Sorprese di natale

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DEBBIE MACOMBER CARA COLTER Sorprese di Natale


Titoli originali delle edizioni in lingua inglese: The Perfect Christmas Snowed in at the Ranch Mira Books Harlequin Mills & Boon Romance © 2009 Debbie Macomber © 2012 Cara Colter Traduzioni di Giovanna Cavalli e Laura Polli Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Books S.A. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. Harmony è un marchio registrato di proprietà HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved. © 2012 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prima edizione Harmony Pack novembre 2012 Prima edizione Harmony Serie Jolly dicembre 2013 Questa edizione Harmony Vedogrande dicembre 2017 Questo volume è stato stampato nel novembre 2017 da CPI, Barcelona HARMONY VEDOGRANDE ISSN 1826 - 168X Periodico mensile n. 133 del 28/12/2017 Direttore responsabile: Chiara Scaglioni Registrazione Tribunale di Milano n. 912 del 28/11/2005 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - Via Mondadori, 1 - 20090 Segrate (MI) Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 045.8884400 HarperCollins Italia S.p.A. Viale Monte Nero 84 - 20135 Milano


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IL NATALE PERFETTO

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BACIAMI A NATALE



IL NATALE PERFETTO



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«Ma come si fa a spedire gli auguri di Natale prima del giorno del Ringraziamento?» esclamò Cassie Beaumont, fissando allibita busta e cartoncino. La sua migliore amica, Angie Barber, alzò lo sguardo dal microscopio e sembrò aver bisogno di qualche istante per realizzare il senso della frase. «Vuoi dirmi che hai ricevuto un biglietto natalizio? Di già?» «Incredibile, non trovi?» «Chi è che te lo manda?» «Una compagna di classe dei tempi del college. Non la conosci.» Cassie scrollò le spalle e, puntando il piede, spinse la poltroncina con le ruote verso la postazione di lavoro. «Jill ha sposato Tom due settimane dopo il diploma.» «Hanno bambini?» Cassie avvertì una nota malinconica nella 9


voce di Angie e fece di sì con la testa. «Due. Un maschio e una femmina. Adorabili, naturalmente.» «Ovvio» aggiunse Angie. Nella fotografia stampata sul biglietto di auguri, Jill e la sua piccola indossavano un identico golfino rosso sulla gonna scozzese a fondo verde. Tom e il maschietto invece, giacca, pantaloni e gilet rigorosamente in tinta. Erano troppo carini. «Mi ha scritto anche una lettera.» «Scommetto che hanno una vita perfetta. O sbaglio?» chiese Angie. «Perfetta da ogni punto di vista» borbottò Cassie. Forse persino troppo. Jill, che faceva la consulente finanziaria, riusciva a lavorare quaranta ore a settimana, a tenere una casa immacolata e a essere nel contempo una madre e una moglie fantastica. Nonostante tutte queste incombenze, era riuscita a confezionare il suo pensierino natalizio con oltre un mese di anticipo. «C'è un motivo per cui Wonder Jill l'ha mandato così presto?» chiese Angie. «Lei e Tom si sono appena trasferiti, perciò volevano avvisare parenti e amici 10


del cambio di indirizzo. Oh, mi allega anche una foto della casa che è...» «Perfetta» indovinò Angie. «L'aggettivo perfetta non rende abbastanza l'idea.» Angie la fissò. «È una leggera nota di invidia quella che sento?» «Leggera invidia? Io?» domandò Cassie, calcando l'accento sulle parole. «Cielo, no. Quello che hai davanti a te è un caso conclamato di pura gelosia. Il mostro dagli occhi verdi è vivo e vegeto.» Fece scorrere la sedia fino a un bancone ingombro di microscopi, provette e vetrini, quindi si alzò, le mani sui fianchi. «Ti rendi conto di quanto tempo è passato dal mio ultimo vero appuntamento con un uomo?» «Sei uscita con Greg, la settimana scorsa» le ricordò Angie. «Greg non fa testo, non è un uomo» proruppe Cassie. «Voglio dire, lo è, ma non nel senso di qualcuno a cui sono interessata» spiegò. «Greg è... del tutto improponibile come potenziale marito.» Non aveva bisogno di aggiungere che, a trentaquattro anni, il ticchettio del suo orologio biologico era più forte che mai. 11


Angie sospirò. «Ti capisco.» Greg era un ottimo partito, da qualunque punto di vista. Ma era divorziato e tuttora innamorato di sua moglie. Purtroppo non se n'era ancora reso conto. Durante quel loro appuntamento, se così si poteva chiamare, non aveva fatto che parlare della separazione. Di quanto gli mancavano i suoi tre bambini. E la sua ex, a giudicare dal numero di volte che l'aveva nominata. La serata si era rivelata un interminabile strazio per Cassie. Era stata la sua prima e unica uscita a due con Greg. «Il problema è che in questo posto non si incontrano molti maschi» osservò Angie. E Cassie ne era assolutamente consapevole. Entrambe biochimiche per un'azienda di materie plastiche, restavano chiuse in laboratorio dalle otto alle dieci ore al giorno, per cui le opportunità di conoscere gente al di fuori del loro ambiente professionale erano piuttosto limitate. «Tuttavia, dopo aver ricevuto quel cartoncino d'auguri, mi sono resa conto con estrema chiarezza di quanto più che mai desideri farmi una famiglia» riprese Cassie. 12


«Lo so.» Una lieve tristezza tornò ad affiorare nella voce di Angie. «Non capisco perché mi sia così difficile trovare un fidanzato» si arrovellò Cassie. «Sono piuttosto carina, no?» Angie annuì con slancio. «Molto.» «E a trentaquattro anni non sono poi così vecchia, giusto?» «Niente affatto.» E perché dunque era ancora single? Eppure non le mancava niente: Cassie era alta un metro e sessantacinque, lunghi capelli scuri, grandi occhi neri, labbra sensuali e tutto il corredo di curve femminili. In più era in gamba, con una carriera bene avviata, una personalità affascinante (questo se lo diceva da sola) e un sacco di amici. «È colpa di mia madre.» «Tua madre?» «E pure di mio padre, per quel poco che è rimasto con noi.» «O forse proprio per questo.» «Credo di sì. Dopo il divorzio, la mamma era così negativa riguardo al matrimonio che mi terrorizzava anche solo l'idea.» «Non è più così, no?» «No, anzi, vorrei un marito e mi piace13


rebbe avere anche dei bambini.» Cassie sorrise. «L'ironia in tutto ciò è che nel frattempo lei si è risposata.» «Le nozze sembrano atterrire anche tuo fratello. Shawn a quest'ora dovrebbe già essere con l'anello al dito, non credi? È più grande di te.» «Non sono così sicura che si tratti di questo.» Cassie sospettava che Angie avesse un debole per lui. Non che ci fossero segnali evidenti, in questo senso, ma a volte aveva la sensazione che... «Però viaggia così spesso che mantenere una relazione a lungo termine sarebbe complicato.» «Vero» concordò Angie. Shawn Beaumont era un pittore affermato, specializzato in enormi e colorati murales. Fratello e sorella erano molto legati e si tenevano sempre in contatto almeno per telefono, due o tre volte a settimana. Al momento si trovava a Boca Raton, in Florida, a dipingere la facciata di un palazzo. Le aveva mandato qualche foto con il cellulare. La composizione era ambientata in un oceano immaginario, con le balene che spuntavano tra le onde spumeggianti, i delfini, le tartarughe marine e ogni specie di pesci 14


multicolori che sguazzavano allegri nell'acqua blu. Dovunque andasse, i suoi murales facevano scalpore e spesso, mentre dipingeva, attorno a lui si radunava una folla di gente. «Shawn è un caso a parte» concluse Cassie. E secondo lei questo sintetizzava bene la situazione. «Tuttavia, se tu fossi sposata, scommetto che anche lui si mostrerebbe meno refrattario a trovarsi una moglie» sostenne Angie. Cassie non aveva mai analizzato le dinamiche famigliari in questi termini. Forse, in maniera inconscia, Shawn stava aspettando che fosse lei a fare il primo passo. Angie poteva avere ragione. Entrambi erano rimasti traumatizzati dal divorzio dei genitori e dalla reazione esasperata della madre, mentre il loro padre – che voleva essere chiamato solo Pete e non papà – non aveva fatto altro che entrare e uscire di continuo dalle loro vite. Soprattutto uscire. Eppure... aveva ancora un'influenza notevole sui suoi figli, per quel poco che lo vedevano. «Shawn non si fiderà del matrimonio finché non ti vedrà felicemente sposata» disse Angie. 15


Cassie la guardò accigliata. «Cosa te lo fa pensare?» «Magari mi sbaglio, tuttavia mi sembra che sia tu che Shawn abbiate paura dell'amore.» «Io? Paura dell'amore? Non credo proprio.» Non a giudicare dal sogno che coltivava nel cuore. Cassie voleva avere tutto. Come la sua amica Jill. «Ogni volta che incontri un uomo, non importa quanto sia perfetto, finisci sempre per trovargli un difetto» argomentò Angie. Questo non era assolutamente vero. «Niente affatto» protestò Cassie. «Sì invece. All'inizio sono rose e champagne, poi però tutto finisce prima che tu abbia avuto davvero la possibilità di conoscere il tizio in questione.» «Come puoi dire una cosa del genere?» «Be', forse perché te l'ho visto fare un sacco di volte» le rispose Angie con dolcezza. «Non starai parlando di me e Jess, vero? Non aveva un briciolo di classe. Si grattava le parti basse in pubblico!» «Non parlo di Jess.» «E a chi ti riferivi, allora?» 16


«A Rod.» Cassie inclinò la testa di lato. «Rod? Rod chi?» «Non ricordo il cognome. Ci sei uscita circa un anno fa.» «Non dirai mica Rod Showers? Santo cielo, era così tirchio che ho dovuto pagare la mia metà del conto e allungare la mancia al cameriere, perché lui si rifiutava.» «E Charles, allora?» Cassie si arrese. «Okay, va bene, diciamo che ho degli standard minimi.» «No. Alti.» «Sta bene, ho degli standard alti. Però mi sono sforzata di conoscere degli uomini.» «Lo abbiamo fatto entrambe.» «Contavo molto su quel sito di appuntamenti online.» L'annuncio era sembrato così promettente che Cassie e Angie si erano iscritte insieme, convinte di trovare il partner ideale in un batter d'occhio. Non era successo. «A chi lo dici» rispose Angie, mogia. «Ero sicura che avremmo incontrato il marito dei sogni.» Cassie sospirò. Quello era stato un azzardo parecchio costoso. E ancor più deluden17


te. Specie per Angie, visto che era stata lei a suggerire di tentare su internet. «Anche il club di single della parrocchia era una buona idea» osservò ora. «Sicuro, grandiosa» ne convenne Cassie. «Se ci fosse stato un uomo.» Ci erano andate sulle ali dell'entusiasmo. Per scoprire che il gruppo era composto da trenta donne e due soli uomini, entrambi prossimi alla pensione. Angie annuì. «La scelta in effetti era un po' ristretta.» «Abbiamo persino letto tutti i manuali a tema» aggiunse Cassie. «Consigli d'amore per imbranati. Come trovare un fidanzato in cinque facili lezioni. Il mio preferito però resta Prendi al laccio un marito ovvero: Come farti notare da un uomo.» «L'unica cosa che siamo riuscite a prendere al laccio è stato il conto da duecento dollari sulla carta di credito» osservò l'amica. «Diviso in due, per fortuna.» «Sono stati una lettura interessante.» «Lo sarebbero stati molto di più se fossimo riuscite a mettere in pratica i consigli.» «Già...» 18


«Le abbiamo provate tutte.» «Non intendo arrendermi» insistette Angie. «E non lo permetterò nemmeno a te.» Cassie sospirò di nuovo. Era proprio sul punto di farlo. Il cartoncino natalizio di Jill e Tom era stato il colpo finale. Per troppo tempo si era illusa che, un giorno non lontano, anche lei avrebbe spedito deliziosi biglietti di Buone Feste a parenti e amici. Con la foto a colori del marito perfetto e dei bambini perfetti, un maschio e una femmina, pronti a celebrare il loro Natale perfetto. Invece era passato un anno dopo l'altro, e nulla di tutto ciò si era avverato. Niente marito. Niente bambini. E ogni 25 dicembre con sua madre, amareggiata e rancorosa, era stato sempre più deprimente. Era arrivato il momento di trovarsi un compagno, decise Cassie con nuova determinazione. Forse aveva solo bisogno di abbassare le pretese... «C'è qualcosa, o piuttosto qualcuno, che non hai ancora provato» disse Angie, interrompendo le sue riflessioni. Cassie si riscosse. «Eh?» Angie restò stranamente in silenzio. 19


Cassie si accigliò. «Non tenermi sulla corda.» «Però, ti avverto, è costoso.» «Quanto costoso? No, aspetta, non dirmelo.» Fece una pausa. «E chi sarebbe questo qualcuno?» «La versione moderna di Cupido: un consulente per cuori solitari.» «Un consulente per cuori solitari?» ripeté Cassie. «Non sapevo che esistesse una figura simile, oggigiorno.» «E invece sì.» Angie evitò il suo sguardo. «Infatti sempre più persone si rivolgono a questi professionisti. E funziona, la maggior parte delle volte.» «Adesso dimmi quanto costa.» «Trentamila dollari.» «Cosa?» «Mi hai sentito. E a quanto pare li vale tutti.» «E tu lo conosci perché...» Cassie lasciò sospesa la domanda. «Perché ci sono andata.» Cassie si batté le mani sulle cosce. «Ma dai! Hai buttato i tuoi soldi, mi pare di capire.» «Non mi è costato un centesimo.» 20


«E come mai?» Lo sguardo di Angie si posò in ogni direzione, eccetto che su Cassie. «Non mi ha voluto come cliente.» «Ti ha respinto?» Quell'uomo doveva essere pazzo. Angie era bella e intelligente e mille altre cose. «Cosa c'era che non andava in te, secondo questo tizio?» «Aveva ragione... Non ero una buona candidata e avrei sprecato solo denaro.» «Perché non me ne hai mai parlato prima?» «Non volevo... non volevo fare sapere a nessuno che ero stata scartata.» «Se ha rifiutato te, allora rispedirà a casa anche me.» «No... mi ha spiegato che non poteva accettarmi perché sono già innamorata di un uomo.» «Ed è così?» «Era così, qualche tempo fa» rispose Angie di getto. «Ma non lasciarti demoralizzare dalla mia esperienza. Provalo. Come hai detto prima, le hai tentate tutte. Almeno prendi un appuntamento e senti cosa ti dice.» Cassie avrebbe voluto chiederle di più su 21


quell'uomo misterioso per cui Angie aveva perso la testa, ma la sua amica non sembrava troppo disposta a parlarne. Quanto al suo Mr. Cupido, ovvero all'organizzatore di incontri per cuori solitari, non era troppo convinta. «Fa davvero questo come lavoro?» «Sì. Ha un fantastico ufficio e un'assistente personale. Gli ho chiesto le referenze. Ha una laurea in psicologia e...» Angie la fissò in viso. «... garantisce il risultato.» «Lo garantisce?» «Sì. Se non riesce a trovarti l'anima gemella, hai diritto al rimborso totale delle spese. Prendi un appuntamento con lui e verificalo di persona. Ricorda: chi non risica non rosica.» «Ci penserò» rispose Cassie. Detestava ammettere che l'idea la stuzzicava. Eppure era decisamente anacronistica. Un mediatore di incontri amorosi, andiamo! Inoltre, se quel tipo aveva respinto Angie, vuol dire che di donne non ne capiva un fico secco. Tuttavia era pur sempre una possibilità. L'unica rimasta. Quando arrivò a casa – un appartamento in un piccolo condominio – quella sera, 22


Cassie si fermò alla cassetta della posta nell'ingresso e notò subito che non c'era il giornale. Non che fosse una novità. Spariva ogni martedì, quando allegavano i buoni sconto. Era quasi certa che la colpevole fosse la sua vicina, la signora Mullinex, ma non aveva le prove. Il mercoledì mattina il giornale ricompariva per incanto, senza i coupon, ritagliati con cura. Per due volte l'aveva quasi colta sul fatto. E sì che l'anziana e distinta signora sarebbe stata insospettabile. Non fosse stato per la manciata di tagliandi che spuntavano tra i guanti. Borbottando, Cassie entrò in casa e gettò la posta sul tavolo di cucina. Jill, Tom e i loro due bambini le sorridevano dalla foto appesa sul frigo. L'espressione raggiante della sua ex compagna di scuola sembrava dirle: tutto questo potresti averlo anche tu. «Un consulente per cuori solitari?» disse Cassie ad alta voce. «Sto davvero per ridurmi a questo?» Angie le aveva dato il biglietto da visita 23


di Mr. Cupido. «Fallo e basta. Non credo che te ne pentirai.» Cassie esitò, poi guardò di nuovo la foto della famiglia perfetta in posa di fronte all'albero di Natale più bello del mondo. Che aveva da perdere? Frugò nel fondo della borsa e recuperò il cartoncino. Dottor Simon Dodson. Con il cuore che le batteva forte, Cassie prese il telefono.

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Simon dice: un bravo consulente negli affari di cuore conosce sempre i suoi clienti. Specie dopo aver controllato la loro fedina penale. Cassie dovette aspettare una settimana, prima di ottenere un appuntamento con Simon Dodson. Lui ci tenne a farle capire che le stava facendo un favore a infilarla in fondo alla lista, quel pomeriggio. D'accordo, a essere onesti, era stata la sua assistente, la signora Snelling, donna piuttosto antipatica, a fargliela pesare come gentile concessione. Francamente Cassie non ci sperava troppo. Questo moderno Cupido con arie da psicologo aveva scartato Angie, la persona migliore che lei avesse mai conosciuto. Il giorno fatidico, Cassie tornò a casa per 25


cambiarsi. Si preparò con cura, scegliendo un vestito che la facesse sembrare sicura di sé ma non troppo formale, e rinfrescò il trucco. Quando entrò nell'ufficio del dottor Dodson si sentiva piuttosto baldanzosa. Aveva letto alcune lettere di referenze che le aveva fotocopiato la signora Snelling. Erano di due coppie ora sposate, entrambe entusiaste di questo Simon. Curioso: le mogli ci tenevano ad avvisarla che non era né cordiale né gentile. Consigliandole però di essere paziente e di non offendersi. Mmh... che strano suggerimento. «Il dottor Dodson la riceverà a momenti» la informò la sua sussiegosa segretaria. Nell'attesa, Cassie si guardò intorno: quadri di arte moderna alle pareti, rigogliose piante verdi negli angoli, divani di soffice pelle color caffè. «Ha compilato il questionario che le ho inviato per posta elettronica? E lo ha portato?» «Sì, ce l'ho qui.» Presentare una domanda di impiego alla CIA sarebbe stato più facile. Simon era interessato a ogni aspetto del suo passato, dal nome della sua insegnante alle elementari al suo numero di scarpe. 26


Okay, forse questa era un'esagerazione – piccola – ma la maggior parte dei quesiti erano assurdi. A cosa serviva una lista delle sue possibili allergie? Consegnò il corposo formulario. Dopo averlo letto con attenzione, la cerbera lo portò di là. Riapparve dopo un paio di minuti e la squadrò da capo a piedi. Poi, con stupore di Cassie, le riservò un sorriso vero. Efficiente e pratica, doveva avere sui cinquantacinque anni, valutò lei, seduta con le mani incrociate in grembo. Quello poteva rivelarsi l'appuntamento più importante della sua vita. Il più bel regalo di Natale che avrebbe mai ricevuto, anche se era lei a pagare. Un marito. L'illustre Simon Dodson la fece aspettare per una buona mezzora. Cassie ne era sicura, perché guardava l'orologio ogni cinque minuti. Fece in tempo a leggere tre riviste. A quel punto però era diventata impaziente e irritabile e cominciava a chiedersi se presentarsi lì fosse stato un errore. O peggio, se fosse vittima di una truffa. Non era abituata a essere ignorata. Aveva cose più importanti da fare che starsene seduta in una 27


sala d'aspetto per quella che poteva rivelarsi una follia. E una totale perdita di tempo. Il suono di un campanello la fece sobbalzare. La signora Snelling si alzò in piedi, abituata al trillo perentorio. «Il dottor Dodson è pronto a riceverla» le annunciò. E la scortò verso l'imponente porta doppia che conduceva all'ufficio del suo principale. Cassie entrò e il suo sguardo andò istantaneamente all'uomo in piedi dietro l'ampia scrivania. Su internet non aveva trovato foto, perciò non sapeva cosa aspettarsi. Certo non qualcuno così giovane – non aveva più di 38 anni – e incredibilmente attraente. Capelli biondo chiaro, corti e lisci, tratti regolari, bocca severa ma sensuale, occhi castano intenso. Doveva essere alto almeno un metro e ottantasette a giudicare da come torreggiava su di lei. «La signorina Beaumont?» «Sono io» rispose lei, cercando di sembrare fredda e controllata. «La prego, non si sieda.» «Eh?» La porta si richiuse alle sue spalle. «Cammini fino a quella parete e poi torni indietro.» 28


Cassie esitò, cosa che lui non gradì, visto che le fece cenno di procedere. «Devo prima chiederle il permesso, come alla maestra?» Simon sorrise. «Non sarà necessario.» «Okay.» Lei fece come richiesto e sentì il suo sguardo addosso a ogni passo. «Dovrebbe perdere due chili.» «Scusi?» Che villano. «Mi ha sentito e sa che ho ragione, ma dubito che lo ammetterebbe.» Sì, forse. Ma stava bene anche così. Quello continuò a studiarla, accigliato. «Quel colore scuro non le dona.» Che sfrontato! «Si dà il caso che mi piaccia il blu.» Era il suo vestito preferito e lo aveva comprato ai saldi col settanta per cento di sconto. Lui la fissò severo. «Azzurro le starebbe meglio.» Uscì da dietro la scrivania e le si avvicinò. «Inoltre dovrebbe lasciarsi crescere i capelli. Il taglio scalato le dona ma le starebbero meglio più lunghi.» «Lieta di sapere che c'è almeno una cosa che le piace di me.» «Non ho detto questo.» Brutto insolente. Era davvero troppo. 29



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Romanzo

BACIAMI A NATALE



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Alberta, Canada, dicembre Ty Halliday si sentiva a dir poco esausto. Da ore un turbinio sferzante di ghiaccio e neve gli inzuppava l'impermeabile che indossava, e colava dalla tesa del cappello. Il cavallo scartò bruscamente, stanco tanto quanto l'uomo che lo montava, mentre la luce del giorno calava rapidamente. Ma nonostante il disagio, Ty non potÊ fare a meno di provare una certa soddisfazione. Era riuscito a radunare l'intera mandria. I tre bovini che procedevano lentamente davanti a lui erano gli ultimi fuggiaschi. Erano trascorse quasi dodici ore da quando aveva trovato il recinto sfondato e le tracce del puma, e si riteneva fortunato a essere riuscito a recuperare tutti i capi del suo bestiame. 241


In distanza Ty intravide le luci accese della ranch house che brillavano nella semioscurità. Strinse la mascella, pensando che non vedeva l'ora di fare una doccia calda, consumare una cena abbondante e infilarsi sotto le coperte. Mezz'ora più tardi, dopo avere strigliato a dovere Ben, Ty uscì dalla scuderia e imboccò il sentiero che dal fienile portava verso la nuova ranch house. La casa veniva chiamata così dai suoi dipendenti perché era stata ristrutturata recentemente. Suo padre, infatti, aveva costruito quella casa per Ruth Anne, la sua prima moglie, venticinque anni prima della sua nascita, unico figlio che aveva avuto dalla seconda, Millicent Williams. Ty fece per aprire la porta, ma si bloccò udendo uno strano suono proveniente dall'interno. Che diamine... Silenzio. Ascoltò con maggiore attenzione, ma adesso si udiva soltanto il vento gelido di dicembre che fischiava intorno alla casa. Fu solo in quel momento che ricordò di 242


avere visto da lontano le luci accese all'interno. Viveva da solo ed era sicuro di averle spente quando era uscito prima dell'alba. Il suono si ripeté e Ty si irrigidì, nonostante non si trattasse di qualcosa di minaccioso, ma di allegro e felice. Cartoni animati? Strano, lui non aveva un televisore e nemmeno un computer. Aveva lasciato la radio accesa? Mentalmente scartò anche quella possibilità. No, non aveva acceso la radio quella mattina. Era stato un coro di muggiti spaventati a svegliarlo, avvertendolo che c'era qualcosa che non andava. Si era alzato e vestito in fretta ed era uscito subito di casa. C'era solo qualcosa, o meglio qualcuno, che poteva produrre un suono del genere. E non c'era alcuna probabilità che provenisse dall'interno della sua abitazione, concluse. Probabilmente era così stanco che aveva delle allucinazioni acustiche. Un attimo dopo, però, il suono si ripeté. Più forte. Al punto che adesso Ty non aveva più dubbi. In casa c'era un bambino. 243


A quanto pareva qualcuno aveva approfittato della sua assenza per rifugiarsi lì. Automaticamente lanciò un'occhiata alla prateria coperta di neve che si estendeva fino alla foresta di abeti, nel grandioso scenario delle Montagne Rocciose. La bellezza incontaminata di quella zona del Canada non significava che non esistessero pericoli, come provava l'incursione del puma quella notte. Anche se smarrirsi in mezzo a una bufera di neve poteva essere ancora più pericoloso che l'incontro con un vecchio leone di montagna. Il suono di un'altra risata infantile si udì di nuovo provenire dall'interno della casa. Un bambino? Ty si accigliò, pensando che avrebbe preferito un altro incontro ravvicinato con il puma piuttosto che quell'inaspettata presenza in casa sua. Lanciò un'occhiata in direzione del viale d'accesso del ranch e a quel punto notò un'auto posteggiata vicino alla rimessa. La classica utilitaria di città, ovvero un tipo di veicolo che nessuno con un po' di buonsenso avrebbe acquistato da quelle 244


parti, pensò Ty avvicinandosi per osservarla con attenzione. No, gli abitanti di quella valle preferivano jeep a quattro ruote motrici, fuoristrada o furgoni diesel ai quali potevano attaccare i traini per i cavalli e percorrere sentieri sterrati in qualsiasi condizione atmosferica. Tutti veicoli robusti, il più delle volte sporchi di fango e non certo belli da vedere. Nessuna delle sue conoscenze guidava un'auto come quella... Piccola, di un rosso acceso che gli ricordava vagamente le coccinelle, assurdamente bassa rispetto al terreno. Come aveva immaginato, fissato al sedile posteriore c'era un sedile di sicurezza per bambini, la fodera stampata con buffi cani e gatti. Ty posò la mano sul cofano dell'auto. Freddo. Questo significava che quella macchina doveva essere arrivata da ore. Controllò la targa. Canadese dell'Alberta. Applicato al parabrezza c'era un adesivo per i parcheggi di Calgary, il capoluogo di provincia a un paio d'ore di distanza da lì, tempo permettendo. 245


Cercò di aprire la portiera per controllare i documenti ma era chiusa a chiave. In altre circostanze si sarebbe messo a ridere. Nessuno chiudeva a chiave l'auto in quella zona così scarsamente popolata. Chiunque avesse avuto l'idea malsana di rubare un veicolo di qualsiasi genere, sarebbe stato facilmente rintracciato. Si voltò per tornare verso casa e per la seconda volta nel giro di pochi minuti si fermò, sorpreso. Dalla finestra del salotto si intravedeva... un albero di Natale! Con tanto di luci colorate e intermittenti che coloravano allegramente la porzione di neve esterna. Provando uno strano senso di estraneità, Ty si guardò intorno, per convincersi che quella fosse davvero casa sua o se per caso non avesse sbagliato indirizzo a causa della neve e della stanchezza. Di una cosa era certo: non possedeva un albero di Natale. Non ce n'era mai stato uno da quando abitava lì e, complice la stanchezza, un'assurda speranza gli attraversò la mente. La stessa che per anni aveva nutrito da bambino. 246


Forse sua madre era tornata a casa. Un attimo dopo represse quel pensiero, irritato dal fatto che fosse affiorato nonostante tutte le barriere mentali che aveva costruito nel tempo. Nostalgie del genere erano comprensibili in un bambino, non in un adulto razionale. Inoltre, grazie a suo padre, non c'era nessuna possibilitĂ che quel desiderio si realizzasse. Non era stato proprio Hunter anni prima a informarlo che sua madre non faceva piĂš parte del mondo dei vivi? Il fatto che l'auto posteggiata nel cortile, la presenza di un bambino in casa sua e l'albero di Natale posizionato vicino alla finestra gli avesse suscitato emozioni che preferiva tenere ben chiuse in un angolo recondito della mente, non fece altro che aumentare l'irritazione che provava. Per abitudine, si diresse verso la porta di servizio. Da quelle parti, infatti, l'ingresso principale veniva utilizzato con minore frequenza. L'entrata posteriore era piĂš comoda per sbarazzarsi di stivali infangati, abiti e cappelli inzuppati di pioggia, speroni e guanti. A passo rapido salĂŹ i pochi gradini, ner247


voso come al tempo in cui aveva gareggiato nei rodei, un attimo prima che il cancello di legno si aprisse e iniziasse il terrificante volteggio in groppa al toro. Ty posò la mano sulla maniglia ma con sua sorpresa la porta non si aprì. Era chiusa a chiave! Okay, forse qualcuno dei suoi amici o vicini di casa aveva deciso di fargli uno scherzo. In effetti una casa come la sua, isolata, e dalla quale si poteva entrare e uscire come il vento, invitava a qualche tiro mancino. Gli abitanti della valle erano una comunità piccola ma molto unita, e nessuno disdegnava qualche risata ogni tanto. Tornando a casa una sera, Melvin Harris si era ritrovato un asino in salotto. E quando Paul Cranston e Cathy Lambert si erano sposati, gli amici avevano riempito di coriandoli bianchi tutti i cassetti della loro casa. Erano sposati da sei anni ormai, ma Cathy giurava che a volte ne trovava ancora qualcuno qua e là. Ty si chinò e da sotto lo zerbino prese la chiave con la quale di solito chiudeva la porta quando si allontanava più giorni dal 248


ranch. La girò nella serratura e quando entrò, quello che lui considerava semplicemente un luogo dove dormire e mangiare, per la prima volta gli sembrò davvero una casa. Per prima cosa, vi aleggiava un aroma stupendo. O così almeno gli parve, affamato com'era. Secondo, le voci. Quella di un bambino piccolo che giocava allegramente e una femminile che cantava sottovoce, ripetendo le parole di una vecchia canzone alla radio. Ty posò le briglie, si tolse stivali, cappello e l'impermeabile che grondava acqua e li appese nel locale lavanderia. Poi respirò a fondo, e come un gladiatore scalzo e stanco si preparò ad affrontare l'ignoto. Quando entrò in salotto vide un trottolino di circa un anno, con deliziosi riccioli rosso scuro, seduto sul tappeto. Un maschietto, a giudicare dai modellini di auto e camion dei pompieri con cui stava giocando. Il piccolo lo guardò con i suoi grandi occhi castani, e invece di spaventarsi per l'arrivo di quello sconosciuto sorrise. «Papà!» esclamò. Ty imprecò sottovoce. 249


Una reazione decisamente sconveniente in presenza di un bambino. O di una donna. Quella che in quel momento comparve sulla soglia della cucina, probabilmente richiamata dal grido del bambino. Anche lei aveva grandi occhi castani, che alla vista di Ty assunsero immediatamente un'espressione spaventata. Spaventata? Perché mai? Quella era casa sua, e l'intrusa era lei!, pensò Ty. Comunque sia, era davvero carina, aggiunse un attimo dopo fra sé, osservando quell'ospite inaspettata. Lunghi riccioli biondo miele, bel viso dai lineamenti delicati, con una deliziosa spruzzata di lentiggini sul naso. A una prima occhiata gli sembrò che fosse un po' troppo magra, ma poi si rese conto che le curve erano dissimulate sotto una camicia scozzese e un maglione molto grande. Era senza trucco, ma era una di quelle donne che non aveva bisogno di alcun artificio per apparire bella. «Chi sei?» gli domandò la sconosciuta, con una certa apprensione. Di più. Era a dir poco spaventata. 250


Ty lo dedusse dalla sua espressione colma di panico e da una vena del collo che le pulsava freneticamente. «Potrei farti la stessa domanda» replicò Ty, senza nascondere l'irritazione che provava. Come risposta, lei afferrò la grossa lampada che c'era su un tavolino e la brandì minacciosamente come una mazza da baseball. «Che diamine hai intenzione di fare?» le domandò freddamente. «Se tu ti azzardi a toccare me o mio figlio, lo scoprirai subito!» tuonò lei. Quella vecchia lampada era un'eredità di famiglia, era stata ricavata dal corno di un alce. Era voluminosa e pesante, al punto che lei faceva chiaramente fatica a reggerla. «Ti assicuro che mi spaventa di più il bambino che quella lampada» le rispose, brusco. «Soprattutto il fatto che mi abbia chiamato papà.» «Come hai fatto a entrare in casa mia? Avevo chiuso la porta a chiave» replicò lei a quel punto senza abbassare la lampada. «Ho usato la chiave, naturalmente. Sono 251


Ty Halliday e si dà il caso che questa sia casa mia.» La lampada oscillò leggermente mentre lei assumeva un'aria perplessa. Un attimo dopo, però, assunse di nuovo la posizione di battaglia. «Ti consiglio di posare quella cosa» le suggerì. «È piuttosto pesante e ti tremano le braccia. Inoltre sappiamo tutti e due che se solo lo volessi potrei togliertela di mano senza alcun problema.» «Provaci!» lo sfidò lei. Ty fece per rispondere ma sentì qualcosa tirargli l'orlo dei pantaloni. Abbassò lo sguardo e vide che il bambino aveva gattonato fin lì e adesso stava cercando di usare la sua gamba per mettersi in piedi. «Papà!» ripeté. «Non provare a toccarlo!» lo avvertì la donna. «Credimi, non ho alcuna intenzione di fargli del male...» borbottò lui. Con un movimento rapido, lei posò la lampada, poi attraversò la stanza e prese il piccolo in braccio. A quel punto fece un passo indietro, fissando l'uomo che aveva di fronte con un misto di timore e sospetto. 252


«Scusa se insisto, ma sei tu l'intrusa» mormorò Ty. «Questa è casa mia. Ho passato tutta la giornata al freddo e al gelo, sono stanco morto e non vedo l'ora di mangiare qualcosa e andare a dormire.» Apparentemente, il fatto che sembrava più ansioso di sbarazzarsi di lei che di attentare all'incolumità sua e del bambino, sembrò rassicurarla. «Se è davvero casa tua, cosa c'è nel primo cassetto della credenza in cucina?» gli chiese per metterlo alla prova. «Cucchiai, coltelli e forchette» rispose Ty. «Questi si trovano nel primo cassetto di ogni cucina» obiettò la sua ospite. «Sei stata tu a farmi questa domanda» le fece osservare lui. «Okay, nel secondo, allora.» Ty contò fino a dieci, sforzandosi di non perdere la pazienza. «Strofinacci... E un guanto da forno rosso con la stoffa un po' bruciata. Nel terzo cassetto, schiacciapatate, mestolo da minestra e pestacarne.» Lei rimase un istante in silenzio. «Oh, santo cielo» mormorò infine, guardandolo con espressione smarrita. 253


«Da quanto tempo hai invaso casa mia? Da parecchie ore, a giudicare dal fatto che conosci anche il contenuto dei miei cassetti» commentò Ty. «In effetti sono arrivata stamattina» lo informò lei in tono colpevole. «Per caso hai ispezionato anche la mia stanza?» A quella domanda l'imbarazzo di lei si accentuò. Prima arrossì poi impallidì visibilmente. «Non svenire» le intimò Ty. «Non vorrei essere costretto a prendere in braccio il bambino.» Quelle parole sembrano sortire il loro effetto. «Non sto affatto per svenire! Per chi mi hai presa? Per una donna dell'Ottocento?» insorse la sconosciuta. «A dire il vero, mi sembri proprio una di quelle che legge Jane Eyre prima di dormire... Il tipo che si smarrisce in campagna cercando lavoro come governante» ritorse lui con ironia, usando deliberatamente quella tattica per costringerla a reagire. «Tu, invece, non hai affatto l'aria di chi conosce quel genere di romanzi.» 254


«Già, siamo un po' primitivi da queste parti... Sappiamo appena leggere e scrivere e quando lo facciamo usiamo tavola di pietra e scalpello.» «Scusa, non volevo offenderti» rimediò lei in fretta. «Comunque sia, non sono il tipo che sviene per così poco.» «Mi fa piacere saperlo. Io, invece, non sono il tipo che si offende tanto facilmente. Per farlo ci vuole molto di più che insinuare che sono un ignorante in letteratura inglese» replicò Ty. «Adesso ti dispiacerebbe dirmi che ci fai a casa mia?» «Questa non è l'abitazione dei coniugi McFinley?» «No.» «Ma tu conosci i McFinley, vero?» insistette lei. «Ho accettato di badare alla loro casa per sei mesi, mentre loro sono in Australia da parenti. Sono partiti alcuni giorni prima del mio arrivo e...» «Mi spiace, non conosco nessuno con questo nome che abiti nella valle» la interruppe Ty, con l'orribile presentimento che lei stesse per scoppiare a piangere. Un conto era affrontare una puledra nervosa, una donna in lacrime era tutta un'altra cosa. 255


Il bambino sembrò intuire che c'era qualcosa che non andava perché di colpo divenne silenzioso. Guardò sua madre, con espressione allarmata. Una mossa sbagliata e sarebbero scoppiati tutti e due a piangere, previde Ty. Mentalmente, passò in rassegna il calendario. Mancavano sei giorni a Natale. Cosa poteva spingere una donna con un bambino di pochi mesi in quella zona remota e selvaggia dell'Alberta a meno di una settimana dalla festa più tradizionale dell'anno? Da che cosa o da chi stava fuggendo? Comunque fosse, non erano affari suoi, concluse. «Mona e Ron McFinley» insistette lei. Ty scosse il capo. «Ho capito... Non li hai mai sentiti nominare» si arrese la bionda. Lo guardò di nuovo, imbarazzata poi gli tese la mano. «Amy Mitchell» si presentò. «Piacere di conoscerti» rispose Ty. Ricambiò la stretta, notando che lei non portava alcuna fede nuziale all'anulare. Un attimo dopo si accorse anche che gli occhi di lei non erano scuri come gli erano sembrati 256


guardandola a una certa distanza, ma castano verdi. «Papà» disse di nuovo il bambino, allungandosi dalle braccia di sua madre verso di lui. Ty fece un passo indietro, per evitare che il piccolo venisse a contatto con la giacca umida che indossava. «Non riesco a credere di avere sbagliato indirizzo... In auto ho il navigatore satellitare» mormorò Amy. Ty scosse di nuovo il capo. La fiducia che la gente di città nutriva per quegli aggeggi non finiva mai di sorprenderlo. Ma temendo che lei fosse ancora sull'orlo delle lacrime, scartò una risposta pungente. «Non sei la prima da queste parti che finisce nei guai nonostante il GPS» le disse. «Davvero?» ribatté lei, chiaramente sollevata dal fatto di non essere un caso isolato. «Proprio così. L'anno scorso uno dei miei vicini soccorse un'anziana coppia che seguendo le indicazioni del navigatore satellitare era rimasta intrappolata nella neve a George's Pass. Ne parlarono anche alla radio.» A quelle parole la vide accigliarsi e Ty 257


immaginò stesse pensando a cosa sarebbe potuto succedere a lei e al bambino se, seguendo le indicazioni del navigatore satellitare, anziché al ranch, fosse finita nel bel mezzo del nulla con un simile maltempo. Senza fare altri commenti, Amy posò di nuovo suo figlio sul tappeto poi cominciò a raccogliere i giocattoli e a sistemarli in una borsa. «Credimi, sono davvero spiacente di avere invaso la tua privacy. Me ne vado subito. Ti lascio le provviste. È il minimo che possa fare per farmi perdonare.» «Le provviste?» «Sì, prima di venire qui ho fatto la spesa, perché il centro abitato è a una certa distanza.» «Porta via pure tutto.» «No, mi fa piacere... Inoltre avevi il frigo vuoto. Questo è uno dei motivi per cui ero convinta di essere arrivata all'indirizzo giusto. Frigo vuoto, niente albero di Natale, niente calze sul pavimento.» Era stata in camera sua, dedusse Ty. «Voglio dire, tutti indizi che i proprietari avessero lasciato la casa da qualche giorno» proseguì Amy. 258


«Non ho bisogno delle tue provviste» tagliò corto lui, in tono più brusco di quanto avesse inteso. Era a dir poco affamato e qualunque cosa lei avesse in messo in frigo sarebbe stato di sicuro meglio dello stufato in scatola con il quale aveva avuto intenzione di cenare prima di andare a dormire. E così, a detta di Amy Mitchell, la sua casa aveva un'aria abbandonata e poco accogliente... E con questo? Era solida, ben riscaldata, tutto funzionava a dovere, perfetta per riposarsi dopo una lunga e faticosa giornata di lavoro. A lui non serviva niente di più. O almeno, questo era quello che aveva pensato per molto tempo. Ma la presenza di Amy e del bambino gli stava suscitando emozioni che preferiva non analizzare. Gli aveva rammentato di colpo che c'erano molte cose che mancavano nella sua vita. Soprattutto affetti. Un rimpianto che aveva imparato a nascondere nel più profondo del cuore. «Avevo iniziato a disfare le valigie... Ho 259


messo alcune cose nella camera degli ospiti» aggiunse Amy, finendo di raccogliere i giocattoli. Dunque lei era stata anche in camera sua, proprio come aveva immaginato, dedusse Ty. Privato dei giocattoli, il bambino si sdraiò sul tappeto poi cominciò a gattonare con decisione verso Ty. Lui arretrò di qualche passo, ma il piccolo continuò a puntare nella sua direzione, come un missile verso il bersaglio programmato. «Papà!» esclamò. «Dov'è il padre di tuo figlio? È da lui che stai fuggendo?» domandò Ty, arretrando di nuovo per evitare che il bambino lo raggiungesse.

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