Ti odio anzi no ti amo di Sally Thorne

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ROMANCE


SALLY THORNE

Ti odio, anzi no ti amo!


Immagine di copertina: © HATING GAME LLC ALL RIGHTS RESERVED Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: The Hating Game William Morrow an imprint of HarperCollins Publishers © 2016 Sally Thorne Traduzione di Silvia Arienti Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con HarperCollinsPublishers, LLC, New York, U.S.A. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. Harmony è un marchio registrato di proprietà HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved. © 2016 HarperCollins Italia S.p.A., Milano Prima edizione HC ottobre 2016 Questa edizione Harmony Romance aprile 2022 HARMONY ROMANCE ISSN 1970 - 9943 Periodico mensile n. 290 del 30/04/2022 Direttore responsabile: Sabrina Annoni Registrazione Tribunale di Milano n. 72 dello 06/02/2007 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distribuzione canale Edicole Italia: m-dis Distribuzione Media S.p.A. Via Carlo Cazzaniga, 19 - 20132 Milano HarperCollins Italia S.p.A. Viale Monte Nero 84 - 20135 Milano


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Ho una teoria personale. L'odio e l'amore si assomigliano in modo inquietante. Ci ho ragionato a lungo e queste sono le mie conclusioni. Sono entrambi sentimenti viscerali. Lo stomaco ti si attorciglia al solo pensiero di quella persona. Il cuore sembra volerti uscire dal petto tanto batte forte. Dormi male e ti manca l'appetito. Durante ogni interazione con l'individuo in questione il tuo sangue subisce una pericolosa impennata di adrenalina e non sai se attaccare o fuggire. Non possiedi più il controllo del tuo corpo. Ne sei logorato e questo ti spaventa. L'odio e l'amore sono due facce della stessa medaglia. È una gara e devi vincerla. Per quale motivo? Il tuo cuore e il tuo ego. Fidatevi, so di cosa parlo. Il pomeriggio di venerdì è appena iniziato. Devo rimanere incatenata alla mia scrivania ancora per qualche ora. Vorrei essere in una cella d'isolamento, ma sfortunatamente ho un compagno di prigionia. Ogni ticchettio del suo orologio da polso è una tacca incisa sulla parete della nostra cella. Siamo alle prese con uno dei nostri passatempi infantili, che non necessita di parole. È terribilmente immaturo, come ogni cosa che facciamo insieme. Mi presento: il mio nome è Lucy Hutton. Sono l'assistente esecutiva di Helene Pascal, la co-amministratrice delegata della Bexley & Gamin. Tanto tempo fa, la nostra piccola casa editrice, la Gamin Publishing, era sull'orlo del fallimento. A causa della crisi e5


conomica, la gente non aveva soldi per pagare le rate del mutuo e la letteratura era un lusso. Le librerie della città si spegnevano una dopo l'altra, come candeline a una festa di compleanno. Anche noi ci aspettavamo di dover chiudere a breve. In extremis, abbiamo stretto un accordo con un altro editore in difficoltà. La Gamin Publishing fu obbligata ad accettare un matrimonio combinato con il fatiscente impero del male chiamato Bexley Books, governato dall'insopportabile Mr Bexley in persona. Convinte l'una di stare salvando l'altra, entrambe le società fecero i bagagli e si trasferirono nella loro nuova casa coniugale. Nessuna delle due era neanche lontanamente contenta di questo cambiamento. I Bexley rimpiangevano il vecchio calcetto della sala mensa, che ricordavano avvolto dalle tinte seppia della nostalgia. Non capivano come i Gamin fossero sopravvissuti così a lungo, con la loro scarsa fiducia negli indicatori chiave di prestazione e con la loro sognante visione della letteratura come arte. I Bexley credevano che i numeri fossero più importanti delle parole. Per loro i libri non erano nient'altro che prodotti. Vendi il prodotto. Fai i complimenti alla squadra. Ripeti l'operazione. Quelli della Gamin rabbrividivano per l'orrore nel vedere i fratellastri buttare nel tritacarte i grandi classici. Si chiedevano come Mr Bexley fosse riuscito a mettere insieme così tanti palloni gonfiati tutti uguali, più adatti al mestiere di contabile o di avvocato. I Gamin non sopportavano che il libro fosse trattato come un prodotto. I libri erano, e sempre sarebbero stati, oggetti magici degni del massimo rispetto. Oggi, a distanza di un anno, con una sola occhiata è possibile capire dall'aspetto fisico a quale delle due società un dipendente apparteneva. I Bexley assomigliano a delle figure geometriche, mentre i Gamin a dei morbidi ghirigori. I Bexley si muovono in branchi, minacciosi come squali. Parlano in continuazione di cifre e monopolizzano la sala riunioni per le loro sinistre sessioni di pianificazione. O, meglio, di cospirazione. I Gamin si affollano nelle loro postazioni, come candi6


de colombe su un campanile. Chini sui manoscritti, sono perennemente alla ricerca del nuovo talento letterario. L'aria intorno a loro profuma di tè al gelsomino e di carta. Shakespeare è il loro idolo. Lo spostamento è stato piuttosto traumatico, specialmente per i Gamin. Prendete una mappa della città. Tracciate una linea retta tra le vecchie sedi delle due società e segnate con un punto rosso l'esatta metà. Noi siamo qui. Il nuovo palazzo della Bexley & Gamin assomiglia a un rospo di cemento accovacciato su una delle strade più trafficate della zona, impossibile da attraversare nelle ore di punta. Gli uffici sono gelidi al mattino e afosi il pomeriggio. L'edificio ha però un aspetto positivo: possiede alcuni parcheggi sotterranei, generalmente occupati dai più mattinieri o, per meglio dire, dai Bexley. Prima del trasloco, Helene Pascal e Mr Bexley hanno ispezionato il palazzo ed è accaduto un fatto più unico che raro: si sono trovati d'accordo su qualcosa. L'ultimo piano era un insulto. Soltanto un ufficio esecutivo? Era necessario un ripensamento totale. Dopo un'ora di brainstorming, così piena di ostilità che all'interior designer veniva da piangere, l'unica parola su cui Helene e Mr Bexley concordavano era scintillante. Da allora, non hanno mai più avuto punti d'intesa. La ristrutturazione ha soddisfatto appieno le linee guida del progetto. Il decimo piano è ora un cubo di vetro, acciaio cromato e piastrelle nere. È possibile depilarsi le sopracciglia specchiandosi su qualsiasi superficie – muri, pavimenti, soffitti. Perfino le nostre scrivanie sono delle grandi lastre di vetro. Mi concentro sull'enorme parete di fronte a me. Sollevo una mano per osservarmi le unghie. La mia immagine riflessa fa lo stesso. Mi liscio i capelli e mi sistemo il colletto della camicia. Mi rendo conto di essere sovrappensiero. Avevo quasi scordato che sto ancora giocando con Joshua. Sono seduta qui con il mio compagno di cella, perché ogni generale di guerra assetato di potere affida al suo secondo il lavoro sporco. Avere un solo assistente è sempre stato fuori 7


discussione, perché uno dei due amministratori delegati avrebbe dovuto cedere. Ci hanno sistemati entrambi fuori dalla porta dei due nuovi uffici, lasciandoci in balia di noi stessi. È stato come ritrovarsi nel bel mezzo dell'arena del Colosseo, per poi accorgersi di non essere soli. Alzo di nuovo una mano. Il mio riflesso mi segue fluido. Appoggio il mento sul palmo e mi lascio sfuggire un profondo sospiro, che riecheggia nella stanza. Sollevo il sopracciglio sinistro perché so che lui non riesce a farlo. Come previsto, contrae invano la fronte. Ho vinto io. Il mio volto non lascia trasparire alcuna emozione. Rimango tranquilla e inespressiva come una bambola. Ce ne stiamo con il mento sulle mani e ci fissiamo dritto negli occhi. Non sono mai sola in questo ufficio. Seduto di fronte a me c'è l'assistente esecutivo di Mr Bexley. Il suo braccio destro e fedele servitore. La seconda cosa da sapere su di me, la più importante, è questa: odio Joshua Templeman. Al momento sta copiando ogni mio gesto. È il gioco dello specchio. Sa essere discreto come un'ombra. Un osservatore esterno non se ne renderebbe nemmeno conto. Ma io sì. Nella sua porzione di ufficio, imita i miei movimenti con un leggero sfasamento temporale. Alzo il mento dal palmo e ruoto la sedia verso la scrivania. Lui fa lo stesso, in assoluta scioltezza. Ho ventotto anni e mi sembra di essere precipitata giù dal paradiso fino al purgatorio. Sono finita in un asilo nido. O in un manicomio. Digito la mia password: ODIOJOSHUAXSEMPRE@. Quelle precedenti ribadiscono il concetto in maniera leggermente diversa. La sua è quasi sicuramente odiolucindaxsempre. Sento squillare il telefono. È Julie Atkins, dell'ufficio diritti, un'altra spina nel fianco. Vorrei scollegare l'apparecchio dalla presa elettrica e gettarlo nel fuoco. «Ciao, come stai?» Cerco sempre di assumere un tono più caloroso del dovuto. Dall'altra parte della stanza, Joshua alza gli occhi al soffitto e prende a torturare la tastiera del computer. 8


«Ho un favore da chiederti, Lucy.» Posso quasi mimare con la bocca le parole che sta per pronunciare. «Ho bisogno di una proroga per la consegna della relazione mensile. Credo mi stia venendo l'emicrania. Non ce la faccio più a guardare lo schermo del computer.» È una di quelle orribili persone che si lamentano in continuazione. «Certo, capisco. Quando riesci a finirla?» «Sei la migliore. L'avrai lunedì nel pomeriggio. Ho un permesso per entrare più tardi.» Se acconsento, lunedì dovrò rimanere fino a sera per ultimare il rapporto in tempo per la riunione direzionale che si terrà martedì alle nove. La prossima settimana comincia male. «D'accordo.» Sento lo stomaco contrarsi. «Però cerca di fare prima possibile, per favore.» «Dimenticavo, nemmeno Brian riesce a consegnare la sua relazione oggi. Sei davvero fantastica. L'apprezzo moltissimo. Stavamo proprio dicendo prima che sei la persona con cui si lavora meglio ai piani alti. Altri invece sono un vero incubo.» Le sue parole melense aiutano ad alleviare leggermente il fastidio. «Nessun problema. Ci sentiamo lunedì.» Chiudo la conversazione e, senza nemmeno bisogno di guardarlo, so che Joshua sta scuotendo la testa. Dopo qualche minuto, gli lancio un'occhiata e vedo che mi sta fissando. Immagina che manchino pochi minuti al colloquio di lavoro più importante della tua vita. Abbassi lo sguardo per osservare la tua camicia bianca e ti rendi conto che la penna stilografica ti ha macchiato il taschino d'inchiostro color blu pavone. Parole irripetibili ti esplodono nel cervello, mentre senti il panico che ti stringe lo stomaco mettendo a dura prova i tuoi nervi già a fior di pelle. Ti senti un'idiota e pensi che tutto è perduto. Questo è l'esatto colore degli occhi di Joshua quando mi guarda. Vorrei poter dire che è brutto. Potrebbe essere un piccolo troll sovrappeso col labbro leporino e gli occhi acquosi. Un gobbo zoppicante, pieno di verruche e brufoli. Denti color 9


gruviera e alito aromatizzato alla cipolla. Ma non è così. Anzi, è tutto il contrario. L'ennesima dimostrazione che non c'è giustizia in questo mondo. La mia casella di posta mi segnala con un bip l'arrivo di una nuova e-mail. Distolgo bruscamente lo sguardo dalla mancata bruttezza di Joshua e vedo che Helene mi ha richiesto i dati per il bilancio di previsione. Apro il rapporto del mese scorso per un confronto e mi metto al lavoro. Dubito che le previsioni di questo mese mostreranno un notevole miglioramento. L'industria editoriale è ancora in caduta libera. Ho sentito la parola riorganizzazione riecheggiare varie volte nei corridoi e so dove porta questa strada. Ogni volta che esco dall'ascensore e vedo Joshua, mi domando: Perché non mi cerco un altro lavoro? Le case editrici mi affascinano da quando una gita scolastica mi ha cambiato la vita. Avevo undici anni ed ero già una divoratrice di libri. La mia esistenza ruotava intorno alla mia visita settimanale alla biblioteca vicino a casa. Prendevo in prestito il numero massimo di titoli consentito e riuscivo a riconoscere i vari bibliotecari dal rumore delle loro suole mentre si spostavano da una corsia all'altra. Fino a quella famosa gita, avevo la fissazione di diventare una bibliotecaria. Avevo anche organizzato la mia libreria personale secondo un preciso sistema di catalogazione. Ero proprio un topo da biblioteca. Prima di visitare quella casa editrice, non avevo mai pensato a come un libro viene alla luce. È stata una rivelazione. Essere pagati per mettersi in contatto con gli autori, leggeri libri e alla fine crearli? Copertine nuove di zecca e pagine immacolate senza orecchie o annotazioni a matita? Rimasi folgorata. Amavo i libri appena pubblicati. Erano quelli che prendevo in prestito più volentieri. Quanto tornai a casa, dissi ai miei genitori: Da grande, lavorerò in una casa editrice. È fantastico aver potuto realizzare il sogno della mia infanzia. Ma, al momento, a dire il vero, la ragione principale per cui rimango qui è la seguente: non posso permettere che Joshua l'abbia vinta. 10


Mentre lavoro, batte sulla tastiera come un forsennato. Oltre a questo, sento solo il debole sibilo dell'aria condizionata. Di tanto in tanto afferra la calcolatrice e vi picchietta sopra. Non mi stupirebbe che anche Mr Bexley abbia chiesto a Joshua i dati per il bilancio di previsione. Poi i due amministratori delegati potranno cominciare la loro battaglia, armati di cifre che potrebbero non coincidere. Il carburante ideale per il loro falò d'odio. «Senti, Joshua.» Non mi dà retta per un minuto intero. Il battito sulla tastiera si intensifica. Beethoven è un dilettante a confronto. «Cosa c'è, Lucinda?» Nemmeno i miei genitori mi chiamano Lucinda. Serro la mascella, ma poi rilascio i muscoli in preda al senso di colpa. Il dentista mi ha implorato di fare uno sforzo. «Stai lavorando ai dati di previsione per il prossimo trimestre?» Solleva entrambe le mani dalla tastiera e mi fissa dritto negli occhi. «No.» Emetto un piccolo sospiro e torno a concentrarmi sulla mia scrivania. «Ho finito due ore fa.» Riprende a battere sui tasti. Osservo il mio foglio di calcolo e conto fino a dieci. Siamo entrambi molto rapidi e siamo noti per essere degli stakanovisti – sapete, il genere di lavoratori che portano a termine i compiti più sgradevoli e complicati, quelli che tutti gli altri evitano. Ma, mentre io preferisco discutere con le persone faccia a faccia, Joshua utilizza esclusivamente l'e-mail. I suoi messaggi finiscono sempre allo stesso modo: Cordiali saluti, J. Cosa gli costa scrivere il suo nome per intero? Troppi tasti da digitare, a quanto pare. Probabilmente saprebbe dire su due piedi quanti minuti all'anno sta facendo risparmiare alla B&G. Siamo ben assortiti, ma al tempo stesso completamente in disaccordo. Faccio il possibile per dimostrare il mio attaccamento all'azienda, ma tutto in me stride con l'immagine della 11


B&G. Sono una Gamin fino al midollo. Il mio rossetto è troppo rosso, i miei capelli troppo indisciplinati. Le mie scarpe ticchettano troppo forte sul pavimento. Non riesco proprio a utilizzare la mia carta di credito per acquistare un tailleur nero. Non ho mai dovuto indossarne uno prima e mi rifiuto caparbiamente di omologarmi ai Bexley. Il mio guardaroba è eccentrico e vintage. Come quello di una simpatica e sofisticata bibliotecaria, spero. Impiego quarantacinque minuti per ultimare il lavoro. Anche se i numeri non sono il mio forte, ho ingaggiato una corsa contro il tempo, perché ho immaginato che Joshua ci abbia messo un'ora. Perfino nella mia testa gareggio con lui. «Grazie, Lucy!» sento Helene dire debolmente da dietro la sua scintillante porta quando invio il documento. Controllo nuovamente la mia casella postale. Non ho lasciato indietro nulla. Guardo l'orologio. Le tre e un quarto del pomeriggio. Verifico lo stato del mio rossetto specchiandomi nelle piastrelle da parete vicino al monitor del computer. Osservo Joshua, che mi lancia un'occhiata torva, carica di disprezzo. Lo fisso a mia volta. Il gioco degli sguardi è iniziato. È necessario precisare che lo scopo ultimo di tutti i nostri giochi è far ridere, o piangere, l'altro. O qualcosa del genere. Lo saprò quando vincerò. Ho commesso un errore la prima volta che ho incontrato Joshua: gli ho sorriso. In modo radioso, a trentadue denti, stupidamente convinta che la fusione delle due case editrici non fosse la cosa peggiore che mi potesse capitare. Mi ha scrutato dalla testa ai piedi. Sono alta poco più di un metro e cinquanta, quindi non ci ha messo molto. Poi si è voltato e si è messo a guardare fuori dalla finestra. Non ha ricambiato il mio sorriso ed è come se da allora se lo portasse in giro nel taschino della camicia, come un trofeo. Uno a zero per lui. Dopo questo inizio poco promettente, ci sono volute solo alcune settimane per soccombere alla nostra reciproca ostilità. Come acqua che continua a gocciolare in una vasca 12


da bagno, a un certo punto ha iniziato a traboccare. Copro uno sbadiglio con la mano e guardo il taschino di Joshua, appoggiato al suo pettorale sinistro. Indossa tutti i giorni le stesse camicie, cambia solo il colore. Bianco, avorio a righe, crema, giallo pallido, senape, celeste, carta da zucchero, grigio tortora, blu navy e infine nero. Sempre nella stessa immutabile sequenza. Tra l'altro, la mia preferita è quella color carta da zucchero, mentre non sopporto quella color senape, che indossa in questo momento. In realtà, gli donano tutte. Non ci sono colori che gli stanno male. Se mettessi una maglia color senape, sembrerei un cadavere. Invece, lui se ne sta lì, con la solita carnagione perfetta di sempre. «È il giorno della camicia color senape» osservo ad alta voce. Perché stuzzicare il can che dorme? «Non vedo l'ora che arrivi lunedì per ammirare quella color carta da zucchero.» Mi guarda in modo compiaciuto e al tempo stesso irritato. «Mi osservi molto, Crostatina. Ma ti ricordo che i commenti sull'aspetto fisico vanno contro la politica delle risorse umane della B&G.» Ah, il gioco delle risorse umane. Non lo facevamo da una vita. «Smettila di chiamarmi Crostatina, o invierò una segnalazione all'ufficio risorse umane.» Teniamo entrambi un registro in cui annotiamo le trasgressioni l'uno dell'altro. In realtà, posso solo immaginare che ce l'abbia anche lui, perché non se ne dimentica una. Il mio è un documento protetto da password e nascosto nel mio disco rigido personale. Documenta tutte le stronzate che accadono tra me e Joshua Templeman. Ci siamo entrambi lamentati con l'ufficio risorse umane quattro volte nell'ultimo anno. Lui ha ricevuto un avvertimento verbale e uno scritto per il soprannome che mi ha affibbiato. Io ne ho ricevuti due; uno per abuso verbale e un altro per uno stupido scherzo che mi è sfuggito di mano. Non ne vado fiera. 13


Non sembra riuscire a formulare una controbattuta e ricominciamo a fissarci l'un l'altra. In genere, aspetto con ansia di vedere le camicie di Joshua scurirsi sempre più. Oggi è il turno del blu navy, quindi manca poco al nero. Il colore del fatidico giorno di paga. La mia situazione finanziaria segue all'incirca la stessa dinamica. Mi aspettano venticinque minuti di scarpinata dalla B&G per andare a prendere la mia macchina da Jerry (il Meccanico) e spingere la carta di credito a un passo dal suo massimale. Domani riceverò lo stipendio e mi verranno addebitate le spese. La mia auto ricomincerà a trasudare chiazze d'olio per tutto il weekend, cosa che noterò quando le camicie di Joshua saranno diventate bianche come il latte. Chiamerò Jerry, gliela riporterò e stringerò nuovamente la cinghia. Le camicie torneranno a scurirsi. Devo assolutamente fare qualcosa per quella macchina. Al momento Joshua è sulla porta dell'ufficio di Mr Bexley, appoggiato contro lo stipite. Il suo corpo occupa quasi tutto lo spazio disponibile. Riesco a vedere la scena perché lo sto spiando dal riflesso sulla parete vicino al mio monitor. Sento una risata roca e discreta, completamente diversa dal ragliare di Mr Bexley. Mi passo le mani sugli avambracci per lisciare la leggera peluria che li ricopre. Non mi volterò per guardare meglio. Se ne accorgerebbe. Succede ogni volta. E guadagnerei un'occhiataccia. L'orologio macina lentamente i minuti che mancano alle cinque e intravedo delle nuvole nere attraverso le finestre polverose. Helene se n'è andata già da un'ora – uno dei vantaggi dell'essere co-amministratrice delegata è quello di avere orari da studente e poter delegare tutto a me. Mr Bexley rimane più a lungo perché la sua sedia è decisamente troppo comoda e, nelle prime ore del pomeriggio, tende ad appisolarsi. Con questo non voglio dire che io e Joshua abbiamo la dirigenza sulle nostre spalle, ma francamente a volte sembra proprio così. L'amministrazione e l'ufficio vendite riferiscono 14


direttamente a Joshua, che sintetizza questa enorme quantità di dati in un resoconto appetibile con cui imbocca un riluttante Mr Bexley. A me fanno capo l'ufficio progetti speciali, quello editoriale e il marketing. Una volta al mese riassumo le loro relazioni in un unico documento... e imbocco a mia volta Helene. Lo rilego a spirale perché lo possa leggere mentre si allena sullo step. Utilizzo il suo font preferito. Ogni giornata lavorativa comporta sfide, privilegi, sacrifici e frustrazioni. Ma quando penso a tutti i piccoli passi che mi hanno portata qui, a partire da quando avevo undici anni, ritrovo l'entusiasmo. E la forza di sopportare Joshua ancora per un po'. Porto sempre torte fatte in casa durante le riunioni con i responsabili dei vari uffici, che mi adorano. Mi dicono che valgo il mio peso in oro. Joshua porta invece solo brutte notizie e il suo peso è paragonato ad altre sostanze. Mr Bexley si avvicina con passo pesante, valigetta alla mano. Credo che compri i suoi vestiti dalla Bassi & Grassocci Moda Uomo. Dove altro potrebbe trovare dei completi così corti e larghi? È calvo, con la pelle a macchie e vergognosamente ricco. Suo nonno è il fondatore della Bexley Books. Adora ricordare a Helene che lei invece è stata semplicemente assunta. È un vecchio pervertito, stando a quanto dice Helene, ma anche secondo le mie osservazioni personali. Mi sforzo di sollevare lo sguardo e di sorridergli. Il suo nome di battesimo è Richard. Ma io lo chiamo il signor Occhiolungo. «Buona serata, Mr Bexley.» «Buona serata, Lucy.» Si ferma accanto alla mia scrivania e si sofferma sul davanti della mia camicetta di seta rossa. «Spero che Joshua le abbia trasmesso la copia dell'Enigma dello specchio che ho messo da parte per lei. La prima in assoluto.» Il signor Occhiolungo possiede un'enorme libreria con tutti i libri pubblicati dalla B&G. Ognuno è la prima copia stampata; una tradizione cominciata da suo nonno. Gli piace vantar15


sene con gli ospiti, ma una volta li ho esaminati da vicino e ho notato che erano intonsi. «E così sei stata tu a metterla da parte per me, eh?» Mr Bexley sposta lo sguardo su Joshua. «Questo non me l'avevi detto, dottor Josh.» Il signor Occhiolungo probabilmente lo chiama dottor Josh perché è freddo come un chirurgo. Ho sentito dire che quando le cose si sono messe male alla Bexley Books, Joshua ha organizzato la rimozione di un terzo della forza lavoro. Non so come riesca a dormire la notte. «Era solo un dettaglio, l'importante è che l'abbia avuta» risponde Joshua senza esitazioni, ricordandogli che è lui il capo. «Certo, certo» sbuffa e osserva di nuovo la mia camicetta. «Avete fatto entrambi un ottimo lavoro.» Quando entra nel vano ascensore, abbasso lo sguardo per verificare che tutti i bottoni siano allacciati. Cosa mai avrà visto? Alzo gli occhi verso le piastrelle rilucenti che decorano il soffitto e scorgo un vago triangolino di scollatura. «Se l'abbottoni ancora un po', non sarà più possibile vederti in faccia» dice Joshua rivolto allo schermo del suo computer, disconnettendosi. «Forse potresti dire al tuo capo di guardarmi in viso di tanto in tanto.» Mi disconnetto anch'io. «Probabilmente stava cercando di capire dove si trova la tua scheda elettronica. O con quale tipo di combustibile ti alimenti.» Mi stringo nel cappotto. «Facile, con il mio odio per te.» Contrae impercettibilmente la bocca e penso quasi di averla vinta. L'osservo invece distendere il viso in un'espressione neutra. «Se ti dà fastidio, dovresti dirglielo tu. Fatti valere. Allora, cos'hai in programma per stasera? Ti dipingerai le unghie piangendo la tua solitudine?» Come ha fatto a indovinare? «Esatto. E tu, ti masturberai bagnando di lacrime il cuscino, dottor Josh?» Guarda il primo bottone della mia camicia. «Sì. E non chiamarmi così.» 16


Trattengo a stento una risata. Ci spintoniamo in malo modo mentre ci infiliamo in ascensore. Joshua preme il pulsante per il seminterrato, mentre io quello per il piano terra. «Autostop?» «Macchina dal meccanico.» Calzo le ballerine e infilo le mie scarpe col tacco nella borsa. Adesso sono ancora più bassa. Guardo la nostra immagine riflessa e mi accorgo che arrivo a malapena a metà del suo bicipite. Sembro un chihuahua accanto a un danese. Le porte si spalancano sull'atrio dell'edificio. Il mondo fuori dalla B&G è avvolto in una foschia azzurra; freddo glaciale; stupratori e assassini; pioggerella fastidiosa. Un foglio di giornale svolazza sospinto dal vento, proprio al momento giusto. Joshua le tiene aperte con la sua mano gigantesca e si affaccia per guardare che tempo fa. Poi riporta i suoi occhi blu su di me e solleva un sopracciglio. Un pensiero familiare prende forma, come la nuvoletta dei fumetti. Se solo fossimo amici. La faccio scoppiare con uno spillo immaginario. «Ti do un passaggio» si costringe a dire. «Neanche morta» rispondo da sopra una spalla, cominciando a correre.

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SE SOLO FOSSI MIO di Mhairi McFarlane Laurie e Jamie hanno la perfetta storia d’amore in ufficio: tutti possono vedere che hanno perso la testa l’uno per l’altra, che il loro è un grande e vero amore. Peccato che sia tutta una finzione. Ma il cuore si può spezzare anche per una finta storia d’amore?

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Dal 24 giugno


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