Sposa a san valentino

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CHRISTINE RIMMER

Sposa a San Valentino


Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: Valentine Bride Silhouette Special Edition © 2010 Christine Rimmer Traduzione di Federica Ressi Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Books S.A. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. Harmony è un marchio registrato di proprietà HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved. © 2018 HarperCollins Italia S.p.A., Milano Prima edizione Harmony Pack gennaio 2018 Questo volume è stato stampato nel dicembre 2017 da CPI, Barcelona HARMONY PACK ISSN 1122 - 5380 Periodico bimestrale n. 143A del 24/01/2018 Direttore responsabile: Chiara Scaglioni Registrazione Tribunale di Milano n. 239 del 15/05/1993 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - Via Mondadori, 1 - 20090 Segrate (MI) HarperCollins Italia S.p.A. Viale Monte Nero 84 - 20135 Milano


1 Caleb Bravo era fermo sulla soglia della camera della colf. Teneva in mano il biglietto che lei gli aveva lasciato in cucina. «Che diavolo succede, Irina?» chiese agitandole il biglietto davanti al naso. «Oh. Ciao, Caleb. Sei tornato presto.» Parlò senza degnarlo di uno sguardo, intenta a piegare un maglione grigio che poi infilò in una delle due consunte valigie aperte sul letto. Lui entrò nella stanza. «Ti ho chiesto che cosa stai facendo.» Lei si raddrizzò per guardarlo. «Me ne vado» rispose con il suo gutturale e inespressivo accento argoviano. «Così, di punto in bianco?» «Non c'è altra scelta.» «Ma certo che c'è un'altra scelta.» Sollevò di nuovo il biglietto. «Tre frasi» precisò. «Caleb, devo andarmene. Non tornerò. Grazie per tutto quello che hai fatto per me.» Lo appallottolò e lo lanciò nel cestino della carta straccia nell'angolo. «Non avresti almeno potuto spiegarmi il perché?» Lei si voltò e prese una busta dal comodino. «Un'ora fa, è arrivata questa.» Gliela porse. Dentro c'era un foglio, una lettera dall'aspetto molto 5


ufficiale, con il sigillo del Servizio Immigrazione e Cittadinanza degli Stati Uniti. Lui la scorse rapidamente. Stavano per revocarle il visto e doveva presentarsi immediatamente alla sede di San Antonio. «Ma che diavolo succede?» ripeté. «Non hai una green card? E non è valida almeno per qualche anno?» «Ho il permesso di lavoro e avevo fatto domanda per la green card. Ma ci sono... ritardi. Molti ritardi.» «Non possono rimandarti in Argovia.» «Invece sì.» Gli tolse di mano la lettera, la ripiegò, la infilò nella busta e mise la busta sul comodino. Dopodiché riprese a fare i bagagli. Caleb la osservò muoversi in silenzio dal comò al letto e viceversa. Impossibile. Non poteva essere vero. Non ce l'avrebbe fatta senza Irina. Gli teneva in ordine la casa, si occupava del bucato, preparava pasti succulenti quando richiesto... e non batteva mai ciglio se vedeva lui o una donna girare nudi per casa. Era la governante perfetta: silenziosa, efficiente e sempre controllata. Prevedeva ogni sua necessità e riusciva persino a rendersi quasi invisibile. Non ne avrebbe mai trovata un'altra come lei. E che dire di Victor? Victor Lukovic, il cugino di Irina, era il migliore amico che avesse al mondo. Gli doveva la vita. Non poteva sopportare che Victor pensasse che aveva mandato via sua cugina. «Irina.» «Sì?» Lei lisciò le pieghe di una sciarpa marrone. «Dove andrai?» Lei si accigliò e scosse il capo, dopodiché tornò di nuovo al comò per prelevare una pila di biancheria di un bianco deprimente. 6


Lui fece un altro tentativo. «Allora... tornerai in Argovia?» Lei infilò la biancheria nella valigia più grande. «Non ci tornerò mai.» Chiuse la cerniera. «Ma se non tornerai a casa, allora...?» «Non è necessario che tu conosca i miei spostamenti.» Afferrò il portatile che si era comprata mesi prima e lo infilò nella tasca esterna della valigia più piccola. Poi chiuse anche quella e la posò a terra, seguita dalla più grande, che atterrò sul pavimento con un tonfo sonoro. «Almeno sai dove andrai?» Nessuna risposta. Sistemò le valigie una accanto all'altra, ben distanziate. Poi si voltò di nuovo a guardarlo. «Grazie per tutto quello che hai fatto per me, Caleb. Sei un ottimo capo. Il migliore.» Come al solito, era vestita di un grigio anonimo dalla testa ai piedi. Non l'aveva mai vista con indosso dei colori accesi, né in maniche corte. Indossava tutto l'anno dolcevita e maglioni, nel più totale sprezzo delle caldissime estati di San Antonio. La frangia scura le copriva quasi gli enormi occhi castani. Sembrava così... triste, sperduta... e sola. «Ne hai parlato con Victor?» «No. Mio cugino fa già troppo per me. Non è necessario che si preoccupi anche di questo problema.» «Dai, Irina...» Senza riflettere, allungò una mano verso di lei. Lei sussultò e si ritrasse. «Ti prego. Adesso devo andare.» Accidenti. Pessima mossa: sapeva che non gradiva il contatto fisico. «Scusa. Non intendevo...» «Non hai fatto niente di male» disse con dolcezza 7


mentre sollevava le due valigie. «Ti prego, fammi passare.» Neanche per sogno. «Dai. Puoi concedermi un po' di tempo prima di... svanire nel nulla? Nessuno verrà a prelevarti nei prossimi dieci minuti.» Lei borbottò qualcosa in argoviano e poi, sollevando lo sguardo, si lasciò sfuggire un sospiro esasperato. «Oh, Caleb...» Lui le rivolse un sorriso incoraggiante. «Che male può fare? Un paio di minuti, per discuterne insieme...» «A che pro? È inutile.» «Irina, per favore.» Si sforzò di apparire triste e disperato. Parve funzionare, perché dopo un altro sospiro lei posò le valigie. «Okay. Comincia tu.» «Non posso credere che stessi per andartene in questo modo. Se non fossi tornato prima...» Scosse il capo sconcertato. «Avresti fatto così, vero? Saresti sparita e basta?» «Sì. Adesso abbiamo finito di parlare?» L'idea gli venne proprio in quell'istante, vedendola lì, in piedi, tra quelle due valigie malridotte. Sapeva quello che doveva fare. «Ci sposeremo» le disse. «È la soluzione perfetta.» Lei tacque, lo sguardo fisso su di lui. «Forza.» Con un cenno indicò alle proprie spalle. «Andiamo a sederci in salotto. Beviamo qualcosa e discutiamone.» Lei rimase dov'era, in silenzio, a guardarlo con un'espressione che non lasciava trapelare nulla. «In salotto?» ripeté lui, temendo quasi di voltarle le spalle per paura che gettasse le valigie dalla finestra per poi seguirle. Trascorse un altro lungo minuto di silenzio, ma poi, 8


proprio quando lui cominciava a perdere le speranze, lei accettò: «Sì, d'accordo. Parliamo». «Bene» disse lui. «Fantastico.» E si voltò, le orecchie sintonizzate sullo scalpiccio delle sue ballerine nere sul parquet. In salotto, Irina si sedette sul bordo della poltrona di pelle. «Vuoi bere qualcosa?» le domandò, pensando che a lui sarebbe servito qualcosa di forte. Lei serrò le labbra e scosse il capo. «No, grazie.» «Irina, non posso permettermi di perderti, sei troppo brava nel tuo lavoro. Non potrei mai sostituirti. È impossibile.» Se solo avesse potuto toccarla, sapeva che l'avrebbe convinta. Ma visto che la cosa era fuori questione, doveva riuscire a persuaderla con le parole. E lui aveva un'ottima parlantina. «Devi ammetterlo. Andiamo molto d'accordo. Non ho nulla di cui lamentarmi. E tu?» Lei deglutì e scosse il capo, la lunga frangia ondeggiò come un velo scuro sui grandi occhi spiritati. «E poi bisogna pensare a Victor. Cosa gli dirò se non troviamo una soluzione? Non posso credere che tu volessi andartene senza informarlo di nulla.» «Io... non posso dirglielo. Ha una famiglia qui. E fa già troppo per me. Meglio che non sappia nulla.» «Gli devo la vita» le ricordò Caleb con un tono lievemente melodrammatico. O così pensava lui, finché non si rese conto che lei cercava di reprimere un sorriso. «Non dovresti guidare come un pazzo.» Sì, okay. Gli piaceva andare veloce, gli era sempre piaciuto. Quando erano ancora all'università, Victor l'aveva tirato fuori da un'auto in fiamme dopo che aveva perso il controllo e si era schiantato contro un 9


muro. Ancora rimpiangeva di aver distrutto quella macchina, una Mustang del '68. Non facevano più auto come quella. «Qui non si tratta di come guido» precisò con voce severa e piena di biasimo. «Qui si tratta di te, di me e del povero Victor, che uscirebbe di senno se tu dovessi sparire. Devi lasciarmi fare questo per te, per noi, in realtà... e per l'uomo che mi ha salvato la vita.» Irina lo stava fissando con espressione imperscrutabile. Alla fine, disse sottovoce: «Sposi me così non devi sposare quella Emily». Beccato. Sì, d'accordo, togliersi Emily Gray dai piedi era un vantaggio notevole. Che gli era saltato in mente di andare a letto con una collega? Si schiarì la gola. «Irina, sai bene che non avrei mai sposato Emily.» «Peccato che Emily non lo sappia.» Vero. Proprio l'altra sera, Emily lo aveva seguito per tutta la casa cantilenando tic tac, tic tac. Per lei ultimamente esisteva soltanto il proprio orologio biologico. Voleva un anello al dito e un bambino prima dei trentacinque. Invece Caleb la voleva fuori dai piedi prima possibile. Solo che Emily era una donna determinata e rifiutava di accettare che lui non fosse l'uomo giusto. Ed ecco Irina e i suoi problemi con il Servizio Immigrazione. Le rivolse uno dei suoi sorrisi più ammalianti. «Be', una volta sposati, Emily capirà l'antifona.» Seguì un altro lungo silenzio. Un silenzio snervante, pensò Caleb. Quando non riuscì più a tollerarlo, suggerì: «Non possiamo lasciar perdere Emily? Per favore?». Lei annuì con un solenne cenno del capo. 10


«Allora è deciso» dichiarò Caleb, presumendo che l'accordo fosse concluso. «Domani andremo a Las Vegas e ci sposeremo il giorno di San Valentino. La prossima settimana potrai presentarti alla sede del Servizio Immigrazione di San Antonio con il certificato di nozze.» «Tu non capisci.» «Cosa c'è da capire?» «Sposarsi per avere la green card non è una passeggiata come sembra nei film. Il tuo governo vorrà verificare che si tratti di un vero matrimonio. Verranno a casa, senza preavviso, per cercare di dimostrare che non è così.» «Oh, ma per favore! È un'agenzia governativa. Scommetto la mia Audi che non hanno personale a sufficienza da mandare in giro, a caso, per controllare se le persone mentono.» «Non lo fanno a caso. E hai ragione, le visite a casa sono rare, però ci sono, Caleb. Se non credono che il matrimonio sia vero e hanno le prove per dimostrarlo, le cose si metteranno molto male.» «Vuoi dire che ti deporteranno?» «Molto peggio. È un crimine contrarre un matrimonio per ottenere la green card. Se il Servizio Immigrazione lo scopre, finiremo in prigione. E una volta scarcerata, allora sì che mi deporteranno.» Quella faccenda cominciava ad assumere i contorni di una sfida. E Caleb aveva sempre adorato le sfide. «Possiamo farcela. Possiamo convincerli. Sono molto convincente quando mi ci metto d'impegno.» «C'è dell'altro.» «Che vuoi dire?» «Il matrimonio deve durare almeno due anni.» «Stai scherzando?» 11


«No, sono proprio due anni. E a te sta bene restare sposato per due anni con la tua governante?» No di certo. «Non può essere. Sei sicura?» «Sì.» «Mi sembra un tantino... esagerato.» «Pensaci. Un matrimonio dovrebbe durare per tutta la vita. Due anni...» Fece schioccare le dita. «... non sono nulla di fronte a una vita intera. Ma sono sufficienti per far credere al Servizio Immigrazione che il matrimonio sia stato contratto in buona fede.» «Sufficienti? A me sembra un'eternità.» Lei si alzò così rapidamente che lo fece sussultare. «Ehi, Irina. Che fai?» «Vado a prendere il libro.» «Quale libro?» «Immigrazione negli USA semplificata. C'è parecchio sul matrimonio con un cittadino americano. Cerco il punto giusto, in cui spiega che il matrimonio deve durare due anni interi per ottenere la green card permanente e che cosa succede nel caso in cui il matrimonio sia fasullo.» Raddrizzò la schiena. «Mi consideri una sciocca? Credi che non abbia pensato a tutti i modi possibili per restare in America?» Lui alzò entrambe le mani. «D'accordo, ti credo. Non ho bisogno di vedere il libro.» «Sei sicuro?» «Sono sicuro. Ora rimettiti a sedere.» Lei si appollaiò sul bordo della poltrona e lo fissò con gli occhi socchiusi da sotto la frangia. La guardò con sospetto. «Sei arrabbiata?» «Dovresti sapere che non dico mai bugie.» «Irina, ti credo. Okay?» La sua espressione si rilassò e lei ammise a fior di labbra: «Sì, okay». 12


Due anni. Era inquietante. Lui pensava che si trattasse di qualche mese, che lei avrebbe ottenuto la sua preziosa green card in fretta e che poi avrebbero potuto tranquillamente divorziare. Ma adesso che rifletteva un po' più a fondo, lei avrebbe potuto benissimo decidere di smettere di lavorare per lui una volta ottenuto il permesso di soggiorno permanente. In ogni caso, voleva aiutarla. Senza contare che così si sarebbe sbarazzato di Emily e avrebbe agito bene nei confronti di Victor, che gli aveva affidato la sua preziosa cugina. «Andrà tutto bene» le assicurò. «Ci sposeremo e resteremo sposati per questi due maledetti anni, se così deve essere.» Lei incrociò le braccia sul petto, un gesto che a lui parve di autodifesa. «C'è un altro problema.» «Quale altro problema?» «Tu, Caleb, sei tu il problema.» Lui parve sorpreso. «Credevo di essere la soluzione.» «È... per via di come sei fatto.» «Sarebbe a dire?» «Vai sempre dietro alle donne.» Che dire? In effetti, gli piacevano le donne. «Sì. E allora?» «E allora, se ci sposeremo, finché resteremo sposati, dovrà sembrare un vero matrimonio.» «Capito.» «Non lo dice solo il Servizio Immigrazione, lo pretendo anch'io.» «Tu... lo pretendi?» Lei fece un altro cenno di assenso quasi regale. «Dovrà sembrare vero. È l'unica maniera per essere 13


corretti. Anche se non lo sarà, dovrà apparire come un matrimonio vero. So che non sarà facile per un uomo come te.» Caleb non aveva idea di cosa stesse dicendo, però non gli era sembrato un commento lusinghiero. «Che significa: un uomo come me?» Lei diede un'alzata di spalle. «Lo sai...» E con una mano lo incoraggiò a definirsi. «Superficiale. Stai dicendo che sono superficiale?» Lei si portò una mano al petto. «Ma di buon cuore.» «Wow, grazie... E come mai comincio ad avere la sensazione che tu ci abbia già riflettuto parecchio?» «Perché è così. Ho pensato molto... a tutti i modi possibili. Sapevo che ti saresti offerto di sposarmi. In fondo lavoro per te da due anni e so come ragioni.» Si picchiettò una tempia con l'indice. «Quindi ho pensato a cosa dovevo chiederti in cambio. Ho pensato a... come dite voi americani? Alle mie condizioni.» Caleb si trattenne dal restare a bocca aperta. «Mi offro di salvarti e tu poni delle condizioni?» «Certo. Finché sarai sposato con me, basta donne.» Basta donne... Due anni senza sesso? Impossibile. «Ma dai. Sono un uomo, sai? Un uomo con delle... esigenze.» «Sì» convenne lei serafica. «Lo so.» E quindi aveva pensato di andare a letto con lui? Okay, questo sì che era difficile da immaginare. A Caleb piacevano le donne. Tutte le donne. Ma non gli era mai passato per la mente di portarsi a letto Irina. Fino a ora. E adesso ci stava pensando. Anche se gli sembrava... sbagliato, in un certo senso. Ma in fondo lei era una donna e lui era un uomo. E sarebbero stati legalmente sposati. Quindi, perché no, se lei era l'unica donna disponibile? 14


«Stai dicendo che vuoi che sia un matrimonio vero, in tutti i sensi?» «No, sto dicendo che puoi darti soddisfazione da solo.» Non è possibile che stiamo parlando di certe cose. E invece sì. «Darmi piacere da solo, vuoi dire?» «Sì. Grazie.» Neanche per sogno. Irina aveva delle condizioni? Be', anche lui. «Scusa tanto, ma questo non chiude la questione. Comprendo il tuo punto di vista. Se dobbiamo convincere il Servizio Immigrazione che siamo una vera coppia, non possiamo correre il rischio di frequentare altre persone. Quindi accetto di rinunciare alle donne.» Per un momento Caleb pensò che sarebbe scoppiata a piangere. «Grazie.» «Aspetta prima di ringraziarmi. Perché non ho intenzione di restare per due anni in astinenza.» Ogni gratitudine svanì dai suoi occhi umidi, sostituita da un'espressione che non le donava affatto. Tuttavia, parlò con un tono ragionevole. «Non salterò tra le lenzuola.» «Vuoi dire che non verrai a letto con me?» «Mi serve... tempo.» «Tempo?» «Per... conoscerti meglio... nel modo in cui una donna deve conoscere l'uomo che sta per sposare. Un mese, ti prego. Puoi trattenere le tue esigenze per un mese?» Stava per scoppiare a ridere e risponderle che era impossibile. Irina chiaramente non voleva andare a letto con lui... e lui non provava il minimo entusiasmo al pensiero di farle cambiare idea. 15


Che lui sapesse, non usciva mai con nessuno. Ma poteva anche essergli sfuggito qualcosa. Si era abituato a prestarle ben poca attenzione. Le dava un aumento ogni anno e un bonus a Natale. E a mesi alterni si premurava di dirle quanto apprezzasse il gran lavoro che svolgeva per lui. Di solito, però, dimenticava la sua esistenza e a lei la cosa sembrava stare bene... ma per la miseria. Non era così sbadato. Dopotutto vivevano sotto lo stesso tetto. Avrebbe notato un eventuale fidanzato. Che fosse vergine? Non se la sentiva di avere a che fare con una vergine. Aveva avuto una fidanzata vergine, al primo anno di college. Esperienza spiacevole. D'altra parte non aveva intenzione di lasciarla andare via con quelle valigie sgangherate rischiando di non rivederla mai più. E poi, forse, si stavano preoccupando di troppi particolari tutti assieme. «Che ne dici di procedere un passo alla volta?» «Passo alla volta?» «È un modo di dire. Intendo dire che è meglio non porre limiti di tempo. Concentriamoci sui due anni di matrimonio che ci aspettano. Prima o poi faremo sesso, ma solo quando sarai pronta.» «Forse non sarò mai pronta.» «Irina?» «Sì, Caleb?» «Lascia perdere il sesso.» «Ma tu hai detto che...» «Basta. Ascoltami. Domani andremo a Las Vegas e ci sposeremo, e poi vedremo. Per il sesso, non ti metterò fretta. Non devi preoccuparti di questo. Aspettiamo di vedere come va.» 16


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