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MISTER

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Sette notti di piacere

La legge del desiderio


Titoli originali delle edizioni in lingua inglese: The Tutor The Lawman Harlequin Blaze © 2010 Hope Tarr © 2010 Patricia Potter Traduzione di Elisabetta Elefante Traduzione di Elisabetta Frattini Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Enterprises II B.V. / S.à.r.l Luxembourg. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. Harmony è un marchio registrato di proprietà Harlequin Mondadori S.p.A. All Rights Reserved. © 2011 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prima edizione Harmony Temptation giugno 2011

Questo volume è stato impresso nel maggio 2011 presso la Rotolito Lombarda - Milano HARMONY TEMPTATION ISSN 1591 - 6707 Periodico mensile n. 280 del 17/06/2011 Direttore responsabile: Alessandra Bazardi Registrazione Tribunale di Milano n. 128 del 7/03/2001 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - 20090 Segrate (MI) Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 199 162171 Harlequin Mondadori S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano


HOPE TARR

Sette notti di piacere


Prologo Londra, East End 1874 Ralph sedeva sulla sponda del letto sfatto mentre sua madre si guardava nello specchio macchiato dall'umidità. Aveva arricciato i capelli e si era data il belletto, segno che stava uscendo a fare una delle sue passeggiate. Piroettò su se stessa, facendo ondeggiare l'ampia gonna scampanata. «Come sto?» «Sei bellissima, mamma» le rispose. Perché era vero e perché sapeva quanto le facessero piacere i complimenti di un uomo. Persino i suoi. Lei sorrise, scoprendo lo spazio vuoto tra le gengive, ricordo di uno dei tanti zii che le aveva fatto saltare un dente. I più simpatici, ma erano in pochi, a volte gli portavano un balocco o un dolcetto; ma i più lo ignoravano. Seguivano sua madre in camera, si gettavano sul letto e si rotolavano con lei per un sacco di tempo, emettendo strani mugolii. Lara gli arruffò i capelli color del grano, soffici e lucenti come i suoi. «Speriamo. Perché oggi ho un appuntamento con un distinto signore molto generoso.» Un'improvvisa paura serrò lo stomaco di Ralph. «Non con quello che ti ha picchiato l'altra sera, vero, mammina?» La bocca della donna si tese, rivelando due minuscole 7


rughe agli angoli. «Ma che dici, tesoro... Ora corri a mangiare la zuppa che ti ha preparato la signora Hanson; poi di' le preghiere e vattene dritto a letto. Tornerò prima ancora che cominci a sentire la mia mancanza.» Uno strano presentimento diede a Ralph la certezza che quella non era una sera come le altre. Strinse forte la mano di Lara. «Non te ne andare, mamma. Ti prego: non mi lasciare.» «Suvvia, Ralphie, non fare così.» Lei ritirò la mano e si avviò alla porta. Era già sulla soglia quando si girò: aveva gli occhi lucidi. «Ora saluta la mamma, Ralph. Dimmi addio...» Fu l'ultima volta che la vide. La signora Hanson cambiò repentinamente atteggiamento nei suoi confronti. A mano a mano che i giorni passavano e si tramutavano in settimane, le sue zuppe diventavano sempre più indigeste. E quando, alla fine del mese, sua madre non era ancora tornata con i soldi dell'affitto, lo sbatté fuori di casa, sebbene fosse inverno e stesse nevicando. Lo prese addirittura a calci il mattino dopo, trovandolo a dormire sotto i gradini esterni. «Questo è un pensionato rispettabile e non permetterò al figlio di una donnaccia di rovinare la mia reputazione ciondolando qui intorno. Vattene via, altrimenti chiamo i gendarmi e ti faccio portare in un ospizio per mendicanti. Tanto, prima o poi, ci finisci, in una di quelle topaie...» Ralph non se lo fece ripetere. Lara gli aveva raccontato della sua infanzia nell'ospizio di una parrocchia, un posto che immaginava spaventoso e orrendo. Perciò andò via, cercando ogni notte un giaciglio diverso, sotto le scalinate e i porticati. L'incontro con Johnnie Black avvenne il giorno in cui stava cercando di rubacchiare la cena da un venditore ambulante del mercato di Billingsgate. Si era appena infilato 8


una salsiccia nella tasca quando si sentì afferrare per la collottola e sollevare di peso da terra. Un faccione rubizzo inferocito apparve a pochi millimetri dal suo. «Ora ti faccio vedere io, brutto ladruncolo che non sei altro...» «Qualche problema, amico?» Ancora appeso per aria, Ralph girò il capo per fissare il suo salvatore. Johnnie non doveva avere più di vent'anni, ma al suo sguardo sembrò un distinto uomo di mondo, con il suo elegante cappello a cilindro sotto il quale appariva un gran ciuffo di capelli neri e occhi profondi. «Questo moccioso mi stava rubando una salsiccia» ringhiò il macellaio. «Non che la cosa vi riguardi...» Le labbra di Black si atteggiarono a un sorriso, rivelando un dente d'oro che Ralph trovò stupendo. «Deve esserci un equivoco. Ma questo sarà sufficiente a saldare il conto del mio giovane amico» disse, frugandosi nel taschino del panciotto e tirando fuori una corona. I piedi di Ralph tornarono a toccare il suolo nel giro di mezzo secondo. Il ghigno del venditore si tramutò in un sorrisetto soddisfatto mentre la moneta scivolava nella sua tasca. «Sono solo ragazzi...» commentò, bonario. Prese un'altra salsiccia e la consegnò a Ralph. Troppo affamato per dare ascolto al suo orgoglio, la divorò famelico, sporcandosi il mento. Mentre mangiava, Johnny gli posò una mano su una spalla e si allontanò con lui dal mercato. A un tratto, cominciò un saggio discorsetto. «Gli uomini come noi afferrano la vita a mani nude» esordì, sollevandosi le maniche del paltò e tendendo in avanti le mani ossute. Ralph stava già addentando la seconda salsiccia. «Ben detto, signore.» Ingoiò l'ultimo boccone, si strofinò le 9


mani sul davanti della logora giacchetta e gli porse la destra. «Ralph Sylvester. Lieto di conoscervi, signor...» «Black. Ma gli amici mi chiamano Johnnie.» Afferrò l'esile mano che gli veniva offerta e squadrò il ragazzo da capo a piedi. «E che ci fa un galantuomo come te vestito come uno straccione? Una bella ripulita: ecco cosa ti ci vuole.» Riempito lo stomaco, Ralph sentì ritornare l'orgoglio. Ma anche la vergogna. Si allacciò le braccia sul petto, desiderando che la giacca mangiata dalle tarme diventasse un pochino più pesante. «Non posso ripagarvi» mormorò. Johnnie scrollò le spalle. «Una corona... cosa vuoi che sia, tra amici? Perché sento che io e te diventeremo grandi amici.» Ora che la sua pancia non borbottava più, Ralph si ritrovò a nascondere un accenno di sbadiglio dietro il dorso della mano. «Vuoi farti una bella dormita?» domandò Black. «Ho un bel letto morbido che aspetta solo che qualcuno lo riscaldi.» Erano mesi che Ralph non dormiva su un materasso, perciò l'idea lo allettava molto. Ma tentennò, ripensando a sua madre... e ai suoi numerosi zii. «Non dovrò mica baciare qualcuno.» Johnnie rise forte. «Né sulla bocca, né altrove» dichiarò. Si girò e proseguì, sicuro che Ralph lo avrebbe seguito. Il ragazzino gli corse addirittura dietro, con le mani infilate nelle tasche bucate della giacchetta. Percorsero alcune viuzze tortuose piastrellate di ciotoli, oltrepassarono una rivendita di gin e l'angolo di una strada dove si intrattenevano donne truccate e vestite come sua madre. «Ti va, tesoruccio?» gli chiese una di loro, ammiccando. E Ralph affrettò il passo per raggiungere il suo benefattore. 10


Finalmente, questi si arrestò davanti a una costruzione che sembrava abbandonata. Le finestre erano serrate da lunghe assi di legno chiodate. Sulla porta era affisso un cartello con la scritta SOTTO SEQUESTRO. Pur dubitando che lì dentro potesse trovarsi il letto decente che gli era stato promesso, Ralph seguì il suo nuovo amico sul retro della costruzione, troppo stanco per cercare un altro rifugio per la notte. Scavalcati diversi cumuli di rifiuti, Johnny scostò con un calcio una cesta, che nascondeva un buco in un muro. «Dopo di te, amico.» Ralph esitò. Era rimasto per strada abbastanza a lungo da capire cosa rischiava a mettere la propria vita nelle mani di uno sconosciuto. Ma che alternativa aveva? Si acquattò e si infilò in quello che si rivelò un tunnel buio, lungo e stretto. Non vedeva granché, ma i fruscii che avvertiva intorno a sé tradivano la presenza di luride bestioline pelose a quattro zampe. Si affrettò, credendo di intravedere un tenue bagliore in fondo al viscido cunicolo, sforzandosi di domindare la paura e il disgusto che da sempre gli suscitavano i ratti. Il passaggio cominciò ad allargarsi. Sollevando una mano sopra la testa, si accorse che c'era abbastanza spazio e poté sollevarsi sulle ginocchia, poi in piedi. E quando la sua vista si adattò all'oscurità, mise a fuoco una ventina di occhi fissi su di lui: alcuni carichi di ostilità, altri semplicemente curiosi. «Ragazzi, venite a conoscere Ralph, il nostro nuovo amico.» La voce di Johnnie lo fece sobbalzare. Era apparso alle sue spalle. Alto e spigoloso com'era, gli sembrò strano che fosse riuscito a percorrere così rapidamente quella galleria così stretta. Ma, in quel momento, Ralph aveva una curiosità più urgente da soddisfare «Questo cos'è, un ospizio?» 11


Johnnie si tolse il cappello e lo lanciò verso un robusto ragazzo dai capelli rossi, con un occhio pesto e il naso rotto. Non era molto alto, ma le spalle muscolose e le mani enormi avrebbero fatto invidia a un pugile di professione. Black emise una via di mezzo tra uno sbuffo e un grugnito. «Questo semmai è l'antidoto a un ospizio. Sai cos'è un antidoto, ragazzo?» «N... no» balbettò Ralph, mentre gli altri ragazzi intorno a lui ridacchiavano. «È una cura» spiegò Black, con aria saccente. «Questo posto è una specie di scuola, e io sono il direttore. Prendo i ragazzi come te, giovani senz'arte né parte, e li trasformo in uomini di valore pieni di quattrini. E a te interessano i quattrini, vero?» Non era una vera e propria domanda, ma Ralph si ritrovò ad annuire. «Sissignore.» Si diede un'altra occhiata in giro. La stanza era squallida, impolverata e piena di ragnatele; c'era odore di chiuso, di muffa. Ma era un posto caldo. Sicuramente migliore dei sottoscala sotto i quali aveva dormito. Rifiutare l'ospitalità di Johnnie, peraltro, poteva sembrare da ingrati. E come gli altri allievi del signor Black, Ralph non sapeva dove altro andare. Era stanco di essere scacciato in malomodo, di soffrire il freddo e la fame. Voleva un posto dove poter tornare, la sera. Non doveva essere per forza Buckingham Palace o una dimora principesca. Gli bastava un tetto sulla testa e un piatto caldo. Un posto che potesse chiamare casa. Una casa, sì. Era senza alcun dubbio in cima alla lista delle sue priorità. Soddisfatto dalla sua espressione, Black annuì. «E ora via, toglietevi dai piedi.» Agitando una mano, disperse i ragazzi; tutti, tranne quello a cui aveva lanciato il cappel12


lo. Quindi si chinò su Ralph e gli posò una mano su una spalla. «Te ne starai qui finché non mi avrai ripagato la corona che mi devi. Dopodiché, sarai libero di andartene o di restare, a tuo piacimento. Siamo intesi?» «Intesi» convenne Ralph, sebbene avesse la netta, sgradevolissima sensazione che il tono dell'uomo non fosse più molto cordiale e amichevole. E che il suo sguardo si fosse fatto più cattivo. «Bene.» Black sigillò il patto con una poderosa manata sulla schiena. Quindi, fece un cenno al ragazzo con il cappello. «Rourke, fa' vedere il letto a Sylvester e non riempirgli la testa con le tue baggianate.» Tornò a rivolgersi a Ralph. «È un gran chiacchierone. Anche se con le mani ci sa fare molto meglio che con la lingua.» Rourke, che non aveva ancora fiatato, gli scoccò un'occhiata inceneritrice. Black non gli badò. «Da questo momento, voi due siete soci.» Rourke gli rilanciò il cappello. «Capirai che me ne faccio, di questo scricciolo» borbottò, decidendosi a parlare. Ralph drizzò le spalle e si impettì. «Guarda che so difendermi da solo.» In effetti, mostrava meno dei suoi dodici anni, e un mese di pasti per lo più saltati lo avevano indebolito al punto che non avrebbe saputo tener testa a un coetaneo in una scazzottata. Ma era lesto di mano, abilissimo con le dita e capace di fare giochi di prestigio da quando aveva sei anni. «Chiudi quella boccaccia» tuonò Black, «e ricordati che qui sei ancora in prova. Se non cominci a racimolare un po' di grana, la prossima volta ti faccio appendere a un chiodo e cambiare i connotati.» La sua espressione si ammorbidì appena. «Ora fatti una bella dormita e attento a non schiacciare gli scarafaggi nel letto. Ci vediamo domani, a colazione. Una colazione a base di salsicce, cre13


do.» Lo sgomitò su un fianco. «Al sangue.» Deglutendo per mandare giù un fiotto di paura, Ralph attese che Johnnie sparisse dietro una vecchia coperta appesa a una corda. Poi si girò versò Rourke e sussurrò: «E in che cosa saremmo soci, noi due?». Il ragazzo gli rivolse un'occhiata quasi di compassione. «Tranquillo, amico. Lo scoprirai presto.»

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