Sfida allo sceicco

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MAISEY YATES

Sfida allo sceicco


Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: To Defy a Sheikh Harlequin Mills & Boon Modern Romance © 2014 Maisey Yates Traduzione di Carla Maria De Bello Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Books S.A. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. Harmony è un marchio registrato di proprietà HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved. © 2016 HarperCollins Italia S.p.A., Milano Prima edizione Collezione Harmony febbraio 2016 Questo volume è stato stampato nel gennaio 2016 presso la Rotolito Lombarda - Milano COLLEZIONE HARMONY ISSN 1122 - 5450 Periodico bisettimanale n. 3056 dello 09/02/2016 Direttore responsabile: Chiara Scaglioni Registrazione Tribunale di Milano n. 22 del 24/01/1981 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - Via Mondadori, 1 - 20090 Segrate (MI) Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 045.8884400 HarperCollins Italia S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano


1 Lo sceicco Ferran Bashar, governatore di Khadra, non sarebbe sopravvissuto alla notte. Non lo sapeva ancora, ma era la veritĂ . Uccidere un uomo non sarebbe mai stato facile. Eppure era per questo che si era allentata, per questo che si era esercitata. Ripetutamente. CosicchĂŠ, quando fosse arrivato il momento, non ci sarebbe stata nessuna esitazione. Nessun rimorso. Attese fuori dalla camera dello sceicco, un panno intriso di cloroformio in mano e un coltello nascosto nell'abito. Lo avrebbe colto di sorpresa. Come poteva essere sbagliato, quando sapeva cosa la dinastia di lui aveva procurato alla propria? Era una tradizione lunga quanto i loro regni a esigerlo. A esigere che la discendenza finisse con lui. Esattamente come la propria era finita con suo padre. Con un'unica figlia sopravvissuta che mai avrebbe potuto portare il suo nome. Con un regno che aveva perso la propria corona e sofferto anni di tumulto. Ma non c'era tempo per i sentimentalismi. Bisognava agire. Si era fatta assumere un mese prima a palazzo solo con quello scopo. E Ferran non era stato cauto. Certo che non lo era stato. PerchĂŠ avrebbe dovuto insospettirsi? PerchĂŠ avrebbe dovuto riconoscerla? 5


Eppure lei aveva riconosciuto lui. Lo aveva osservato. Studiato. Era un uomo possente, alto e slanciato, con muscoli pronunciati e una forza impressionante. Lo aveva visto bruciare fino all'ultimo accenno di energia colpendo un sacco da boxe, ancora e ancora. Sapeva come si muoveva. Sapeva fino a quale livello avrebbe resistito. Sarebbe stata pietosa. Non avrebbe sentito nulla. Non avrebbe saputo cosa stava per accadere. Non avrebbe supplicato per la propria vita. Non avrebbe atteso in una cella la fine della propria esistenza, com'era invece accaduto a suo padre. Lo avrebbe semplicemente finito. Sì, diversamente da lui, avrebbe dimostrato pietà. Almeno in quel modo. E quella notte avrebbe vinto. In caso contrario sarebbe stata lei a non vedere la luce dell'alba. Era un rischio disposta a correre. Attese, i muscoli tesi, i nervi in allerta. Sentì dei passi, pesanti e regolari. Era Ferran, non poteva sbagliare. Trasse un profondo respiro e aspettò che la porta si aprisse. Ecco, un taglio di luce sul pavimento di marmo tirato a lucido. Riusciva a vedere il riflesso di lui. Possente. Alto. Da solo. Perfetto. Trattenne il fiato e attese. La porta si chiuse, e lei comprese di dover agire immediatamente. Pronunciò una preghiera appena prima di uscire dall'ombra. Una per la giustizia, una per il perdono. E una per la morte, perché arrivasse in fretta. Per Ferran. Oppure per lei. Lo sceicco si voltò proprio mentre lei stava per assalirlo. I loro occhi si incrociarono. Così vibranti. Così belli. Così familiari. 6


A dispetto di tutti gli anni passati, lei lo riconobbe. E in quel momento, tutto ciò che riuscì a fare fu fissarlo. Immobile. Senza fiato. Fu quell'esitazione a tradirla. Ferran fece un passo di lato, prendendola per il braccio. Lei torse il polso, poi incrociò una gamba dietro l'altra e scivolò per terra, divincolandosi dalla presa. Lo afferrò per una spalla e usò la sua coscia per piombargli sulla schiena, l'avambraccio intorno al collo, il panno intriso di cloroformio ancora in mano. Ferran tornò a stringerle il polso, ma questa volta la presa fu più salda. Questa volta sapeva che avrebbe provato a sfuggirgli. Gemette, rafforzando la stretta sul collo con l'altro braccio. Lui la inchiodò al muro, l'impatto contro la superficie di pietra fu tale da strapparle il respiro. Gli allacciò le gambe alla vita, poi però lui la scaraventò contro il muro. Poteva anche essere un'ottima lottatrice, ma si ritrovò sopraffatta dalla forza di lui. Chiuse gli occhi e ripensò alla propria casa. Non le strade di Jahar, ma il palazzo. Quello da cui lei e sua madre erano state allontanate. Dopo l'esecuzione di suo padre per mano di Ferran. Una scarica di adrenalina le attraversò le vene. Doveva reagire, o sarebbe morta. Ferran era spietato. Non avrebbe esitato a spezzarle il collo. Si rialzò in fretta e lo colpì con un calcio in pieno viso scaraventandolo a terra, quindi approfittò del vantaggio per piantargli entrambe le ginocchia sulle spalle, una mano alla gola. Vide i suoi occhi scintillare nel buio. Doveva farlo subito, finché lo aveva di fronte. E senza l'ausilio del cloroformio. Allontanò l'ultimo dubbio e infilò la mano nel vestito 7


per afferrare il coltello. Non c'era tempo per dubitare. Non c'era tempo per esitare. Di certo lui non l'aveva fatto, quando si era trattato di giudicare suo padre. Brandì il coltello ma Ferran le catturò i polsi e riuscì ad allontanarla sospingendo entrambi contro il bordo del letto. Nella lotta la lama del coltello le rigò la guancia. Un rivolo di sangue le scivolò in bocca. «Chi ti ha mandata?» chiese con voce roca. «Nessuno. Non mi ha mandata nessuno.» «E cosa sei venuta a fare?» «A ucciderti, ovviamente.» Ferran le torse il braccio, costringendola a lasciare andare il coltello. «Allora hai fallito.» «Soltanto per ora.» «E per sempre. Ciò che mi interessa sapere è perché una donna si sia nascosta nella mia camera per togliermi la vita. A ogni modo, considerato che questo non accadrà, né stanotte né mai, forse dovresti cominciare a chiederti perché non dovrei giustiziarti. Per il tentato omicidio di un leader mondiale. Per tradimento. Potrei farlo. Potrei addirittura farti sbattere in cella in questo preciso istante. Basta solo una chiamata.» «Allora perché non lo hai ancora fatto?» «Perché uno sceicco sa perfettamente che qualunque cosa, per quanto brutta, può sempre essere sfruttata a proprio vantaggio.» «Io non ti fornirò mai un vantaggio.» «Allora goditi la prigione.» Samarah esitò. Perché non avrebbe fatto un'alleanza con Ferran. Era impossibile. Quell'uomo le aveva distrutto la vita. Rovesciato il governo del suo paese. Messo in fuga i pochi familiari rimasti come fossero cani. Lasciato lei e sua madre per strada a cavarsela da sole fino a quando quest'ultima non era morta. 8


Le aveva tolto ogni cosa. E lei aveva trascorso la vita con un solo scopo in testa. Assicurarsi che non la passasse liscia. Che la dinastia finisse con lui, esattamente come era finita la propria. E adesso era sul punto di fallire. A meno che non si fosse fermata. A meno che non avesse ascoltato. A meno che non avesse fatto ciò che Ferran suggeriva. Voltare la situazione a proprio vantaggio. «E cosa dovrei darti in cambio della mia libertà?» «Non ho ancora deciso» affermò lui. «Non ho ancora deciso se la tua libertà sia trattabile o meno.» Si avvicinò, e Samarah si accorse che adesso era lui a stringere in mano il coltello. «Non mi fido di te, piccola vipera del deserto.» «E fai bene, perché ti taglierei la gola se solo ne avessi la possibilità.» «A ogni modo adesso ho io il coltello, e tu sei l'unica ferita. Ti lascerò andare, per il momento, ma solo se acconsentirai a seguire le mie istruzioni.» «Dipende da quali siano.» «Voglio che tu salga sul letto, al centro, e che ci rimanga.» La ragazza si irrigidì, una nuova paura a scuoterle il corpo. Era preparata a morire. Ma, neppure per un attimo, aveva contemplato l'idea che lui potesse abusare di lei. No, meglio la morte. Lo avrebbe combattuto a ogni costo. Non gli avrebbe permesso di disonorare un'altra volta lei e la sua famiglia. Sarebbe morta lottando, ma non gli avrebbe permesso di violentarla. Meglio la lama di un coltello che lui. Anche se il Ferran che conosceva... In fretta si liberò del pensiero. Ferran era capace di qualsiasi cosa. E non aveva nessuna lealtà. Non importa9


va chi fosse stato in un altro tempo. Non quando aveva dato prova della propria falsità. Non quando aveva dimostrato come fosse stata tutta una farsa. Non si mosse, e nemmeno lui lo fece. «Non mi toccherai.» La voce adesso era tremante. «Non ho nessuna intenzione di toccarti. Ho semplicemente bisogno di tenerti d'occhio. Sei minuta, certo, eppure sei forte, altrimenti ti avrei sopraffatta con facilità. È per questo che ho dovuto usare la mia stazza come vantaggio. Adesso, però, ho anche un'arma. Ma non mi fido. Per cui sali sul letto, al centro, le mani in grembo. Non voglio disonorarti o umiliarti ulteriormente, e nemmeno sono dell'umore giusto per fare sesso. Da questo punto di vista sei al sicuro.» «Preferirei morire, piuttosto.» «E io sarei il primo a ucciderti, per cui mi sembra che l'accordo sia stato raggiunto. Quindi adesso sali sul letto e siediti.» Finalmente lei obbedì. Si mise al centro del materasso. Letti del genere appartenevano al passato, un passato che ricordava appena. Da quando era scappata dal palazzo di Jahar aveva dormito su giacigli di fortuna, su pavimenti di legno e ruvide lenzuola. Nel retro di un negozio. Al piano superiore dello studio di arti marziali in cui era solita allenarsi. Nello sporco di un vicolo. Era stato al palazzo di Khadra, dove era entrata a lavorare come serva, che aveva dormito per la prima volta in un letto dopo sedici anni. Un letto a una sola piazza, ma morbido e con due cuscini. Un lusso che aveva dimenticato, e si era scoperta in colpa ad apprezzarlo. La prima settimana aveva dormito sul pavimento per dispetto, anche se non era durata. E adesso era sul letto di Ferran. Il pensiero le fece accapponare la pelle. 10


Appoggiò le mani sul grembo. E attese. Non c'era ragione di fidarsi della sua parola, non quando nel sangue gli scorreva tanto disonore. Si era macchiato della peggiore delle colpe. L'esecuzione di suo padre. L'ordine era stato suo. A nulla erano serviti la promessa di un legame tra le famiglie reali o i sorrisi scambiati tra amici. Di conseguenza, non si fidava neppure del giuramento di non toccarla. «Te lo chiederò di nuovo» la ammonì. «Chi ti ha mandata?» Credeva ancora fosse una pedina. Ancora non aveva capito. «Agisco di mia iniziativa. Te l'ho già detto.» «A che scopo?» «Vendetta.» «Capisco. E quale torto ti avrei fatto?» «Hai ucciso il mio re, sceicco Ferran.» «Non è mia abitudine uccidere la gente.» Il tono era gelido. «Forse non in prima persona, ma sei stato tu a ordinare il processo che ha sentenziato l'esecuzione dello sceicco di Jahar. E si dice anche che tu abbia avuto un certo ruolo nell'assedio del palazzo. Ricordo quel giorno fin troppo bene... non ho mai visto tanta violenza.» Ferran raggelò, la tensione nel corpo evidente, il pugno stretto intorno al coltello. E, per la prima volta, lei ebbe davvero paura. Per la prima volta guardò l'uomo e vide lo spietato guerriero del deserto di cui tanto aveva sentito parlare. Trenta giorni a palazzo le avevano mostrato una persona più civile di quanto si fosse aspettata. Ma non lì. Non in quel momento. «Non c'è stato alcun sopravvissuto nel raid al palazzo di Jahar.» 11


«Purtroppo per te ce ne sono stati, invece. Vedo che capisci da dove vengo.» «L'intera famiglia reale, i servitori... tutti sono stati uccisi. È questo che mi hanno riportato.» «Allora si sono sbagliati. E, nel mio interesse, è stato meglio che abbiano continuato a pensarlo. Ma sono viva. Almeno per assicurarmi che tu non lo sia più.» Ferran esplose in una risata priva di umorismo. «Quindi sei l'angelo della morte venuto per condurmi all'inferno?» «Sì.» «Molto interessante.» «Mi piace pensare di essere ben più che interessante.» «Mi fai paura. Non ci sono molte persone sulla terra capaci di spaventarmi.» «Allora per me è un gran traguardo, e tuttavia mi sento ancora insoddisfatta.» «Vuoi il sangue?» La ragazza sollevò il mento con aria di sfida. «Lo esigo. È questa la mia vendetta. Voglio il tuo sangue.» «Perché sono io l'oggetto della tua vendetta? Perché non l'intero regime? Perché non le persone che hanno distrutto il palazzo e sterminato l'intera famiglia reale, la sceicca e sua figlia?» «Intendi i rivoluzionari aiutati dai tuoi uomini?» «Non sono stati aiutati dai miei uomini. Né io né nessun altro a Khadra ha avuto un ruolo nel rovesciamento della famiglia reale. Io avevo un paese da governare. Non era nel mio interesse danneggiare il vostro.» «Ci hai lasciato senza protezione. Hai fatto processare e giustiziare il nostro re» lo accusò con voce intrisa di veleno. «Hai lasciato noi a morire. Ci hai costretti all'esilio. Servitori, soldati... chiunque non si fosse assoggettato al nuovo leader è stato ucciso, e coloro che sono riu12


sciti a scappare... a loro è rimasta solo una vita a metà. Non c'era nessun confine da varcare, a meno che non fossero disposti a vagare nel deserto pregando Dio di trovare il mare.» Come aveva fatto un giorno sua madre. Vagare nel deserto per non tornare mai più. «Non sono responsabile della sorte dello sceicco Rashad. Ha pagato per i peccati commessi. È stata fatta giustizia. A ogni modo sono addolorato per come sono andate le cose.» «Davvero? Io sono ben più che addolorata, dal momento che mi è costato tutto.» «Sono passati sedici anni.» «Forse il passare del tempo per te ha qualche importanza. Per me non conta nulla.» «Te lo dico di nuovo: non sono stato io a ordinare che la tua gente venisse uccisa. È di poca consolazione, certo, dal momento che sono morti, ma il colpevole non sono io. Non sei la sola a non crederci. Io per primo sono tormentato dalle conseguenze del passato.» «Tormentato? Immagino sia stata dura per te... nel tuo palazzo, circondato dal potere...» «È dura, invece, quando sulla tua testa grava il peso di una colpa che non hai commesso. Bada bene: sono spesso stato accusato dell'ostile acquisizione del tuo paese, ma io non ho mai mandato nessuno a palazzo per rovesciare il vostro governo. Quanto accaduto dopo non è dipeso da me anche se, in un certo senso, mi sento responsabile.» «Così è troppo facile, sceicco. O sei colpevole oppure no.» «Ho dovuto fare delle scelte. Mostrarmi forte per il mio paese, per mio padre, per la dinastia. Se avessi previsto cosa sarebbe accaduto, probabilmente avrei agito in modo diverso.» 13


«Pensi di essere Dio?» «Sono uno sceicco. La cosa è molto simile.» «Allora sei un Dio fallace.» «E tu? Aspiri a essere la Dea?» le chiese avvicinandosi al letto. Alto. Orgoglioso. Una figura imponente, e lei quasi stentò a credere che avesse osato toccarlo. Non quando la superava così palesemente in forza e struttura fisica. Non quando era un'arma mortale già di per sé. «Solo un angelo della morte. Non ho aspirazione più alta di questa. Non è potere che cerco, ma giustizia.» «E pensi di ottenerla con altre morti?» «Chi ha mandato il re di Jahar a processo, sceicco? Chi ha lasciato il mio paese senza una guida?» Chi ha lasciato me senza un padre? Non diede voce all'ultima parte. Era troppo debole. E lei si rifiutava di apparire tale. «Sono stato io» confermò con tono fermo. «Non dimentichiamo che il sangue del re di Khadra era sulle sue mani. E questa non è una metafora.» «Almeno Khadra aveva un erede! Tu hai lasciato una ragazzina senza protezione. Una regina senza marito.» «E avrei dovuto lasciar andar via il re di Jahar dopo che aveva strappato la vita di mio padre? La vita di mia madre?» «Lui non...» «Non parleremo di mia madre» le intimò con ferocia. Te lo proibisco.» In quello stesso istante qualcosa sul suo viso cambiò, le sopracciglia tese in un'unica linea. «Samarah. Non una serva, e neppure una cittadina adirata. Sei Samarah.» L'aveva riconosciuta, alla fine. Sperava non sarebbe accaduto. «La sceicca Samarah Al-Azem. Di Jahar. Una principessa senza palazzo. E sono qui per reclamare ciò che mi devi.» 14


«E pensi che sia il sangue, piccola Samarah?» «Non osare definirmi piccola. Ti ho appena tenuto testa.» «È vero, lo hai fatto, ma per me resti sempre piccola.» «Prova a osare una tale insolenza quando avrò di nuovo indietro il mio coltello, e giuro che ti taglierò la gola, sceicco.» «Vedo che sei cambiata» le disse osservandola più da vicino. «Ho dovuto. Non ho più sei anni. E non ho nulla da perdere.» «È questa la posizione in cui ti trovi?» «Perché altrimenti mi sarei intrufolata a palazzo e tentato di uccidervi? È ovvio non abbia un grande attaccamento per questa vita.» La mascella di Ferran si tese. «Non posso darti il mio sangue, Samarah. Ma, dal momento che ti senti derubata della tua eredità e del tuo palazzo, forse posso aiutarti.» «Davvero?» «Sì. Ho deciso cosa fare di te. Tra una settimana esatta ti presenterò al mondo come la mia futura sposa.»

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3054 - La moglie di un Fonseca di A. Green Darcy sa quanto possa essere esigente il suo capo, il ricchissimo Maximiliano Fonseca... Seconda parte della miniserie I FONSECA.

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3068 - La sposa del re di J. Porter Hannah ha accettato di aiutare una principessa, e in poche ore si è ritrovata fidanzata con un re... Prima parte di SCANDALO R EALE.

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