Sully

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CHESLEY B. “SULLY” SULLENBERGER CON JEFFREY ZASLOW

SULLY traduzione di Francesco Mezzanotte


ISBN 978-8-86905-110-4 Titolo originale dell’edizione in lingua inglese: Highest Duty William Morrow An Imprint of HarperCollins Publishers © 2009 Chesley B. Sullenberger III Traduzione di Francesco Mezzanotte Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con HarperCollins Publishers LLC, New York, U.S.A. Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. © 2016 HarperCollins Italia S.p.A., Milano Prima edizione HarperCollins novembre 2016


Dedico questo libro a mia moglie, Lorrie, e alle mie figlie, Kate e Kelly. Siete le tre persone piÚ importanti della mia vita e vi amo piÚ di quanto possa esprimere con le parole. Ma lo dedico anche ai passeggeri e all’equipaggio del volo 1549 e alle loro famiglie. Saremo per sempre uniti dagli eventi del 15 gennaio 2009 nei nostri cuori e nelle nostre menti.



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UN VOLO CHE NON SI DIMENTICA Il volo durò solo pochi minuti, ma i dettagli sono ancora presenti e vividi nella memoria. Il vento soffiava da nord e non da sud, un fatto inusuale in quel periodo dell’anno. E i carrelli facevano un particolare rimbombo rullando sulla pista improvvisata in un campo del Texas. Ricordo l’odore di olio surriscaldato del motore, e come penetrava nella cabina mentre mi preparavo al decollo. Ma nell’aria c’era anche il profumo dell’erba appena tagliata. Ricordo perfettamente le reazioni fisiche del corpo – quel senso di massima allerta – mentre rullavo in fondo alla pista, scorrevo la checklist e mi preparavo a partire. E ricordo il momento in cui l’aeroplano si sollevò in aria e poi come, dopo appena tre minuti, mi trovai a ridiscendere su quella pista, concentrato sulle manovre da eseguire. Sono ricordi che mi porto ancora dentro.

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Un pilota può decollare e atterrare migliaia di volte nel corso della sua carriera, e tutto questo gli apparirà come un’immagine confusa, vaga e turbinosa. Ma c’è per tutti, quasi sempre, un volo particolare che ti sfida, che ti insegna qualcosa o ti cambia, e ogni singola percezione, ogni momento di quell’esperienza ti restano per sempre scolpiti nella memoria. Ho fatto dei voli indimenticabili nel corso della mia vita, viaggi ancora vividi nella mia mente, carichi di una gran quantità di emozioni e di stimoli su cui riflettere. In una di queste occasioni memorabili finii sul fiume Hudson, a New York, in un freddo pomeriggio di gennaio del 2009. Ma prima di allora, il volo che mi è rimasto maggiormente impresso nella memoria è quello che ho appena descritto: i miei primi minuti in solitario, un sabato pomeriggio, presso un campo di volo a Sherman, in Texas. Era il 3 giugno 1967 e io avevo sedici anni. È a quell’esperienza che torno insistentemente, insieme a poche altre, quando ripenso agli eventi più significativi che mi hanno forgiato come uomo e come pilota. Sia in volo sia a terra, mi sono formato grazie a esperienze e lezioni decisive – e a persone di grande valore. Sono grato al destino per avermi dato tutto questo. È come se quei momenti fossero depositati in una banca, pronti per essere prelevati nel momento del bisogno. Per esempio, mentre cercavo disperatamente di fare atterrare il volo US Airways 1549 sulle acque dell’Hudson senza provocare vittime, è a quelle esperienze che so di avere attinto nel subconscio.

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Quando avevo quattro anni, per qualche mese mi cullai nel pensiero che da grande sarei diventato un poliziotto o un pompiere. Compiuti cinque anni, tuttavia, sapevo con certezza cosa avrei fatto nella vita: volare. Non ho più avuto esitazioni da quando quell’idea mi è entrata in testa. O meglio, da quando mi è passata sopra la testa, in forma di caccia che attraversavano il cielo sulla casa in cui abitavo da bambino, poco fuori Denison, in Texas. Abitavamo in riva al lago, su un lembo di terra priva di vegetazione quindici chilometri a nord della base aerea di Perrin. Era una zona estremamente rurale e così gli aerei volavano basso, a meno di mille metri sopra di noi. E quando arrivavano, non c’era pericolo di non sentirli. Mio padre mi dava il suo binocolo e a me piaceva stare a guardare in lontananza e scrutare l’orizzonte, chiedendomi cosa potesse esserci laggiù. Avevo già un gran desiderio di viaggiare, e quello era il mio modo di soddisfarlo. Nel caso degli aerei, poi, il tutto diventava ancor più emozionante, perché attraverso le lenti del binocolo si avvicinavano fino quasi a poterli toccare, ad altissima velocità. Erano gli anni Cinquanta e quegli apparecchi erano molto più rumorosi dei caccia attuali. Eppure non ho mai incontrato nessuno, in quella parte del Texas, che si lamentasse del rumore. Avevamo vinto da poco la Seconda guerra mondiale, e la nostra Aeronautica era fonte di orgoglio. Fu solo diversi decenni dopo, quando i residenti in zone vicine a basi aeree cominciarono a sollevare il problema del frastuono, che i piloti sentiro-

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no il bisogno di rispondere alle lamentele e sui paraurti delle loro macchine apparvero degli adesivi con la scritta: rumore d’aerei: il suono della libertà. Tutto quello che riguardava gli aeroplani mi affascinava: i diversi rumori che facevano, il loro aspetto, le leggi della fisica che permettono di sfrecciare nei cieli e, soprattutto, gli uomini che li pilotavano con assoluta padronanza. A sei anni costruii il mio primo modellino, una copia dello Spirit of St. Louis di Charles Lindbergh. Lessi il più possibile su Lucky Lindy e mi resi conto che la sua trasvolata atlantica non aveva avuto niente di magico o fortunato. Lindbergh aveva programmato, preparato e sofferto. Era questo a fare di lui un eroe ai miei occhi. Nel 1962, ormai undicenne, leggevo tutti i libri e le riviste sull’aviazione che riuscivo a trovare. In quell’anno ebbi anche l’occasione di volare per la prima volta. Mia madre, un’insegnante delle elementari, mi propose di accompagnarla a un convegno dell’associazione genitori e insegnanti che si teneva a Austin. Anche per lei fu il primo volo. L’aeroporto, il Dallas Love Field, si trovava centoventi chilometri a sud di casa nostra, e quando ci arrivammo a me sembrò subito un luogo magico, popolato da figure mitiche e straordinarie: piloti, assistenti di volo, passeggeri ben vestiti diretti chissà dove. Appena entrato nel terminal mi fermai davanti alla statua di un Texas Ranger che da un paio d’anni presidiava il salone delle partenze. Sulla targa c’era scritto: una sommossa, un ranger; e si raccontava la storia non

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proprio autentica dei disordini scoppiati in una piccola cittadina intorno al 1890. Lo sceriffo locale aveva chiesto l’intervento di una compagnia di ranger per mettere fine alle violenze, e gli abitanti erano rimasti di stucco quando se ne era presentato uno solo. Avevano chiesto aiuto e a quel punto si domandavano perché non glielo avessero dato. «Quante sommosse ci sono?» pare che l’uomo abbia chiesto allora. «Perché se ce n’è una sola, avete bisogno di un solo ranger. Me ne occupo io.» Quel giorno in aeroporto ebbi anche modo di incrociare un altro eroe. Fin da subito ero rimasto affascinato dal Progetto Mercury, il programma americano di missioni spaziali con equipaggio, e così mi entusiasmai nel vedere un uomo basso e magro che stava attraversando il terminal. Era vestito in giacca e cravatta, portava il cappello e il suo volto mi apparve decisamente familiare. Si trattava del tenente colonnello John “Shorty” Powers, il commentatore che in televisione dava la voce al Mercury Control. Ma non ebbi il coraggio di avvicinarlo. Uno che parlava direttamente con gli astronauti non aveva certo bisogno di essere tirato per la giacchetta da un ragazzetto di undici anni. Quel giorno il cielo era coperto di nuvole e piovigginava. Ci avventurammo a piedi sull’asfalto per raggiungere il Convair 440 della Braniff Airways. Mia madre indossava dei guanti bianchi e un cappello, mentre io ero in giacca e pantaloni sportivi. A quel tempo si viaggiava così, con gli abiti della domenica. I nostri posti erano sul lato destro del velivolo. A mia madre sarebbe piaciuto moltissimo guardare fuori,

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ma conosceva i suoi polli. «Siediti tu di fianco al finestrino» disse, e prima ancora che l’aereo si fosse mosso di un centimetro, mi ritrovai con il volto incollato al vetro per non perdermi niente. Mentre l’apparecchio accelerava sulla pista di decollo e si sollevava in aria, non smisi un istante di guadare fuori con gli occhi sgranati. Il mio primo pensiero, lo ricordo ancora, fu che tutto ciò che vedevo al suolo sembrava il plastico di un trenino. Ma subito dopo realizzai che il mio unico desiderio era vivere in aria. Passò però ancora qualche tempo prima che mi trovassi a volare. Avevo sedici anni e chiesi a mio padre se potevo prendere lezioni di volo. Lui era stato ufficiale medico in Marina durante la Seconda guerra mondiale. Nutriva un grande rispetto per gli aviatori e si rese subito conto di quanto grande e genuina fosse quella mia passione. Attraverso un amico ottenne il nome di un pilota, L.T. Cook Jr., che si occupava di irrorazione aerea delle colture e aveva una pista di atterraggio nella sua proprietà, non lontano da dove abitavamo. Prima della guerra il signor Cook era stato istruttore nel Programma federale di addestramento per piloti. A quell’epoca gli isolazionisti non volevano che gli Stati Uniti intervenissero nel conflitto scatenatosi in Europa. Ma il presidente Roosevelt aveva capito che con ogni probabilità il nostro Paese sarebbe entrato in guerra e avrebbe dunque avuto bisogno di migliaia di piloti qualificati. A partire dal 1939, molti veterani del volo come il signor Cook vennero incaricati di addestrare i civili, in modo da essere pronti nel momento in cui sarebbe

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stata dichiarata guerra. Intorno a quel programma si scatenarono le polemiche, ma alla prova dei fatti i piloti che avevano ricevuto quella preparazione furono fondamentali per far vincere la guerra agli Alleati. Il signor Cook e altri istruttori come lui sono eroi misconosciuti degli Stati Uniti d’America. Quando lo conobbi, aveva quasi sessant’anni ed era un tipo diretto, concreto e dinamico. Passava gran parte del suo tempo a fare irrorazione aerea, ma, se intuiva che qualcuno aveva le qualità e il temperamento per volare, gli faceva volentieri da istruttore. Credo di essergli piaciuto subito. Ero un ragazzo alto, tranquillo, scrupoloso e molto rispettoso, perché i miei genitori mi avevano insegnato a trattare con deferenza le persone più grandi di me. Ero anche il tipico introverso, e lui era un uomo che parlava poco. Capì che avevo intenzioni serie riguardo al volo e che il mio entusiasmo era genuino, malgrado il mio atteggiamento dimesso. Disse che mi avrebbe fatto pagare sei dollari l’ora per l’aereo. Era la “tariffa umida”, perché includeva il carburante. Per la sua attività di istruttore chiese altri tre dollari l’ora. I miei genitori decisero di coprire le spese per l’aereo, e così per un volo di trenta minuti a me restava da pagargli solo un dollaro e mezzo, soldi che avrei preso dai risparmi che accumulavo facendo dei lavoretti in chiesa. Ho dei giornali di bordo che risalgono a decine di anni fa e che riguardano migliaia di voli. Sul più vecchio, la prima voce compilata riporta la data 3 aprile 1967, quando il signor Cook mi portò in volo per trenta

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minuti. Volammo su un Aeronca 7DC, un monomotore a due posti. Si trattava di un velivolo a elica da addestramento di base, costruito verso la fine degli anni Quaranta. Non era nemmeno dotato di radio. Tenni in mano i comandi quasi dal primo istante. Ero seduto davanti e il signor Cook, grazie ai doppi comandi, fece quel che si dice “seguirmi passo passo”. Vale a dire: tenne le mani leggermente sospese sulla barra di comando in modo da poterla afferrare immediatamente se io avessi commesso qualche errore. Tenne d’occhio i miei movimenti senza distrarsi neanche un secondo, gridando le istruzioni per coprire il rumore assordante del motore. Come facevano molti piloti agli inizi dell’aviazione, usava un megafono di cartone per farmi arrivare la sua voce dentro l’orecchio. Parlava soltanto quando ce n’era bisogno e solo di rado faceva un complimento. Eppure, nelle settimane seguenti ebbi l’impressione sempre più netta che fosse contento di me, perché capivo e mostravo di avere l’istinto del volo. A casa passavo le sere a studiare, seguivo un corso per corrispondenza che mi avrebbe permesso di sostenere l’esame scritto, il primo passo per ottenere la licenza di volo. Il signor Cook apprezzava il mio impegno. A volte arrivavo per la lezione e lui non c’era. Allora andavo in città perché sapevo dove trovarlo: al Dairy Queen che si prendeva un caffè. Lui finiva con calma di berlo, lasciava una mancia sul tavolo e insieme tornavamo al suo campo di volo. Nei due mesi che seguirono seguii sedici lezioni, ognuna delle quali prevedeva trenta minuti di volo.

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Alla data del 3 giugno il mio monte ore di volo era di 7.25. Quel giorno, dopo dieci minuti dal decollo, Cook mi batté sulla spalla. «Molto bene» disse. «Adesso prova un atterraggio, poi rulla fino all’hangar.» Feci come mi era stato detto, e quando arrivammo a destinazione, saltò giù dall’aereo. «Okay» disse, «adesso risali e riatterra tre volte da solo.» Non mi augurò buona fortuna, non sarebbe stato da lui. Con questo non voglio dire che fosse un tipo sgarbato o insensibile. Aveva solo un approccio molto pragmatico e, ovviamente, aveva deciso: questo giovanotto è pronto. Lasciamolo andare. Sapeva che non sarei caduto dal cielo. Che sarebbe andato tutto bene. Oggi è improbabile che un ragazzo arrivi a volare da solo in così poco tempo. Gli aeroplani sono più complicati e difficili da pilotare. Ci sono diversi obblighi da assolvere e problemi assicurativi da risolvere prima che un pilota possa alzarsi in volo. Anche il controllo del traffico aereo è qualcosa di più complesso. Perciò gli istruttori hanno forse un atteggiamento più protettivo, sono più preoccupati e prudenti. Ma quel giorno, nella campagna texana, non dovevo curarmi di controllo del traffico o di regolamenti complicati. Eravamo io e il mio aereo; e il signor Cook, che mi guardava da terra. Siccome il vento soffiava da nord, dovetti procedere verso il lato opposto della pista per decollare nella giusta direzione. Non era quella abituale, ma riuscii a orientarmi e mi preparai a partire. La pista era leggermente più bassa verso sud, quin-

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di era in leggera salita se la si prendeva da quel lato. Inoltre, benché il signor Cook avesse da poco falciato l’erba, il terreno non era certo liscio e uniforme come una pista asfaltata o un campo da golf. Per la prima volta da solo di fronte alla pista di decollo, controllai l’accensione e la pressione dell’olio, mi assicurai che il motore, il timone, l’equilibratore e gli alettoni funzionassero, scorrendo attentamente la mia checklist. Poi afferrai saldamente la barra di comando, feci un respiro profondo, mollai i freni e iniziai la rincorsa. Il signor Cook mi aveva detto che mi sarei staccato da terra più rapidamente del solito, perché senza di lui a bordo l’aereo sarebbe stato più leggero. Questo tipo di aerei si alza in volo da sé quando viene il momento. Ma se un giovane pilota si trova per la prima volta da solo ai comandi, bisogna che qualcuno lo avvisi. Nel mio caso fu un laconico signor Cook, che a bordo pista continuò ad annuire mentre io salivo e lui rimpiccioliva nel campo sotto di me. Mi sentii pieno di gratitudine nei suoi confronti. Raggiunta la quota di ottocento piedi, sorvolai il campo provando un senso inebriante di libertà. Mi sentivo anche piuttosto sicuro. Dopo avere ascoltato, guardato, fatto domande e studiato a fondo, avevo ottenuto qualcosa. Ed eccomi lì, solo, in volo. Non credo che stessi sorridendo per la fortuna che avevo avuto, ero troppo concentrato per concedermi quel lusso. Sapevo che, da sotto il suo berretto da baseball, il signor Cook mi guardava con la testa rivolta in alto, e intendevo dargli una buona impressione, fare

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tutto correttamente. Non volevo che, una volta tornato a terra, avesse una lunga lista di critiche per me. Mentre ero in volo, mi sembrava di sentire la sua voce. “Usa il timone per mantenere i controlli coordinati.” Anche se non era lì con me, le sue parole mi accompagnavano. Ero troppo impegnato per permettermi di guardare il paesaggio. Volai sopra un piccolo stagno, lasciando la città di Sherman alla mia sinistra. Ma il mio scopo non era quello di godermi il panorama, bensì di fare tutto al meglio, in modo che il signor Cook mi concedesse di ripetere l’esperimento. Mi aveva ordinato di fare il solito schema di approccio rettangolare alla pista di atterraggio, cosa che prendeva tre minuti, e di impratichirmi toccando terra e risalendo subito per ripetere la manovra. Avrei dovuto rifare il tutto tre volte prima di compiere l’atterraggio finale. Il mio primo volo in solitaria durò soltanto nove minuti, ma sapevo che era un passo di cruciale importanza. Mi ero informato: il 17 dicembre del 1903, nel primo volo della storia, Orville Wright aveva coperto una distanza di trentasei metri, si era alzato venti piedi da terra ed era rimasto in volo per ben dodici secondi. Alla fine il signor Cook si congratulò con me, e quando spensi il motore disse che avevo fatto esattamente ciò che mi aveva chiesto. Non si lasciò certo andare a smancerie particolari, ma io sapevo di avere superato la prova. Mi confermò che per gran parte dell’estate sarebbe stato impegnato nell’irrigazione con l’altro

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aeroplano, e quindi avrei avuto a disposizione l’Aeronca per fare pratica da solo. Rimanemmo d’accordo che avrei potuto usarlo per sei dollari l’ora. Oggi ho più di ventimila ore di volo sulle spalle. La mia carriera professionale, però, cominciò quel pomeriggio, fu allora che avvenne la svolta. Benché avessi collezionato meno di otto ore di volo, il signor Cook mi aveva dato fiducia. Mi aveva fatto scoprire che potevo salire su un aereo, alzarmi in volo e tornare a terra in tutta tranquillità. Quel primo volo in solitaria era stato la conferma che così mi sarei guadagnato da vivere, che quella sarebbe stata la mia vita. Al momento non me ne resi pienamente conto, ma oggi so che il mio ingresso nel mondo dell’aviazione è stato molto tradizionale. Così i piloti, fin dagli inizi, avevano imparato a volare: un veterano che insegna i fondamentali a un giovane su una pista d’erba sotto il cielo aperto. Se mi guardo indietro, devo riconoscere di essere stato un ragazzo fortunato. La mia è stata una partenza alla grande. A nessuno dei miei compagni di liceo interessava diventare pilota, e così mi ritrovai da solo a inseguire quel sogno. Avevo degli amici, ovviamente, ma per la maggior parte dei ragazzi ero solo un tipo timido, serio e secchione che passava il suo tempo a leggere libri sul volo e a correre al campo d’aviazione. Non ero un estroverso, mi trovavo più a mio agio nella cabina di un velivolo che in mezzo agli altri.

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Per certi versi, penso di essere cresciuto più in fretta su quella pista, imparando cose che mi hanno aiutato a cogliere quanto la vita mi offriva e i grandi rischi che comportava. Un giorno, mentre andavo nell’hangar del signor Cook, notai un Piper Tri-Pacer bianco e rosso accartocciato sul lato nord della pista. Il signor Cook me ne raccontò la storia. Un suo amico si stava preparando ad atterrare, avvicinandosi alla pista, e doveva sorvolare la Statale 82. Non si accorse che a sei metri dal suolo lungo la carreggiata correvano dei fili dell’elettricità finché non fu troppo tardi. Richiamò il Piper per evitarli, ci riuscì, ma così facendo perse velocità e portanza. L’aereo cadde in picchiata e il suo amico morì sul colpo. Nessuno era più venuto a prendere il relitto dell’aereo, e così era rimasto lì in fondo alla pista. Percorsi i cinquecento metri che ci separavano e guardai nell’abitacolo macchiato di sangue. A quei tempi gli aerei erano dotati solo di una cintura di sicurezza addominale che lasciava libere le spalle e conclusi che il suo amico doveva avere battuto violentemente la testa sul pannello degli strumenti. Cercai addirittura di visualizzare la scena – il tentativo di evitare i cavi, la perdita di velocità, l’impatto tremendo... Mi costrinsi a osservare con attenzione dentro l’abitacolo, quasi a studiarlo, vincendo la tentazione di volgere lo sguardo da un’altra parte. Fu un momento particolarmente forte per un ragazzo di sedici anni, uno di quegli istanti che ti costringono a riflettere, e che ha lasciato un segno. Mi resi conto che pilotare significa non commettere errori. Bisogna tenere

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tutto sotto controllo, stare attenti ai tralicci, agli uccelli, agli alberi, alla nebbia, ma senza smettere di sorvegliare i comandi e gli strumenti di bordo. Bisogna essere vigili e attenti. Bisogna sempre sapere cosa è possibile e cosa non lo è. Un banale errore può significare la morte. Quel giorno mi stampai tutto questo nella mente, guardando come stregato quella triste scena. E promisi a me stesso che avrei imparato tutto quello che c’era da sapere per ridurre i rischi al minimo. Mi era chiaro che non avrei mai voluto fare il pilota acrobatico – si muore più facilmente – ma trovai comunque il modo di divertirmi un po’. Avrei chiesto ai miei genitori e a mia sorella di farsi trovare fuori casa a una certa ora, e poi sarei passato sopra le loro teste facendo ondeggiare le ali su e giù per salutarli. Stavamo in una zona poco abitata e i regolamenti mi permettevano di volare a una quota di cinquecento piedi. I miei familiari non avrebbero esattamente potuto guardarmi in faccia, ma mi avrebbero visto fare dei cenni di saluto con un braccio. Nell’ottobre del 1968, dopo settanta ore di volo, ero pronto a sostenere l’esame per ottenere la licenza, che prevedeva anche un volo di prova con un esaminatore della Federal Aviation Administration. Lo superai, fatto che mi permise di volare con un passeggero. Pensai che l’onore di essere il mio primo passeggero spettasse a mia madre, e nel mio giornale di bordo è segnato che la portai in volo con me il 29 ottobre 1968, il giorno dopo aver preso la licenza. Misi una piccola stellina di fianco ai dati di quel volo, per segnalare che

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era stato un momento speciale. L’equivalente, per quegli anni, di un emoticon in fondo a un messaggino. Mia madre non si mostrò per nulla in ansia, quel giorno. Solo orgogliosa. Mentre l’aiutavo a sistemarsi nel seggiolino posteriore e le allacciavo la cintura, le descrissi i rumori che avrebbe udito, cos’avremmo visto e come il suo stomaco avrebbe reagito. Il lato positivo del mio essere così serio stava nel fatto che la gente mi considerava immediatamente una persona capace e responsabile. Non ero uno che si faceva beffe delle regole. Così mia madre si fidava di me. Rimase ferma al suo posto, mettendo la sua vita nelle mie mani, senza mai intervenire. Lasciò che la scarrozzassi in cielo e, quando atterrammo, mi abbracciò. La possibilità di trasportare dei passeggeri mi aprì un nuovo mondo. Dopo aver portato in volo mia sorella, mio padre e i miei nonni, trovai il coraggio di proporlo anche a un’altra persona. Si chiamava Carole, una ragazza snella e carina con i capelli castani e gli occhiali. Frequentavamo la stessa scuola e cantavamo insieme nel coro della parrocchia. Ero un po’ innamorato di lei e mi piaceva pensare che anche lei mi avesse notato. Ci sono ragazze carine che sanno di esserlo, e si concedono il lusso di approfittare della loro bellezza. Carole era attraente, ma non si comportava affatto come loro. Pur non essendo particolarmente espansiva, aveva un bel modo di fare, che attirava la gente. Nessuna ragazza aveva mai mostrato interesse per la mia attività di pilota. Era molti anni prima che uscisse il film Top Gun, e in ogni caso io non ero Tom

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Cruise. Volare, poi, pareva qualcosa di astratto. Nessuno mi aveva visto in azione. Non era come segnare un touchdown e avere la tua foto pubblicata sul quotidiano locale. Quello che facevo io era lontano dalla vista di chiunque, avveniva lassù, in cielo, a una certa quota. Se parlavo di volo a una ragazza, non sembrava mai molto impressionata. Anzi, a volte sembrava perfino annoiata. Forse, però, era colpa mia; forse ero io che non riuscivo a trasmettere in modo appropriato la meraviglia di librarsi a mezz’aria. Decisi comunque di tentare di coinvolgere Carole. Come me, era una ragazza taciturna e a volte era difficile mantenere viva la conversazione con lei. Quando le chiesi se voleva volare con me, non nutrivo grandi aspettative. Mi immaginai, peraltro, in caso di risposta affermativa, che i suoi genitori non le avrebbero dato il permesso. Invece le concessero di fare un volo di tre quarti d’ora sopra i fiumi Arkansas e Poteau fino a Fort Smith. Fu il mio modo di tentare un approccio romantico, e non vi dico l’emozione nel vedere che era riuscito. A pensarci oggi, è sorprendente che i suoi genitori le abbiano detto di sì. In fondo avevano permesso a un ragazzo che non aveva ancora diciott’anni di portare la loro figlia minorenne fuori dai confini dello Stato. Per di più, a bordo di un aeroplanino. E così partimmo. Era una giornata limpida e fredda, senza vento e con buona visibilità. Il panorama si allungava per chilometri e chilometri in ogni direzione. Gli aerei sono rumorosi e quindi è difficile fare conversazione, allora gridavo: «Quello laggiù è il Red River»; e

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lei rispondeva con lo stesso tono di voce: «Cosa?». E via di questo passo. Ma ero felice di averla con me. Volammo su un Cessna 150 che avevo preso a noleggio per due ore. Era un velivolo piccolo, c’era spazio solo per due persone sedute una di fianco all’altra. L’abitacolo era largo appena un metro, e così le nostre gambe si toccavano. Non si poteva fare diversamente. Adesso provate a immaginare un ragazzo di diciassette anni con una ragazza carina seduta di fianco, braccia e gambe per due ore a contatto. Sentivo il suo profumo, o forse era il suo shampoo. A volte si sporgeva davanti a me per guardare fuori dalla mia parte, e i suoi capelli mi sfioravano il braccio. Era qualcosa di totalmente nuovo per me: mi accorsi che volare poteva essere un’esperienza davvero sensuale. Eppure... non smisi un istante di rimanere concentrato sui comandi. Immagino che questo sia un altro esempio di come un pilota debba imparare a tenere le cose separate. Carole era lì, me ne rendevo perfettamente conto, ma avevo anche il dovere di agire in modo responsabile. Avrei voluto farle la corte, ma il mio primo pensiero era la sua incolumità. La nostra amicizia non ebbe ulteriori sviluppi, ma quel volo – il fatto di starle così vicino, di mostrarle i punti di riferimento della campagna texana, di pranzare con lei nell’aeroporto di Fort Smith – be’, quel volo è per me un ricordo dolce e intenso. Un pilota può avere al suo attivo migliaia di decolli e di atterraggi senza storia. Alcuni, però, restano indelebili nella memoria.

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L’ultima volta che andai al campo di volo di L.T. Cook fu alla fine degli anni Settanta. Poi persi i contatti con lui, e più tardi venni a sapere che aveva un tumore e che lo avevano operato per diverse metastasi sul collo e alla mascella. Qualcuno mi disse che la sua malattia era dovuta ai prodotti chimici con cui tutti i giorni irrorava i campi coltivati. Morì nel 2001. Dopo l’atterraggio di emergenza compiuto con il volo US Airways 1549 sul fiume Hudson, ho ricevuto migliaia di email e di lettere da gente che mi esprimeva la sua gratitudine per quello che io e il mio equipaggio avevamo fatto per salvare le centocinquantacinque persone che si trovavano a bordo. In un pacco di lettere fui felice di trovarne una della vedova del signor Cook, che non avevo più sentito. Le sue parole mi scaldarono il cuore: “L.T. non sarebbe sorpreso” scriveva, “ma sarebbe di certo orgoglioso e soddisfatto”. Ciascuno a suo modo, tutti i miei mentori, i miei eroi e le persone che amavo – coloro i quali mi hanno insegnato qualcosa, mi hanno incoraggiato e hanno visto in me delle qualità – erano al mio fianco nella cabina di pilotaggio del volo 1549. Avevamo perso entrambi i motori. Era una situazione disperata, ma dentro me custodivo tutti gli insegnamenti di cui avevo fatto tesoro nel corso degli anni. Quelli del signor Cook ebbero una parte importante nei cinque minuti critici di quel volo. Lui era stato un mago della cloche e del timone, e quel giorno nel cielo di New York fu tutta questione di cloche e timone. Da allora ho spesso pensato alle persone speciali

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che hanno avuto un peso nella mia vita, alle centinaia di libri che ho studiato, alle tragedie di cui sono stato più volte testimone da pilota militare, alle avventure e alle battute d’arresto nella mia carriera di pilota civile, al fascino del volo, ai ricordi del mio lontano passato. Ho concluso che il mio viaggio finito sul fiume Hudson non è cominciato all’aeroporto LaGuardia. È cominciato qualche decennio prima, nella casa della mia infanzia, sul campo del signor Cook, nei cieli del Texas, nella casa in California dove vivo con mia moglie Lorrie e le nostre due figlie, e su tutti i jet che ho pilotato inseguendo l’orizzonte. Il volo 1549 non è stato un viaggio di cinque minuti. C’era tutta la mia vita su quell’aereo, ed è per questo che siamo arrivati sani e salvi sull’Hudson.

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Rotta del volo 1549, 15 gennaio 2009

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3:28:19 1560 piedi, 204 nodi Termine virata, rotta sud-sudovest.

New Jersey

Yonkers

3:27:32.9 3020 piedi, 185 nodi “Mayday, mayday, mayday…”

Bronx

River

Pk w

y

3:28:46 1260 piedi, 195 nodi Sorvolo del George Washington Bridge. 3:29:11 1050 piedi, 190 nodi

95

“È il comandante che vi parla, preparatevi all’impatto.” G. Washin

Fort Lee

95

Cross Bronx Expwy

B RO N X

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3:25:09

“Cactus 1549, decollo autorizzato.”

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Atterraggio d’emergenza.

Weehawken

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3:30:43 125.2 nodi

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Collisione con uccelli, colpi e tonfi, vibrazioni.

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AEROPORTO TETERBORO (Circa 5 miglia dal G. Washington Bridge)

3:27:11.4 2750 piedi, 219 nodi

New York

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l AEROPORTO NEWARK LIBERTY (Circa 15 miglia dal G. Washington Bridge)

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APPENDICE

National Transportation Safety Board Cockpit Voice Recorder Estratti della trascrizione Trascrizione di un Cockpit Voice Recorder (CVR) modello SSCVR della Allied Signal/Honeywell, s/n 2878, installato su un A 320-214 della Airbus Industrie, registrazione N106US. L’aereo era operato dall’US Airways come volo 1549 quando fece un ammaraggio di fortuna sul fiume Hudson il 15 gennaio 2009. LEGENDA RDO Comunicazioni radio dall’aereo US Airways 1549 CAM Voci o suoni registrati dal microfono all’interno del cockpit

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PA Voci o suoni provenienti dal sistema di comunicazione interfonico HOT Voci e suoni registrati dall’hot-microphone. Questa registrazione contiene l’audio ripreso dagli Hot microphone utilizzati dagli assistenti di volo. Voci e suoni su questi canali a volte venivano uditi anche dal gruppo CVR sul canale CAM, e viceversa. In questi casi i commenti riportati provengono dalla fonte (HOT o CAM) da cui è più facile udire o distinguere il commento stesso TOGA Massima spinta per il decollo e la riattaccata INTR Comunicazione interfonica da o verso terra Per commenti RDO, CAM, PA, HOT e INTR: -1 Voce identificata come voce del Comandante (Hot-1: Comandante Sullenberger) -2 Voce identificata come voce del Primo ufficiale (Hot-2: Primo ufficiale Skiles) -3 Voce identificata come voce di un membro dell’equipaggio di cabina -4 Voce identificata come voce di un assistente a terra -? Voce non identificata FWC Avvertimento automatico o avviso acustico del Flight Warning Computer (computer che monitora i vari sistemi dell’aeromobile) TCAS Avvertimento automatico o avviso acustico del Traffic Collision Avoiding System (sistema di allerta del traffico ed elusione di collisione)

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PWS Avvertimento automatico o avviso acustico del Predictive Windshear System (sistema di prevenzione dei casi di windshear, cioè di un repentino cambiamento di direzione e intensità del vento) GPWS Avvertimento automatico o avviso acustico del Ground Proximity Warning System (sistema di allarme di prossimità al suolo) EGPWS Avvertimento automatico o avviso acustico dell’Enhanced Ground Proximity Warning System (evoluzione del GPWS) TWR Comunicazione radio dalla Torre di controllo dell’aeroporto LaGuardia DEP Comunicazione radio dal Controllo partenze dell’aeroporto LaGuardia CH[1234] Canali del CVR: 1=Comandante, 2=Primo ufficiale, 3=PA, 4=microfono area cockpit ★ Parola incomprensibile @ Parola non pertinente & Nome di persona di terze parti (vedi nota 4) # Imprecazione -,--Discontinuità o interruzione nel commento () Aggiunta discutibile [] Inserto redazionale ... Pausa Nota 1: Gli orari sono espressi in Eastern Standard Time (EST) e basati sull’orologio utilizzato come indicatore data e ora dei dati radar registrati dal Newark ASR-9. Nota 2: In generale, sono state trascritte solo le co-

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municazioni da e per l’aereo in avaria. Nota 3: Una parola non pertinente, quando riportata, si riferisce a una parola non direttamente collegata alle operazioni, al controllo o alla condizione dell’aereo. Nota 4: In generale, i nomi di persona di terze parti non coinvolti nella conversazione non sono stati trascritti.

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Comunicazioni all’interno del cockpit Orario e fonte

Contenuto

15:25:06 CAM

[suono simile a un aumento di rumore/ velocitĂ dei motori]

15:25:09 CAM-2

TOGA.

15:25:10 HOT-1

TOGA inserito.

15:25:20 Hot-1

ottanta.

15:25:21 HOT-2

verificato.

15:25:33 HOT-1

V uno, rotazione.

15:25:38 HOT-1

rateo positivo.

15:25:39 HOT-2

retrarre carrello.

15:25:39 HOT-1

carrello retratto.

Comunicazioni aria-terra Orario e fonte

Contenuto

15:24:54 TWR

Cactus uno cinque quattro nove pista quattro autorizzato al decollo.

15:24:56.7 RDO-1

Cactus uno cinque quattro nove autorizzazione al decollo.

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Comunicazioni all’interno del cockpit

15:25:49 HOT-2

15:26:02 CAM

Comunicazioni aria-terra

15:25:45 TWR

Cactus uno cinque quattro nove contattare New York Partenza, buona giornata.

15:25:48 RDO-1

buona giornata.

15:25:51.2 RDO-1

Cactus uno cinque quattro nove, settecento, salita cinquemila.

15:26:00 DEP

Cactus uno cinque quattro nove da New York Partenza, contatto radar, salite e mantenete quindicimila.

15:26:03.9 RDO-1

mantiene quindicimila Cactus uno cinque quattro nove.

indicatore di direzione per favore

[suono simile a una diminuzione di rumore/ velocitĂ dei motori]

15:26:07 HOT-1

quindici.

15:26:08 HOT-2

salita.

15:26:10 HOT-1

salita impostata.

15:26:16 HOT-2

e flap uno per favore.

15:26:17 HOT-1

flap uno.

370


Comunicazioni all’interno del cockpit 15:26:37 HOT-1

uh, che meravigliosa vista dell’Hudson abbiamo oggi.

15:26:42 HOT-2

già.

15:26:52 HOT-2

flap retratti per favore, checklist post decollo.

15:26:54 HOT-1

flap retratti.

15:27:07 HOT-1

post decollo checklist completa.

15:27:10.4 HOT-1

uccelli.

15:27:11 HOT-2

whoa.

15:27:11.4 CAM

[colpi e tonfi seguiti da rumori di vibrazioni]

15:27:12 HOT-2

oh#!

15:27:13 HOT-1

proprio!

15:27:13 CAM

[il sibilo dei motori diminuisce d’intensità]

15:27:14 HOT-2

oh-oh.

15:27:15 HOT-1

c’è stato un rollio, i motori non vanno.

15:27:18 CAM

[rumore, come un rombo sordo, che continua fino alle 15:28:08]

15:27:18.5 HOT-1

iniettori, accensione.

Comunicazioni aria-terra

371


Comunicazioni all’interno del cockpit 15:27:21.3 HOT-1

sto avviando l’APU.

15:27:22.4 FWC

[avviso acustico]

15:27:23.2 HOT-1

ho il comando.

15:27:24 HOT-2

hai il comando.

15:27:24.4 FWC

[avviso acustico]

15:27:25 CAM

[rumore elettrostatico dalle candelette dei motori]

15:27:26.5 FWC

priorità sinistra. [avvertimento automatico del FWC. Viene dato quando il pulsante di priorità del sidestick è attivato sul sidestick del comandante]

15:27:26.5 FWC

[avviso acustico]

15:27:28 CAM

[fine del rumore elettrostatico dalle candelette]

15:27:28 HOT-1

prendi il QRH… [manuale di consultazione rapida] perdita di potenza in entrambi i motori.

Comunicazioni aria-terra

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Comunicazioni all’interno del cockpit

15:27:30 FWC

Comunicazioni aria-terra

[singolo avviso “chime” che si ripete a circa 5.7 secondi di intervallo fino alle 15:27:59]

15:27:43 CAM

[rumore elettrostatico dalle candelette]

15:27:44 FWC

[singolo avviso “chime” tra gli avvisi che si ripetono a intervalli di 5.7 secondi]

15:27:50 HOT-2

se resta carburante, riavviare la spinta dei motori. riavvio.

15:27.54 HOT-1

riavvio.

15:27:55 HOT-2

leva di spinta al minimo.

15:27:32.9 RDO-1

mayday mayday mayday. qui Cactus uno cinque tre nove, impatto con uccelli, abbiamo perso spinta (in/a) entrambi i motori rientriamo a LaGuardia.

15:27:42 DEP

okay dovete rientrare a LaGuardia? virate a sinistra rotta… due due zero.

15:27:46 RDO-1

due due zero.

373


Comunicazioni all’interno del cockpit 15:27:58 HOT-1

confermato.

15:28:02 HOT-2

velocità di riavvio ottimale: trecento nodi. non li abbiamo.

15:28:03 FWC

[singolo avviso “chime”]

15:28:05 HOT-1

no.

15:28:05 CAM-2

Comunicazioni aria-terra

15:28:05 DEP

Cactus uno cinque due nove, volete provare ad atterrare sulla pista uno tre?

15:28:10.6 RDO-1

negativo. potremmo atterrare sull’Hudson.

se tre uno nove...

15:28:14 HOT-2

emergenza all’impianto elettrico… generatore d’emergenza inattivo.

15:28:18 CAM

[fine del rumore elettrostatico dalle candelette]

15:28:19 HOT-1

attivo.

15:28:21 HOT-2

notifica ATC. codice squawk sette sette zero zero. [codice di emergenza generale visualizzabile sul radar dei controllori di volo]

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Comunicazioni all’interno del cockpit 15:28:25 HOT-1

sì. il sinistro ha leggermente ripreso.

15:28:30 HOT-2

richiesta d’aiuto trasmessa.

15:28:36 TCAS

Comunicazioni aria-terra

15:28:31 DEP

bene Cactus uno cinque quattro nove sarà circuito di traffico sinistro per pista tre uno.

15:28:35 RDO-1

negativo.

15:28:36 DEP

okay, di cosa avete bisogno per atterrare?

15:28:46 DEP

Cactus uno cinque (due) nove pista quattro disponibile se volete fare un circuito sinistro pista quattro.

traffico traffico.

15:28:37 HOT-2

(vuole) che rientriamo e atterriamo su uno tre… per chissà quale motivo.

15:28:45 PWS

riattaccata. windshear in vista.

15:28:45 HOT-2

FAC [Flight Augmentation Computer, il computer che controlla il timone] uno off, poi on.

375


Comunicazioni all’interno del cockpit

15:28:59 TCAS

monitor velocità verticale.

15:29:00 HOT-2

nessuna riaccensione dopo trenta secondi, master uno e due confermare.

15:29:05 TCAS

nessun conflitto.

15:29:07 HOT-2

-off.

15:29:07 HOT-1

off.

15:29:10 HOT-2

aspetta trenta secondi.

15:29:11 PA-1

è il comandante che vi parla: prepararsi all’impatto.

Comunicazioni aria-terra

15:28:49.9 RDO-1

Non sono sicuro di poter raggiungere nessuna pista. uh cosa c’è alla nostra destra? in New Jersey? forse Teterboro?

15:28:55 DEP

okay sì, alla vostra destra c’è l’aeroporto di Teterboro.

15:29:02 DEP

volete provare a rientrare su Teterboro?

15:29:03 RDO-1

sì.

376


Comunicazioni all’interno del cockpit 15:29:14.9 GPWS

mille.

15:29:16 HOT-2

master due attivo.

15:29:18 HOT-1

attivo.

15:29:19 HOT 2

on.

15:29:21 CAM-2

15:29:26 HOT-1

15:29:27 FWC

Comunicazioni aria-terra

15:29:21 DEP

Cactus uno cinque due nove prua due otto zero, potete atterrare sulla pista uno a Teterboro.

15:29:25 RDO-1

negativo.

15:29:27 DEP

okay che piste preferite a Teterboro?

15:29:28 RDO-1

atterriamo sull’Hudson.

15:29:33 DEP

scusate, potete ripetere Cactus?

è tutta la potenza che hai? -numero uno? o abbiamo potenza sul numero uno.

procedi, prova numero uno.

[suoni “chime” ripetuti per 9.6 secondi]

377


Comunicazioni all’interno del cockpit 15:29:36 HOT-2

l’ho rimesso su on.

15:29:37 FWC

[suoni “chime” ripetuti per 37.4 secondi]

15:29:37 HOT-1

okay rimettilo su on… rimettilo su on.

15:29:37 GPWS

troppo basso. contatto suolo.

15:29:41 GPWS

troppo basso. contatto suolo.

15:29:43 GPWS

troppo basso. contatto suolo.

15:29:44 HOT-2

nessuna riaccensione.

15:29:45.4 HOT-1

okay estendi i flap, estendi i flap.

15:29:45 EGPWS

attenzione contatto suolo.

15:29:48 EGPWS

attenzione contatto suolo.

15:29:48 HOT-2

flap estesi?

15:29:49 EGPWS

contatto suolo contatto suolo. richiamare. richiamare.

Comunicazioni aria-terra

15:29:51 DEP

378

Cactus…


Comunicazioni all’interno del cockpit

15:29:55 EGPWS

richiamare. richiamare. richiamare. richiamare. richiamare. richiamare.

15:30:01 HOT-2

flap estesi.

15:30:03 HOT-2

distanza dal suolo duecentocinquanta piedi.

15:30:04 GPWS

troppo basso. contatto suolo.

15:30:06 GPWS

troppo basso. carrello.

15:30:06 CAM-2

centosettanta nodi.

15:30:09 CAM-2

mancanza di potenza in entrambi? prova l’altro.

15:30:11 HOT-1

Comunicazioni aria-terra

15:29:53 DEP

Cactus uno cinque quattro nove perso contatto radar avete anche l’aeroporto di Newark a ore due, a sette miglia.

15:30:09 4718

due uno zero quattro sette uno otto. credo abbia detto che vuole atterrare sull’Hudson.

prova l’altro.

379


Comunicazioni all’interno del cockpit 15:30:13 EGPWS

Comunicazioni aria-terra

attenzione contatto suolo.

15:30:15 FWC

[suoni “chime” ripetuti fino alla fine della registrazione]

15:30:15 EGPWS

attenzione contatto suolo.

15:30:16 HOT-2

centocinquanta nodi.

15:30:17 HOT-2

flap due, ne estendo ancora?

15:30:19 HOT-1

no restiamo a due.

15:30:21 HOT-1

qualche idea?

15:30:23 EGPWS

attenzione contatto suolo.

15:30:23 CAM-2

veramente no.

15:30:14 DEP

Cactus uno cinque due nove, siete ancora lì?

15:30:22 DEP

Cactus uno cinque due nove se volete… è disponibile la pista due nove di Newark a ore due e sette miglia.

380


Comunicazioni all’interno del cockpit

15:30:24 EGPWS

contatto suolo. contatto suolo. richiamare. richiamare. [“richiamare” viene ripetuto fino al termine della registrazione]

15:30:38 HOT-1

ci siamo.

15:30:38 HOT-2

interruttore?

15:30:40 HOT-1

sì.

15:30:41.1 GPWS

(cinquanta o trenta)

15:30:42 FWC

spinta al minimo.

15:30:43.7

[fine della registrazione]

15:30:43.7

[fine della trascrizione]

Comunicazioni aria-terra

381




Questo volume è stato stampato nell’ottobre 2016 presso la Rotolito Lombarda - Milano


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