Stirpe reale

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Leanne Banks

Stirpe reale


Titoli originali delle edizioni in lingua inglese: The Prince's Texas Bride How to Catch a Prince Harlequin Special Edition © 2011 Leanne Banks © 2013 Leanne Banks Traduzioni di Daniela Alidori e Alessandra Canovi Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Books S.A. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. Harmony è un marchio registrato di proprietà HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved. © 2012 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prime edizioni Harmony Serie Jolly luglio 2012 - marzo 2014 Questa edizione myLit novembre 2017 Questo volume è stato stampato nell'ottobre 2017 da CPI Moravia Books MYLIT ISSN 2282 - 3549 Periodico mensile n. 51 dello 02/11/2017 Direttore responsabile: Chiara Scaglioni Registrazione Tribunale di Milano n. 162 del 31/05/2013 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - Via Mondadori, 1 - 20090 Segrate (MI) Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 045.8884400 HarperCollins Italia S.p.A. Viale Monte Nero 84 - 20135 Milano


Inchino reale



Prologo

Eve Jackson era seduta nel cortile del palazzo e annegava nell'intenso profumo dei fiori e della brezza dell'oceano, mentre rifletteva se accettare l'offerta che aveva appena ricevuto dal rappresentante ufficiale della Casa Reale di Devereaux. Non era sicura di essere adatta come responsabile delle scuderie reali. Certo, veniva dal Texas ed era stata abituata a dire sì, signore, no, signore, ma la sola idea di inchinarsi davanti ai principi la faceva ridere. Tuttavia un lavoro che le piaceva, in più ben retribuito, era un richiamo troppo allettante. Il suo attuale impiego come manager per un'importante catena alberghiera la annoiava così tanto che spesso era stata tentata di mollare. Addestrare i cavalli era sempre stato il suo sogno, ma quando si era trattato di decidere aveva optato per un diploma che le desse maggiori opportunità. Veniva da una famiglia così povera che aveva trascorso la maggior parte dell'adolescenza a casa di una zia... Hildie. Proprio per quello, si domandava se sarebbe stata felice in una cultura diversa, ben lontana da quella rurale del Texas dove era nata. E poi c'era un'altra cosa che la preoccupava... In quel momento, avvertì una presenza e si accorse di non essere più sola. Si guardò intorno e vi7


de il Principe Stefan Devereaux, alto, lineamenti cesellati che neppure la luce opalescente della luna riusciva ad ammorbidire, che la osservava a pochi passi di distanza. Accidenti, pensò cercando di ricordare cosa prevedeva il rigido protocollo come saluto al sovrano di Chantaine. Si alzò perché immaginava di non dover rimanere seduta. Doveva essere lui a parlare per primo? Sembrava scortese restare immobile a fissarlo. «Sua Altezza...» disse. «Come sta?» Le labbra di lui si curvarono mentre si avvicinava. «Bene, grazie, signorina Jackson. Spero che le piaccia il mio paese.» «È bello» rispose. «Solo molto più piccolo del Texas. Non che ci sia qualcosa di male in questo» si affrettò ad aggiungere, nel caso lo giudicasse un insulto. «Sono vere entrambe le osservazioni. Il mio segretario mi ha riferito che non ha ancora risposto alla nostra, ultima offerta. Le condizioni sono generose. Perché non ha accettato?» Esigente e diretto, rifletté lei, ma ne aveva il diritto. Era la terza proposta che le facevano e il palazzo stava pagando il suo soggiorno in Chantaine. Eve aveva incontrato il Principe Stefan Devereaux in altre due occasioni. Entrambe le volte, l'aveva stupita. Da quello che le aveva raccontato la sorella Tina, Eve aveva avuto l'impressione che fosse un tipo arrogante. E lo era. Per lo stesso motivo, si era aspettata che fosse prepotente e affettato. Invece non era né l'uno, né l'altro. «Non si sente a suo agio all'idea di vivere così lontano da casa?» le chiese e, dopo un attimo di esitazione, aggiunse: «Credevo amasse l'avventura». Lei sollevò il mento a quella sfida sottintesa. 8


«Be', si tratta di un grande cambiamento. Devo essere sicura che sia quello giusto.» «Non ha né marito, né figli. È giovane e libera. Cosa la trattiene?» La studiò per un lungo istante. «Se non ha intenzione di accettare, abbiamo bisogno di saperlo per tempo. Devo trovare un sostituto. I miei cavalli meritano delle cure adeguate.» «Il suo è un paese bellissimo. E io voglio lavorare con i suoi cavalli» dichiarò e decise di essere sincera fino in fondo. «Ho una sola perplessità. Non sono brava negli inchini ed è molto probabile che faccia confusione su come rivolgermi a lei e agli altri.» «Niente inchini, se non in alcune cerimonie ufficiali. Quando siamo soli, può chiamarmi Stefan e darmi del tu. In pubblico, sono Sua Altezza. Tutto qui. È piuttosto semplice» concluse liquidando la faccenda. «C'è altro?» «Ho dei dubbi sui ruoli. Chi è il mio capo? Il suo segretario o lei?» «Io» tagliò corto, deciso. «Se ha delle domande, può rivolgersi direttamente a me, se sono disponibile. Qualcos'altro?» chiese con una leggera nota d'impazienza nella voce. «Un'ultima cosa» disse preparandosi a un rifiuto. «Se decidesse di licenziarmi, voglio sei mesi di stipendio e il volo aereo di ritorno negli Stati Uniti pagato.» Sua Altezza sbatté le palpebre. «Perché una simile richiesta?» «Cos'è successo al suo ultimo responsabile delle scuderie?» «È stato licenziato perché non svolgeva bene il suo lavoro» rispose Stefan. «E quello prima?» «Licenziato per negligenza.» Stefan strinse gli occhi. «Sta insinuando che sono un datore di lavoro difficile?» 9


«Sto insinuando che quando si tratta di cavalli di razza, uomini di potere e donne ostinate, le persone possono diventare... ingestibili.» Le labbra di Stefan si curvarono per la seconda volta. «Lo prenderò come un complimento. Accetto le sue condizioni, se lei accetterà le mie. Dovrà trasferirsi a Chantaine nel giro di due settimane.»

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Era il secondo giorno di lezione di comportamento a palazzo ed Eve era già annoiata. «Deve attendere che Sua Altezza Reale le rivolga la parola per primo. E che le tenda la mano. Se porta dei guanti, deve toglierli per salutarlo» recitò in tono monotono l'anziano segretario. «Si alzi, appena un componente della famiglia reale entra nella stanza. Non volti mai la schiena...» «Oh, Jonathan, dai un po' di tregua alla poveretta» sbottò una giovane donna alle sue spalle. Eve si girò di scatto e riconobbe la Principessa Bridget che aveva conosciuto durante la precedente visita a Chantaine, una giovane donna della sua età. Si alzò immediatamente e abbozzò un goffo inchino. La Principessa liquidò quel gesto con un cenno della mano e agitò la massa di capelli castani. «La prego, no. Vuole unirsi a me per pranzo? Ho bisogno di una pausa dalle mie mansioni reali» spiegò. «Possiamo parlare dei reality show americani.» «Sua Altezza» disse Eve sforzandosi di seguire le regole che le erano appena state impartite. «Basta, basta» tagliò corto Bridget, prendendole la mano e tirandola via. «E guai a te se osi chiamarmi Signora. Ti prego, sono Bridget e dammi del tu, almeno 11


quando siamo in privato. Dimentica quello che hai imparato oggi e diventiamo amiche. Ringraziando il cielo, abbiamo un'americana tra noi e voglio approfittarne.» Eve provò un misto di sollievo per essere stata liberata dalla rigida etichetta di corte, ma anche un po' di ansia. «Non guardo i reality in televisione.» «Bene, sono sicura che troveremo qualche altro argomento di conversazione. Sai, da quando Tina è rimasta incinta e se n'è andata, sono io che devo presenziare alla maggior parte delle cerimonie pubbliche.» Bridget si interruppe e guardò Eve negli occhi. «Detesto il protocollo. Tina era stata allevata per quel genere di cose. Io no.» «Cosa non ti piace?» chiese Eve. Bridget inarcò le sopracciglia in un cipiglio pensieroso. «In realtà non lo so. Sono stata scelta per quel ruolo proprio quando mi stavo divertendo in Italia.» Eve annuì. «Anch'io odiavo il mio ultimo lavoro, ma mi pagavano bene. Da allora, ho capito che nella vita è un lusso avere la possibilità di fare qualcosa che appassiona.» Bridget trasalì. «Che profondità di pensiero. E io che speravo che saresti stata una ribelle.» Eve ridacchiò. «Sono una ribelle. Cerco solo di essere educata.» «Mmh» mormorò Bridget. «Forse, posso imparare da te. Festeggeremo il tuo arrivo bevendo champagne per pranzo. Se lo scopre Stefan, diventerà livido di rabbia. Adoro farlo innervosire.» «Niente champagne per me. Non voglio iniziare facendo arrabbiare il mio capo.» Bridget sospirò. «Hai ragione. Rischieresti un licenziamento sui due piedi. Vino?» «Acqua, per favore» rispose Eve pensando che doveva 12


assolutamente mantenersi sobria con quei Devereaux. Bridget la scortò su una terrazza che si affacciava sui giardini fioriti del palazzo, intorno, distese di prati verdi che giungevano fino alle spiagge bianche con l'acqua di una gradazione incredibile di azzurro, e alle spalle, schiere di montagne rocciose. «Che vista meravigliosa» si complimentò Eve, rapita dallo spettacolo. Bridget annuì. «Sì, ma può essere limitante vivere circondati da tanta acqua. Non c'è via di uscita» dichiarò mentre un domestico riempiva di acqua i bicchieri. «Grazie, Claire. Portaci anche una bella bottiglia di Chardonnay. Ti vanno bene pollo arrosto e insalata verde?» si informò rivolgendosi a Eve. «Perfetto, grazie» rispose Eve soffocando una risata al pensiero che se fosse stata al Logan Ranch probabilmente si sarebbe dovuta accontentare di pane e burro di arachidi durante la pausa. Bridget la guardò. «Quali sono i tuoi interessi? A parte i cavalli. Ti piace fare shopping? E la musica? L'arte?» «Sì, alla musica e all'arte. Per quanto riguarda lo shopping sono più volubile. Con il mio nuovo lavoro qui, immagino che all'inizio sarò piuttosto impegnata. E tu? Ci sono dei periodi in cui sei più occupata?» «Mi sembra che siano tutti ugualmente impegnativi da quando Tina se n'è andata, ma sto convincendo l'altra mia sorella e mio fratello a partecipare più spesso alle cerimonie pubbliche. Continuo a tormentare Stefan per avere una vacanza, ma ha paura che, se mi lasciasse uscire dall'isola, non tornerei più» dichiarò con una risata. «Mi scuso per l'ignoranza, ma ci sono dei musei a Chantaine?» «Due» rispose Bridget senza nascondere la disapprovazione. «Ho cercato di convincere Stefan a crearne 13


di nuovi, ma lui insiste che il parlamento e il popolo si lamenterebbero, poiché stiamo vivendo una grave crisi finanziaria.» Eve annuì. «Forse, i cittadini accetterebbero di più un museo per bambini» rifletté ad alta voce. Bridget la fissò per un momento. «Bella idea. Se sei così brillante su tutto, non mi meraviglio che Stefan abbia voluto assumerti. E hai ragione. Sarai piuttosto impegnata con il lavoro. Mi sono ricordata che c'è una parata tra tre settimane. I cavalli sono bardati a festa e montati dai migliori cavalieri del paese.» A Eve andò di traverso l'acqua e cominciò a tossire. «Tre settimane?» ripeté. Bridget annuì. «Sì, e temo che i cavalli non siano pronti.» Fece spallucce. «Detesto l'immagine del Conte Christo disarcionato di sella. Ha ottantadue anni. Un uomo gentile, anche se un po' pazzo. Insiste nel portare un frustino durante la sfilata.» Eve sentì il cuore che crollava. «Un frustino?» domandò allibita. «Un frustino» ripeté, in tono più alto. «Non l'ha mai usato. Davvero» la rassicurò Bridget. «Ma lo porta» ribadì Eve in preda allo sconforto. Aveva appreso l'inutilità del frustino anni addietro. «È anziano» bisbigliò Bridget. «Gli dà una sensazione di controllo.» Eve trasse un profondo respiro e strinse i pugni in grembo. Più di ogni altra cosa, aveva voglia di precipitarsi nelle scuderie e cominciare ad addestrare i cavalli, invece di seguire quelle ridicole lezioni di protocollo. Non voleva perdere un secondo di più. Purtroppo, guardando Bridget, capì che era impossibile. Doveva resistere e portare a termine quel pranzo. Quattro ore dopo, saltata la sessione pomeridiana di 14


comportamento, iniziò a lavorare con il terzo purosangue della scuderia di corte. Era una giumenta dal mantello dorato, con la criniera e la coda bianca, che non era abituata a essere montata spesso. Come tutti quei cavalli, pensò in preda alla collera. I cavalli dovevano muoversi almeno una volta al giorno, se si voleva tenerli in forma. Ed era assolutamente bandito l'uso del frustino, rifletté mentre riportava la cavalla nel suo box e si recava nell'edificio separato che ospitava gli stalloni. Black era arabo ed era il più difficile da gestire. Avrebbe cominciato con lui la mattina successiva, decise osservandolo mentre si agitava inquieto. Udì dei passi che si avvicinavano e anche prima di voltarsi, le sue terminazioni nervose la avvisarono che aveva visite importanti. Girandosi, vide la figura alta e forte di Stefan. Emanava un'energia che le rammentava quella dello stallone. Indossava pantaloni da equitazione neri e una camicia allacciata a metà. Il suo sguardo era intenso. «Sono l'unico che monta Black» la avvisò. Eve rifiutò di lasciarsi intimidire. Adesso, quello era il suo lavoro. «Quante volte lo monta?» «Due o tre la settimana» rispose. «Non basta. Guardi com'è nervoso.» «Perché è uno stallone» sentenziò Stefan. «Sta criticando il trattamento che riservo ai miei cavalli?» «È per quello che mi ha assunta.» La bocca di Stefan abbozzò un sorriso. «Con Black faremo a modo mio.» «Per una settimana» gli concesse. «Poi, se è ancora agitato, dovrà essere montato più spesso e sarò io a farlo personalmente.» Stefan ridacchiò. «Lei?» Scosse la testa. «È impossibile da tenere per una donna. Era difficile anche per i due precedenti stallieri.» 15


«Vedremo» si accalorò, sicura di riuscirci. Non era altrettanto sicura di riuscire a gestire Stefan. Lo studiò mentre si avvicinava allo stallone. Il cavallo sembrò calmarsi immediatamente. Stefan lo sellò, lo condusse fuori dal box, salì e partì al galoppo. Alla vista dell'uomo e del cavallo che si allontanavano, dei fremiti le salirono lungo le braccia. Si intuiva un legame quasi mistico tra i due e non sarebbe stato facile intromettersi. D'altro canto, Stefan era un uomo importante e aveva parecchi doveri da assolvere. Come poteva montare lo stallone tutti i giorni? Perciò, prima o poi, le avrebbe chiesto di sostituirlo in sella a Black. E lei sarebbe stata pronta... Esattamente una settimana dopo, Stefan entrò nel box vuoto del suo pluridecorato stallone e provò una fitta di allarme. Dov'è finito Black? Qualcuno l'ha fatto uscire? È scappato? Di colpo capì e l'allarme si tramutò in collera. Eve aveva portato Black a fare un giro. Aveva volontariamente sfidato i suoi ordini. Era uscito da palazzo più tardi del solito quella sera, però lei non avrebbe dovuto ignorare le sue direttive. Camminò avanti e indietro per tutta la lunghezza della stalla, la rabbia che aumentava a ogni passo. Udendo un rumore di zoccoli sul selciato, si precipitò fuori e fissò allibito Eve che scendeva di sella e accompagnava lo stallone nel recinto per farlo raffreddare. Black le trottava accanto docile come un agnellino, mentre lei gli parlava con voce bassa e suadente. Quando si avvicinò, Black alzò la testa di scatto, captando l'odore del padrone. Drizzò le orecchie ed esalò un piccolo nitrito prima di staccarsi da Eve e andare verso di lui. Stefan provò una certa soddisfazione notando che 16


Black l'aveva abbandonata così facilmente. «Eccoti» mormorò Stefan accarezzandogli la gola. «Mi sei mancato.» Eve, coi capelli scarmigliati, le ciocche che sfuggivano dalla lunga treccia sulla schiena, tenne le mani sui fianchi, il volto impassibile. «Mi sembrava di averti proibito di montarlo» cominciò Stefan con voce deliberatamente gentile, mentre continuava a lisciare il manto del cavallo. «E io ti ho risposto che aveva bisogno di essere mosso con maggiore frequenza» ribatté. «Questa settimana ti sei presentato solo due volte» gli rammentò, passando al tu. «Era così inquieto che è un miracolo che non abbia scardinato le pareti del suo box.» «Ho l'impressione che tu non capisca. Non devi montare Black» ribadì secco. Lei incrociò il suo sguardo. «Però, ti aspetti che mi occupi della sua dieta, del suo benessere...» «Sì» la interruppe, sollevato che quella donna impertinente cominciasse a comprendere chi comandava. Eve fece segno di sì con la testa. «Okay. Mi licenzio.» E si girò per andarsene. Stefan la fissò scioccato. «Al diavolo» sibilò tra i denti. «Non puoi andartene.» Lei lo guardò da dietro la spalla, senza voltarsi del tutto. «Certo che posso. Io e te eravamo d'accordo che mi sarei occupata delle scuderie. L'incarico include Black. Se hai intenzione di interferire...» «Interferire» ripeté lui, allibito per la mancanza di rispetto. «Come datore di lavoro, è mio diritto essere o non essere d'accordo su come svolgi il tuo incarico, soprattutto con Black...» «La tua insistenza è ridicola» lo interruppe. Pochi avevano l'ardire di togliergli la parola. «Sei il sovrano di un 17


paese, per l'amor del cielo. Hai degli obblighi e delle responsabilità che ti impegnano molto.» «Non ho bisogno che sia tu a informarmi dei miei doveri. Mi ritaglio il tempo per Black. Ed è importante sia per me, che per lui» ribadì rivelando un suo punto debole. Lei lo fissò per un lungo istante. «Allora, stiamo parlando del tuo ego e di come una cavalcata a mezzanotte ti impedisca di impazzire tra tutti gli impegni di palazzo?» gli domandò dolcemente. Fu come se l'avesse schiaffeggiato. Che diritto aveva di giudicarlo? Le galoppate con Black erano gli unici momenti in cui si sentiva completamente libero. «Non voglio toglierti il piacere di cavalcare. Sto solo tentando di essere realista. È un purosangue, intelligente e veloce» dichiarò Eve. «È pieno di energia e se non si muove abbastanza, è infelice. Non credo che tu voglia questo per lui.» Stefan strinse la mascella, poi inspirò velocemente. «Come hai fatto? Nessuno era stato capace di carezzarlo, tranne me.» Lei piegò le labbra in un sorriso che gli procurò un languore allo stomaco. «È un mio segreto» disse evasiva, poi aggiunse piano: «Sussurro ai cavalli... Comunque, fammi sapere quando avrai preso la decisione. Meglio se entro domattina, così salirò sul primo volo per il Texas». Appena accennò a voltarsi, Stefan la afferrò per un polso. «Monta pure Black, ma a tuo rischio e pericolo. Ti comunicherò in quali sere lo cavalcherò io.» Lei lo studiò con attenzione. «Allora, sai anche essere ragionevole» mormorò. Le labbra di Stefan si sollevarono divertite, nonostante fosse ancora irritato con lei. Guardandola, lesse un misto di compassione e sfida in quegli occhi scuri. La sua bocca era piegata come se si stesse sforzando di trattenere 18


una risata. Le teneva ancora il polso e la pelle era morbida, in contrasto con il carattere volitivo. Che strana miscela di donna, rifletté tra sé. Si domandò come fosse a letto. Come avrebbe reagito se l'avesse baciata. Una visione bollente di lei nuda gli apparve davanti, seguita da un'ondata di desiderio che lo colse alla sprovvista, lasciandolo senza fiato. Eve non era il suo tipo. Era polemica. Non capiva niente degli affari di palazzo. Per l'amor del cielo, lavorava in una stalla. Eppure, anche nei suoi occhi vide comparire lo stesso desiderio. Eve ritrasse la mano. «Okay. Mi sarebbe di grande aiuto se potessi avvisarmi entro le otto di sera se vieni o no.» «Aspettare fino a quell'ora ti rovinerebbe tutte le serate» le fece notare. «Non ho molto altro da fare. Vedi, devo preparare i cavalli per la parata della quale non ero stata avvertita» lo informò in tono ironico. «Era per quello che ti ho chiesto di trasferirti qui in fretta» le spiegò. «Sarebbe stato carino dirmelo con un certo anticipo» insistette lei. «Avrebbe fatto qualche differenza?» «Immagino di no. Solo avrei saltato quelle noiosissime lezioni di comportamento.» «Mi è stato detto che non ti sei presentata alle sessioni pomeridiane» puntualizzò Stefan. «Vero» confermò. «Appena la Principessa Bridget mi ha annunciato che ci sarebbe stata una sfilata con un pazzo stravagante che brandisce un frustino...» «Il conte Christo è un tipo eccentrico, ma non lo definirei pazzo» la ammonì Stefan. «È un riverito membro dell'alta società di Chantaine.» «Non mi importa. Sappi sin da ora che non porterà il 19


frustino durante il corteo.» «Eve» la pregò. Lei agitò una mano per liquidare l'argomento. «Manca una settimana e mezzo. Non si preoccupi, Sua Nobiltà» disse con un lampo negli occhi. «Sua Nobiltà?» ripeté lui. «È così che mia zia Hildie chiama Tina. E ora, se vuoi scusarmi, vado a dormire. Sogni d'oro.» Il giorno successivo, mentre sbocconcellava un panino in ufficio, Eve rifletté sulla possibilità di dare un compagno a Black. Lo stallone conduceva una vita così solitaria che sarebbe stato contento di avere un castrato come amico, o forse una capretta. «Ecco dove sei!» esclamò Bridget sulla soglia, in abito corto e tacchi dodici. Entrò nella stanza senza essere invitata, agitando un dito in segno di disapprovazione. «Nell'ultima settimana sei sparita. Ero sicura che fossi tornata in Texas finché non ho sentito uno dello staff parlare di quanto ti alzavi presto al mattino e di quanto tardi rientravi la sera. Se vai avanti così, ti ammazzerai di fatica ancora prima di cominciare e Tina avrà tutte le nostre teste. Questa situazione deve cambiare.» Malgrado la propensione di Bridget a esagerare, Eve doveva ammettere che era vero. Era stata così impegnata con i cavalli che non aveva avuto tempo di scambiare due chiacchiere con nessuno e, sarebbe morta piuttosto che ammetterlo, aveva nostalgia di casa. «Sto bene, non ti preoccupare» ribadì Eve posando il panino. «Devo solo arrivare alla fine della parata, la settimana prossima.» «È inaccettabile. Sono sicura che non ti sei concessa neppure un giorno di pausa da quando sei arrivata» sentenziò Bridget. «Oggi pomeriggio verrai a fare shopping 20


con me» dichiarò con un tono principesco che non ammetteva repliche. Eve scosse la testa. «È carino da parte tua e ne sono onorata, ma non è possibile. Ho una tabella di marcia da rispettare e non posso permettermi di essere in ritardo sui tempi.» Bridget arricciò il naso. «Non c'è bisogno di tanta preparazione. Selliamo un cavallo e sfiliamo.» «E tutto è sempre filato liscio?» chiese Eve conoscendo già la risposta. «Sì... be', c'è stato qualche problema ogni tanto. Uno degli stalloni ha disarcionato il cavaliere. Un altro si è impennato di colpo rifiutandosi di proseguire... Come dargli torto? Era una giornata torrida e il capo cerimoniere si era dilungato un po' troppo. Credo, però, che tu abbia ragione. Ti auguro buona fortuna. Non hai un compito facile.» Bridget sospirò. «Bene, se non vuoi venire a fare shopping con me, allora devi almeno unirti a noi per cena. È una serata in famiglia. Stefan ci impone di cenare insieme una volta alla settimana da quando Jacques è tornato dall'università. Ci saranno anche lui e Phillipa.» Eve scosse la testa. «Non faccio parte della famiglia. Sarei un'intrusa.» Si sarebbe sentita fuori posto a una tavola reale. «Nessuna intrusione» ribadì Bridget. «Inoltre, fai quasi parte della famiglia per via del tuo legame con Tina.» «Grazie, ma...» «Non accetterò un rifiuto. Devi mangiare. Perciò puoi farlo con noi. Sempre meglio di quel panino» sentenziò indicando il pranzo di Eve con una smorfia di disgusto. «Se non verrai, lo dirò a Tina e, credimi, ne verrà fuori un affare di stato.» Eve si rese conto di non potersi esimere. «Se insisti» mormorò. 21


«Insisto» ribadì Bridget con un sorriso soddisfatto. «Ceneremo alle sette, al terzo piano. È una saletta piccola e accogliente» spiegò prima di girarsi per andarsene. «Bridget» la bloccò Eve. Santo cielo, quella donna si muoveva veloce come il vento malgrado i tacchi vertiginosi. «Come devo vestirmi?» Bridget la guardò da sopra la spalla. «Oh, non è una cena formale. Un abito qualsiasi andrà bene.» Eve si era portata pochi vestiti perché pensava di passare la maggior parte del tempo con i cavalli. Optò per un tubino nero e si sciolse la treccia. Ma quando si guardò allo specchio, trasalì. Si era sempre curata molto, ma a palazzo era stata talmente assorbita dal lavoro che si era lasciata andare. Le unghie erano spezzate, i capelli in disordine, le labbra screpolate e sotto gli occhi aveva degli orribili cerchi violacei. «Per fortuna, esiste il correttore» mormorò tra sé, nervosa per la cena che la aspettava. Non si era mai seduta a una tavola reale, però la zia Hildie le aveva insegnato le buone maniere. Ma era la prospettiva di trovarsi di fronte Stefan che la turbava. Terminò di vestirsi e si incamminò verso l'ingresso principale del palazzo. Una guardia la autorizzò a entrare e lei salì i gradini di marmo fino al terzo piano e percorse il lungo corridoio fino a una porta aperta da dove provenivano delle voci, tra cui riconobbe quella di Bridget. Spiò dalla soglia. Un tavolo rotondo troneggiava in mezzo alla stanza, già preparato con una tovaglia bianca, bicchieri di cristallo, posate d'argento e piatti di porcellana. L'eleganza e il lusso le rammentarono la differenza tra le sue origini e quelle della famiglia Devereaux. I suoi genitori avevano cambiato spesso casa per sfuggire a 22


quelli che venivano a riscuotere i debiti e lei non era mai rimasta in un posto abbastanza a lungo per stringere delle amicizie. Un'ondata di ricordi la invase... quando andava a scuola con i buchi nei maglioni e non sopportava gli sguardi di derisione delle compagne di classe. Lo stomaco si strinse. Cosa ci faceva lì? Trasse un profondo respiro e, per scacciare il panico, si concentrò sui presenti. Bridget, Phillipa e Jacques. «L'obiettivo di questa serata è convincere Stefan a concedermi una pausa dalle apparizioni pubbliche» esordì Bridget. «Ho bisogno di una vacanza in Italia. Phillipa, puoi sostituirmi per un paio di settimane...» Phillipa scosse la testa. «Sono preparando la tesi di laurea, lo sai.» Bridget sospirò e guardò Jacques che somigliava in maniera incredibile a Stefan. «E tu?» Jacques parve allibito. «Io? Questo fine settimana gioco a calcio in una squadra spagnola.» «Bene, io non posso continuare a fare tutto da sola. Dio solo sa come ci riusciva Tina» mormorò Bridget. A quel punto, Eve meditò di voltarsi e andarsene, ma Jacques alzò gli occhi e la vide. «Prego, entra. Eve Jackson?» azzardò, aggrappandosi a lei come a un'ancora di salvataggio. «Sì, Sua Altezza» rispose lei. «Sono stupita che si ricordi di me quando ci siamo visti solo una volta e di sfuggita.» Jacques curvò le labbra in un sorriso malizioso. «Ti prego, chiamami Jacques. Ho l'abitudine di non scordarmi mai il nome di una bella donna.» Eve gli restituì il sorriso. Jacques era sulla buona strada per diventare un rubacuori. «Grazie, Jacques. Apprezzo i complimenti, soprattutto dopo non avere mai messo 23


un piede fuori dalle scuderie da quando sono arrivata.» «Questa situazione deve cambiare» intervenne Bridget. «Solo perché il lavoro ti impone di passare le giornate a stretto contatto con i cavalli, non significa che tu li abbia sposati. Domani potresti venire alla spiaggia.» Eve scosse la testa. «Niente spiaggia per me fino alla parata.» Bridget la fulminò. «Tina sarà...» Si interruppe quando Stefan entrò nella stanza. «Benvenuto Stefan. Ho convinto Eve a cenare con noi questa sera. È stata chiusa nelle stalle anche troppo. Sono sicura che sarai d'accordo con me.» Eve sussultò. Aveva pensato che Stefan fosse stato informato e avesse approvato la sua presenza a tavola. Stefan la squadrò da capo a piedi. «Naturalmente. È un piacere averti con noi, Eve» dichiarò senza staccarle gli occhi di dosso. «Grazie, Sua Altez...» cominciò, ma si interruppe quando lui la bloccò agitando una mano. «Ti prego, chiamami Stefan. Vogliamo sederci?» Come se fossero in attesa dietro l'uscio, si materializzarono tre camerieri. «Stasera, abbiamo la torta al cioccolato come dessert» annunciò Bridget. «Ti piace il cioccolato, Eve?» Ancora consapevole dello sguardo intenso di Stefan, Eve si tormentò le mani in grembo. «Adoro i dolci e rinuncio a qualunque cosa per il cioccolato.» Bridget approvò con una risata. «Bene. Vedrai, il nostro nuovo cuoco è fantastico.» Eve bevve un sorso d'acqua. «Nuovo» ripeté. «Quanto nuovo?» chiese nascondendo un sorriso consapevole dietro il bicchiere. Bridget si voltò verso Stefan. «Tre mesi?» Lui inarcò un sopracciglio, come se sapesse dove vole24


va arrivare. «La decisione di sostituirlo l'ha presa il direttore del personale, non io» si difese. «Oh, io so perché è stato licenziato» intervenne Phillipa. «Arrivava al lavoro tardi perché beveva.» «Eve ha l'impressione che io abbia licenziato più dipendenti di quanti ne abbia assunti» spiegò Stefan. Tutti e quattro i Devereaux si girarono a guardarla con espressioni interrogative. Eve tossì mentre l'acqua le andava di traverso. «Non l'ho mai detto...» cominciò, a disagio. Ma rifiutò di lasciarsi intimidire da Stefan che sembrava divertirsi di fronte al suo imbarazzo. Era texana, per l'amor del cielo. «Quanti responsabili della scuderia sono passati di qui? E quanto è durato il mio predecessore prima di essere silurato?» Seguì un silenzio assordante ed Eve sollevò il mento con aria di sfida. Lo scoppio di risa di Stefan allentò la tensione. «Agli americani» brindò. «Non accettate critiche da nessuno.» I fratelli di Stefan sussultarono per la sorpresa. Bridget fu la prima a riprendersi e sollevò il bicchiere per brindare alla sua salute. «Possiamo imparare dal suo esempio.» Stefan scosse la testa per esprimere disaccordo. «C'è differenza tra il difendere se stessi e discutere continuamente.» «Ma Stefan...» «Basta, Bridget» la zittì e si girò verso Phillipa. «Come vanno i tuoi studi?» Durante la conversazione, Eve continuò a guardarlo e fu ammaliata da come si comportava e dal magnetismo che esprimeva. Univa potere, intelligenza e virilità. Non aveva mai conosciuto un uomo che possedesse una combinazione così letale. Era abituata a rudi cowboy e a manager con degli ego grandi come una casa, concentrati 25


solo su se stessi. Invece lui sembrava interessarsi sinceramente ai suoi fratelli. Anzi, dava l'impressione di volerli proteggere, anche troppo, dai problemi. «Quest'estate, dovrei seguire un corso d'arte in Italia» annunciò Jacques. «I miei insegnanti dicono che passo troppo tempo a giocare a calcio e vogliono che abbia una cultura più completa.» «Firenze» mormorò Bridget lasciandosi sfuggire un gemito. Si schiarì la gola. «A proposito di arte, Eve e io abbiamo pensato di creare un museo per bambini qui in Chantaine.» Eve sussultò all'idea di essere trascinata nei contrasti tra Bridget e Stefan. «Bridget, conosci gli accordi sulle nostre cene di famiglia» le rammentò Stefan con un sospiro. «Niente discussioni su questioni finanziarie o di politica. Questo è un momento dedicato alla famiglia.» Eve sentì lo sguardo severo di Stefan su di sé. Era stata tirata in mezzo, suo malgrado. Perciò disse la prima cosa che le venne in mente. «Qualcuno di voi sa giocare a Domino?»

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Questo mese Chi, almeno una volta, non ha desiderato di essere una principessa e di sposare il proprio principe azzurro? Nei libri di Leanne Banks si realizza quel sogno. Nei due romanzi natalizi di Rebecca Winters a comandare è il cuore e le protagoniste sono pronte a seguirlo ovunque le porti.

La prossima uscita il 16 gennaio Notte dopo notte, tra le dune del deserto, si consumano le passioni irrefrenabili di Asad e Khalil descritte da Lucy Monroe. Ogni ragazza può trasformarsi da Cenerentola in principessa, basta solo un pizzico di magia, come nei romanzi di Raye Morgan.


IL MEGLIO DI 3 R O M A N Z I D ’A U T O R E

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