JOSH LANYON
SULLE NOTE DEL TEMPO traduzione di Mario Tadiello e Franco Lombini
ISBN 978-88-6905-088-6 Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: Stranger On The Shore Carina Press © 2014 Josh Lanyon Traduzione di Mario Tadiello e Franco Lombini Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Books S.A. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. © 2016 HarperCollins Italia S.p.A., Milano Prima edizione HC maggio 2016
Sulle note del tempo
1
Non aveva senso agitarsi tanto. Aveva tutte le carte in regola per svolgere un buon lavoro. In ogni caso, nessuno si aspettava che risolvesse il mistero su ciò che era accaduto a Brian Arlington – che all'epoca aveva solo quattro anni – quella sera d'estate di molti anni prima. Doveva solo scrivere un libro, d'altronde ormai lo facevano tutti. Griff fece un bel respiro profondo e allungò la mano verso la maniglia della portiera, ma non l'aprì. Restò seduto a fissare la facciata in stile italiano della villa, le colonne eleganti, gli impeccabili tetti a terrazza, i parapetti in ferro battuto nero. Il cuore gli batteva all'impazzata, un misto di impazienza e apprensione. Più apprensione che impazienza, il che era... strano. Il modo migliore per affrontare quella situazione era di smuovere il culo da quella benedetta macchina parcheggiata di fronte all'elegante portone a due battenti. Nella peggiore delle ipotesi, il vecchio avrebbe potuto cambiare idea, rifiutandosi di cooperare e negandogli la possibilità di rimanere nella tenuta o di scrivere il libro. Anche solo una di quelle evenienze lo avrebbe profondamente deluso, ma in fondo erano solo quisquilie che non lo avrebbero di certo fermato. E, in ogni caso, era molto improbabile che succedesse; dopotutto, l'idea di invitarlo alla tenuta di Arlington era stata proprio di Jarrett Arlington.
7
Quindi? Perché se ne stava ancora lì seduto, con il cuore in gola e le mani gelate? Erano passati molti anni da quando era stato colto da un attacco d'ansia e di sicuro quello non era il momento adatto. Era stanco, tutto lì. Esausto. Il viaggio in macchina era durato due giorni. Quindici ore al volante. Oltre mille e cinquecento chilometri dal Wisconsin a Long Island. Via via che i laghi di Madison avevano ceduto il posto alle tempeste dell'Illinois, alle fabbriche fumose dell'Ohio, ai mattoni rossi, ai fienili rossi, alle mucche rosse della Pennsylvania... lui si era sentito sempre più sradicato da tutto quello che conosceva e amava. Un esploratore partito per il Nuovo Mondo per poi scoprire che la felicità era nel giardino dietro casa. Sì, doveva uscire di più, quello era poco ma sicuro. Griff sospirò, spalancò la porta e smontò dalla vecchia Karmann Ghia. Un uccello, nascosto tra le foglie verdi dell'alta siepe, lo salutò cinguettando, poi spiccò il volo. Per essere aprile, a Long Island il sole scottava già. L'aria pungente era carica di profumo di salsedine e di fiori di lillà appena sbocciati. Si ricompose. Ridicolo che dovesse farlo, ma così era. Detto questo, il suo servizio aveva una certa importanza. Soprattutto perché lui era il giornalista di cronaca nera del Banner Chronicle, un quotidiano con una tiratura di 4.401 copie. Di diritto, il lavoro avrebbe dovuto essere stato assegnato a C.J. Chivers o ad Ann Rule. Era ancora difficile credere che proprio lui, Griffin N. Hadley, fosse stato ingaggiato per scrivere la cronaca di uno dei rapimenti più famosi del secolo scorso.
8
Quindi, forse, una certa apprensione era comprensibile. Mentre attraversava il cortile, una distesa di sassolini bianchi e conchiglie luccicanti scricchiolava sotto i suoi piedi. Passò in mezzo a due grifi di pietra vecchi e consunti – che forse erano di buon auspicio – e salì i sei scalini lunghi e stretti fino alla terrazza successiva, oltrepassò una fontana muta macchiata dall'acqua, salì altri sei gradini lunghi e stretti, attraversò le colonne e le arcate dell'ampio porticato e arrivò di fronte al maestoso portone d'ingresso, con le vetrate istoriate color nero e ambra. A causa del forte riflesso del sole, impiegò un paio di secondi a individuare il campanello. Poi suonò. Sembrò non succedere nulla. Come la fontana, forse anche il campanello non era più in funzione? Si guardò attorno. Non che la casa o il parco sembrassero trascurati, ma l'erba era leggermente alta, le siepi di lillà un tantino in disordine e la pittura un po' sbiadita. Che gli Arlington avessero avuto un rovescio di fortuna? Dalle sue ricerche, non gli risultava. Forse sulla Gold Coast l'inverno aveva quell'aspetto. Magari era davvero difficile trovare dei bravi domestici oggigiorno. Griff suonò di nuovo. La porta si spalancò e una donna alta e macilenta, che indossava un austero abito nero, disse: «L'ho sentita la prima volta». «Ah, scusi» replicò con aria colpevole. «Non...» E lasciò la frase in sospeso. «Certo che no.» In un certo qual modo quella donna gli ricordava sua madre... quando aveva la luna storta. Stessa corporatura, stessi occhi scuri penetranti e tratti marcati, benché
9
sua madre fosse stata più dolce e graziosa, e molto più giovane. «Mi chiamo Griffin Ha...» «So chi è» lo interruppe. «Mr. Arlington la sta aspettando.» Che strana cosa, no? Griff non pretendeva di sapere come vivesse l'altra metà – o più precisamente l'altro un per cento – però era pressoché sicuro che i domestici non fossero tenuti ad assumere quel tono con gli ospiti. Ma forse lui non aveva l'aspetto del solito visitatore di Winden House. Magari avrebbe dovuto cercare l'entrata di servizio. «E con chi ho il piacere di parlare?» chiese non lasciandosi intimidire. «Mrs. Truscott, la governante di Mr. Arlington» rispose lei soppesandolo con lo sguardo. Truscott. Il nome era familiare. Griff era sicuro che lavorasse già lì all'epoca del rapimento di Brian, ma non come governante. In quel periodo, la governante era una certa Mrs. Cameron, ora defunta. Mrs. Truscott gli fece strada attraversando un atrio elegante. Griff si guardò attorno cercando di non sembrare un allocco. Non era facile. Sotto i suoi piedi scricchiolava il fotografatissimo parquet a losanghe, e sopra di loro dominava il basso soffitto a cassettoni color crema. Non sembrava vero. Un sogno. Alla sua sinistra saliva sinuosa la famosa scala di marmo da cui i rapitori avevano portato via Brian la fatidica sera. Aveva analizzato quell'ingresso, in fotografia, moltissime volte. E ora era lì, su quel parquet di noce e palissandro tirato a lucido, dietro a Mrs. Truscott, lungo quella graziosa scalinata. Era come camminare in un libro di storia, con l'unica
10
differenza che questa volta sarebbe stato lui a doverla scrivere. Be', era pronto. Si era preparato. Sapeva più cose di Winden House che della casa dove era cresciuto. La villa era situata su un terreno di oltre 60 ettari ed era stata costruita nel 1906 da Hiss e Weekes, due architetti della Gold Coast. L'intera tenuta comprendeva la dimora principale, due serre, un solarium, una piscina, un cottage per gli ospiti di cinque stanze e due fienili. Un tempo gli Arlington erano stati allevatori di cavalli e quello era il motivo della presenza dei due fienili. Quale fosse la scusa per tutto il resto, lui non riusciva a immaginarlo, ma non era lì per giudicare. Il soffitto nella biblioteca al piano inferiore era decorato a foglia d'oro; il soffitto con la vetrata istoriata al piano superiore in origine era un lucernario. La notte del rapimento di Brian Arlington, c'era stata una festa nel giardino nascosto, sul retro della casa. Il tema della festa era: Sogno di una notte di mezza estate. Un fatto che destò scalpore, secondo le recensioni giornalistiche dell'epoca. Una miriade di dettagli e informazioni che nulla potevano valere in confronto a tre minuti trascorsi dentro quella casa. Niente poteva sostituirsi all'esperienza di sentire il ticchettio calcolato dei tacchi di Mrs. Truscott sugli scalini di marmo, l'effluvio inebriante di fiori recisi, la fragranza della cera per il legno; di notare la preziosità di quei mobili antichi, di dare una prima occhiata al luccichio del mare attraverso le serliane o ai quadri con le cornici dorate degne di essere appese in un museo. Sì, se gli Arlington fossero stati a corto di soldi, avrebbero sempre potuto venderne un paio. «Da questa parte» indicò Mrs. Truscott mentre si avvicinavano, sul secondo pianerottolo, a un quadro a olio,
11
a grandezza naturale, di un giovane uomo slanciato con in mano un orologio da tasca. Pareva che Mrs. Truscott stesse parlando a un bambino capriccioso dell'asilo. Griff la squadrò incuriosito. Sarà stata sulla sessantina, ma si muoveva con molta agilità e aveva la schiena dritta come quella di un istruttore di yoga. Aprì la bocca per chiederle quanti domestici ci fossero nella tenuta, poi si trattenne. Forse lei aveva delle idee ben precise su come dovessero andare le cose, e ottenere l'approvazione del vecchio era uno dei passaggi obbligati. Forse Arlington non l'avrebbe nemmeno ricevuto, avrebbe cambiato idea. Sarebbe potuto succedere. I ricchi... non erano famosi per essere volubili e per i loro capricci? I loro passi erano attutiti dalle rose sbiadite del tappeto Aubusson. Una zaffata di tabacco da pipa provenne dal fondo di un lungo corridoio. Mrs. Truscott si fermò di fronte a una porta chiusa in noce massiccio e bussò con delicatezza. «Avanti» si udì dall'altra parte. Era la voce di una persona anziana di sesso indistinto, ma l'accento era l'inconfondibile Locust Valley Lockjaw, terribilmente aristocratico. Era giunto il momento. Griff raddrizzò le spalle. Mrs. Truscott aprì la porta, gli lanciò un'ultima occhiata di disapprovazione e si accomiatò. Lui entrò. Era senz'altro una stanza meravigliosa – gli sembrò di scorgere finestre ad arco e soffitti alti – ma la sua attenzione era tutta rivolta alla figura esile dai capelli bianchi che fissava il cortile dabbasso a forma di stella. Per un attimo, si chiese se Jarrett Arlington l'avesse visto arrivare, se l'avesse osservato esitare in macchina
12
prima di alzarsi e trovare il coraggio di bussare alla porta. Arlington si voltò verso di lui. Passò un momento che parve interminabile, poi si tolse la pipa dalla bocca e domandò: «Allora? Cosa ne pensa, Mr. Hadley?». «Della casa? Non è molto diversa dalle foto.» I suoi occhi azzurri l'osservarono con gravità da sotto le inflessibili sopracciglia bianche. Jarrett Arlington era snello, leggero e abbronzato, il risultato di una vita spesa in barca, a giocare a golf e a praticare tutte quelle attività che i ricchi facevano quando non contavano i soldi. Nonostante l'età avanzata – aveva quasi novant'anni – aveva ancora tutti i suoi capelli tagliati a spazzola. Griff aspettò che Arlington dicesse qualcosa del tipo... che lui sembrava più giovane rispetto alla fotografia sulla pagina della redazione del Banner Chronicle. Oppure che lo interrogasse sul perché si fosse proposto di scrivere e come mai avesse creduto di avere le qualifiche giuste per affrontare quella faccenda. Una breve telefonata non sarebbe stata sufficiente a concludere l'affare, anche se era così che a lui era sembrato all'epoca. Dopo un'altra pausa di riflessione, Arlington disse: «Ehm... non ha tutti i torti. Ha fatto tutto il viaggio da Madison, Wisconsin, su quella Karmann Ghia?». «Proprio così» rispose. «E quante volte si è rotta?» «Mai, nemmeno una volta.» Aveva rifatto tutto il motore sei mesi prima, ma ad Arlington non sarebbe interessato ascoltare come lui aveva trascorso due anni a restaurare con tanto amore una macchina d'epoca. «Uhm...» L'uomo continuò a studiarlo con quegli occhi azzurri penetranti. Non era la sua immaginazione, vero? Era un colloquio strano.
13
Arlington sembrò giungere a una decisione e dichiarò secco: «Non le nascondo che il resto della famiglia non è molto favorevole al nostro accordo sul libro che dovrà scrivere». Il nodo è venuto al pettine. Griff aprì la bocca, anche se non sapeva cosa poteva dire per convincere quell'uomo a non prestare attenzione alle proteste dei suoi cari. Con un gesto di noncuranza Arlington affermò: «Non si preoccupi. Ci penso io a loro. Desidero questo libro. Voglio riaprire il caso. Se qualcuno le metterà i bastoni tra le ruote, lo mandi pure da me. Ho dato precise istruzioni a tutti di cooperare e li ho informati che lei avrà pieno accesso alle informazioni di famiglia». Parlò come se avesse impartito ordini al personale della sua azienda, anziché ai propri figli. «Grazie.» «Quanto tempo pensa di impiegare a scrivere il libro?» Quell'uomo immaginava che lui avrebbe scritto il libro in una settimana? «Non saprei diglielo con certezza.» Griff si interruppe, omettendo di dire che non aveva mai scritto un libro. Non che Arlington non lo sapesse, ma non aveva senso sottolineare la sua inesperienza. «Pura curiosità. Non importa» fu la replica. «Farò del mio meglio per riportare il caso all'attenzione pubblica.» Ad Arlington si illuminarono gli occhi. «Se Brian è ancora in circolazione, deve sapere che non l'abbiamo dimenticato, che non ci siamo arresi.» «Ah... bene.» Brian era morto. Adesso Odell Johnson si trovava in prigione, accusato del rapimento e dell'omicidio del bambino.
14
«In ogni caso, per quanto spiacevole possa essere, voglio la verità.» Griff apprezzava il suo coraggio. Una delle teorie ipotizzava che il rapimento fosse stato un affare interno. «Farò del mio meglio per aiutarla a scoprire la verità.» Arlington sorrise. «Ne sono sicuro, figliolo. Ha delle domande da farmi? Intendo dire, prima di sistemare le sue cose e di tirare fuori gli scheletri di famiglia?» Il calore di quel sorriso lo trasformò. Griff riuscì a intravedere un'ombra del rubacuori che Arlington si narrava fosse stato in gioventù. «È un problema se faccio qualche foto?» «Faccia tutte quelle che vuole. Tanto ogni cosa dovrà essere sottoposta all'approvazione di Pierce.» «Pierce?» ripeté Griff perplesso. «Pierce Mather. Il mio... uomo di fiducia.» Uomo di fiducia? Esisteva davvero qualcuno che usava quell'espressione? «L'avvocato di famiglia» sogghignò Arlington, quindi forse doveva essere uno scherzo. «Ah, quel Pierce» disse Griff. «Quello che mi ha detto di non scrivere il libro.» «Proprio lui» confermò Arlington in tono divertito. «Sì, Pierce a volte può risultare prepotente, ma non è cattivo. Pierce controllerà che non vengano pubblicate inavvertitamente informazioni diffamatorie o che possano denigrare la famiglia.» Ecco la ciliegina sulla torta che Griff aveva subodorato. «L'approvazione finale del mio lavoro spetta a Pierce?» «Non la metterei proprio in questi termini» lo rassicurò Arlington. «Perché gli accordi non erano questi. Non posso... non lavorerò con questo tipo di restrizioni.»
15
La delusione era totale, ma non c'era alcuna possibilità che Griff scrivesse una specie di manifesto pubblicitario approvato dall'azienda o qualsiasi altra cosa Arlington avesse in mente. Se soggiornare nella tenuta e avere accesso a quella gente voleva dire non poter scrivere il libro che desiderava, allora avrebbe affittato una stanza in città e avrebbe fatto le interviste nel solito modo, come aveva pianificato prima che Arlington gli proponesse quell'idea – troppo bella per essere vera – di rimanere nella tenuta. Se lo sarebbe dovuto immaginare. Si sarebbe dovuto rendere conto che una famiglia ricca e potente come quella degli Arlington avrebbe cercato di controllare il taglio di un libro del genere. Era stato sciocco a non aspettarselo. «No, no» asserì Arlington frettoloso in risposta a quello che aveva letto nell'espressione di Griff. «Non è come pensa. Nessuno censurerà ciò che scrive o tenterà di... limitarle la libertà di stampa. Nulla di tutto questo. Potrà parlare di tutto ciò che riguarda il rapimento di Brian, ma soggiornando nella tenuta verrà a contatto con informazioni potenzialmente delicate che nulla hanno a che vedere con il caso in questione. Queste saranno le cose di cui si occuperà Pierce.» Vista così, sembrava una richiesta ragionevole. Ma Griff era ancora titubante. Aveva già parlato al telefono una volta con Pierce Mather, quel tanto che era bastato perché l'avvocato se lo mangiasse vivo. Erano volate parole del tipo: Ti farò il culo. Griff aveva la sensazione che lui e Mather non sarebbero stati d'accordo sulla definizione di informazioni non attinenti. Come se gli stesse leggendo nel pensiero, Arlington disse in tono quasi adulatorio: «Mr. Hadley – Griffin – ha la mia parola che non le verrà chiesto di firmare un
16
accordo di non divulgazione. È un accordo sulla parola tra lei e me. Intesi?». Gli tese la mano. Griff esaminò la faccia di Arlington, studiando quel sorriso mezzo pietoso e mezzo premeditato. Arlington era senza dubbio un uomo abituato a ottenere quello che voleva. Ma c'era un non so che di gentile e sincero nel suo sguardo. Niente di più facile di convincere qualcuno che voleva crederti. Griff soffocò una smorfia e allungò la mano per stringere quella del suo ospite.
17
Questo volume è stato stampato nell'aprile 2016 presso la Rotolito Lombarda - Milano