Tentazioni a natale

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D. Leclaire - S. Hyatt - R. Grady

TENTAZIONI NATALIZIE


Titoli originali delle edizioni in lingua inglese: Nothing Short of Perfect Lessons in Seduction The Billionaire's Bedside Manner Harlequin Desire © 2011 Day Totton Smith © 2011 Sandra Hyatt © 2011 Robyn Grady Traduzioni di Giuseppe Biemmi e Lara Zandanel Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Books S.A. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. Harmony è un marchio registrato di proprietà HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved. © 2012 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prime edizioni Harmony Destiny novembre 2012; dicembre 2012; novembre 2013 Questa edizione Harmony Extra dicembre 2017 Questo volume è stato stampato nel novembre 2017 da CPI, Barcelona HARMONY EXTRA ISSN 1824 - 6567 Periodico mensile n. 148 dello 01/12/2017 Direttore responsabile: Chiara Scaglioni Registrazione Tribunale di Milano n. 651 del 20/09/2004 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - Via Mondadori, 1 - 20090 Segrate (MI) Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 045.8884400 HarperCollins Italia S.p.A. Viale Monte Nero 84 - 20135 Milano


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Segreti parigini



L'equazione della passione



Prologo «Mi sente, signore? Può dirci il suo nome?» Era tutto un dolore. Gli facevano male la testa, il braccio e il torace. Gli era accaduto qualcosa, ma non sapeva cosa. Avvertì del trambusto e udì il suono di una sirena. Cosa diamine stava succedendo? Era a bordo di un'ambulanza? «Signore? Come si chiama?» «St. John. Jus... Jus...» Le parole gli uscirono dalle labbra, suonando strascicate e innaturali alle sue stesse orecchie. Per qualche ragione, non riusciva a coordinare la lingua quanto bastava per declinare le sue generalità, e la cosa lo costringeva a una vaga approssimazione. «Jus St. John. Cosa mi è...?» L'uomo sembrò comprendere la semplice domanda. «È rimasto coinvolto in un incidente stradale, signor St. John. Io sono un paramedico. La stiamo portando in ospedale dove potranno intervenire sulle sue lesioni.» «Aspettate» disse un'altra voce, stavolta appartenente a una donna. Una voce dolce e delicata. «Ha detto St. John? Justice St. John? Quello vero?» «Conosci questo signore?» «Ne ho sentito parlare. È un famoso inventore. Robotica. Dirige una grossa società, la Sinjin. È una specie di eremita, ma con un conto in banca così.» L'infermiere si lasciò sfuggire un'imprecazione. «Il 9


che significa che se commettiamo il minimo errore procedurale avremo addosso fior di avvocati. Sarà meglio avvisare che stiamo arrivando con un VIP a bordo. La direttrice sanitaria vorrà organizzarsi per fronteggiare l'assalto del circo mediatico.» Qualcuno gli fece un'altra domanda. Domande infinite. Perché diavolo non lo lasciavano in pace? «Soffre di qualche allergia o intolleranza, signor St. John?» Poi, più forte: «Ha qualche patologia di cui dovremmo essere informati?». «No. Mi sento semplicemente bloccato.» «L'abbiamo immobilizzata per precauzione, signor St. John.» Di nuovo la suadente voce femminile. «È per questo che non riesce a muoversi.» «La pressione sanguigna sta scendendo. Dobbiamo stabilizzarlo. St. John, ricorda com'è avvenuto l'incidente?» Certo che se lo ricordava. Un idiota al volante stava digitando messaggini al cellulare e aveva perso il controllo dell'auto. Dio, aveva male dappertutto. Justice aprì un occhio con fare esitante per sbirciarsi attorno. Il mondo gli apparve sfocato e fu colpito da una luce violenta che lo fece sussultare. «Spegnetela, maledizione» ringhiò. Okay, così andava meglio. «Pupille reattive. Flebo inserita. Ripetete la rilevazione dei parametri vitali. Avvisate che serve subito un neurologo. Chiedete di Forrest. Non è il caso di correre rischi. Signor St. John, riesce a sentirmi?» Justice imprecò. «Smettetela di strillare.» «La stiamo portando al Lost Valley Memorial Hospital. C'è qualcuno che vuole che sia avvertito?» Pretorius. In testa gli balenò l'immagine di un paio di occhi castani tipici dei St. John incastonati in un viso da segugio e di due spalle larghe piegate sopra la tastiera di un computer. Sì, potevano chiamare suo zio. Avrebbero avuto bisogno del numero, visto che non 10


era sull'elenco ma, al momento, Justice non riusciva proprio a ricordarlo in preda com'era ad atroci dolori. Cercò di spiegare il problema, ma scoprì che la lingua si rifiutava di collaborare. E poi si rese conto che, se anche fosse riuscito a spiegarsi, Pretorius non sarebbe venuto. Oh, avrebbe voluto farlo, non c'era alcun dubbio. Ma così come un impenetrabile muro impediva a Justice di fornire ai suoi soccorritori il necessario numero di telefono, una barriera parimenti insormontabile impediva a Pretorius di lasciare il loro quartier generale. Era una paura troppo grande perché potesse superarla, anche sapendo di dover accorrere al suo capezzale. E fu allora che la realizzazione lo colpì con accecante evidenza. Non aveva nessuno. Nessuno a cui interessasse se sopravviveva o moriva. Nessuno che avrebbe potuto prendersi cura di suo zio se non fosse riuscito a sfangarla. Nessuno che potesse portare avanti il suo nome o beneficiare di tutto ciò che aveva messo insieme. Come era potuto accadere? Perché aveva permesso che accadesse? Quando si era tagliato fuori dal mondo così completamente? Negli ultimi anni, aveva vissuto in un dorato isolamento, tenendosi ben lontano da qualsiasi legame sentimentale e dai dolori che la vita aveva l'abitudine di infliggere alle persone. E adesso sarebbe morto solo come un cane e nessuno l'avrebbe pianto, a parte quelli che lo stimavano per le sue capacità professionali. Aveva voluto tenersi alla larga dal resto del mondo, agognando la solitudine. Aveva voluto semplicemente essere lasciato in pace. E c'era riuscito. Ma a che prezzo? Adesso lo capiva, capiva chiaramente come anno dopo anno, inverno dopo inverno, una coltre di gelo aveva rivestito il suo cuore al punto che adesso dubitava che si sarebbe più riscaldato. Una volta aveva conosciuto cos'era la primavera, il calore di un giorno estivo e l'amore di una donna. 11


Donna? Accidenti, non era stata niente più di una ragazzina. Una ragazzina il cui nome aveva cercato di seppellire nei recessi della sua mente in modo che svanisse dalla memoria, ma che era rimasta impressa suo malgrado in ogni fibra del suo essere. Daisy. Era lei che gli aveva dimostrato una volta per tutte che le emozioni erano un male inutile. E guarda un po' com'era finito. «Signor St. John? C'è qualcuno che dobbiamo avvisare?» «No.» Si rassegnò alla cruda realtà, lasciandosi inghiottire dall'oscurità. Lasciando che i dolorosi ricordi tornassero a scivolare in un posto buio e nebuloso. Non c'era nessuno.

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1 «Qual è l'esito della tua ultima indagine informatica?» chiese Justice. Pretorius fece una smorfia, adocchiando lo schermo da dietro le lenti degli spessi occhiali dalla montatura nera che utilizzava per il computer da vent'anni a questa parte. «In base ai parametri che mi hai fornito, ho trovato una mezza dozzina di potenziali candidate con una compatibilità che tocca o supera l'ottanta percento.» «Diamine, appena?» «Considerata la lista dei requisiti che hai preparato, possiamo già dirci fortunati di aver trovato tutte quelle donne. Voglio dire, niente amore? Ma cosa ti dice il cervello?» Justice fece una smorfia. Non aveva intenzione di spiegare alcuna delle condizioni essenziali che aveva dettato. «Be', se la scelta è limitata a sei, dovrò arrangiarmi.» «Arrangiarti?» Pretorius ruotò di centottanta gradi la sedia su cui si trovava, gli occhi della stessa particolare tonalità dorata di quelli di Justice che scintillavano indignati. «Ma sei matto? Stai parlando del futuro della Sinjin Incorporated, qui.» Justice congedò la cosa con un gesto eloquente. «Passiamo alla questione successiva. Sono una mezza dozzina di candidate... Pensi che potresti sopportare di averle qui fra i piedi? Perché non c'è modo per cui tu 13


possa evitare di imbatterti in loro di quando in quando. Non posso certo chiuderle sottochiave per tenerle fuori dalla tua vista. Qualcosa mi dice che non accetterebbero una simile condizione.» Pretorius sbuffò. «Be', basta che tu le faccia venire una alla volta e non tutte insieme. Non potrei mai sopportare un'orda di femmine a caccia di marito.» Facendo viaggiare la sedia attraverso il pavimento grazie alle rotelle, suo zio gli si avvicinò. «Justice, sei sicuro di voler andare fino in fondo in questa faccenda?» «Assolutamente.» «È per via di quell'incidente d'auto, non è vero? Ti ha lasciato molto più che dei vuoti di memoria. Ti ha cambiato. Ha cambiato i tuoi obiettivi a lungo termine. Ha cambiato il modo in cui guardi il mondo.» Justice si ritirò dietro la sua gelida facciata, che riusciva sempre a smontare anche le persone più intraprendenti. Non che intimidisse suo zio. Questo no. Ma Jus avrebbe fatto qualsiasi cosa per evitare questa conversazione, probabilmente perché si avvicinava troppo al nocciolo della questione. Senza una parola, attraversò la spaziosa sala informatica e raccolse una sfera d'argento composta da piccole sezioni che andavano a incastrarsi insieme, ciascuna con inciso un simbolo matematico. Era una delle sue invenzioni, una di quelle che non aveva reso di pubblico dominio. La chiamava Rumi, abbreviazione per ruminare nel senso di elucubrare, dato che ci giocava ogni qualvolta doveva risolvere un problema... vale a dire, la maggior parte del suo tempo. Forse avrebbe dovuto chiamarla Oss, da ossessione. Pretorius si spinse con la punta del mocassino e riportò a tutta velocità la sedia alla sua postazione di lavoro. «Non puoi evitare questa discussione, Justice. Se hai in programma di andare avanti con il tuo piano, ho il diritto di conoscere la verità.» «Lo so.» Le dita di Justice si spostavano incessante14


mente sulla superficie di Rumi e, tirando e spingendo le varie sezioni, trasformarono la sfera in un cilindro. Invece che fluida e liscia, però, la figura geometrica risultava irregolare e sconnessa, i simboli disposti in una caotica accozzaglia. In quei giorni le forme erano sempre una caotica accozzaglia. Era così da più di un anno, già sei mesi prima dell'incidente. Justice cambiò discorso, sperando di distrarre lo zio. «Tutte le donne che hai selezionato saranno presenti al simposio L'Engineering nel Prossimo Millennio?» «Che titolo dozzinale» borbottò Pretorius. «Sottoscrivo. Ma non divaghiamo. Ci saranno?» «Sì. Me ne assicurerò io stesso. Due non avevano in programma di partecipare, ma...» Lui esitò. «Diciamo semplicemente che sono riuscito a fare in modo che cambiassero idea.» «Eccellente.» «Senti. Confidati con me, ragazzo. Perché? Perché fai questo?» Justice scosse il capo. Non era certo di poter esternare ciò che aveva dentro. Tentò di convincere con le buone il cilindro a diventare una doppia elica, mentre si sforzava di dar voce alla realizzazione fatta durante l'incidente. Come spiegare il nulla che era diventata la sua vita negli ultimi anni? Diamine, non ricordava l'ultima volta che aveva provato un'emozione, che fosse rabbia, felicità o anche solo una via di mezzo. Ogni giorno che passava i suoi sentimenti, la spinta a inventare, perfino l'ambizione non facevano che raffreddarsi lentamente. Mentre ogni singolo minuto scorreva inesorabile, tutto ciò che faceva di lui un normale essere vivente e pensante si affievoliva. Presto di lui sarebbe rimasto solo un guscio freddo e vuoto con le sembianze di un essere umano, pensò Jus, gettando da parte Rumi, frustrato dal suo ostinato rifiuto ad assumere una qualsiasi forma ben delineata. 15


«Non so spiegartelo. Devi solo accettarlo» disse alla fine Justice. «Per il mio bene.» «Oh, chiama e annulla tutto» lo esortò Pretorius. «Prima di combinare qualcosa di cui finiremo per pentirci entrambi.» «Non posso. Sono l'oratore principale.» Pretorius cambiò approccio. «Cosa diamine pensi di dire riguardo all'engineering nel prossimo millennio? Guarda che si tratta di mille dannatissimi anni. Porca vacca, è impossibile prevedere anche solo se esisterà ancora la razza umana fra mille anni, figurati cosa ne possiamo sapere dell'evoluzione dell'engineering lungo un simile arco di tempo.» «Per fortuna, sono io quello che parla colorito.» «Cosa vuoi farci? Stai trasmettendomi i tuoi vizi. Justice, tu non fai un'apparizione in pubblico da cinque anni. Non è questo il momento di cambiare rotta.» «Non faccio apparizioni pubbliche da cinque anni perché non ho avuto nulla da dire negli ultimi cinque anni. Quando avrò qualcosa da dire, ricomincerò a farmi vedere in pubblico. Fino a quel momento, mi accontenterò di partecipare a questo piccolo simposio senza correre il rischio di far figuracce.» «Guarda che i media saranno tutti presenti a questo piccolo simposio ora che il tuo nome è stato messo in relazione allo stesso. Dopo un'assenza così prolungata si aspetteranno un contributo di vitale importanza da parte tua. Ma ho come la sensazione che tu non abbia niente di vitale importanza da dire, o sbaglio?» «Non temere per il mio discorso, vecchio mio. Qualcosa inventerò... anche se, obiettivamente, mi pare dura, considerato che è un anno abbondante che non invento un accidente di niente.» «La tua creatività è solo bloccata. Possiamo sbloccarla senza ricorrere a simili estremi rimedi.» «Non vedo come sia possibile che la mia creatività sia bloccata, visto che non sono un creativo. Sono un 16


ingegnere e un matematico, l'avevi dimenticato?» Pretorius sospirò. «Ingegnere e inventore, e gli inventori sono gente creativa, Justice.» «Questa è una storia bell'e buona, e tu lo sai. Quindi faccio finta di non aver sentito.» Era una battuta ricorrente fra loro, ma per qualche motivo stavolta non fece ridere. Forse perché Justice trovava sempre più difficile ridere della sua attuale situazione. «Capisco che hai bisogno di una donna. Non posso darti torto. Ma allora va' e trovatene una.» Con divertimento di Justice, le punte delle orecchie di Pretorius stavano diventando di un rosso acceso. «Lascia che la natura faccia il suo corso. Insomma, sfogati un po' e sono sicuro che tornerai qui più pimpante di prima.» «Non è così semplice. Ho bisogno di...» Come poteva spiegarlo? Dall'incidente aveva capito che gli serviva qualcosa più di una partner temporanea. Più dell'avventura di una notte, o anche di un mese fatto di tante singole avventure di una notte. Agognava qualcosa di stabile e duraturo. Qualcosa su cui contare oggi, domani e di lì a un anno. Qualcuno cui importasse qualcosa di lui. Qualcuno da poter chiamare se... Signor St. John? C'è qualcuno che possiamo avvertire? Quelle parole continuavano a ossessionarlo, anche dopo tutti questi mesi. Come pure la sua risposta: No. Non c'era nessuno. «Ho bisogno di qualcosa di più» sussurrò Justice. Suo zio ammutolì, quindi annuì, afferrando ciò che intendeva anche se era restio ad accettarlo. «Significa che dovrai piantarla di imprecare come tuo solito. Ammetto che già questo sarebbe un gran bel cambiamento.» La bocca di Justice si storse. «Ci lavorerò su» gli assicurò solennemente. «Certo significherebbe anche che finalmente avremmo del cibo decente qui.» A Pretorius l'idea non dispiaceva. «E una casa pulita.» 17


«Chissà perché ho la sensazione che alla donna che sposerò non piacerebbe sapere che l'ho scelta perché avevo bisogno di una domestica.» Justice gli si avvicinò e si sporse al di sopra della spalla dello zio per premere un tasto. La stampante laser tornò in vita, cominciando a sputare un foglio dopo l'altro. «Il che ci riporta alla mia preoccupazione principale. Se mi sposo, anche tu dovrai adattarti a lei. Hai letto le informazioni su queste donne. Puoi tollerare che una di loro venga a vivere qui in modo permanente?» Pretorius aggrottò le sopracciglia. «È per questo che non ti sei sposato prima? Perché non sapevi come avrei reagito a vedere invasa la casa?» Invasa. Justice dovette reprimere un sospiro. Si prospettava una dura trattativa. «No, non mi sono sposato perché non ho mai trovato quella che riuscivo a sopportare per più di una settimana.» Lo zio annuì immusonito. «E qui entra in scena il mio programma informatico, giusto? Ho fatto del mio meglio per trasformare il Pretorius Program da business application a qualcosa di più personale. In fondo, i parametri restano simili. Trovare la moglie perfetta non è poi tanto diverso da trovare l'impiegata perfetta.» «Esattamente. Bisogna solo immettere dei dati diversi.» Justice elencò i suoi requisiti. «Ingegnere, perciò razionale e padrona delle sue emozioni. Ovviamente brillante, perché non sopporto le donne insulse. Fisicamente attraente sarebbe un extra da non disdegnare. Simpatica, ma che non crei problemi. E in grado di sopportare l'isolamento.» «Pensavo stessimo parlando di una donna.» «Se è ingegnere, ci sono forti possibilità che possieda già la maggior parte di queste qualità. E, soprattutto, che si possa inserire a meraviglia qui dentro.» «Okay, benissimo.» Pretorius si impettì, assumendo un atteggiamento professionale. «Visto che sei deciso ad andare fino in fondo, come ti ho già detto ho ristretto 18


la scelta a sei donne, che saranno tutte presenti al simposio.» «Grazie ai tuoi maneggiamenti?» «Sì. Questa è la parte semplice» disse a denti stretti Pretorius, prendendo la pila di documenti che la stampante aveva prodotto nel frattempo per sfogliarli rapidamente. Justice intravide grafici e diagrammi, fotografie, curricula vitae e... santo cielo, quelli che avevano tutta l'aria di essere dei rapporti di un investigatore privato! Non si poteva certo accusare lo zio di non essere scrupoloso. «E la parte difficile quale sarebbe?» «Vedi, le donne sono strane creature, Justice. Tendono a reagire negativamente se le inviti a bere un caffè per dire subito dopo che le vuoi in moglie.» «Be', accidenti.» A questo non aveva minimamente pensato. «Potresti sempre inventare una scusa per avere la necessità di trovarti una sposa su due piedi. Quella sono sicuro che la accetterebbero. Dopotutto, tu sei il Grande Justice St. John. O, almeno, così sostengono le riviste scientifiche specializzate.» «Oh, per carità...» «Oppure potresti ascoltare il suggerimento del molto meno grande Pretorius St. John.» «Vale a dire?» «Fa' finta di partecipare al simposio non tanto per trovar moglie, bensì per trovarti un'apprendista.» «Scusa, ma non mi serve un'apprendista.» «E invece sì. Almeno, questo è ciò che racconterai a queste donne. È l'unico modo per accalappiarle. Una volta che ne avrai scelta una che ritieni di poter sopportare per più di un mese, la convincerai a trasferirsi qui. Lavorerai con lei per un po'. La farai innamorare di te e poi la sposerai. In questo modo non ti prenderà per una specie di eccentrico svitato. E, comunque, con un po' di fortuna, quando si renderà conto di con chi ha a 19


che fare, sarà troppo tardi. L'avrai già sposata e portata a letto, e possibilmente ci sarà già in arrivo un JSJ junior. E magari lei cucinerà e pulirà anche solo perché le donne sono abituate a farlo» scherzò Pretorius, mettendo il plico cartaceo nelle mani di Justice. «Nel frattempo, studiati la pratica. Il simposio dura tre giorni, il che ti permette di gestire due candidate al giorno. Questo è il tempo che hai per tornartene con un'apprendistamoglie con cui sia possibile convivere sia a me che a te.» «E se non funziona?» Lo zio incrociò le braccia sul petto. «Ho pensato anche a questo. E anche se non voglio un'estranea che gironzola qui dentro, ficcando il naso dove non le compete, ho capito una cosa.» «Vale a dire?» chiese con cautela Justice. Pretorius gli puntò contro un dito. «Tu hai un sacco di conoscenze e capacità che non devono andare sprecate. Hai l'obbligo morale di condividere questo tuo bagaglio personale con altri. Se anche non dovesse funzionare come moglie, avrai pur sempre investito nel futuro contribuendo a formare una giovane brillante e, se sarai fortunato, trasmetterai il tuo codice genetico a un'altra generazione di St. John.» «Accidenti, che razza di modo di prospettare la faccenda.» «Non dimenticare che questa è stata una tua idea, ragazzo. Che te ne renda conto o no, quell'etichetta di genio che ti porti in giro ha un prezzo da pagare. Tu hai un debito con l'universo.» «Ne desumo che l'universo debba avermi mandato il conto» buttò lì con acido sarcasmo Justice. «Sì, e tu hai trascurato di pagarlo. È per questo che ti sei bloccato. Ti sei tenuto dentro le tue conoscenze, invece di diffonderle. Se questa ipotetica moglie non dovesse funzionare, quantomeno avrai trasmesso il tuo know-how a una degna erede. 20


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Romanzo

Seduzione di Natale



1 Keep calm and carry on. Danni St. Claire aveva letto quello slogan da qualche parte e le sembrava veramente appropriato alla situazione. Piegò le dita ricoperte dai guanti, prima di tornare a stringerle intorno al volante. I suoi passeggeri, al di là del divisorio, non le prestavano attenzione. Lo facevano raramente. Soprattutto se lei si limitava a fare bene il suo lavoro. In quel caso, il lavoro consisteva nel riportare alle rispettive destinazioni Adam Marconi, erede al trono del principato di San Philippe, e la sua favolosa compagna della serata. Senza incidenti. E, cosa più importante, senza che Adam si rendesse conto che era lei alla guida. Poteva farcela. Soprattutto se teneva la bocca chiusa. A volte aveva delle difficoltà su quel fronte, parlava a vanvera quando non era richiesto. Ma quella sera poteva riuscirci. Quanto poteva essere difficile? Non aveva motivo di parlare. Si sarebbe occupato qualcun altro di aprirgli e chiudergli la portiera. Tutto quello che lei doveva fare era guidare. E se l'avesse fatto come si deve, non avrebbe attirato l'attenzione. Sarebbe stata invisibile. Un'ombra. Ferma a un semaforo si sistemò il cappello da autista di suo padre leggermente più calcato sulla fronte. Un compito delicato, da svolgere con riservatezza, le avevano comunicato a palazzo. Sapeva che suo pa163


dre non avrebbe mai voluto che quel lavoro andasse a Wrightson, l'uomo che considerava un rivale per la posizione di autista capo. Danni ricordava ancora con chiarezza l'ultima volta che aveva guidato per un membro della famiglia reale, mentre frequentava il college. Non aveva più visto Adam da allora. In ogni caso, non sapeva che sarebbe stato lui il suo passeggero di quella sera. Quando aveva intercettato la chiamata, aveva pensato di dover andare a prendere la compagna di Adam, una bellissima ed elegante ricercatrice di una famosa università, e accompagnarla al ristorante. Ma poi – avrebbe dovuto sapere che ci sarebbe stato un poi – avrebbe dovuto accompagnarli entrambi a casa. Era ovvio, a ripensarci, che ci fosse qualcosa a giustificare la riservatezza della richiesta. Il suo stomaco gorgogliò. Non aveva avuto tempo di cenare. E suo padre non vedeva la necessità di tenere una scorta di snack nel vano portaoggetti. Nel frigo sul retro della limousine c'era ogni sorta di prelibatezze ma difficilmente avrebbe potuto chiedere che gli passassero qualcosa. Nel migliore dei casi sarebbe stato poco appropriato. Avrebbe dovuto farsi bastare la confezione di mentine che aveva in tasca. A un altro semaforo diede un'occhiata nello specchietto retrovisore e alzò gli occhi al cielo. Se a palazzo avevano ritenuto il compito delicato per quello che sarebbe potuto accadere sul sedile posteriore, non avrebbero dovuto preoccuparsi. Adam e la sua accompagnatrice erano assorti nella conversazione; entrambi sembravano assolutamente seri, come se stessero discutendo di come risolvere i problemi del mondo. E forse era così. Forse era quello che facevano principi e ricercatrici agli appuntamenti. Di certo, non si preoccupavano di cosa sarebbero stati in grado di scovare in frigorifero per la cena. Tuttavia era convinta che lo scopo di un appuntamento fosse conoscersi. Non risolvere i problemi 164


dell'umanità, né discutere così seriamente da assomigliare a due membri della corte suprema riuniti per emettere una sentenza. Danni sospirò. Chi era lei per pretendere di conoscere il protocollo reale? Le cose erano diverse nel mondo di Adam. Era sempre stato così. Anche da ragazzino sembrava portare su di sé il peso del mondo. Aveva preso seriamente le sue responsabilità e i suoi doveri. Troppo seriamente, riteneva lei. Quel che sapeva era che Adam era alla ricerca della moglie perfetta. E una delle possibili candidate era con lui sul sedile posteriore. Secondo i giornalisti, giunto all'età di trentun anni, suo padre e il suo Paese si aspettavano che facesse la cosa giusta. E la cosa giusta consisteva nello sposarsi, sistemarsi e avere un erede, possibilmente maschio, per dare continuità alla dinastia Marconi e garantire la successione. Se l'avessero chiesto a Danni, lei sarebbe stata felice di condividere la sua opinione, secondo cui il principe aveva bisogno di movimentare un po' la sua vita, non di sistemarsi. Aveva sempre pensato che la concentrazione sul suo ruolo impedisse ad Adam di considerare tutte le opzioni e le possibilità che aveva di fronte a sé. E il suo ruolo impediva agli altri di vedere chi realmente lui fosse. Per Adam, trovare la donna giusta significava appuntamenti. Cene romantiche come quella a cui era appena stato nel ristorante panoramico che dominava la città nuova. Forse, invece di concentrarsi su Adam, Danni avrebbe dovuto tentare di carpire qualche consiglio su come una vera donna avrebbe dovuto comportarsi a un appuntamento. Guardò di nuovo nello specchietto retrovisore. Ovviamente, stare seduta diritta era importante, le mani curate raccolte in grembo, sorrisi cortesi, risate pacate, occasionali battiti delle lunghe ciglia, un lieve 165


movimento della testa per mettere in mostra il sottile collo pallido. Chi voleva prendere in giro? Danni non sbatteva le ciglia. E, lavorando nell'industria delle corse automobilistiche, la manicure sarebbe stata uno spreco di tempo e denaro. A volte avrebbe voluto non essere vista semplicemente come uno dei ragazzi della squadra formata da soli uomini, ma sapeva di non essere in grado di comportarsi come un clone di Barbie. Be', perfino Barbie avrebbe avuto più personalità della donna seduta sul sedile posteriore. Danni si sforzò di interrompere quel flusso di pensieri. Stava riversando le sue insicurezze e inadeguatezze su una donna che non conosceva neppure. Alzò di nuovo lo sguardo, determinata a pensare il meglio della coppia alle sue spalle. No, non poteva essere vero! Ma una seconda occhiata confermò che Adam aveva tirato fuori il suo computer portatile e tutti e due stavano indicando qualcosa sullo schermo. «Il modo giusto per affascinare una donna, Adam» mormorò. Non poteva averla sentita, non con il divisorio sollevato e il microfono spento, ma Adam alzò lo sguardo e per una frazione di secondo i suoi occhi incrociarono quelli di lei nello specchietto. Danni si morse la lingua. Fortunatamente lui non parve riconoscerla. Non si soffermò a osservarla, come se fosse invisibile. Il che era positivo. Perché non avrebbe dovuto guidare per lui. L'aveva bandita da quella carica. In realtà, non si era trattato di nulla di ufficiale. Le aveva solo comunicato che non voleva più che conducesse la sua auto. Ma nei circoli di palazzo un'affermazione di Adam valeva tanto quanto un divieto. Non era necessario che venisse ufficializzato. Anche se, onestamente, nessuna persona ragionevo166


le l'avrebbe incolpata per quell'incidente con il caffè. Non c'era modo di evitare quella buca. Sospirò. Non che le servisse quel lavoro, né allora né adesso. A quel tempo doveva dedicarsi agli studi e ora faceva parte della squadra impegnata a portare il Gran Premio di Formula 1 a San Philippe. Ma ricordò a se stessa che a suo padre il lavoro serviva. Come scopo nella vita e realizzazione di sé, se non per i soldi. Prossimo alla pensione, aveva iniziato a temere di essere rimpiazzato nel ruolo che aveva dato un senso alla sua esistenza. Il lavoro di suo padre e del padre di suo padre. Danni non tornò a guardare nello specchietto, non verso il sedile posteriore, comunque. Si consolò pensando che l'allontanamento era avvenuto cinque anni prima, durante le vacanze estive, e sicuramente Adam l'aveva dimenticato, avendo cose ben più importanti a cui pensare. Senz'altro l'aveva perdonata. Negli anni era diventato un estraneo. Così continuò a guidare, senza prendere scorciatoie, fino all'hotel più lussuoso di San Philippe, fermandosi bruscamente di fronte all'ingresso. «Aspetti qui.» La voce profonda di Adam, abituata al comando, risuonò nel microfono. Un cameriere dell'hotel aprì la portiera e Adam e Miss Brillante Ricercatrice, con un abito elegante e gambe chilometriche, scesero dall'auto. Clara. Così si chiamava. Aspetti qui poteva significare tutto, da trenta secondi a trenta minuti, perfino ore – era già accaduto con altri passeggeri. Lui stava accompagnando a casa una donna dopo un appuntamento; Danni non aveva idea se quello fosse il primo o secondo incontro, o qualcosa di più. Forse Clara l'avrebbe invitato a salire. Forse gli avrebbe allentato la cravatta, sfilato la giacca dalle ampie spalle e l'avrebbe attirato nella sua camera d'albergo, le labbra incollate alle sue, facendolo smettere 167


di pensare per lasciare spazio alle sensazioni, le dita tra i suoi capelli scuri che scendevano a esplorare il suo petto perfettamente scolpito. Wow. Danni mise un freno al flusso dei suoi pensieri che troppo facilmente l'aveva portata a immaginare Adam senza camicia. Era cresciuta nelle tenute del palazzo, quindi nonostante i cinque anni di differenza, loro due avevano giocato insieme da bambini. C'era stato un tempo in cui aveva pensato a lui quasi come a un amico. Come suo alleato e, a volte, protettore. Proprio non riusciva a vederlo solo come un membro della famiglia reale anche se prima o poi sarebbe stato principe regnante. E sapeva che non avrebbe dovuto immaginare il principe regnante a torso nudo. Sapeva anche che la sua immaginazione avrebbe potuto andare oltre fin troppo facilmente. In effetti, non aveva colto quel genere di segnali dalla coppia, ma dopotutto, cosa ne sapeva lei. Forse le persone colte e di buona famiglia si comportavano in maniera differente. Forse erano più brave a dominare la passione. Si rilassò sul sedile, alzò lo stereo e si abbassò la visiera del cappello sugli occhi. Tornò a raddrizzarsi quando sentì la portiera aprirsi alle sue spalle. Erano passati solo pochi minuti. Spense lo stereo. Calò il silenzio mentre Adam saliva in auto. Stranamente in perfetto ordine. Non un bottone slacciato, un capello fuori posto, o uno sbaffo di rossetto. Sembrava serio come poco prima. Non c'era niente di dolce in lui. Perfino la leggera gobbetta sul naso, che avrebbe dovuto turbare la perfezione del viso, non faceva che aumentarla. Si erano almeno baciati? Danni scosse la testa e mise in moto. Non avrebbe dovuto importarle. Non le importava. Normalmente, con un altro passeggero, avrebbe det168


to qualcosa. Un semplice Bella serata, signore? A volte l'autista diventava una sorta di maggiordomo al volante. Ma Adam non era un passeggero qualunque e, considerato che aveva la testa appoggiata al sedile e gli occhi chiusi, chiaramente non aveva voglia di fare conversazione. Le bastava che il silenzio durasse ancora un po'. L'avrebbe riportato a palazzo in quindici minuti. Poi sarebbe stata libera. Ce l'avrebbe fatta. Senza incidenti. Suo padre sarebbe tornato il giorno successivo. Tutto sarebbe andato per il meglio. Un quarto d'ora dopo, lei rilassò le dita mentre superava i cancelli del palazzo. Dopo pochi minuti fermò l'auto di fronte agli appartamenti di Adam. Il suo sorriso scomparve quando il valletto che avrebbe dovuto aprire la portiera non fece la sua comparsa. All'improvviso, Danni ricordò le lamentele di suo padre riguardo al fatto che Adam avesse rifiutato quell'usanza nella sua residenza privata. Suo padre era rimasto scandalizzato come se Adam avesse deciso di smettere di indossare le scarpe in pubblico. A Danni la cosa non creava problemi. A parte in quel preciso momento. Difficilmente Adam avrebbe potuto aprire da sé la portiera, essendosi addormentato. Non c'era altro da fare. Scese, aggirò l'auto e, dopo aver dato una rapida occhiata intorno, aprì la portiera e si sistemò di lato, evitando di guardarlo. Aveva sperato che il movimento dell'auto che si fermava e il rumore della portiera lo svegliassero. Quando, passati alcuni secondi, lui non comparve, Danni si voltò per guardare all'interno dell'auto. Il cuore le sobbalzò nel petto. Adam aveva ancora gli occhi chiusi e finalmente il viso e la bocca erano rilassati e sembravano meno seri e irraggiungibili. Sembrava invece vitale e sensuale. E aveva delle ciglia magnifiche – folte e scure. Aveva un profumo divino. Avrebbe voluto avvicinarsi per inalarlo a pieni polmoni. «Adam» disse lei piano. Si sarebbe sentita più a suo 169


agio a chiamarlo Signore o Vostra Altezza, perché all'improvviso sentiva il bisogno di frapporre distanza e formalità, di interrompere quei pensieri inappropriati e fin troppo informali sull'erede al trono. Smettere di desiderare di sfiorare quel piccolo rigonfiamento sul suo naso. Ma una delle cose su cui Adam aveva sempre insistito era che il suo staff, e soprattutto chi era davvero cresciuto insieme a lui, lo chiamasse per nome. Tentava di essere un principe al passo con i tempi. Lei pensava segretamente che forse sarebbe stato più felice e a suo agio uno o due secoli prima. «Adam» provò a ripetere a voce più alta ma le uscì un sussurro strozzato. Danni deglutì. Tutto quel che doveva fare era svegliarlo e poi uscire dall'auto. Gli si avvicinò e si armò di coraggio. Dopo tutto era solo Adam. Lo conosceva praticamente da sempre anche se li separavano cinque anni e infiniti gradi di rango. Lui spalancò gli occhi. Lo sguardo incrociò per un attimo quello di lei e si rabbuiò. La bocca di Danni divenne improvvisamente secca. «Posso aiutarti?» chiese lui, la voce bassa e vellutata con un tono velatamente ironico, come se sapesse che lo stava fissando. Affascinata. Sconcertata dall'intimità che aveva immaginato di cogliere nel suo sguardo, reagì accalorandosi inaspettatamente. «Sì, potresti aiutarmi svegliandoti e scendendo dalla mia auto.» «La tua auto, Danielle?» Sollevò un sopracciglio. «La tua auto. Ma sono io che devo ancora portarla fino in garage» rispose lei bruscamente. Ops, probabilmente non avrebbe dovuto usare quel tono con il principe, non importava quanto fosse scocciata. Era senza dubbio poco appropriato. La sua risposta brusca sembrava quasi avergli fatto piacere, perché gli angoli della sua bocca si piegarono. Ma poi, troppo presto, tornò inespressiva. 170


Danni deglutì. Doveva fare retromarcia. E in fretta. «Siamo arrivati a palazzo. Spero che tu abbia passato una bella serata.» Usò il tono più cortese possibile, mentre scendeva dall'auto. Attenersi al copione. Era tutto ciò che doveva fare. Adam la seguì e si fermò accanto a lei, sovrastandola. «Molto, grazie.» «Davvero?» Fece una smorfia. Quello non era attenersi al copione. Cos'era successo al suo proposito di passare inosservata come un'ombra? Lui strinse gli occhi, il suo sguardo che si trasformava in interrogativo e poi accusatorio. «Dubiti di me, Danielle?» Be', sì. Ma non avrebbe potuto dire una cosa del genere e non voleva mentire. Cercò un modo per aggirare l'ostacolo. «Nessuno lo sa meglio di te.» «No, infatti.» Voleva solo che lui si allontanasse dall'auto. Che entrasse a palazzo e continuasse a salvare la nazione e il mondo. Così lei avrebbe potuto chiudere la portiera, guidare fino al garage e trovare qualcosa da mangiare. Come se quella serata non ci fosse mai stata. Non ci sarebbero state ripercussioni. Né per lei né per suo padre. Ma lui non si muoveva. Rimaneva assolutamente immobile. All'improvviso, il suo stomaco gorgogliò per la fame. «Non hai mangiato?» «Sto bene.» Di nuovo silenzio. Imbarazzo e tensione. Se solo se ne fosse andato! Lui rimaneva fermo a guardarla. «Non sapevo che fossi tornata a lavorare per noi. Pensavo ti trovassi negli Stati Uniti.» «Ci sono stata per un po'. Poi sono tornata.» Tre anni e mezzo prima era tornata per restare. «Ma questo lavoro è temporaneo, solo per stasera in realtà. Sto da 171


papà e lui ha avuto un impegno improvviso.» Danni trattenne il respiro. Si ricordava di averla allontanata? Contava ancora? «Sta bene?» «Certo. È andato a trovare un amico malato. Sarà di ritorno domani.» «Bene.» Adam si voltò per entrare a palazzo e poi, proprio quando lei pensava di essere libera, tornò sui suoi passi. «Cos'hai detto?» «Che tornerà domani.» «No. Prima. Mentre stavi guidando.» Le parole inappropriate che si era lasciata scappare poco prima le tornarono alla mente. No, no, no. Non poteva averla sentita. «Non mi ricordo» mentì a denti stretti, andando contro tutti i suoi principi. «Era nel momento in cui ho estratto il mio computer portatile per mostrare a Clara l'avanzamento della lava in seguito all'eruzione del 1300 sulla Ducal Island. Danni alzò gli occhi al cielo; non riuscì a evitarlo. Era troppo. «Esattamente quello che intendevo» disse, alzando le mani in segno di resa. «Ho detto "il modo giusto per conquistare una donna, Adam".» Sul serio? L'avanzamento della lava? L'espressione di lui divenne gelida. A quanto pareva aveva superato il limite. La sua unica speranza era di fargli comprendere cosa intendeva. «Andiamo, Adam. Non sei sempre stato così ingessato.» Lo conosceva fin da quando era un ragazzo e, di tanto in tanto, aveva visto sprazzi di un uomo diverso oltre le apparenze, quando si dimenticava, anche se per poco, chi doveva essere e si concedeva di agire con naturalezza. Ora non era uno di quei momenti. Aggrottò le sopracciglia, ma lei non riuscì a trattenersi. «Quale donna vuole parlare di lava e formazioni rocciose a un appuntamento?» Danni ricordò troppo 172


tardi che si dice che la cosa migliore da fare quando ti trovi a sprofondare in un buco è smettere di scavare. La fronte di lui si corrucciò ancora di più. «Clara è una ricercatrice universitaria. Studia geologia. Era interessata.» «Forse sì. Ma di certo avrebbe potuto leggere un libro di testo sull'argomento. Sarebbe fantastico se steste pianificando un ciclo di conferenze insieme, ma non lo definirei romantico. Dov'è la poesia? La magia? Non la guardavi nemmeno negli occhi, stavi fissando lo schermo. E vi siete almeno baciati quando l'hai accompagnata alla porta?» «Non sono sicuro che siano affari tuoi, comunque sì.» Non si sarebbe lasciata intimidire. «Un bacio, eh?» «E tu sei un'esperta di baci e romanticismo? Cosa suggeriresti? Magari discutere delle caratteristiche di una Bentley?» Danni fece un passo indietro come se bastasse a prendere le distanze da quella pugnalata dolorosa. Le piacevano le macchine. Non poteva negarlo. E non voleva neppure farlo, anche se Adam – che per quel che sapeva amava le auto allo stesso modo – considerava quella passione una caratteristica negativa per una donna. «No, non sono un'esperta di romanticismo. Ma sono una donna.» «Ne sei sicura?» Questa volta non provò nemmeno a nascondere la sua mortificazione. Si allontanò ancora di un passo. Il cuore le batteva forte, facendo eco nel suo petto. Si sforzò di chiudere la bocca che si era spalancata per la sorpresa. La divisa – giacca scura e pantaloni – era da uomo ed era stata riadattata per lei, l'unica autista donna. Era di alta sartoria ma non esattamente femminile. Non aveva niente a che vedere con il morbido vestito rosa di Clara che lasciava scoperte ampie porzioni di pelle e 173


scivolava sulle sue curve. Danni era sempre stata un maschiaccio e preferiva la praticità e la comodità ma aveva comunque dei sentimenti e il suo orgoglio e Adam li aveva appena calpestati entrambi. Adam, la cui opinione non avrebbe dovuto importarle. Ma a quanto pareva era così. Lo shock mutò l'espressione del viso di lui. Shock e rimorso. Si protese verso di lei, poi lasciò cadere la mano. «Danni, non intendevo in quel senso. Volevo dire che ti vedo ancora come una bambina. Mi sorprende ancora che tu sia abbastanza grande da poter guidare.» Lei scrollò via il dolore, cercando di sostituirlo con un'aria di sfida. «Ho preso la patente più di dieci anni fa. E tu non sei poi molto più grande di me.» «Lo so. Solo che a volte sembra che io sia molto più vecchio.» «È vero» Era sempre stato così. Adam era sempre sembrato più grande. Distante. Irraggiungibile. Lui sospirò e chiuse gli occhi. Quando li riaprì disse: «Certo sei una bella donna, ma questo non ti autorizza a darmi dei consigli sui miei appuntamenti. Sono uscito con abbastanza donne da sapere come comportarmi». «Ne sono certa» replicò piano. Tutte belle, intelligenti e ricche, più che adatte al ruolo di futura principessa. Ma nonostante tutti quei punti apparentemente a loro favore, raramente lui era uscito con la stessa donna due volte. E mai, per quanto ne sapesse, una terza volta. Non che lei stesse a tenere il conto, ma bastava dare un'occhiata ai giornali, anche solo quando li usava per accendere il fuoco, per essere informata della sua vita sentimentale. Ma certamente non era nella posizione di commentare, e la critica implicita le sarebbe costata la testa qualche secolo prima. Era grata che le decapitazioni fossero fuori legge da diversi secoli perché, a giudicare dall'espressione infastidita di Adam, sembrava favorevole a metterne in at174


to una proprio in quel momento. Per un istante credette che fosse sul punto di perdere la sua calma leggendaria. Ma lei non provava alcun senso di trionfo. C'era stato un tempo in cui, insieme al fratello minore di Adam, Rafe, far innervosire l'imperturbabile erede al trono era stato il loro passatempo preferito. Ma adesso era ancora troppo preoccupata di nascondere il suo dolore per provare qualcosa di simile alla soddisfazione. Adam si raddrizzò. Una maschera di distacco indurì i suoi lineamenti, irrigidendo la mascella. «Ti chiedo scusa, Danielle. Sinceramente. Grazie per il tuo servizio di stasera. Non sarà più richiesto in futuro.» Licenziata. L'aveva licenziata di nuovo. La sera dopo, mentre mangiava il minestrone con suo padre davanti al fuoco, Danni non riusciva a smettere di pensare al suo scontro con Adam. Zuppa e film erano la loro cena tradizionale della domenica sera. Terminarono il pasto e si prepararono per il film. Una grande ciotola di popcorn era posata sul tavolino e una commedia d'avventura era pronta per essere inserita nel lettore DVD. Di solito, quando era a San Philippe, tornava nel suo appartamento la sera. Ma la sua casa era stata ristrutturata, così era rimasta da suo padre nell'ultima settimana. Non gli aveva ancora detto del fiasco della sera precedente. Quella sarebbe stata l'occasione perfetta. Ma non si era ancora ripresa dall'esperienza. Anche se fingeva di essere indifferente, nei momenti più impensati l'ultima parte della serata con Adam le tornava alla mente e riviveva nella sua testa. Avrebbe dovuto fare tutto diversamente. A cominciare dal tenere la bocca chiusa. Come autista capo, suo padre aveva il diritto di sapere cos'era successo. Ma lei non era stata in grado di dirglielo. Sapeva che lo avrebbe deluso, e odiava l'idea 175


di dare un dolore all'uomo che aveva fatto così tanto per lei, chiedendole così poco in cambio. Aveva pensato che, se non avesse detto niente, lui non l'avrebbe mai saputo. Tanto non avrebbe più dovuto guidare per Adam. E poi, il silenzio era giustificato perché suo padre era ancora molto triste dopo la visita all'amico. Voleva alleviare il suo dolore, non accrescerlo. Per lo meno, quella era la sua scusa. Il film che stavano per guardare sarebbe stato il tonico perfetto. Il fatto che includesse una stupenda e realistica scena di inseguimento di auto non era che un bonus supplementare. Non importava se non avrebbe più guidato per Adam. Era un caso talmente raro che difficilmente avrebbe fatto la differenza. E sapeva che Adam non avrebbe permesso che la cosa avesse delle conseguenze su suo padre. No. Il loro scambio di battute era stato personale. E lui l'avrebbe mantenuto tale. Faceva parte del suo codice d'onore. Aveva appena acceso la televisione quando tre colpi secchi risuonarono alla porta. Suo padre la guardò. Fece per alzarsi, ma Danni allungò la mano.«Resta lì. Ci penso io.» I visitatori erano rari, soprattutto quelli senza preavviso. Considerato che suo padre viveva nell'edificio che era stato la portineria del palazzo, gli amici non potevano semplicemente capitare lì per caso. Danni aprì la porta. Non si trattava di amici.

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Romanzo

Segreti parigini



1 «Me lo dica se è un brutto momento.» Nell'istante in cui pronunciò quelle parole, Bailey Ross osservò l'uomo a cui si stava rivolgendo – il dottor Mateo Celeca – raddrizzare le ampie spalle e scattare in piedi. Con le sopracciglia aggrottate, piegò il capo e la fissò negli occhi così intensamente che le guance di Bailey si fecero rosse e le ginocchia le tremarono un po'. Mama Celeca le aveva detto che suo nipote, di professione ginecologo, era piacente, ma da quel che ricordava la parola strafigo non era mai stata pronunciata. Quando, pochi istanti prima, Bailey aveva raggiunto quell'esclusivo indirizzo di Sydney, si era sistemata meglio lo zaino malridotto sulle spalle, mentre esaminava prima i bagagli, disposti ordinatamente accanto alla porta e poi l'ampia schiena della figura maschile poco distante. Occupato a controllare il sistema di sicurezza, Mateo Celeca non l'aveva notata, e Bailey non era tipo da presentarsi senza avvertire, ma quella era un'eccezione. Ricordando le buone maniere, Mateo mutò l'espressione sorpresa in un sorriso cordiale ma guardingo al tempo stesso. «Mi perdoni» disse con voce profonda e modulata che richiamava le sue origini mediterranee. «Ci conosciamo?» «No, in realtà no. Ma sua nonna avrebbe dovuto 313


chiamarla. Sono Bailey Ross.» Fece un respiro profondo e gli tese la mano. Ma quando il dottor Celeca si limitò a stringere gli occhi, il sorriso di Bailey scomparve. «Mama Celeca ha telefonato... vero?» «Non ho ricevuto chiamate» ribatté con tono severo. «Mama sta bene?» «Certamente.» «Magra come sempre?» «Non direi. Dopo aver assaggiato un po' del suo pandoro, nemmeno io sono più magra come un tempo.» Come una sentinella a guardia del palazzo, Mateo incrociò le braccia sul petto possente. Bailey si schiarì la voce e spiegò: «L'anno scorso ho viaggiato per l'Europa. Ho passato gli ultimi mesi in Italia nella città di Mama Celeca. Abbiamo fatto amicizia». «È una donna fantastica.» «È molto generosa» mormorò Bailey, ripensando all'ultimo atto caritatevole di Mama. Praticamente le aveva salvato la vita. Bailey non sarebbe mai stata in grado di ripagarla con facilità, anche se era determinata a provarci. Quando un'ombra passò sul volto severo del medico, temendo di aver detto troppo, Bailey si affrettò ad aggiungere: «Mi ha fatto promettere che appena fossi tornata in Australia, per prima cosa sarei passata di qui per un saluto». Diede un'altra occhiata alle valigie di Mateo. «Ma vedo che non è un buon momento.» E lo stesso si poteva dire per lei. Ora che era a casa, doveva decidere quale sarebbe stato il suo prossimo passo. Un'ora prima era incappata in un imprevisto. Vicky Jackson, l'amica da cui sperava di soggiornare per un paio di giorni, era fuori città. Quindi, per prima cosa doveva trovare un posto dove dormire – e un modo per pagarlo. Mateo Celeca continuava a studiarla. Poi abbassò lo sguardo sui propri bagagli. 314


Bailey si raddrizzò. Era ora di andare. Prima che potesse congedarsi, lui la bloccò. «Anch'io sto per andare in Europa.» «In Italia?» «Anche.» Bailey lo guardò pensierosa. «Mama non mi ha detto niente a riguardo.» «Voglio che sia una sorpresa.» Quando si toccò distrattamente il cinturino dell'orologio di platino, Bailey colse il segnale e fece un passo indietro. «Bene, le porti i miei saluti. Le auguro buon viaggio.» Ma, mentre si voltava per andarsene, una mano la toccò sul braccio e le catturò il polso. La stretta non era troppo forte, ma era possente e risoluta. Il contatto con la pelle di lui fu così intenso da bruciare come una fiamma. «Sono stato così scortese» disse lui, lasciando cadere la mano. «La prego, si accomodi. Il mio taxi arriverà solo tra qualche minuto.» «Davvero, non vorrei...» «La prego.» Facendosi da parte, indicò con un cenno del capo la porta e lei colse il profumo del suo dopobarba, meravigliosamente maschile. I brividi che le attraversarono il corpo e le fecero formicolare il bassoventre erano un'ottima ragione per non accettare il suo invito. Dopo tutto quello che aveva passato – senza considerare quanto aveva rischiato – aveva giurato di stare alla larga dagli uomini affascinanti e persuasivi. Scosse la testa. «Davvero, non posso.» «Mama mi ucciderebbe se sapesse che ho mandato via un'amica.» Finse di accigliarsi. «Lei non vuole che si arrabbi con me, vero?» Stringendo le labbra, Bailey spostò il peso da un 315


piede all'altro e, pensando a Mama, alla fine si arrese. «Direi di no.» «Allora è deciso.» Ma poi, improvvisamente, di nuovo sospettoso, si guardò intorno. «È appena atterrata?» le domandò, fissando il suo zaino. «E quello è tutto il suo bagaglio?» Con un ampio sorriso, rispose: «Viaggio leggera». Gli occhi indagatori di lui dicevano: Lo vedo. E tra poco mi dirai il perché. Mateo osservò la sua ospite inattesa entrare nello spazioso ingresso. Lo sguardo indugiò sui lunghi capelli sciolti e sull'abbigliamento dimesso. Inarcando un sopracciglio, chiuse la porta. Non sapeva cosa pensare di quella donna. Sembrava così innocente fasciata nei suoi jeans a vita bassa, il volto privo di trucco e un semplice zaino in spalla... Però, Bailey Ross aveva definito sua nonna molto generosa, e Mateo sapeva che lo era davvero. Sicuramente Mama si era presa a cuore quella giovane donna che ricordava un gattino smarrito, ma il suo intuito – oltre che l'esperienza – gli dicevano che la signorina Ross se ne era approfittata. Senza contare che a Mama era sempre piaciuto formare nuove unioni. Forse Bailey Ross era lì solo perché sua nonna aveva pensato che potessero essere una bella coppia. Considerato come aveva cercato di sistemarlo con una brava ragazza italiana ogni volta che le aveva fatto visita, era molto probabile. Il primo istinto era stato quello di mandare quella donna per la sua strada... ma era curioso, e aveva un po' di tempo a disposizione. Il taxi non sarebbe arrivato prima di dieci minuti. «Dottor Celeca, la sua casa è magnifica» disse Bailey, indicando le scale. «Riesco a immaginarmi Cenerentola con l'abito da sera e le scarpette di cristallo scendere da quella scala.» 316


Lui sorrise e puntualizzò: «Non c'è nessuna ragazza con scarpette di cristallo di sopra, mi spiace». Lei non pareva sorpresa. «Mama ha accennato che fosse single.» «Accennato o ripetuto spesso?» chiese con un sorriso forzato. «Immagino non sia un segreto che è molto fiera di lei» ammise Bailey. «E che le farebbe piacere avere un pronipotino o due.» Be', anche se le cose stavano così, non si sarebbe fatto imprigionare da alcun legame matrimoniale nell'immediato futuro. Aveva fatto venire alla luce già abbastanza bambini. La sua professione – e la Francia – erano abbastanza per lui. Lei lo raggiunse. Aveva un sorriso così solare da sciogliere un iceberg e gli occhi incredibilmente blu. Scrollando la testa, Mateo la guidò nel soggiorno. In piedi, tra l'arredamento in stile francese e il caminetto in stile giacobino, la sua ospite sembrava decisamente fuori posto. Ma, doveva ammetterlo, non in senso negativo. Aveva un'aria fresca – anche se faticava a trattenere uno sbadiglio, sicuramente dovuto alla stanchezza del viaggio. C'era ragione di dubitare di lei? Aveva ripulito sua nonna o stava esagerando con i sospetti? Mama poteva essere stata molto generosa in altri modi, dopotutto. «Allora, qual è la prima tappa del suo viaggio?» chiese lei, sedendosi su un divano. «La costa ovest del Canada.» Mateo si accomodò su una poltrona. «Un gruppo di amici con cui di solito vado a sciare ha organizzato la riunione annuale.» Le cose erano parecchio cambiate, però. La maggior parte dei ragazzi, ora, era sposata. Alcuni anche divorziati. Quell'anno non aveva particolarmente voglia di andarci. «Poi mi sposterò a New York per incontrare alcuni colleghi» proseguì. «E infine in Francia.» «Ha amici a Parigi? I miei genitori ci hanno passato 317


la luna di miele. Dev'essere una città meravigliosa.» «Sostengo un'istituzione benefica a nord della città.» Bailey sollevò le sopracciglia. «Che tipo di istituzione?» «Bambini orfani, senza casa.» Il che portava a quello che davvero voleva sapere, così aggiunse: «Mi piace poter aiutare le persone, quando posso». Quando lei chinò la testa per nascondere un sorriso, un senso di disagio gli strinse lo stomaco. Con non poca difficoltà, cercò di rimanere concentrato sul discorso. «Ho detto qualcosa di divertente?» «È solo che Mama continuava a ripetere che lei è un uomo buono.» Gli occhi blu scintillanti incrociarono quelli di lui. Mateo si irrigidì, a disagio, e lottò contro l'impulso di schiarirsi la voce. O quella donna era una maestra di lusinghe o era davvero gentile come Mama aveva creduto. Quale delle due? Dolce o approfittatrice? «Mama è la mia più grande fan e io il suo» disse lui semplicemente. «Sembra che stia sempre facendo del bene a qualcuno. Aiutando come può.» «E gioca anche benissimo a briscola.» Lui sbatté le palpebre. Carte? «Avete giocato a soldi?» Esibì un sorriso costruito. «Probabilmente Mama l'ha lasciata vincere.» Una ruga si formò sulla fronte di Bailey Ross. «Giocavamo perché si divertiva.» Aveva stretto le dita intorno alle ginocchia, e Mateo concentrò il proprio esame sul polso esile e candido. Il braccialetto che portava era costoso, di oro giallo e con diversi ciondoli. Lo aveva acquistato con il denaro che era riuscita a sottrarre a Mama? Se glielo avesse chiesto direttamente, che risposta gli avrebbe dato? Come se gli avesse letto nel pensiero, la sua ospite si alzò. «L'ho trattenuta fin troppo. Non vorrà perdere il suo volo.» Si alzò anche lui. Aveva ragione. Bailey non avreb318


be ammesso niente e il suo taxi sarebbe stato lì da un momento all'altro. Pareva che la curiosità riguardo alla vera natura della signorina Ross fosse destinata a rimanere insoddisfatta. «Ha famiglia a Sydney?» le domandò, per prendere tempo. «Sono cresciuta qui.» «Allora tornerà a stare dai suoi.» «Mia madre è morta alcuni anni fa.» «Condoglianze.» Lui non aveva mai conosciuto sua madre, e l'uomo che aveva chiamato papà era mancato di recente. «Sono sicura che suo padre sentirà la sua mancanza.» Lei si limitò a distogliere lo sguardo. Incamminandosi lungo il corridoio, Mateo rifletté. Niente madre. Estranea al padre. Pochi averi. Dannazione, ora era lui che voleva farle una donazione. Cambiò argomento. «Allora, quali sono i suoi piani, signorina Ross? Ha un lavoro a cui tornare qui in città?» «Al momento non ho nessun progetto concreto.» «Magari altri viaggi?» «Ci sono molti posti che vorrei vedere, ma per il momento resterò in zona.» Si fermarono all'ingresso. Lui aprì la porta, osservò il suo viso perfetto e sorrise. «Bene, buona fortuna.» «Anche a lei. Si diverta a Parigi.» Quando si voltò per uscire, issando il grande zaino su una spalla esile, qualcosa si incrinò nel petto di Mateo, e fece un passo verso di lei. Di certo avrebbe dovuto lasciar perdere – lasciare che andasse per la sua strada – ma la sua parte più testarda lo obbligava a porle quella domanda. «Signorina Ross» la chiamò. Sorpresa, lei si voltò. Colmando la distanza tra loro, domandò, senza troppi giri di parole: «Mia nonna le ha dato dei soldi?». Lei allargò le narici e sollevò le sopracciglia. «No. Non mi ha dato dei soldi.» 319


Un piacevole senso di sollievo lo pervase. Invecchiando, Mama aveva ammesso molte volte di non essere brava ad amministrare il denaro. Non aveva molti soldi a disposizione e le piaceva aiutare gli altri quando poteva. Non poteva fare niente per arginare la generosità di Mama, ma almeno poteva partire sapendo che quella giovane donna non aveva lasciato la casa di sua nonna con le tasche piene. Ma Bailey non aveva terminato. «Mama mi ha prestato dei soldi.» Un macigno gli piombò sul petto e Mateo non riuscì a fare altro che rimanere immobile a fissarla. Aveva avuto ragione su di lei fin dall'inizio? Si era approfittata di Mama come altri prima di lei? Esaminò il suo sguardo innocente e si sentì sprofondare. Desiderò non averle mai fatto quella domanda. «Un... prestito» disse, senza preoccuparsi di nascondere il suo tono canzonatorio. Bailey arrossì. «Non lo dica in quel modo.» «È stata lei a dire che si tratta di un prestito.» «Intendo restituire ogni centesimo.» «Davvero?» Incrociò le braccia. «E come pensa di farlo, senza lavoro né progetti per il futuro?» Dalla reazione che aveva avuto quando le aveva domandato del padre era chiaro che non avrebbe ricevuto sostegno dalla famiglia. «Non tutti possono avere vite perfette, dottore.» «Non creda di sapere tutto di me» ribatté lui, adirato. «Non mi permetterei mai. So solo che io non avevo altra scelta.» «Ci sono sempre delle scelte.» Almeno da adulti. Le guance di lei si arrossarono ulteriormente. «E io ho scelto la fuga.» Lui scoppiò a ridere. Di bene in meglio. «Mia nonna la teneva prigioniera?» «Non sua nonna.» 320


Mateo lasciò cadere le braccia. Gli aveva appena confessato quel che lui sospettava. Aveva accettato i soldi di Mama ed era fuggita. «Addio, signorina Ross. A mai più rivederci» le disse freddamente. Non voleva più avere a che fare con una donna di quel genere. Le voltò le spalle e fece per chiudere la porta. «Grazie, dottore» disse lei prima di andarsene. «Ha distrutto l'ultimo barlume di fede che avevo nel genere maschile.» Il cuore prese a rimbombarle nelle tempie e lo fissò. L'espressione era secca. Triste. Infuriata. «Onestamente, pensavo che lei fosse un gentiluomo» concluse. «Solo in presenza di una signora.» Il disgusto che provò subito per se stesso lo colpì dritto al petto. «Chiedo scusa» mormorò. «Era fuori luogo.» «Vuole almeno sapere da cosa dovevo scappare?» ribatté lei. «Perché mi servivano i soldi?» Lui respirò profondamente. Bene, dopo quell'insulto, glielo doveva. «Perché le servivano quei soldi?» «A causa di un uomo che non voleva ascoltare» disse, con un tono carico di sottintesi. «Diceva che ci saremmo sposati e che, data la situazione, non avevo scelta.»

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2 «È fidanzata?» chiese Mateo, stupito. «No» rispose lei con voce tesa. «In realtà, no.» «Mi definisca pure antiquato, ma penso che l'essere fidanzata equivalga all'essere incinta: o lo si è o non lo si è.» «Io... ero fidanzata.» Scuotendo la testa, la fissò intensamente. Aveva il naso all'insù, costellato da una miriade di lentiggini, gli occhi brillanti erano grandi e le pupille dilatate facevano sembrare il suo sguardo ancora più intenso. O era paura quella che vedeva? Non avevo scelta. Era il momento di formulare un'ipotesi più ragionata sul motivo per cui Mama gli aveva mandato quella donna. Parlò di nuovo, utilizzando il tono che di solito riservava alle pazienti più agitate: «Signorina Bailey, è incinta?». Gli occhi di lei luccicarono per l'indignazione. «No!» «Ne è sicura? Possiamo fare degli esami...» «Certo che ne sono sicura.» Indietreggiando, Mateo alzò le mani in segno di resa. «Okay, bene. Date le circostanze, sembrava una possibilità.» «Non lo è affatto.» Le mancò la voce. «Non siamo stati a letto insieme. Nemmeno una volta.» 322


Fece per andarsene, ma, affrettandosi giù per le scale, inciampò nel laccio di un sandalo e incespicò, piegandosi in avanti. Con uno scatto, Mateo l'afferrò prima che cadesse. Sostenendola, la sentì tremare – per lo shock di essersi quasi rotta il collo? O per l'irritazione nei suoi confronti? O i brividi erano dovuti al ricordo di quel fidanzamento in Italia? Era così scossa che non protestò quando lui l'aiutò a sedersi su un gradino. Sollevandole il mento, controllò la dilatazione delle pupille, ma con il palmo sulla guancia di lei e il viso così vicino al suo, il pollice di Mateo istintivamente iniziò a tracciare la deliziosa curva del labbro inferiore di Bailey. Un'ondata di calore, pericolosa e repentina, si fece strada in lui, che avvicinò leggermente la testa. Ma poi lei sbatté le palpebre, e l'incantesimo svanì. Mateo si schiarì la voce e si alzò in piedi, mentre anche lei si ricomponeva. Poteva avere dubbi su diversi aspetti che riguardavano Bailey Ross, ma di una cosa era sicuro. Continuava a sbadigliare, inciampava nei suoi piedi... «Ha bisogno di dormire» le disse. «Sopravviverò.» «Non ho dubbi.» Ma, dannazione, non gli piaceva pensare a lei che si allontanava tutta sola e a Mama che gli telefonava per chiedergli se si stava prendendo cura della sua piccola amica che, a quanto pareva, aveva passato dei momenti difficili a Casa Buona. Visto che era così stanca, anche per il jet lag, Mama si sarebbe aspettata che per lo meno desse a Bailey il tempo di riacquistare le forze, prima di rimandarla per la sua strada. E quella fu l'unica ragione che lo spinse a persistere, e il motivo per cui le fece un'altra domanda. «Allora... chi è questo fidanzato?» Chiudendo gli occhi, lei sospirò profondamente, troppo stanca per mantenersi sulla difensiva. 323


«Ero in giro per l'Europa» cominciò. «Quando sono arrivata a Casa Buona ero a corto di soldi. Lì ho incontrato Emilio, e ho iniziato a lavorare alla taverna della sua famiglia.» I muscoli di Mateo si tesero. «Il suo fidanzato è Emilio Conti?» «Era.» Bailey lo fissò, strizzando gli occhi. «Lei... Forse lo conosce?» «Casa Buona è un paese piccolo.» Gente come Emilio non faceva che farlo sembrare ancora più piccolo. Mateo annuì. «Continui.» «A poco a poco io ed Emilio siamo diventati sempre più uniti. Passavamo molto tempo con i suoi familiari. E da soli. Quando ha detto di amarmi, mi ha colto alla sprovvista. Non ero sicura di poterlo ricambiare, ma di certo mi ero affezionata ai suoi genitori e alle sue sorelle. Mi facevano sentire parte della famiglia.» Si circondò le ginocchia con le braccia. «Un sabato, mentre eravamo alla taverna, mi ha chiesto di sposarlo di fronte a tutti. E intendo proprio tutti: sembrava che ogni persona del paese si trovasse lì, con il sorriso sulle labbra, trattenendo il fiato in attesa della mia risposta. Io ero stupefatta. Quando ho abbassato la testa, cercando qualcosa di cortese da dire o fare, qualcuno gridò che avevo accettato. Prima che mi rendessi conto di quello che stava succedendo, Emilio mi ha infilato un anello al dito e... be', questo è quanto» concluse Bailey, senza riuscire a trattenere uno sbadiglio. Nello stesso momento il suono di un motore attirò la loro attenzione. Un taxi giallo entrò nel vialetto. «Attenda un attimo» disse Mateo e quando lei aprì la bocca per protestare, la interruppe bruscamente. «Un attimo, per favore.» Attraversò il cortile e parlò con l'autista, che tenne il motore acceso mentre Mateo tornò a sedersi sul gradino accanto a lei. «Dove pensa di andare adesso? Ha qualche posto dove stare?» 324


«Speravo di fermarmi da un'amica per qualche giorno, ma è fuori città. Affitterò una stanza.» «Sul serio vuole sprecare i soldi di Mama per un motel?» «È una cosa temporanea.» Lui fissò il taxi, pensò al ridotto gruppo di amici che si ritrovava in Canada per il raduno annuale e, quando Bailey si alzò in piedi, prese una decisione. «Torni dentro.» Lo sguardo di lei sembrava dire: Tu sei pazzo. «Il suo taxi è già pronto a partire. Il tassametro corre.» Lui guardò il taxi, lo raggiunse con poche e ampie falcate e lasciò l'autista sorridente di fronte alle banconote che gli allungò. Sentì il motore dell'auto che ripartiva mentre lui si voltava e tornava da Bailey. Lei aveva la bocca spalancata. «Cosa ha fatto?» «Avevo già una mezza idea di cancellare la prima parte del viaggio. Ora, dentro.» Indicò la porta ancora aperta. «È un invito allettante.» Sorrise maliziosamente. «Ma io non obbedisco ai suoi ordini.» Mateo si immobilizzò. Pensava che si stesse comportando in modo troppo autoritario? Forse era così. Era abituato a persone che gli ubbidivano senza protestare, e che seguivano i consigli che elargiva come se fossero degli ordini. «Ha detto che i soldi che Mama le ha dato sono un prestito. Ma ammette di non avere alcun guadagno al momento, nessun posto dove stare.» «Troverò qualcosa. Lavorare non mi spaventa.» Un altro sbadiglio, così profondo da farle diventare gli occhi lucidi. «Per prima cosa, ha bisogno di riposare» le disse. «Le mostro la stanza degli ospiti.» «Non intendo restare.» «Non le sto proponendo di fermarsi permanentemente, Bailey. Semplicemente che ricarichi le batterie prima di formulare un nuovo piano per domani.» 325


«No.» Ma questa volta sembrava un po' meno convinta. «Mama vorrebbe che lo facesse.» Quando lei esitò, Mateo insistette. «Solo qualche ora di riposo. Non busserò alla porta e non farò altre domande.» Lei lo fissò. «Promesso?» «Promesso.» Ogni energia sembrò abbandonarla. Mateo pensò che avrebbe potuto ringraziarlo almeno con un accenno di sorriso, ma lei si limitò ad annuire e a malincuore gli concesse di farle nuovamente strada dentro casa. Dopo aver salito quella scala da libro delle fiabe, Mateo Celeca la condusse lungo un ampio corridoio fino all'ingresso di una sontuosa camera da letto. «La suite ha un bagno annesso» le spiegò, mentre lei si guardava intorno. «Faccia come se fosse a casa sua. Se ha bisogno di qualcosa, sono al piano di sotto.» Bailey osservò le sue ampie spalle allontanarsi lungo il corridoio, poi chiuse la porta e, sentendosi spiazzata come mai prima, si portò al centro della grande camera. Anche lei era di famiglia benestante. Con un campo da tennis e cinque camere da letto, la casa di Newport di suo padre – un avvocato – era considerata da tutti decisamente sfarzosa. Ma, guardandosi intorno, tra il tappeto candido come la neve e la tappezzeria dorata, Bailey doveva ammettere di non aver mai conosciuto quel genere di sfarzo. E poi, chi aveva bisogno di tutto ciò? Non era tipo da bramare la ricchezza. Di certo era più importante provare un senso di appartenenza... trovarsi al posto giusto e con le persone di cui si ha davvero bisogno. Nonostante l'esperienza deludente con Emilio e con suo padre, sperava un giorno di conoscere e provare quella sensazione. Dopo una lunga doccia calda, si sdraiò e si addormentò all'istante. 326


Quando si svegliò, alcune ore dopo, era buio e il cuore le batteva all'impazzata. Aveva sognato di essere ancora a Casa Buona, con addosso un semplice abito di nozze, ed Emilio la invitava a raggiungerlo in fondo a un lungo corridoio buio. Lanciò un'occhiata alla stanza poco familiare in penombra e trasse un sospiro di sollievo. Era a Sydney. Pronta a ricominciare. A casa di un estraneo, burbero ma gentile. Mateo Celeca. Con l'aspetto di una stella del cinema e gli occhi scuri da incantatore, era riuscito a farle perdere completamente la testa. Un attimo prima doveva dar ragione a Mama, che definiva suo nipote una specie di principe. Un attimo dopo lui si comportava da maleducato e la accusava di aver derubato una vecchietta innocente. Poi, per confonderla ulteriormente, le offriva un letto per riprendersi dal jet lag. Se avesse avuto un altro posto dove andare – se non si fosse sentita così stremata – non sarebbe rimasta. Non aveva dimenticato il suo commento: per lui, lei non era una signora. Quando allungò le gambe per scendere dal letto, il suo stomaco gorgogliò e lei concentrò i pensieri su una nuova priorità: cibo. Scese in punta di piedi lungo le scale e cercò la cucina. Aggirarsi di notte nella casa di qualcun altro non sembrava esattamente corretto, ma l'alternativa era trovare un take away nelle vicinanze o ordinare una pizza. Mateo le aveva detto di fare come se fosse a casa sua, e di certo quell'offerta comprendeva un panino. Finalmente trovò la cucina ma aprendo il frigo notò che era quasi vuoto; aveva senso, dato che Mateo avrebbe dovuto essere in vacanza. Ma c'era dell'arrosto avanzato, forse dalla cena. Ne infilò una fetta nel pane e, dopo essersi goduta il primo morso, si voltò per osservare il paesaggio attraverso le ampie vetrate che andavano dal pavimento al soffitto. Fuori, fioche luci da giardino illuminavano un mera327


viglioso cortile, impreziosito agli angoli da statue classiche. Sembrava un altro mondo, appena uscito dalla Roma antica. Continuando a mangiare, si guardò intorno. Non c'era nessuno a fermarla. Un po' d'aria fresca le avrebbe fatto bene. Uscì, i piedi nudi a contatto con le pietre lisce del sentiero mentre passeggiava tra quelle figure di marmo che parevano prendere vita. Era al terzo morso del suo panino quando un rumore alle sue spalle la fece trasalire. Con il cuore in gola, si guardò attorno con cautela. Una di quelle figure si stava dirigendo verso di lei. Attraente, alto. A petto nudo. Spuntando da una nuvola, la luna piena ne illuminò il fisico scolpito e gli addominali ben delineati. Bailey rimase a fissarlo mentre una voce familiare le diceva: «Ti sei alzata». Bailey rilasciò il respiro che stava trattenendo. Non era una statua che aveva preso vita, aveva davanti a sé Mateo Celeca, con addosso nient'altro che i pantaloni bianchi di una tuta. Era così assorta che aveva dimenticato dove si trovava e anche gli eventi che l'avevano portata lì. Ora, tutto le tornava alla mente. Soprattutto, quanto fosse fastidiosamente attraente il padrone di casa. Quando una scintilla di calore iniziò a farsi strada nel ventre di Bailey, lei deglutì e strinse il panino al petto. Mateo Celeca poteva anche essere sexy ma, in quel momento della sua vita, non voleva nemmeno pensare all'altro sesso. La sua unica preoccupazione era trovare il modo di rimettersi in sesto e saldare il debito con Mama il prima possibile. «Non volevo svegliarti» si scusò lei, spezzando il silenzio. «Hai fatto scattare l'allarme quando hai aperto la porta. Gli addetti alla sicurezza hanno chiamato per assicurarsi che fosse tutto a posto. Ho pensato che fossi tu, ma ho preferito controllare.» 328


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