento una musica rimbombante annunciò l'ingresso della sposa. Ash ruotò le spalle e si impose di calmarsi, per poi girarsi lentamente guardandosi intorno. La sposa lo superò diretta all'altare e lui strinse le labbra. In fondo era felice che il padre non fosse presente – aveva già problemi di salute e quello spettacolo avrebbe potuto ucciderlo. Non avrebbe mai pensato che un giorno una principessa sassone potesse sposare un uomo del Nord per formare un'alleanza in grado di mantenere la pace. Quell'unione poteva cambiare le percezioni e trasformare il mondo di Ash, ma lui scacciò subito quel pensiero. C'erano segreti che era meglio lasciare sepolti, in modo da non far soffrire nessuno. Per tutta l'infanzia i suoi genitori gli avevano raccontato storie sulle orribili invasioni danesi di castelli e monasteri sassoni; quei predoni distruggevano tutto ciò che si trovavano davanti, saccheggiavano e violentavano. Venivano da terre lontane, attraversavano oceani tempestosi per approdare sulle rive sassoni, prendevano quello che volevano dai villaggi indifesi e si lasciavano dietro una scia di distruzione. Ash aveva visto con i propri occhi le tragiche conse7


guenze di alcuni di questi attacchi, soffrendone per tutta la vita. L'amarezza gli bruciava la gola. Era cresciuto nutrendo diffidenza e odio per i danesi, eppure il suo re aveva accettato un'alleanza con il clan insediatosi a Kald e Ash era arrivato a rispettare il suo capo, Brand Ivarsson. Anche quella gente pareva desiderare la pace, ma l'attrazione provata per una di loro restava incomprensibile e inaccettabile. Soprattutto quando le parole che il padre gli aveva rivolto durante la sua ultima visita a Braewood continuavano a risuonargli nella mente. Trovati una moglie di sangue sassone, produci un erede e proteggi le mie terre e il mio potere. Se lo farai sarò fiero di chiamarti mio figlio. Ash sospirò. Aveva sempre anelato all'approvazione del padre e bramato una parola gentile come un cane randagio in avida attesa di qualche briciola, eppure negli ultimi mesi non aveva mai pensato di prendersi un'amante e tantomeno una moglie. E quel comportamento era causato da una sola persona. Riportò l'attenzione sulle fanciulle che scortavano la sposa verso l'altare, muovendosi lentamente verso di lui e su una in particolare. Svea Ivarsson. La sorella dello sposo. Il richiamo era troppo forte. I suoi occhi venivano attirati da lei come la corrente del mare, facendogli rombare il sangue. I capelli biondi erano più chiari di quanto ricordasse; alla luce del sole avevano quasi uno splendore argenteo e le scendevano lungo la schiena in 8


un misto di intricate trecce, riccioli e fiori che ondeggiavano a ogni sua mossa. I suoi occhi erano azzurri, profondi e selvaggi come l'oceano e la pelle morbida e chiara come la sabbia sotto i suoi piedi nudi. Possedeva una bellezza naturale, con quella figura snella stretta nel vestito aderente, ma Ash conosceva la sua forza. L'aveva vista maneggiare la spada e lo scudo e negli ultimi mesi aveva cercato di cancellare quel ricordo. Non aveva mai visto una donna brandire una spada e ne era rimasto affascinato. Lo era ancora, ma sapeva che non avrebbe dovuto esserlo. E non lo voleva. Svea si mosse verso di lui e quando il suo sguardo penetrante lo fissò, Ash provò un nuovo fremito di desiderio. Gli occhi di lei però divennero subito gelidi e il corpo si irrigidì mentre si girava di scatto. Ash strinse la mano a pugno. Non le piaceva; Svea non aveva mai tentato di nasconderlo, dal giorno in cui l'aveva conosciuta sul campo di battaglia. Doveva assolutamente liberarsi da quell'attrazione e recuperare il controllo per cui andava famoso. Non avrebbe mai dimenticato il selvaggio combattimento tra il fratello di lei e Lord Crowe, il capo dei mercenari sassoni. Era stato uno degli scontri più brutali a cui Ash avesse assistito, la furia cieca che aveva animato entrambi era stata assoluta, ma il danese aveva prevalso. E Svea era lì, pronta ad aiutare il fratello; se necessario, a passare a fil di spada il loro nemico. Lui si era fatto avanti, esigendo che si fermasse. 9


Allora non sapeva che Crowe aveva ucciso il padre di Svea e Brand. Capiva il loro dolore e Crowe ora era rinchiuso in una cella a Termarth, ma era chiaro che la sua presenza alle nozze del fratello non le faceva piacere. Il fatto che conoscesse Crowe e il suo coinvolgimento in quello scontro l'avevano reso un avversario ai suoi occhi e da allora Svea l'aveva sempre trattato con ostilità. Rimase ferma accanto agli sposi per tutta la cerimonia, dandogli le spalle, simile a un ghiacciolo che brillava alla luce del sole. Ash aveva esplorato il forte durante la festa di nozze e più tardi andò a sedersi in un angolo dell'affollata sala comune, vicino a un piccolo fuoco e lontano dai chiassosi danesi e dai turbolenti soldati sassoni. Li fissò accigliato; in genere non avrebbe permesso ai suoi uomini una simile baldoria, ma il re era di ottimo umore per la felicità della figlia e aveva concesso a tutti una notte di divertimenti. Ash non era sicuro di riuscire a rilassarsi in un ambiente così sfrenato. Non abbassava mai la guardia, odiava i festeggiamenti e preferiva stare per conto suo. Probabilmente quell'atteggiamento era causato dai pochi raduni di famiglia a cui aveva partecipato crescendo, quando lo avevano sempre emarginato, facendolo sentire un reietto. Osservò di nuovo la sala comune e vide Svea che passava tra gli ospiti con una caraffa di birra. Tra la sua 10


gente sorrideva e scambiava battute e Ash sentì risvegliarsi l'interesse. L'ironia della situazione non gli sfuggiva: il padre gli aveva dato un ultimatum, imponendogli di trovare una sposa sassone per assicurare l'eredità degli Stanton e lui non riusciva a staccare gli occhi di dosso da quella donna. Una donna danese, che lo aveva odiato fin dal primo momento e che probabilmente lo avrebbe ucciso se solo avesse osato farsi avanti. Non che fosse quella la sua intenzione. Doveva solo superare la notte e poi lui e i suoi uomini avrebbero lasciato per sempre quel posto. Non l'avrebbe mai più rivista. Ash si raddrizzò sul sedile, consapevole che Svea si stava avvicinando e versava da bere ai suoi uomini. Da un momento all'altro avrebbe raggiunto il suo tavolo e lui la seguì impaziente con lo sguardo. Quando lo vide lei si fermò di colpo; pareva chiedersi se prendere una direzione diversa, o magari superarlo. Non era una novità: per via della sua reputazione feroce e del suo aspetto formidabile, la gente si teneva sempre a distanza. Ash aveva imparato ad accettarlo, ma ora la cosa lo irritava. Forse per questo la chiamò a voce alta. «Svea.» Lei parve esitare, tentata di ignorarlo, ma poi capì che non poteva essere così villana e si costrinse ad avvicinarsi. Ash provò un'altra stretta allo stomaco quando i suoi magnifici occhi azzurri lo raggiunsero. «Vuoi della birra, mio signore?» Sollevò la caraffa. «Non ti ho visto bere un solo goccio per tutta la serata.» 11


Lui studiò le labbra tumide e morbide, di un colore simile a un petalo di rosa, nonostante il sorriso fosse forzato e la voce secca, e abbozzò a sua volta un sorriso rigido. «No, grazie. Sono qui per dovere, non per piacere.» Lo sguardo di Svea divenne gelido e il viso si irrigidì. Ash capì subito che nessuno dei due apprezzava la gente dell'altro. Lei stava forse recitando per gli invitati del fratello, come lui stava facendo per il suo re? «La birra serve solo a offuscare il giudizio, non trovi?» aggiunse Ash. «Non sia mai!» lo schernì lei. «Sappiamo tutti che è la tua saggezza a tenerci tutti sotto controllo.» Ash aggrottò la fronte davanti a quell'aperta mancanza di rispetto. Era abituato a essere riverito e benvisto dalla gente di Termarth. «Immagino ti stia riferendo alla situazione con Crowe, quando ho chiesto di mostrare pietà per un uomo già sconfitto.» Svea stava cercando qualcuno da incolpare e aveva trovato lui, era chiaro. «Saggezza... o interferenza? Crowe ha ucciso mio padre. Tu hai preso le parti del mio nemico e hai impedito a Brand di vendicarmi.» Ash percepì la rabbia furibonda che ribolliva dietro le sue parole e il fuoco della sua personalità e sentì divampare dentro di sé una scintilla indesiderata. Inclinò la testa come per riconoscere la validità della sua rivendicazione. «In quel momento non lo sapevo.» «E se lo avessi saputo ti saresti comportato in modo diverso?» chiese Svea, sfidandolo apertamente. 12


«No» ammise Ash. «Non approvo che ci si faccia giustizia da soli. È un comportamento avventato.» Gli occhi azzurri di Svea lampeggiarono alla luce guizzante del fuoco. Era testarda e impetuosa, tutto ciò che Ash considerava pericoloso in una persona. E a giudicare dal modo in cui la parte inferiore del suo corpo stava reagendo, costituiva di certo un pericolo per lui. «Ho atteso per anni. Direi che ho avuto tempo a sufficienza per considerare i miei sentimenti al riguardo» ribatté Svea. Ash sospirò, ma fece attenzione a mantenere un tono calmo. «Ho fatto imprigionare quell'uomo – una conclusione soddisfacente per entrambi – eppure, se non mi sbaglio, da allora mi hai evitato.» Lei scrollò le spalle, attirando senza volerlo la sua attenzione sul vestito teso sul seno florido. «Non montarti la testa, mio signore. Ignorarti significherebbe accorgermi della tua presenza.» Ash strinse i denti. Il suo tono di scherno era irritante, ma l'indifferenza lo faceva infuriare. Con la mano su un fianco, lei gli lanciò uno sguardo di sfida. Ash abbassò gli occhi sulla sua spalla, dove un disegno scuro e intricato le decorava la clavicola e spariva dietro i capelli. Sembravano i rami contorti di un albero che si arrampicavano su per il collo. Intorno al polso era tatuato un altro simbolo che non riconobbe. Avrebbe voluto attirarla più vicino per esaminarlo meglio, ma non osava toccarla. Tutto il suo atteggia13


mento gli ingiungeva perentorio di starle lontano. «Alcuni possono tessere le lodi del tuo stato di braccio destro del re, ma altri sanno che è facile farsi strada con un padre altolocato» aggiunse. Ash si costrinse a scoppiare in una risatina sbrigativa, ma quell'aperto attacco alla sua posizione lo colse alla sprovvista. Poi capì: era ancora arrabbiata e voleva ferirlo, come l'aveva ferita lui negandole la possibilità di vendicare la morte del padre. Ma se solo avesse conosciuto la verità... Se avesse saputo quanto aveva dovuto lottare per farsi strada nel mondo, cacciato dalla casa dei genitori quando era solo un bambino. Perfino ora doveva ancora combattere per mantenere il suo titolo, la sua eredità e il suo orgoglio. «Comunque siamo alla festa di nozze di mio fratello e io ho il dovere di essere cortese con tutti gli invitati, anche con te. Se non vuoi bere, lo farò io. All'improvviso ne sento il bisogno.» Prese un boccale da un tavolo vicino, lo riempì di birra e lo sollevò in un brindisi. «Alla coppia felice. Spero che ti goda il resto della serata.» «Ne dubito. I matrimoni non mi interessano.» «Be', almeno su questo siamo d'accordo. Skol!» esclamò Svea, svuotando il boccale in un unico sorso. Poi gli mancò ancor più di rispetto passandosi la manica sulla bocca e asciugando così le goccioline umide rimaste sulle labbra. Ash la fissò incredulo. Non aveva mai visto una bella donna che si impegnava tanto a nascondere il suo fasci14


no e la cosa lo incuriosì. «Oggi però sei entrata nella parte» ribatté. Avrebbe voluto divorare con lo sguardo le sue morbide curve femminili, ma fece in modo di mantenerlo fisso sul suo viso. Sapeva quanto fosse importante trattare una donna con rispetto. «Fino a un attimo fa mi sembravi graziosa.» Lei si rabbuiò ed emise uno sbuffo sdegnoso e assai poco femminile. «Hai un vero talento nell'imporre la tua opinione a chi non vuole ascoltarla, mio signore. Visto che per tutto il giorno ho sudato come un maiale portato all'affumicatoio, forse dovresti riservare i tuoi complimenti alla sposa.» Svea si girò di colpo e se ne andò, con il vestito che ondeggiava intorno alle caviglie nude, lasciandolo ancora una volta a bocca aperta. Non era come le altre donne. Ash non ne aveva mai conosciuta una che respingesse un complimento, bevesse come un uomo e brandisse una spada come un guerriero. Non aveva mai visto una donna con tatuaggi del genere e nessuna donna gli aveva mai parlato con tanto aperto disprezzo. Be', a parte sua madre. Svea pareva non curarsi di ciò che la gente pensava di lei. Era se stessa e lui la invidiava per questo. Si era lasciato dominare dall'onore, dalla reputazione della famiglia e dalle opinioni altrui per tutta la vita. Se ne era andata per la critica al suo comportamento o per il complimento che le aveva rivolto? Tanta rabbia nei suoi confronti sembrava ingiustificata e immeritata. In fondo l'uomo che aveva ucciso suo padre era stato 15


imprigionato e privato di titoli e ricchezza. Ash se ne era occupato di persona, dunque perché lei si era comportata in modo così villano? Oltretutto quel disdegno era servito solo a infiammarlo ancora di più. Si dimenò a disagio sul sedile e la guardò mentre continuava a svolgere i suoi compiti muovendosi tra la folla degli invitati alle nozze; cercava di rendersi meno desiderabile possibile e pareva indifferente agli sguardi maschili e invece finiva per avere l'effetto opposto su di lui. Ash appoggiò i palmi sul tavolo, aprì le dita e premette con forza gli stivali contro il pavimento. Come tutte le emozioni, anche il desiderio si poteva soffocare. Lui lo sapeva bene; era un vero esperto in quel campo. Non erano molti gli uomini che la intimidivano – non più – eppure lui ci riusciva. Fra tutti gli uomini prepotenti, boriosi e arroganti che aveva conosciuto Lord Stanton era senz'altro il peggiore. Svea si chiese se fosse colpa del modo in cui torreggiava su chiunque altro, o del modo in cui se ne stava in disparte, seduto da solo a rimuginare, con lo sguardo scuro che esaminava tutto e tutti. Aveva la sensazione che niente gli sfuggisse. Le ricordava i corvi del dio Odino, che gli facevano da occhi e orecchie. Vedeva e sapeva tutto, eppure era come se volesse passare inosservato. Cosa che non gli riusciva assolutamente. Con le spalle ampie e il corpo robusto e possente non poteva certo nascondersi. I capelli neri raccolti in uno 16


stretto nodo, la barba curata e i lineamenti marcati attiravano l'attenzione. Tutto in lui la rendeva cauta e diffidente e non era la sola: perfino i suoi uomini si tenevano a rispettosa distanza, come se sentissero che era meglio dargli spazio. Avevano ragione. Svea non voleva avvicinarsi a lui e aveva perfino tentato di ignorarlo quando l'aveva chiamata. Non voleva guardarlo negli occhi, o ascoltare le sue parole condiscendenti. La rendeva nervosa, come se la stesse giudicando – e probabilmente era proprio così. Quando si erano incontrati aveva disapprovato con severità il suo comportamento e da allora aveva percepito la critica nei suoi occhi di un castano scuro. Dalla morte dei genitori nessuno l'aveva mai rimproverata, a parte il fratello. Come osava Lord Stanton pensare che toccasse a lui farlo? Era ridicolo e la spingeva a ribellarsi e a provocarlo perché reagisse. Sarebbe stato interessante riuscire a incrinare la sua fredda riserva. I brindisi in onore degli sposi erano continuati fino a notte fonda e Svea si era sempre mantenuta a distanza da lui, ma le pareva che il suo sguardo carico di rimprovero la seguisse mentre svolgeva i suoi doveri. Il suo complimento l'aveva sconvolta, provocandole uno strano calore nello stomaco. Non aspirava all'approvazione di un uomo e tantomeno alla sua! A Kald gli uomini evitavano di fare commenti sul suo aspetto. La consideravano una di loro, pronta a coltivare la terra e a combattere. C'erano voluti anni e molto impegno 17


per arrivare a quel risultato, ma alla fine aveva ottenuto da loro rispetto e cameratismo e ora le cose andavano come voleva. Finalmente con l'arrivo dell'alba Svea poté fuggire fuori, lontana dal salone caldo e pieno di gente. Si affrettò a togliersi il vestito aderente, nella speranza di non doverlo mai più indossare. Brand era in debito con lei per quel sacrificio. Infilò la tenuta che usava per cavalcare e corrispondeva molto di più ai suoi gusti – una tunica azzurra ricamata, un tabarro e brache di lana. Avvolse la fidata cintura intorno alla vita e ripensando ai commenti di Lord Stanton, riguardo alle sue azioni contro Crowe, strinse con forza rabbiosa i bracciali e gli stivali. Non riusciva a credere che l'avesse definita avventata. Aggiunse un tocco di pittura nera da guerriero intorno agli occhi, nella speranza che quell'aspetto feroce fosse sufficiente a evitare lo sguardo penetrante e indagatore del solitario signore sassone. Il sole stava sorgendo, illuminando il cielo con i suoi raggi dorati, mentre Svea galoppava fino alla cima delle scogliere. Dal promontorio seguì con lo sguardo la nave che percorreva il fiume e poi si inoltrava in mare aperto. In sella al suo amato cavallo, con i lunghi capelli scompigliati dal vento, salutò il fratello e la sua nuova moglie in partenza per la luna di miele. Mentre li seguiva con lo sguardo la nave divenne sempre più piccola, fino a scomparire alla vista. Svea scacciò il nodo che le serrava la gola. Era contenta che Brand avesse trovato la felicità, ma avrebbe 18


sentito terribilmente la sua mancanza. Le nozze erano state un'occasione di gioia, tuttavia le avevano anche ricordato che non avrebbe mai potuto avere ciò che aveva lui. Il destino aveva fatto in modo che non potesse mai sposarsi. Mentre guardava le mani del fratello che venivano legate a quelle della principessa durante la cerimonia, a simboleggiare l'unione delle loro vite, aveva avuto la conferma che non sarebbe mai appartenuta a un uomo come sua moglie. Il suo destino era continuare a proteggere Kald come una guerriera. Sposando una principessa sassone e forgiando un'alleanza tra Kald e Termarth, Brand aveva contribuito a proteggere le loro terre e la loro gente. Svea si chiedeva però come facesse Brand ad amare una donna sassone, soprattutto dopo quello che era successo al padre. E a lei. Non si sarebbe mai sentita a suo agio vicino a un sassone. Durante la festa di nozze Svea era sempre stata consapevole della presenza degli uomini del re, ma non avrebbe mai tradito il suo nervosismo. Non voleva dare a nessuno quella soddisfazione. Aveva imparato a nascondere la paura dietro un misto di disinvoltura e disprezzo e fino a quel momento ci era riuscita bene. Mentre tornava verso la fortezza notò sollevata che la guardia reale si stava preparando a partire. Presto avrebbe potuto di nuovo respirare liberamente. Entrando nella piazza centrale la vide piena di uomini in divisa militare e fu costretta a rallentare l'andatura del suo cavallo, Max. Notò gli occhi annebbiati e l'aria 19


stanca dei soldati. I loro movimenti erano lenti e faticosi, segno che avevano bevuto troppa birra. Il formidabile Lord Stanton era stato l'unico a evitarla. Nelle poche occasioni in cui l'aveva incontrato era sempre stato molto controllato e questa volta non aveva fatto differenza. Anche quella mattina aveva un'aria superiore e distaccata, ma suo fratello lo rispettava e così lei aveva promesso di tenere a bada l'ostilità nei suoi confronti e di comportarsi bene. Avvicinandosi alla scorta del re sassone trafisse con lo sguardo Lord Stanton; sapeva che non avrebbe gradito ciò che stava per dire. «Re Eallesborough, Lord Stanton, buongiorno. Mio fratello mi ha chiesto di accompagnarvi lungo il sentiero della foresta e accertarmi che non abbiate problemi. La stagione è stata molto umida e le paludi sono diventate letali. Hanno perfino spazzato via parte del nostro bestiame. Io potrò mostrarvi il modo di aggirarle.» Lord Stanton premette le ginocchia contro i fianchi del cavallo e si fece avanti corrucciato. «Non ce n'è bisogno, Svea. Sono perfettamente in grado di trovare la via del ritorno.» «Ne sono sicura.» Scrollò le spalle. «Ma ho fatto una promessa a mio fratello e così mi godrò una cavalcata mattutina.» Lord Stanton era alto e imponente come i guerrieri danesi del suo clan. Nonostante le parole sprezzanti che gli aveva rivolto la notte prima, riguardo al modo in cui era diventato il generale e il consigliere più fidato del 20


re, Svea capiva perché i suoi uomini lo seguivano. Aveva voluto attaccare la sua posizione, ma quell'uomo aveva vinto molte battaglie e il suo viso era solcato da molte cicatrici, come quello dei guerrieri di Kald. Se le era procurate in battaglia, magari combattendo contro danesi come lei? A differenza di Brand e degli altri norreni a cui era abituata, Lord Stanton era vestito in modo impeccabile e sontuoso, con la cotta di maglia scintillante che dichiarava la sua lealtà alla corona. «E la tua sicurezza quando ci separeremo? Non posso lasciarti senza protezione» obiettò. «Ti preoccupi inutilmente, mio signore. Due dei miei uomini verranno con noi e saranno ben contenti di accompagnarmi nel viaggio di ritorno.» Un muscolo vibrò nel suo viso fiero – l'unico segnale di una possibile irritazione. Probabilmente era abituato ad averla vinta. Be', quel giorno sarebbe andata in modo diverso. «E va bene, se proprio insisti...» cedette fissandola torvo. «Sì, insisto.» Svea si girò sulla sella e cercò con lo sguardo i suoi uomini, Kar e Sten. Era segretamente felice che i suoi fratelli di scudo danesi l'accompagnassero. Con loro si sentiva più sicura. Nonostante nel corso degli anni avesse cercato di corazzarsi in vista di situazioni simili, in genere non si sarebbe circondata di così tanti sassoni. La loro presenza la scombussolava. 21


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