Stanotte con te

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Londra, 1822 - L’amore, quello vero, vale la pena di rischiare il più più grande scandalo di tutti i tempi? Lord Tristan Burke pensa proprio di sì…

Inghilterra, 1850 - Un uomo senza scrupoli, una donna che riesce a tenerlo in pugno. Sembrano essere agli antipodi, ma forse sono uno la salvezza dell’altro.

Francia, 1175 - Segnata dal dolore, Lady Rowena si è ritirata in convento, decisa a donare la propria vita a Dio, finché Sir Eric de Monfort, fedele uomo del padre, non la rapisce, cambiando per sempre il suo destino.

Londra, 1852 - Lady Catherine Mary St. Clair è la musa di un famoso pittore… lui non sa la sua vera identità, ma cosa succederà quando il dipinto che la ritrae verrà esposto pubblicamente?

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QUELLO CHE LE LETTRICI VOGLIONO. Questo mese per voi...

IL GRANDE RITORNO DI SARAH MORGAN. QUANDO IL DESIDERIO DIVENTA TROPPO FORTE È IMPOSSIBILE CAPIRE SE UN ACCORDO NATO PER VENDETTA SIA IN REALTÀ…

AMORE.

“Adoro quest’autrice, i suoi romanzi sono romantici e passionali allo stesso tempo.” Goodreads Review

Amata per i suoi personaggi realistici, si è aggiudicata numerosi riconoscimenti come il Romantic Times Career Achievement Award.

AL CUORE NON COMANDA NESSUNO, NEMMENO CHI HA IL SANGUE BLU.

“Un romanzo dolce e ricco di sentimento.” Amazon Reviews

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Joya Ryan

Stanotte con te


Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: Yours Tonight Bear & Gunner Publishing, LLC © 2014 Joya Ryan Traduzione di Giorgia Lucchi Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. Harmony è un marchio registrato di proprietà HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved. © 2016 HarperCollins Italia S.p.A., Milano Prima edizione Harmony Passion maggio 2016 HARMONY PASSION ISSN 1970 - 9951 Periodico mensile n. 113 del 26/05/2016 Direttore responsabile: Chiara Scaglioni Registrazione Tribunale di Milano n. 71 dello 06/02/2007 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - Via Mondadori, 1 - 20090 Segrate (MI) Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 045.8884400 HarperCollins Italia S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano


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«Forse, se ce ne andassimo da un'altra parte e io ti togliessi questi pantaloni, sarei più convinto.» D'accordo, doveva essere una delle migliori – o peggiori – battute che avevo sentito quella sera. Come tutte le altre, comunque, non era rivolta a me. «A questo punto, penso proprio che dovrò mostrarti il mio tatuaggio» ribatté la donna. Parlò in tono deciso, come se avesse il controllo di se stessa e della propria sessualità. L'uomo che ci stava provando si stava divertendo un mondo. Anche lei sembrava contenta. Per niente spaventata. Trassi un respiro profondo, ignorando il lampo di invidia che mi attraversò le vene, poi mi guardai intorno per l'ennesima volta. Aspettando. Alla tatuata e al suo tipo non sembrava importare di invadere il mio tavolo per arrampicarsi meglio l'uno addosso all'altra. Il mio era un tavolino sistemato nell'angolo di un locale affollato, un tavolino per due. Eppure ero sola. Ero lì da quasi un'ora e ormai ero convinta che il mio appuntamento al buio sarebbe andato a monte. Presi il cellulare e chiamai Harper, la mia migliore amica, che 5


aveva avuto la brillante idea di combinarmi quell'incontro. «Ciao, Lana» esordì. «Ciao. Rick non si è fatto vedere.» «No? Mi dispiace. È un vero idiota.» «Allora perché mi hai combinato un appuntamento con lui?» «Perché hai bisogno di uscire di più, di avere degli appuntamenti. Di socializzare. È estate, dovresti goderti la tua libertà.» Ah, sì, la libertà. Peccato non facessi che pensare all'autunno e al dottorato che avrei cominciato nella mia sonnacchiosa Golden, a una trentina di chilometri da Denver. Harper si era fissata che dovevo vivere la vita, e io continuavo a ripeterle educatamente che prendere un dottorato in statistica mi sembrava un'impresa già abbastanza emozionante. La tatuata urtò di nuovo il mio tavolo con il fondoschiena, ma in quel caso perché lei e Mr. Paroline Dolci erano ancora più avvinghiati l'uno all'altra. «Penso di essermi divertita a sufficienza per stasera» affermai, pentendomi per essermi fatta accompagnare da lei in città, invece di andare con la mia macchina. «Potresti venire a prendermi?» «Certo. Sono ancora in ufficio. Devo solo finire un paio di cosette. In un'ora sono lì.» Ridacchiai. «E dici a me che devo divertirmi? Sei tu quella che sta ancora lavorando di venerdì sera.» «Come hai detto?» ribatté lei in tono scherzoso. «Mi sembrava di aver capito che ti servisse un passaggio per tornare a casa.» «Infatti. Ti aspetto. Grazie.» Mi guardai intorno. Un'ora. Non era il mio scenario 6


ideale, ma sarei sopravvissuta. Conclusi la telefonata e controllai gli SMS. Il mio cuore sobbalzò quando vidi che mio padre aveva finalmente risposto alla mia proposta di pranzare insieme, l'indomani. Il mio sollievo fu di breve durata, perché il messaggio diceva: Spiacente, zucchetta, ma domani non posso. Facciamo settimana prossima?:-) Se non altro aveva usato i due punti e la parentesi dopo la frase per addolcire il rifiuto. Ma emoticon o no, era un sorriso da parte di mio padre, e me lo sarei fatto andare bene. Passando le dita tra i riccioli scuri cercai di sciogliere un po' della tensione che sentivo crescere. Un'ora. Due parole che cominciavano a diventare pesanti. Estrassi di nuovo il cellulare e scrissi a mio padre. So che è un po' tardi, ma potrei passare da te e restare lì un'oretta mentre aspetto che Harper passi a prendermi? Sono bloccata in città. Premetti Invia. Mio padre viveva a un chilometro e mezzo da dove mi trovavo. Una passeggiata, massimo una ventina di minuti. Sua moglie non era la mia fan numero uno, ma sempre meglio che restarmene seduta da sola in un bar affollato. Be', forse non meglio, ma pur sempre il minore dei mali. Il mio telefono trillò, e il mio entusiasmo si risvegliò. Aveva risposto in fretta! Sorrisi e lessi: Mi dispiace, zucchetta, stasera sono occupato. Il mio sorriso svanì, quindi posai il cellulare sul tavolino e mi appoggiai allo schienale. Abbassai lo sguardo sul mio semplice abito estivo e provai la medesima sensazione che avevo sperimentato migliaia di volte, crescendo, quando aspettavo che mio padre arrivasse a risolvere la situazione. 7


Invisibile. Quando la coppia mi urtò di nuovo, non fui l'unica cui diedero noia. Un uomo seduto accanto a loro cominciò a gridare e, prima che potessi capire cosa stesse succedendo, volò un pugno, e i due uomini cominciarono una rissa. Uno dei due urtò il mio tavolo così forte che mi si rovesciò l'acqua addosso, io boccheggiai spaventata e incrociai le braccia davanti al viso, disegnando una X. I miei nervi andarono su di giri per ciò che era appena successo. Mentre mi ripetevo mentalmente di calmarmi, abbassai le braccia e vidi un uomo muscoloso con una maglietta bianca gettarsi tra i due e, insieme con il buttafuori, scaraventarli fuori della porta. Se n'erano andati, mi dissi, cercando di riprendere il controllo del respiro. L'acqua mi aveva investita in pieno, bagnandomi addome e cosce. Cercai di asciugarmi con il tovagliolo, scuotendo la testa. Non sarei dovuta uscire, sarei dovuta restare a casa, come sempre. Altri due mesi e avrei cominciato il dottorato a Golden, così non sarebbe più stato necessario tornare in città per alcun motivo, a eccezione del mio lavoro parttime per la società di servizi finanziari di mio padre. Lavoro che svolgevo così bene che per l'estate ero passata a trenta ore la settimana. Se avessi continuato così, accumulando ore nella sua società mentre prendevo il dottorato, mi avrebbe assunta come responsabile della contabilità. Finalmente avrei avuto l'opportunità di realizzare il sogno che mi aveva inculcato fin da quando ero bambina, un'impresa di famiglia. Certo, quando ero bambina aveva avviato un'impresa piccola, sempre in rosso, ma quando aveva sposato Anita, lei e il suo de8


naro lo avevano rimesso in carreggiata. Per lei potevo anche essere la figliastra povera, ma restavo pur sempre la figlia di mio padre e, che alla sua nuova moglie piacesse o no, ero decisa a essere una persona di cui lui potesse essere fiero. La gente aveva già dimenticato la rissa e aveva ripreso a divertirsi. Se non altro gli occhi di tutti non erano più fissi su di me, ma io ero fradicia e cominciavo ad avere freddo. «Scusa?» mi apostrofò una voce rauca e profonda. Alzai lo sguardo e mi trovai di fronte un uomo alto e scolpito, con gli occhi più scuri che avessi mai visto, intento a fissarmi. «Tutto bene?» «Ah, io...» Abbassai gli occhi sul mio vestito bagnato e lo tamponai di nuovo. Il tessuto bagnato mi si appiccicava alle cosce, mettendomi a disagio. «Tieni.» Si sfilò la giacca e me la mise sulle spalle. Odorava di spezie e cuoio. Cercai di espirare, ma fu inutile, tra il calore improvviso della sua giacca che mi avvolgeva e la vista del petto ampio e del torace compatto. Mi riusciva difficile muovere le labbra. Non so se fosse colpa della rissa cui avevo assistito, seguita dall'acqua fredda, a ogni modo il mio corpo era confuso, caldo e informicolito, benché avessi la pelle d'oca. «Sicura di stare bene?» mi chiese, mentre il suo sguardo di onice scandagliava il mio corpo. Quando cominciò ad arrotolarsi le maniche della camicia bianca, rimasi a guardarlo, affascinata. Gli avambracci si piegarono un po' quando passò all'altro polsino. Mentre contemplavo le dita affusolate che arrotolavano il tessuto, scoprendo al tempo stesso la pelle abbronzata, mi chiesi come il semplice atto di tirarsi 9


su le maniche potesse risultare tanto sexy. Alzato lo sguardo, osservai ogni tratto del suo viso. Con l'ombra di barba del medesimo colore dei capelli neri, aveva un che di esotico, potente. Come ci si sentiva a essere un uomo come lui? Una persona la cui sicurezza di sé emergeva da ogni singolo movimento. Come si poteva raggiungere quel genere di essenza? Pur senza conoscere la risposta, sarei stata pronta a firmare per averla. Perché, qualunque bevanda magica bevesse lui, ne volevo un po'. Decisamente. Una volta Harper mi aveva detto che le prede sono in grado di riconoscere i predatori e, mentre la maggior parte di loro fugge, alcune restano scioccate dal potere letale del predatore. Penso fosse al suo terzo shot di tequila e non stesse ascoltando molto l'episodio di The Animal Planet trasmesso in televisione, quando l'aveva detto, ma non aveva tutti i torti. Vero o no, mi sentii come una preda, incantata da un predatore. E non ebbi il buonsenso di darmi subito alla fuga. «Non c'è bisogno che mi presti la giacca» protestai, anche se non avrei voluto dirlo. Ma le buone maniere erano pur sempre le buone maniere. «Sto bene.» Percepii di nuovo la sua fragranza, e mi pervase i sensi all'istante, scaldandomi dall'interno. «Per favore, insisto.» Le sue parole furono gentili, ma colsi un tono deciso che mi suggerì di non sfidarlo. Doveva superare il metro e ottanta di almeno tre dita e la sua giacca mi copriva bene, infondendomi un po' di sicurezza. «Sei sicura di non essere stata colpita, o ferita?» Lui inclinò la testa e mi esaminò. L'illuminazione debole del locale fece danzare le ombre sul suo volto, renden10


dolo molto simile a una divinità mitologica degli inferi. Sorrisi perché, nonostante l'aspetto feroce, la sua sollecitudine era dolce. Era l'unico che mi avesse chiesto come stavo, tutti gli altri si erano limitati a restare a guardare. Poi capii perché me lo aveva chiesto. Non ero trasalita, avevo guaito come un cagnolino atterrito. «Sono stata colta di sorpresa, comunque sto bene. Non mi hanno neanche toccata. A parte...» Abbassai di nuovo lo sguardo sul mio vestito, «... un po' d'acqua.» I suoi occhi mi squadrarono di nuovo da capo a piedi, lasciandomi sulla pelle una scia di brividi. «Bene, mi fa piacere.» Stavo per ringraziarlo ancora, quando un movimento vicino all'ingresso attirò la mia attenzione. Spostai lo sguardo sulla porta e rimasi raggelata. No, era impossibile. Oh, Dio, era... lui. Lui era lì. Era appena entrato nello stesso bar in cui sedevo io. Mi si chiuse la gola e fui colta dall'impulso improvviso di scappare, vomitare, gridare. Una reazione sgradevole, che tuttavia avevo manifestato molte volte quando mi era capitato di imbattermi nel mio fratellastro. Negli anni lo avevo visto migliaia di volte, eppure non diventava mai più facile. Avevo imparato a restare in silenzio e a fingere di non essere terrorizzata. Andava tutto bene. «Brock» mormorai. Cosa diavolo ci faceva a Denver? Anche lui lavorava per mio padre, ma si occupava della filiale di New York. Ciò significava che non si vedeva in giro da sei mesi, sei mesi di pace benedetta che mi consentivano di lavorare nella società di mio padre. Mosse un passo nel locale e vidi i suoi occhietti osservare la sala mentre si sistemava la cravatta. Aveva 11


solo sei anni più di me, ma i suoi capelli castano spento erano già striati di grigio e aveva l'abitudine di gonfiare il petto per compensare il fatto che, quando andava bene, arrivava a un metro e settanta. Dal momento che indossava ancora un completo scuro da lavoro, doveva arrivare dall'ufficio, ma quale? Tutto il resto del mondo scomparve, la fuga era il mio unico pensiero. Serrai le dita di una mano sul bordo del tavolo, i muscoli contratti pronti alla fuga, ma lui era proprio sull'ingresso, non avrei potuto uscire senza che mi vedesse. D'altra parte, visto come si guardava intorno, presto mi avrebbe scorta. Il mio sangue accelerò, e una scarica di angoscia unita a una dose massiccia di paura mi pervase, finché tutto ciò che riuscii a sentire furono le pulsazioni del mio cuore. Non avevo scampo. Mi guardai intorno, avrei voluto un muro, qualcosa dietro cui nascondermi. Non lo trovai. Come non lo avevo trovato quella notte di dieci anni prima, quando lui era venuto in camera mia. Quando Brock si girò nella mia direzione, i miei nervi andarono in corto circuito. Mi avrebbe vista! Cercai di farmi più piccola possibile, avrei voluto scomparire. Per la milionesima volta in vita mia desiderai essere qualcun altro, una persona più coraggiosa. Una persona che contasse qualcosa. Invece, ancora una volta ero sola. Il suo sguardo, come un raggio laser, si avvicinò, ancora più vicino, più vicino... «Ehi, ehi» mi sussurrò l'uomo che mi aveva dato la giacca. Doveva aver letto il mio linguaggio del corpo e notato che stavo sussultando sulla sedia, benché non mi fossi ancora alzata. «Va tutto bene, quei due se ne 12


sono andati» aggiunse, riferendosi ai due uomini che si erano accapigliati. Ragionevole da parte sua ipotizzare che in quel momento stessi reagendo a un trauma subito in precedenza. Era vero, ma il momento era più remoto di quanto immaginasse. Mi si sedette accanto, mettendosi in modo che lo guardassi in faccia, la schiena rivolta alla folla e al bancone. Un muro. «Io...» Non riuscii a parlare, perché non sapevo cosa dire. Non volevo che se ne andasse, tra le spalle larghe e il petto poderoso, mi nascondeva a Brock. Rimase seduto lì, un avambraccio sul tavolo, l'altro proteso in modo da stringere lo schienale della mia sedia, imprigionandomi e al tempo stesso proteggendomi con tutto il suo corpo. «S... sì, sto bene.» Ciò che ripetevo sempre, ciò che avevo recitato all'infinito, da ragazza. Perfino a tredici anni, sapevo che se non avessi finto di non essere a pezzi sarei andata in pezzi per davvero, e nessuno mi avrebbe aiutata a rimetterli insieme. Guardai gli occhi dello sconosciuto, erano come ossidiana rovente. Era così intenso e aveva il controllo. Mi sarei dovuta sentire minacciata, invece no. Percepivo la sua intensità, certo, ma anche una comprensione gentile e un calore che mi scaldò all'istante, facendomi sentire al sicuro. All'improvviso non volli mentire, non a lui. «No, a essere sincera non sto affatto bene» dichiarai. «È appena entrato qualcuno da cui desidero stare alla larga.» «Un uomo che appartiene al tuo passato?» «Qualcosa del genere» risposi, non avendo intenzio13


ne di scendere nei dettagli. «Come l'hai capito?» «Sei impallidita. Stavi quasi per sorridere, poi, a un tratto, tutto il tuo corpo si è irrigidito. È chiaro che qualcosa ti ha terrorizzata.» Mi sprofondò il cuore quando mi resi conto che la mia paura era evidente perfino per un perfetto sconosciuto. Imbarazzante, un vero segno di debolezza. Era una cosa che detestavo, ma temevo che non l'avrei mai superata. Mi guardai le mani, strette in grembo. «Ehi» mi sussurrò, posandomi un dito sotto il mento, affinché il mio sguardo incontrasse il suo. Fletté le spalle quanto bastò per assicurarmi che mi avrebbe fornito davvero una barriera formidabile. Ogni sillaba che usciva dalla sua bocca era piena di forza, proprio ciò che mancava a me. Da come sedeva fino a come si muoveva, era chiaro che era in tutto e per tutto un maschio alfa e che aveva il controllo della situazione. Preda o no, mi catturò. E mi piacque. Sbirciai oltre la sua spalla. Non vidi Brock, ma il locale era buio e c'era molta gente, poteva essere in agguato ovunque. O forse se n'era andato. Potevo solo augurarmi che fosse così, perché dovevo aspettare ancora un'ora. «Come ti chiami?» «Lana» risposi, scoprendo che era difficile parlare, con lui tanto vicino, ma per una ragione completamente diversa dalla paura. «Grazie per...» Gli indicai il petto, «... farmi da muro.» Lui mi sorrise e... wow, che spettacolo sconvolgente! Tutti quei denti bianchi e le rughe sottili che appar14


vero ai lati dei suoi occhi gli illuminarono il viso. «Sono lieto di farti da muro.» Si inclinò verso di me. «Quando vuoi.» Le gambe mi fecero male, e nel petto mi martellò un desiderio incandescente che mi informicolò i seni, schizzando dritto fino ai capezzoli. Quella reazione mi sorprese. Non avevo mai desiderato molto, prima. Non in quel modo. Il mio corpo era molto consapevole di lui, fino all'ultimo centimetro di pelle d'oca che mi aveva fatto venire. «E tu come ti chiami?» ribattei. «Jack.» Ripetei il suo nome e lui mi guardò la bocca. Deglutire fu difficile. Rimase immobile, e dal suo corpo parve sgorgare un'essenza calma e controllata. Gettò un'occhiata rapidissima alle proprie spalle. «Vuoi che resti seduto così?» «No, tranquillo.» Stavo per dirgli che non vedevo più Brock, ma ciò avrebbe avviato una conversazione che non mi interessava sostenere. Si spostò leggermente, ma mantenne l'attenzione fissa nella mia direzione. Per me era una cosa nuova, e non potei fare a meno di agitarmi un po', sciogliendo le spalle mentre intrecciavo le dita e le liberavo dall'intreccio. «Ti do fastidio?» mi chiese, guardandomi le mani. «No» risposi subito, perché non mi infastidiva. Il suo sguardo sembrava intenso come un raggio laser, ma per qualche ragione non volevo che se ne andasse. Volevo essere vista, quantomeno da lui. «È che in genere non incontro uomini nei bar. Men che meno...» Men che meno cosa? Più farfugliavo, più mi rendevo 15


conto che non avevo idea di cosa stessi facendo. Gli appuntamenti erano una pessima idea, per me, contrariamente a ciò che pensava Harper. «Lana?» Il mio sguardo tornò su Jack. Lui inclinò la testa, studiando il mio viso con un'espressione dolce. «Vuoi finire la frase?» «No davvero.» Scoppiò a ridere. Jack non sembrava il genere di persona che rideva molto, non perché fosse inquietante, ma perché era circondato da un'aura intensa, professionale e controllata. Mi piacque essere riuscita a strappargli una risata, avevo l'impressione di aver raggiunto un obiettivo. «Adesso sì che mi hai intrigato.» Mi strinsi nelle spalle e cercai di giustificare il mio palese imbarazzo. «Non sono molto pratica con questo...» Indicai noi due, «... genere di interazione.» Lui sollevò un sopracciglio. «Davvero? E di che genere di interazione si tratterebbe?» Deglutii. «Quello che mi rende nervosa.» Si spostò indietro. «Non volevo renderti nervosa.» «È un nervosismo diverso da quello normale» mi affrettai a spiegare, non mi era piaciuto che si tirasse indietro. Le sopracciglia scure si abbassarono. «Non riesco a seguire la tua logica.» Mi inumidii le labbra, azione che parve attirare tutta la sua attenzione, poi ritentai. «Non sono brava con le parole, tendo a parlare a ruota libera. Quantificare le cose per me è più facile che qualificarle.» «Lavori con i numeri?» Annuii. «Mi sono appena laureata in statistica.» 16


«Notevole.» Si avvicinò un po', e io non mi ritrassi. Al contrario, raddrizzai le spalle e autorizzai la sua mossa. Mi eccitava perfino come mi faceva sentire. «Ho scoperto che sfruttare i propri punti di forza consente di fare pratica con quelli deboli.» Toccò a me aggrottare la fronte. «Adesso sono io che non ti seguo.» «Usiamo parole semplici e quantifichiamo. Così sei più a tuo agio, corretto?» Annuii. «Dici che ti rendo nervosa?» Sfiorò con un dito le mie mani incrociate, e un brivido mi attraversò a quel contatto. «Su una scala da uno a dieci, questo quanto ti fa sentire nervosa?» «Cinque» mormorai. Forse era patetico, trattandosi di un semplice tocco delle mani. Ma tenevo le mie sulle cosce, il che significava che le sue erano vicino alle mie cosce. La mia pelle friggeva per l'impazienza, non solo per la vicinanza di Jack, ma anche perché nessuno mi toccava da più tempo di quanto volessi ammettere. «Ed è un nervosismo caldo o freddo?» Quella domanda mi costrinse a riflettere, non avevo mai considerato una situazione da quel punto di vista. La tensione nervosa che sentivo quando ero a disagio, come mi ero sentita poco prima sedendo sola, aspettando che Brock mi vedesse, mi faceva sentire freddo. Molto freddo. Quando Jack si era seduto, però, la prima cosa che avevo sentito era... «Caldo.» I suoi occhi fissarono i miei mentre allontanava la mano. «Quindi era un cinque, caldo.» Sorrisi e annuii. «Ho l'impressione che tu voglia creare un diagramma di flusso.» 17


«Ci servirebbero altri dati.» All'improvviso mi scoprii molto interessata al genere di dati che avrebbe potuto raccogliere. «Ti ho portato un altro bourbon» annunciò la barista, interrompendoci per posare un bicchiere di fronte a Jack. «Grazie, Angel» rispose lui. La barista, davvero molto bella, rimase dov'era e gli rivolse un sorrisetto. Deglutii, rendendomi conto in quel preciso momento che lei era il genere di donna con cui doveva essere abituato a uscire. Io non assomigliavo per niente alla dea alta, sottile e dolorosamente graziosa che serviva drink e, a quanto sembrava, schivava mani lascive con consumata abilità. Inoltre, Jack l'aveva chiamata angelo, indice di familiarità. Avevo imparato molto tempo prima che in genere i nomignoli affettuosi implicavano dei legami. Venivano usati quando qualcuno stava per darti il benservito o aveva bisogno di qualcosa. Mio padre ogni tanto mi chiamava zucchetta, ma era il direttore di una società di servizi finanziari e non aveva bisogno di niente, da me. Brock, invece, era l'orgoglio e la gioia di mio padre, e di conseguenza collaborava con lui. Benché tecnicamente non fosse un nomignolo affettuoso, mio padre chiamava Brock figliolo. Anche quando ero piccola e avevo raccontato a mio padre cosa fosse successo, Brock aveva negato tutto, e mio padre aveva scelto di credere a lui invece che a me. Mi illusi che lo facesse perché non era in grado di affrontare la verità, e credere a Brock era più facile e meno doloroso. Dentro di me, però, temevo stesse solo cercando di evitare uno 18


scandalo. Scossi la testa, non era il caso di pensarci proprio quella sera. Per la verità non era il caso di pensarci mai. Avevo trascorso gli ultimi anni cercando di seppellire pensieri di quel genere. Mi concentrai su Jack, lo fissai per cancellare il resto del mondo intorno a me. Però doveva esserci qualcosa tra lui e la barista, forse uscivano insieme. E se un semplice tocco bastava perché io mi sentissi un cinque, caldo, era chiaro che ero fuori del mio elemento con uno come Jack, i suoi gusti e ciò che avrebbe potuto scaldare lui. Non che la cosa mi interessasse. «Potresti portarci anche un altro bicchier d'acqua e...» Mi guardò. «... una vodka all'ananas e soda?» La barista mi lanciò un'occhiata stizzita. «Certo.» Si allontanò, e Jack si sistemò in modo da focalizzare lo sguardo soltanto su di me. Strano come già ne sentissi il bisogno, come se la sua attenzione fosse un amuleto raro e inestimabile. Ovviamente era anche molto improbabile conquistare una rarità del genere, realtà che avrei fatto bene a ricordare. «Ananas e soda?» chiesi. «Ho pensato che avresti bevuto l'acqua e, in caso avessi voluto altro, sarebbe stato già pronto.» «Grazie.» In effetti l'idea di un drink non era malvagia. La barista tornò con rapidità sorprendente con le bevande. Le posò di fronte a me, sfoderando apertamente la scollatura di fronte a Jack. Lui non la degnò di uno sguardo, limitandosi a ringraziarla, e lei si allontanò, imbronciata. Spostai lo sguardo da Jack alla barista che si allontanava, poi sorseggiai il mio drink. 19


«Vuoi dire qualcosa?» mi chiese, bevendo anche lui. «Perché me lo domandi?» «Perché stai fissando Angel.» Strabuzzai gli occhi. «Un momento, si chiama Angel?» Jack annuì. «Oh.» Un sorriso di sollievo affiorò sulla mia faccia, ma cercai di nasconderlo con un altro lungo sorso della bevanda fruttata. «Pensavo la chiamassi con un nomignolo affettuoso. Come se voi due aveste avuto una storia, o foste usciti insieme, o lo steste facendo adesso. Non che siano affari miei, ovviamente.» Accidenti, stavo di nuovo parlando a vanvera. Parole stupide, che interruppi finendo di bere. L'alcol vibrava già dentro di me quanto bastava per rallentare il mio cervello e calmarmi i nervi. «L'idea sembra renderti...» Mi guardò da dietro il bordo del bicchiere, deglutì, poi sorrise divertito, «... nervosa.» «Direi piuttosto infastidita» borbottai, poi mi tappai la bocca, sopraffatta dall'imbarazzo. «Davvero? Una mia possibile storia, o un'interazione attuale con Angel ti irrita?» «Mi dispiace. È del tutto inappropriato da parte mia. Non ti conosco nemmeno, non ho alcun diritto di sentirmi...» «Hai tutto il diritto di sentirti come vuoi, quando vuoi» mi interruppe, il tono serio. «Vorrei solo che dessi ascolto alle tue sensazioni.» «Come, prego?» «Se senti qualcosa, vuoi qualcosa, desideri sapere qualcosa, non trattenerti.» Rimasi a bocca aperta. Quell'uomo era diretto, dove20


vo ammetterlo. Non so se fu per l'alcol, o per il fatto che era passato dal ruolo di protettore a quello di sfidante, ma una scintilla si accese dentro di me, spronandomi a rispondere alla sfida. «D'accordo» ribattei, alzando il mento. «È ovvio che alla barista piaci. Mi ha infastidita perché lo ha dimostrato in modo palese.» «Tutto qui? Tu preferisci giocare il ruolo della timida?» «No, io non voglio giocare nessun ruolo. Io...» Me ne sto seduta. Ad aspettare di essere bidonata, ad aspettare che mio padre arrivi a salvarmi. Ad... aspettare. Ma non volevo parlarne, perché mi ricordava come fosse la realtà. Io non ero la barista, né la tatuata. Indossavo un vestito umido e fissavo un uomo che mi affascinava e mi faceva bollire il sangue. Una consapevolezza piacevole, dopo essere stata annoiata, sola e fredda troppo a lungo. Ero stanca di aspettare. «Stai evitando di nuovo l'argomento, Lana» mi incalzò lui, il tono un po' più brusco. «Forse la mia conversazione è carente?» «Nulla in te è carente.» Mi premetti una mano sulla bocca. Sorrise. «Mi piace la tua sincerità. Dovresti dire più spesso ciò che pensi.» «Dubito che sia una buona idea.» «Non sono d'accordo» mi tenne testa tranquillo, posando il bicchiere. «Puoi anche non voler giocare nessun ruolo» aggiunse, usando le mie parole di poco prima, «però lo fai.» Si chinò verso di me e mi sussurrò all'orecchio. «E allora giochiamo.» 21


Deglutii a fatica. «C... che gioco?» «Quello della sincerità. Cominciamo con qualcosa di facile. Io ti farò una domanda, e tu risponderai. In modo veloce e sincero. Senza pensare.» Aprii la bocca per protestare, ma mi interruppe con la prima domanda. «Ti rendo ancora nervosa?» «Non come prima.» Veloce e sincera. Facile. L'espressione del suo volto mi indusse a credere di aver dato la risposta sbagliata. «Un vero peccato.» Passò un polpastrello sulla condensa formatasi sul mio bicchiere, poi me lo lasciò scivolare lentamente su un ginocchio. Sussultai. «Dimmi un numero, Lana.» «Se... sei» balbettai un po'. «Caldo o freddo?» «Caldo.» Risposi all'istante, senza bisogno di pensare, fu il mio corpo a parlare. Il suo dito poteva anche essere freddo, ma lasciò una scia rovente sulla mia pelle. «Bene. Con i numeri posso lavorare, con il freddo no.» Le sue parole mi toccarono. Sembrava quasi che gli importasse, che mi capisse, in un modo bizzarro che mi consentiva di sentirmi calma e controllata, pur essendo allo stesso tempo in fiamme. I numeri gli servivano per tener conto dei miei limiti. Ma perché non avrebbe potuto lavorare con il freddo? Quell'affermazione parlava di lui, del genere di uomo che era. Uno cui non interessava spaventare una donna. Mettere alla prova i suoi limiti forse, ma non spaventarla. Ne fui certa. Restava una sorta di eroe ribelle e sco22


nosciuto apparso dal nulla, ma non era crudele. Ero capace di riconoscere gli uomini crudeli, e Jack non lo era. Era duro, intenso e cupo, ma non in un modo che mi spaventasse. Al contrario, il suo atteggiamento suscitava la mia curiosità e mi faceva salire la pressione. «Hai detto che c'era un uomo, qualcuno che appartiene al tuo passato e che non volevi rivedere. È ancora qui?» Mi guardai intorno e non vidi Brock, ma ebbi l'impressione che fosse ancora lì. In agguato. Un brivido violento mi scosse, presi il mio bicchiere per bere un altro sorso di vodka, ma lo trovai vuoto. «Non ne sono sicura.» Senza pensare a niente, al di fuori del desiderio di un'altra dose di coraggio liquido, presi il bourbon di Jack e lo finii. «Attenta» mi ammonì. Feci una smorfia, perché il liquore bruciava, ma riuscì ad attenuare il dolore nel petto, che ormai era diventato un elemento permanente. Per me quel vuoto era vitale come cuore e polmoni, la voragine che si nutriva della mia insicurezza e diventava ogni giorno più profonda. La ragione per cui non mi capitava di uscire spesso con un uomo. Per la verità, al college avevo avuto un solo ragazzo e non pensavo che i miei tentativi di avere rapporti con Andy contassero, dal momento che ero andata nel panico ogni volta che ci avevamo provato. Brock mi aveva rovinata, e i pochi tentativi di intimità con Andy mi avevano convinta che non ne valesse la pena. Guardai Jack. Non ne valeva la pena? Allora perché tutto il mio corpo stava gridando? Perché reagivo alla sua presenza come non avevo mai rea23


gito con nessun altro? Era come se fosse arrivato qualcuno che aveva premuto un interruttore, accendendo tutto ciò di cui io non sospettavo nemmeno l'esistenza, come il desiderio. Era così che si sentiva la tatuata? Era così che si sentiva una donna normale? Avrei voluto esplorare quelle sensazioni, ma non avevo idea di cosa fare, cosa sentire, come comportarmi. Erano bastati un incontro e pochi momenti per sentirmi a mio agio con Jack, cosa che non mi capitava mai, quando incontravo qualcuno. All'inferno, non mi capitava nemmeno quando conoscevo qualcuno da anni. «Penso che ne prenderò un altro» annunciai, la voce tremante. Feci per prendere il portafogli, ma Jack posò la mano sulla mia. «Te lo prendo io.» Gli bastò guardare verso il bancone, alzare il mento, e per magia i nostri drink furono portati al tavolo a tempo di record. Dopo aver posato sul tavolo un'altra vodka all'ananas e soda, Angel si rivolse deliberatamente a Jack e gli comunicò: «Finisco di lavorare alle due». Poi gli strizzò l'occhio e si allontanò. Una vampata di gelosia mi pervase. «Mi sembra un'offerta interessante» commentai, sorseggiando la vodka. «Devo essermela persa, perché non ho sentito nessuna offerta.» Scoppiai a ridere. «So che non sei così ottuso. Ti ha appena...» «So bene cosa stava facendo.» Lui si spostò in modo che il suo ginocchio socchiudesse le mie gambe. Al contatto tra il tessuto denim di marca e la mia pelle un lampo di desiderio risalì fino in mezzo alle mie cosce. 24


«In questo momento sono occupato.» Un sorrisetto sfiorò le labbra troppo perfette. «Mi ritrovo coinvolto in un gioco che non sono pronto a lasciare.» Trassi un respiro profondo, cercando di aggrapparmi a tutta l'audacia che possedevo. «Tutti i giochi finiscono, prima o poi.» «Giusto.» «E ci sono sempre un vincitore e un perdente.» Annuì. Cercando di attingere alla sua energia, e grazie all'aiuto dell'alcol, toccò a me protendermi di qualche centimetro verso di lui. La scintilla dentro di me lampeggiò più intensa. «Da un punto di vista prettamente statistico, sarebbe più saggio scommettere su una cosa sicura» dichiarai, guardando Angel, tornata dietro il bancone. Poi tornai a fissare Jack. «Perché a me non interessa perdere nessun gioco.» Per un attimo sul suo volto colsi rispetto e un'espressione cupa. «E io che pensavo di rischiare di perdere me stesso.» Il suo tono dolce e profondo mi colpì allo stomaco, inducendomi a credere che potesse essere interessato a me. Più che interessato. E io ero più che interessata a prenderlo sul serio. Ma c'erano ancora troppe incognite, perché fosse possibile. «Che effetto ti faccio?» Mi guardò perplesso, e chiarii. «Tu mi rendi nervosa. E io, che effetto ti faccio?» «Sono incantato.» L'aria mi rimase intrappolata in gola. Aveva risposto senza esitazioni. Se quello era il gioco che mi aveva proposto e stava giocando secondo le sue regole, potevo solo sperare che fosse sincero. 25


Determinata a dire ciò che pensavo, decisi di provare. Cosa mi aveva detto Jack? Se volevo porre una domanda, non dovevo trattenermi. Il modo in cui mi guardava, le sopracciglia abbassate per la concentrazione, gli occhi scuri fissi sul mio viso, facendomi sentire più vista e più viva di quanto mi fossi mai sentita, mi spronava a voler sapere. «A cosa stai pensando in questo momento?» Senza smettere di fissarmi, lui rispose: «A che sapore hai». Dischiusi le labbra, e fu allora che scorsi Brock, in fondo al bancone dall'altra parte della sala. Il suo sguardo incontrò il mio e, per un momento agghiacciante, il tempo parve rimanere sospeso, e io sentii che tutto ciò che c'era di bello e caldo si scioglieva, per trasformarsi in una palla di panico in fondo al mio stomaco. Non potevo farcela, non quella sera, non sotto lo stesso tetto con lui. «Devo andare» annunciai, afferrando il cellulare. mentre cercavo a tastoni la borsa. Jack rimase seduto e tornò a farmi da muro con il proprio corpo, ma era chiaro che il mio improvviso cambio di umore lo aveva sorpreso. «Va bene» pronunciò, calmo. «Posso accompagnarti a casa?» Scossi la testa. «Non è necessario» rifiutai. «Una mia amica passerà a prendermi tra una mezz'ora.» Trenta lunghissimi minuti, che non potevo certo trascorrere là dentro, aspettando, in preda al panico, che Brock mi raggiungesse. Soprattutto dopo che mi aveva vista. Dovevo andarmene. Subito. Jack si alzò per primo, poi io feci altrettanto. Be', di26


ciamo che ci provai e che tra l'alcol e la tensione nervosa barcollai un po'. Lo guardai, e lui mi posò le mani sotto i polsi, mentre riprendevo l'equilibrio. «Perché prima non bevi un po' d'acqua?» «No, devo andare.» Quindi schizzai verso l'uscita.

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Lasciati prendere di Lynda Aicher I PADRONI DEL PIACERE - Esiste un luogo dove tutto è possibile... Quando la vita e l'amicizia che lega i proprietari del Den, il noto club sadomaso di Minneapolis, piombano nel caos, l'avvocato Noah Bakker si mette in prima linea per affrontarne le conseguenze. Non ha un rapporto da dominatore da molto tempo ormai, né ha più partecipato a un incontro da quando una tragedia ha cambiato la sua vita quattro anni prima. Ma, essendo uno dei soci, non può scomparire come vorrebbe, soprattutto in quel momento. Proprio nel bel mezzo del caos più completo, si ritrova attratto dall'ingenua Liv Delcour. Lei, fino a poco tempo prima, non aveva la minima idea di ciò che avveniva dietro le porte chiuse del Den, ma ora che i segreti sono stati svelati è più curiosa che scioccata.

Stanotte con te di Joya Ryan Lui le darà tutto quello che ha sempre desiderato... La sicurezza che Jack Powell emana è pari solo alla sua virilità. Un'aurea di mistero che gli deriva da anni di segreti taciuti e ricordi che preferirebbe dimenticare. Lana Case ha un'innocenza che lo attira come un'ape al miele e, per questo, vuole assaggiarla almeno una volta. Lei è come una luce che rischiara il suo mondo fatto di tenebre e oltretutto sembra aver bisogno del suo aiuto per arginare la famiglia. L'unica regola? È lui a dettare le regole. Lana ha deciso di lasciarsi coinvolgere da Jack, lasciandogli il completo controllo di tutto, sebbene sia più che decisa a non svelargli il segreto che nasconde. Inaspettatamente, però, il passato di Lana li raggiunge e lei si ritrova catapultata all'età di tredici anni.


ritorna a LUGLIO con 4 romanzi intensi e passionali delle autrici pi첫 amate e apprezzate. PREPARATI A UNA LETTURA... INCANDESCENTE! IN USCITA DAL 28 LUGLIO


Creature fantastiche, ironia, superpoteri… Poteva forse finire così? Un nuovo esilarante appuntamento con la serie MONSTER PARADISE! “R. L. Naquin ha tutto! Uno stile impeccabile, un’immaginazione oltre ogni limite… fantastica.” Amazon Reviews

Un mistero si cela dietro a un oscuro delitto… Un fantasma può commettere un omicidio? L’ombra di Jack lo Squartatore si cela nel buio. Terzo appuntamento con la serie Krewe of Hunters. “Coinvolgente, realistico, accattivante.”

Goodreads Reviews

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QUESTO MESE 4 IMPERDIBILI TITOLI

Inghilterra, 1851 - Oscuri segreti, una passione inarrestabile. Preparatevi per il primo appuntamento con gli irresistibili libertini di St. James.

Londra, 1842 - Un titolo da salvare, una gentildonna da conquistare. Nicholas Smithfield deve fare tutto ciò che è in suo potere per salvare la propria reputazione...

Inghilterra, 1829 - Un tradimento, un mistero, un futuro da ricostruire. Un titolo nobiliare può bastare per conquistare il cuore di chi ami?

Inghilterra, 1824 - Le rigide regole del ton, il senso dell’onore, una passione senza limiti. Il primo appuntamento con Amori a Willowmere vi aspetta.

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IL RITORNO DEI MONTORO CHI SALIRÀ SUL TRONO DELL’ISOLA DI ALMA? DOPO OLTRE MEZZO SECOLO UN MONTORO SARÀ DI NUOVO RE.

“Una nuova saga familiare intensa e affascinante. Da cinque stelle.” Amazon Reviews

Un’intrigante serie che vi terrà compagnia fino a settembre… non perdete nemmeno un appuntamento!

In edicola e sul nostro store dal 24 maggio www.harpercollins.it – Seguici su


Questo volume è stato stampato nell'aprile 2016 da Grafica Veneta S.p.A. - Trebaseleghe (Pd)


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