Sorelle di cuore di Susan Mallery

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Romanzo


ROMANCE


SUSAN MALLERY

Sorelle di cuore


Immagine di copertina: ikostudio / depositphotos Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: The Stepsisters Mira Books © 2021 Susan Mallery, Inc. Traduzione di Maria Claudia Rey Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Books S.A. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. Harmony è un marchio registrato di proprietà HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved. © 2022 HarperCollins Italia S.p.A., Milano Prima edizione Harmony Romance febbraio 2022 HARMONY ROMANCE ISSN 1970 - 9943 Periodico mensile n. 283 dello 03/02/2022 Direttore responsabile: Sabrina Annoni Registrazione Tribunale di Milano n. 72 dello 06/02/2007 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distribuzione canale Edicole Italia: m-dis Distribuzione Media S.p.A. Via Carlo Cazzaniga, 19 - 20132 Milano HarperCollins Italia S.p.A. Viale Monte Nero 84 - 20135 Milano


Dedica

A Kelly, MSN, CRNA. Sapete bene chi siete! Grazie infinite per avermi aiutato nelle mie ricerche. Mi avete permesso di definire la vita lavorativa di Daisy, e di conseguenza lei stessa come persona. Siete state così pazienti. Qualsiasi errore usato nei termini tecnici dell'anestesiologia è solo mio. Per tutte le sorelle acquisite. Non è sempre facile, ma mi auguro che con pazienza e comprensione il vostro possa diventare un rapporto magnifico e solidale. E infine, ultimo ma non meno importante, se qualcuno possiede davvero una borsa Hermès Birkin di coccodrillo, per favore invii la foto sulla mia pagina Facebook. Adorerei vederne una dal vivo!


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«Mamma, mi vien da vomitare.» Quando Krissa pronunciò quelle cinque parole, Daisy Bosarge provò la paura tipica di ogni genitore, ingigantita dal fatto che suo figlio era già a casa con l'influenza. Non avrebbe dovuto lasciare che la figlia andasse a scuola quel giorno, pensò mestamente. Ma Krissa aveva insistito, e lei era già in ritardo per il lavoro, ed era sembrato più semplice dirle di sì. Adesso quella decisione si stava ritorcendo contro di lei, anche se cercava di guidare più in fretta che poteva nel traffico del pomeriggio. «Mancano solo dieci minuti» l'avvertì dando un'occhiata alla piccola nello specchietto retrovisore. «Tra dieci minuti saremo arrivate.» «Ma io sto male...» «Lo so, tesoro. Siamo quasi a casa.» Meglio consolare sua figlia e ignorare la minacciosa spia Controllare motore che si era accesa sul cruscotto mentre Daisy parcheggiava davanti alla scuola. Era un problema che adesso non aveva tempo di risolvere. Doveva osservare le priorità, si disse. Arrivare a casa, mettere Krissa a letto, vedere come stava Ben, e poi prendere un appuntamento per portare la Mercedes dal meccanico. Dopodiché avrebbe potuto... «Mamma, devo vomitare adesso!» Daisy trattenne un gemito, guardò nello specchietto e si fermò a lato della strada. «Un secondo» mormorò ben sapendo che ormai non poteva fermare l'inevitabile. E infatti Krissa si vomitò addosso sporcando anche il sedile 7


posteriore e il tappetino. L'odore acido riempì la macchina mentre Krissa scoppiava in lacrime. Daisy mise i lampeggianti e corse ad aprire la portiera posteriore per aiutare la piccola a scendere sul marciapiede. Le macchine passavano così veloci che si avvertiva lo spostamento d'aria. Tenendo la figlia per mano Daisy aprì il portabagagli, dove teneva sempre una borsa colma di tovaglioli di carta, salviette umide e delle magliette di ricambio per entrambi i figli. Ripulì la faccia di Krissa, poi prese l'orlo della maglietta sporca per sfilargliela. «Adesso togliamo questa e mettiamo quella pulita che ho qui.» Krissa glielo impedì. «No!» strillò. «Siamo per la strada, mi vedono tutti!» Tutti chi? Krissa aveva otto anni, la macchina era tra loro e la strada, e Daisy bloccava comunque la visuale. «Vuoi cambiarti nel sedile anteriore?» domandò sforzandosi di non perdere la pazienza. «No!» strillò Krissa ricominciando a piangere. «Non voglio!» L'emicrania di Daisy, cominciata verso mezzogiorno, aumentò di livello e diventò un dolore fisso tra gli occhi. Lei la ignorò e tastò la fronte della figlia, ormai bollente. Mentre pensava al da farsi Krissa vomitò di nuovo, questa volta sul camice di Daisy e sulle scarpe. Krissa ormai piangeva a dirotto, e Daisy fu tentata di imitarla. Aveva avuto una giornata pesante al lavoro, i suoi due figli erano malati, non sarebbe mai riuscita a eliminare la puzza di vomito dalla macchina, e come se nella vita non avesse già abbastanza guai suo marito se n'era andato da due giorni. Per dare a entrambi modo di riflettere, così si era espresso. In un messaggio sul cellulare. Un idiota, pensò con furia e una punta di panico. Anzi, uno stronzo. Come aveva potuto farle questo? Un passo alla volta, pensò ancora. Prima portare a casa Krissa, poi la macchina, poi... Con la coda dell'occhio vide una BMW blu scuro rallentare mentre passava accanto a loro. Era tentata di insultare il guardone, ma sapeva che avrebbe dato un cattivo esempio e si sforzò di sorridere a sua figlia. 8


«Tesoro, dammi il tempo di pulire il sedile posteriore. Così potrai cambiarti la maglietta in macchina e non ti vedrà nessuno, d'accordo?» La piccola annuì a malincuore. Daisy la piazzò in un punto in cui poteva vederla, poi ripulì il disastro meglio che poteva. Nel caldo primaverile di Los Angeles la puzza all'interno della macchina stava già aumentando e le procurava dei conati di vomito. L'odore di sangue non le dava nessun fastidio, quando in sala operatoria il chirurgo incideva un corpo andava tutto benissimo, ma quella puzza era un incubo. Finì di ripulire, convinse Krissa a salire in macchina e in quel momento la BMW passò di nuovo accanto a loro. Ma il sole si rifletteva sul finestrino e Daisy non poté vedere chi guidava. Be', lo avrebbe ignorato. Sfilò a Krissa la polo della scuola e la sostituì con una T-shirt decorata con Elsa di Frozen. Purtroppo non aveva un cambio per sé, così si ripulì alla bell'e meglio e stava allacciando a Krissa la cintura di sicurezza quando la BMW fece marcia indietro e parcheggiò dietro di loro. Daisy si impose di non cedere al panico, ma avrebbe voluto essere un'esperta di karate – o avere uno spray al peperoncino. Chissà se lo spray era legale a Los Angeles? Stava ancora pensandoci quando la portiera della BMW si aprì e ne uscì una bellissima donna alta e bionda. Daisy ricapitolò tutte le imprecazioni che conosceva, ne ricavò una lista notevole e poi si domandò perché Dio ce l'aveva tanto con lei. Non c'era altra ragione per il fatto che Sage Vitale stesse camminando verso di lei, splendida come solo lei poteva essere in jeans skinny e una blusa morbida che la faceva apparire sexy ed eterea allo stesso tempo. Il tutto era completato da un paio di stivaletti con il tacco. Daisy era in piedi dalle quattro e indossava l'uniforme dell'ospedale sporca di vomito. A quanto ne sapeva lei, Sage viveva in Italia con il marito, un conte. Perché questa era Sage: alta, magra, stupenda, circondata da piloti da corsa e aristocratici. Daisy aveva dalla sua solo una grande intelligenza e una personalità brillante. Non era giusto, ecco. Sage guardò da lei a Krissa. «Daisy? Mi sembrava che fossi tu quando sono passata poco fa. Tutto bene?» 9


No, per niente, qualsiasi idiota lo avrebbe capito. Sua figlia stava male, e lei aveva i pantaloni e le scarpe coperti di vomito. «Sì, nessun problema» rispose cercando di non digrignare i denti. Il dentista l'aveva avvertita che se non smetteva di farlo avrebbe dovuto portare un paradenti la notte. E dal momento che il suo aspetto notturno già mancava di sex-appeal, non le ci voleva un paradenti a peggiorare la situazione. «Non mi pare» replicò Sage arricciando il naso, sicuramente per la puzza. «Tu chi sei?» domandò Krissa. «Be', io sono... ehm...» «È Sage, la mia sorellastra.» O per lo meno lo era stata. Krissa si asciugò il naso. «Perciò sei mia zia?» «No» disse Daisy in tono deciso. «Per favore, allacciati la cintura, così possiamo andare a casa.» Per una volta Krissa non protestò. Si allacciò la cintura e poi voltò la testa per fissare Sage. Per un attimo Daisy pensò di ammonirla del pericolo: Sage era come il sole, chi la fissava troppo a lungo riportava dei danni permanenti. Più tardi si sarebbe domandata quale scherzo del destino aveva fatto sì che la sua sorellastra passasse per strada nell'esatto momento in cui lei appariva al peggio. Los Angeles aveva quanti abitanti, circa otto milioni? Quante erano le probabilità? La madre di Sage abitava in città, ma comunque... Fece un sorrisetto forzato. «Grazie di esserti fermata. Sei stata gentile.» «Non riuscivo a credere che fossi proprio tu» ammise Sage. «Sapevo che avevi dei bambini, ma vederti qui con tua figlia... be', è stato strano.» «Non è che ci siamo proprio tenute in contatto» le ricordò Daisy avvicinandosi alla sua portiera. «È vero. Non ci vediamo dal giorno del tuo matrimonio.» Daisy la fissò. Sage voleva davvero affrontare l'argomento? «Già, il mio matrimonio, dodici anni fa, quando tu annunciasti a tutti i presenti che eri ancora innamorata dell'uomo che stavo sposando. Fu davvero grandioso.» Sage arrossì. «Non andò esattamente così...» Invece sì, ma Daisy non aveva nessuna voglia di fermarsi a di10


scutere. «Ti ringrazio di nuovo» disse. E si infilò in macchina. «È proprio bella» disse Krissa piena di ammirazione. «Mi piace molto come si veste.» «Sono solo dei jeans e una blusa» ribatté Daisy seccamente. «Scusa... sono stanca. Andiamo a casa.» Nello specchietto retrovisore vide che Sage saliva nella sua macchina. I loro occhi si incontrarono per un secondo, poi Daisy premette il pulsante della messa in moto... e non accadde niente. Le luci del cruscotto si accesero, compresa la spia rossa Controllare motore, ma nient'altro. Daisy strinse il volante con entrambe le mani e si impedì di urlare per non spaventare sua figlia – e per non impazzire del tutto. Perché diavolo doveva succederle anche questo? Sentì bussare al finestrino e lo abbassò. «Qualche problema?» domandò Sage. «La macchina non parte.» «Vuoi che ti accompagni a casa?» Daisy pensò di rispondere che avrebbe chiamato una macchina Uber o qualcosa del genere, poi si disse che il destino ce l'aveva con lei e che tanto valeva arrendersi. Prima avesse affrontato quell'inferno e prima sarebbe passato. Più tardi, dopo aver messo a letto i figli e aver fatto una doccia, avrebbe esaminato la sua vita e avrebbe cercato di capire che cos'aveva fatto di così terribile da essere punita in quel modo. Ma per il momento aveva una bambina malata a cui pensare e qualcuno disposto a darle un passaggio. «Grazie» disse a denti stretti, guardando i magnifici occhi verdi della donna che odiava più di chiunque al mondo. «Sarebbe fantastico.» «Da quanto tempo conosci la mia mamma?» domandò Krissa. Sembrava stesse molto meglio di cinque minuti prima – il che era l'ennesima prova del potere di Sage, pensò Daisy allacciandosi la cintura. «Da quando eravamo bambine» rispose Sage. «Avevamo otto o nove anni.» «Io ne ho otto!» esclamò Krissa come se fosse una magica coincidenza. «Ma non capisco... se siete sorellastre il nonno con chi era sposato?» 11


«Con la mamma di Sage» spiegò Daisy, «per quasi sei anni. Ti ricordi la zia Cassidy?» «Non credo... è bella come Sage?» «Sì.» Purtroppo, aggiunse tra sé. «Cassidy è la sorellastra di tutt'e due. Il nonno e la mamma di Sage sono i suoi genitori. Sono sicura che l'hai vista almeno una volta.» Si guardò alle spalle e vide Krissa aggrottare la fronte. «È tua zia» disse Sage venendo in suo aiuto. «E allora come mai non la conosco?» Bella domanda, pensò Daisy. Avrebbe potuto rispondere che dopo il divorzio di tanti anni prima Cassidy aveva messo in chiaro di preferire Sage a Daisy, e che una volta compiuti i diciotto anni era partita per esplorare il mondo. Era rimasta in contatto con Wallace, il padre suo e di Daisy, ma non con lei. «Non vi sentite mai?» domandò Sage varcando uno dei cancelli che segnavano l'inizio della zona di Bel Air. «Mi stupisce.» Ma davvero?, pensò Daisy senza dirlo ad alta voce. A che pro? Nella battaglia tra sorelle le era sempre toccato l'ultimo posto. Non aveva mai capito perché lei e Sage non potessero essere amiche. Al contrario di molti figli unici era stata felice quando suo padre le aveva detto che stava per sposare Joanne, e che lei avrebbe avuto una sorella. Aveva pensato di avere qualcuno con cui giocare, con cui confidarsi. Aveva sperato in un legame tra migliori amiche, in una vicinanza simile a quella che sembrava la norma nei libri e nelle serie televisive. Ma Sage aveva respinto ogni suo tentativo, e se qualche pomeriggio si dimostrava amichevole, il giorno dopo tornava fredda e distante. A scuola si divertiva a farsi beffe di lei. Era un'intrusa nella loro esclusiva scuola privata, ma alla fine era Daisy a sentirsi tagliata fuori. Sage guardò Krissa nello specchietto retrovisore. «Zia Cassidy è una scrittrice di viaggi. Gira il mondo e scrive articoli su luoghi e persone interessanti, e in questo periodo è in Patagonia per intervistare un gruppo di donne che vendono i loro tessuti.» Krissa spalancò gli occhi. «Sembra una forte!» «Praticamente una santa» borbottò Daisy fra sé. Poi indicò la strada sulla destra. «È lì.» Sage sorrise. «Mi ricordo dov'è casa tua.» 12


«Non ne ero sicura...» Era passato tanto tempo – più di vent'anni – da quando Wallace e Joanne avevano divorziato condividendo la custodia della loro figlia. Cassidy era andata avanti e indietro tra le due case per tutta la durata del liceo, e Sage era andata a prenderla a scuola più volte per poi accompagnarla dal padre. Daisy fece per indicare il viale d'accesso, ma Sage rise e ripeté: «So bene dov'è» e Daisy si sentì una sciocca, come succedeva spesso in presenza della sorellastra. «Mi stupisce che tu sia a Los Angeles» disse per distrarsi. «Non vivi in Italia?» «A Roma» precisò Sage. «Sì, ci vivevo.» «Tu vivi a Roma?» esclamò Krissa. Dal suo tono si sarebbe detto che la sua quasi zia avesse un pied-à-terre su Marte. «Ma è in Europa!» «Sì, ed è una città molto bella.» Poi Sage diede un'occhiata a Daisy. «Sono tornata due settimane fa perché mia madre temeva di avere un cancro.» Tutta l'irritazione di Daisy svanì e lei si sentì piccola e meschina. «Oh, mi dispiace... Se ti serve un bravo oncologo posso segnalarti alcuni nomi.» Un lampo passò sul bellissimo viso di Sage. «Grazie, ma per fortuna si è scoperto che era un falso allarme e adesso sta bene.» Si fermò alla fine del viale d'accesso e levò lo sguardo sulla grande casa. «Sembra sempre la stessa» osservò. Però l'interno era diverso, pensò Daisy. Negli anni la cucina e il soggiorno erano stati rimodernati, e anche le camere da letto e i bagni erano stati ristrutturati quando Wallace si era trasferito alle Hawaii, lasciando la casa a lei e Jordan. Ma non aveva alcuna intenzione di discuterne con Sage. «Anche il quartiere non è cambiato molto» disse invece. «Alcuni edifici sono stati abbattuti, ma in genere ci piace lasciare le cose come stanno.» Poi slacciò la cintura di sicurezza e trasse un gran respiro. «Grazie di esserti fermata» disse. «Non eri obbligata.» Sage aggrottò la fronte. «Naturale che mi sono fermata. Non potevo mica lasciarti lì sul ciglio della strada!» Daisy fu stupita da quella frase. Fino a mezz'ora prima avrebbe 13


giurato che Sage fosse tipo da tirar dritto senza pensarci un momento. Aiutò Krissa a scendere dall'auto e ripeté: «Grazie ancora». Sage salutò con la mano e si allontanò, mentre Daisy aiutava la figlia a salire i gradini che portavano all'ingresso. Una volta lontana dall'atmosfera rarefatta che circondava Sage, Krissa sembrava ripiombata nel suo malessere. Si appoggiò a sua madre, la cinse alla vita e gemette: «Sto ancora male...». «Lo so, tesoro. Vieni, ti metto a letto.» Stava cercando la chiave nella borsa quando la porta si aprì. Esmerelda, la governante/tata/collante che teneva insieme tutta la famiglia, le fece entrare. «Che è successo?» domandò. Poi poggiò la mano sulla fronte di Krissa. «Sapevo che ti saresti presa l'influenza da tuo fratello. Hai vomitato, vero?» Krissa annuì con gli occhi pieni di lacrime. «In macchina.» Esmerelda la strinse a sé. «Povera piccola... ma adesso sei a casa e a te penso io.» Krissa si appoggiò a lei e smise di piangere. Esmerelda guardò fuori. «Dov'è la sua macchina?» domandò a Daisy. «L'ho lasciata per strada. Mi sono fermata dopo che Krissa aveva vomitato, e poi la macchina non è ripartita. Dovrò chiamare il meccanico.» «E chi vi ha portate a casa?» «Sage.» La governante aveva cominciato a lavorare da loro parecchi anni dopo il divorzio di Wallace, ma nonostante ciò i suoi occhi si assottigliarono e le labbra si strinsero. «La sua sorellastra?» Dal tono era evidente che Sage per lei era appena un gradino più su degli scarafaggi. «Si è fermata a darci una mano, e date le circostanze gliene sono grata.» Confusa, ma grata. «Mamma, sto per...» Krissa non poté dire altro ed ebbe un altro attacco di vomito. Esmerelda fu così svelta da spostarsi, e Daisy pensò che per fortuna il pavimento di marmo si poteva pulire facilmente. Forse la sorte stava cambiando. Cinse le spalle della figlia. «Adesso ti ripulisco e ti metto a let14


to. Esmerelda, per favore, ci porta un po' di acqua tonica?» Mentre la donna annuiva e mandava un messaggio a una delle domestiche perché venisse a pulire l'ingresso, Daisy si ripromise di far avere un premio agli addetti alle pulizie, che in quella settimana, con i bambini malati che vomitavano dappertutto, avevano dovuto lavorare di più. Aveva appena fatto tre gradini che Sheba e Lucky si precipitarono giù dalle scale. Si avvicinarono a Krissa, l'annusarono freneticamente, poi Lucky rivolse a Daisy un'occhiata perplessa come per avere la conferma che qualcosa non andava. «Guarirà presto» disse lei per rassicurare il labrador. «Proprio come Ben.» Quando Krissa fu lavata e in camicia da notte, Daisy l'accompagnò in camera sua, dove Esmerelda aveva scostato le lenzuola e lasciato una tazza sul comodino accanto al letto. Daisy sprimacciò i cuscini e Krissa vi si appoggiò. Lucky si sistemò ai piedi del letto, pronto a proteggere la bimba da qualsiasi intruso. «Vuoi provare un po' di acqua tonica?» propose Daisy. Krissa annuì, e mentre beveva un paio di sorsi Daisy guardò il suo faccino arrossato. L'influenza durava circa quarantott'ore, pensò. L'indomani sua figlia si sarebbe sentita già meglio. Krissa le porse la tazza e scivolò fino a sdraiarsi. «Sono stanca.» «Lo credo, tesoro» disse Daisy ravviandole i capelli. Il loro colore castano era quello di entrambi i genitori, ma gli occhi nocciola, la forma del viso e della bocca erano di Jordan. Da lei sua figlia aveva ereditato la corporatura robusta, cosa che da adolescente avrebbe detestato. Se non altro adesso era in grado di parlare e dire che stava male... Daisy ripensò con terrore alla prima volta che Ben si era ammalato. A quattro mesi gli era venuta la febbre altissima, e lei era stata presa dal panico benché cercasse di farsi forza in tutti i modi. Jordan invece si era comportato da vero professionista: aveva telefonato al pediatra per avere istruzioni, aveva dato a Ben del Tylenol e gli aveva fatto delle spugnature. In un paio d'ore la febbre era scesa e il piccolo si era addormentato. «Eppure io sono un'infermiera» aveva sospirato Daisy senten15


dosi un'inetta. «Avrei dovuto sapere che cosa bisogna fare!» «Ma sei anche una neomamma, ed è normale che fossi spaventata. Se succederà di nuovo, saprai come reagire.» Infatti, quando Ben aveva avuto di nuovo un attacco di febbre, Daisy non aveva battuto ciglio. Ma quella prima volta era stata un incubo, un'esperienza orribile che non avrebbe mai superato senza l'aiuto di suo marito. Allora erano una squadra... quando le cose avevano cominciato ad andare storte? Daisy si rivolse alla governante. «Se non vomita più, tra venti minuti le dia del Tylenol pediatrico che le abbasserà la febbre.» Poi sorrise a Krissa. «Esmerelda ha già attivato il monitor. Se hai bisogno di qualcosa, chiamaci e arriveremo di corsa.» La bimba fece un sorrisetto. «Non si corre in casa... sono le regole.» «Hai ragione! Cerca di dormire, piccolina. Ti voglio bene.» «Anch'io, mamma.» Daisy ed Esmerelda uscirono in corridoio. «Io resterò qui» promise la governante. «E tra venti minuti le darò il Tylenol.» «Grazie. Vado a vedere come sta Ben.» La camera di Ben era sull'altro lato del corridoio. Era ampia come quella di Krissa, con grandi vetrate e un bel soffitto alto. Il bagno privato era più grande della maggior parte dei bagni normali – uno dei vantaggi di vivere in una casa di millequattrocento metri quadrati, dove le stanze non erano molte ma erano decisamente spaziose. Ben era a letto, ma seduto e intento a leggere dal suo tablet. Sheba era al suo solito posto sul copriletto, e il gatto Simba era sdraiato accanto al suo amico cane. «Ciao, mamma» sorrise Ben. Aveva dieci anni, gli occhi nocciola della sorella e i capelli biondo scuro. Più serio e intellettuale di Krissa, era sempre stato più grande della sua età. «Ciao anche a te» rispose Daisy. «Tua sorella si è ammalata. Hai dei germi potenti, ragazzo mio.» Lui sogghignò flettendo il braccio destro. «Sono un tipo forte.» «È evidente.» Daisy si sedette sul letto e gli diede un bacio in fronte. «Come ti senti?» «Meglio. A pranzo ho mangiato una minestra e del pane tostato, e secondo Esmerelda stasera potrei scendere per cena.» Ben la 16


guardò e aggiunse: «Vorrei anche fare i compiti, mamma. Se non li faccio, resterò indietro!». Daisy guardò l'orologio. «Credo sia molto improbabile che tu rimanga indietro, ma va bene. Puoi alzarti e sederti alla scrivania per un'ora, non di più. Poi torna a letto.» Lui si alzò subito, con un gran sorriso. Sheba alzò la testa per controllare che cosa stava succedendo, ma quando vide che Ben non andava più lontano della scrivania tornò tranquillamente a dormire. Daisy osservò la stanza del figlio. Quando Ben era cresciuto abbastanza da avere una camera tutta per sé, lei l'aveva trasformata, scegliendo dei colori neutri che potessero piacergli fino all'età del college. Il letto e il cassettone erano nuovi, ma la scrivania era un pezzo unico, recuperato da un veliero del diciottesimo secolo: elegante, con qualche graffio qua e là che la rendevano ancora più interessante. Un tempo quella era stata la camera di Sage, pensò Daisy. I mobili allora erano più chiari, le tendine più frivole, e nell'angolo c'era una grande casa delle bambole che era stata presa dalla stanza dei giochi e risistemata nello spazio privato di Sage. Daisy si era molto risentita, ma suo padre le aveva spiegato che Sage aveva dovuto affrontare un cambiamento difficile quando aveva lasciato la vita che conosceva per venire a vivere con loro, e che era compito di Daisy farla sentire a suo agio. Ma non ci era voluto molto perché l'unica a sentirsi a disagio fosse proprio Daisy. Anche dopo il divorzio le cose non erano cambiate. Sage e sua madre si erano trasferite in un'altra casa, ma Sage aveva continuato a frequentare la scuola privata in cui andava anche Daisy e non aveva smesso di tormentarla, da vera regina di perfidia. Essere la più intelligente della classe non le serviva a granché, se era bruttina e per giunta sovrappeso. «È successo tanto tempo fa» sussurrò Daisy tra sé uscendo in corridoio. Ormai lei e Sage erano due estranee, ed era inutile rivangare il passato. Imbattersi nella sorellastra era stato un puro caso, e quante erano le probabilità che si ripetesse? Una su un milione. 17


SORELLE DI CUORE di Susan Mallery Quando il padre di Daisy sposa la madre di Sage, le due si ritrovano legate, ma non potrebbero essere più diverse. Nasce una rivalità tra sorelle acquisite che dura per anni, fino a quando hanno l'opportunità di riguardare il passato e, forse, perdonare e diventare finalmente sorelle di cuore.

LA STRADA PER SUNSHINE COVE di RaeAnne Thayne Jessica Clayton ha passato la vita a scappare da una sofferenza troppo grande e da un senso di colpa insopportabile. Finché il lavoro non la riporta a Cape Sanctuary e a mettere in discussione la vita che ha minuziosamente costruito per sé. È arrivato il tempo di lasciare spazio alla gioia e all'amore...

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Dal 23 aprile


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