Tienimi vicino sfoglialibro

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MEGAN HART

TIENIMI VICINO traduzione di Barbara Piccioli


ISBN 978-88-6905-116-6 Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: Hold Me Close Mira Books © 2015 Megan Hart Traduzione di Barbara Piccioli Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Books S.A. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. © 2016 HarperCollins Italia S.p.A., Milano Prima edizione HC luglio 2016


Tienimi vicino


Dedica

Questo libro è per i folli che a occhi sbarrati contemplano il buio della notte, che amano quando non dovrebbero; per coloro che contano le stelle e ne ricavano conforto. Questo libro è per chi preferisce essere ossessionato e tormentato, piuttosto che venire lasciato indietro.


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Pelle liscia e calda sotto la punta delle sue dita. Il profumo di lui la avviluppava... sigarette, ammorbidente per tessuti, l'aroma lievissimo della colonia. Quel sentore familiare di sudore. Lui sapeva di sale e liquore e di qualcosa di dolce e indescrivibile. Conosceva quell'uomo come più non sarebbe stato possibile. C'erano stati momenti nel corso degli anni in cui lei aveva avuto l'assoluta certezza che non lo avrebbe toccato mai più. Non avrebbe dovuto toccarlo neppure adesso, ma lo faceva comunque, perché non toccare Heath sarebbe stato perfino peggio che voltargli le spalle. Lo sentì rabbrividire quando risalì con la punta del dito lungo i muscoli tonici dell'addome per tracciare dei cerchi intorno al capezzolo scuro. Lo faceva sempre quando lo toccava così. Rabbrividiva e gemeva, la bocca socchiusa quanto bastava per permettere a lei di cogliere un bagliore di denti e di lingua prima che serrasse le labbra. Imbarazzato. Era sempre sconcertato dalle proprie reazioni, proprio come Effie ne era sempre eccitata. Bisbigliò il suo nome finché non seppe di avere la sua attenzione, le pupille così dilatate che gli occhi verde chiaro sembravano quasi neri. Allora strinse il capezzolo fra due dita, prima gentile, poi con più forza, strappandogli un altro gemito. Quando si protese a baciarlo, la mano di Heath salì alla sua nuca, affondando 9


tra i capelli. Lei gli succhiò la lingua e lo sentì aprirsi per lei. Solo allora interruppe il bacio, ma senza ritrarsi. Le loro labbra si sfioravano ancora mentre riprendeva a sussurrare sommesse parole d'amore oscene. Per lunghi istanti rimasero così, il cuore di Heath batteva sempre più rapido sotto il suo palmo. Lui le teneva ancora la mano affondata nei capelli che, non più costretti nello chignon, le ricadevano fino a metà schiena in una massa arruffata. «Dillo» alitò Effie. Heath non parlò, ma tirò con più forza. Dolorosamente. Effie non poté trattenere un'esclamazione quando le rovesciò la testa all'indietro, ma di quel dolore, oh, sì, ne voleva ancora. Arricciò le dita sul suo cuore, penetrando nella pelle. Più forte. Più in profondità. «Dillo» ripeté. «Dimmi che vuoi scoparmi in bocca, Heath. Dimmi di inginocchiarmi e di prendere in bocca il tuo uccello, di prenderlo fino in gola. So che lo vuoi. Dillo!» Nel vederlo serrare le labbra in una linea sottile, fece per staccarsi da lui, ma Heath la teneva saldamente, e lei sussultò ancora, questa volta più forte. Aveva i capezzoli turgidi e doloranti e la vulva si contraeva in sintonia con le dolorose pulsazioni che avvertiva al cuoio capelluto. Lo schiaffeggiò. Una volta. Con forza. Quando ci riprovò, Heath la fermò bloccandole il polso. Effie tentò di morderlo. «Dillo.» «Vuoi il mio uccello» capitolò infine Heath con una voce bassa e rauca che era più di ciò di cui lei avesse bisogno per scivolare sull'orlo dell'orgasmo. «Vuoi metterti su quelle fottute ginocchia e succhiarmi fino a prosciugarmi? È questo che vuoi?» 10


Ma lei non lo avrebbe detto, non gli avrebbe dato la soddisfazione di sapere che sì, sì, oh cielo, sì, era tutto il giorno che ci pensava. Tutta la settimana, e l'interminabile weekend, fino a che non ce l'aveva fatta più e lo aveva chiamato per dirgli di raggiungerla. Quell'ammissione lui avrebbe dovuto strappargliela. Prendendola a schiaffi. Fottendola fino a farle male. Era così che funzionava tra loro, ed era qualcosa che lei amava almeno quanto lo odiava. Effie lottava, ma la stretta di Heath era tale che non riusciva neppure a muoversi. Poi, lentamente, lui la attirò a sé fino a che le loro bocche si sfiorarono. Lei gli morse il labbro inferiore, e continuò a mordere finché Heath le strattonò la testa. Aveva in bocca il sapore del sangue, ma sapeva che il marchio lasciato su di lei era poca cosa. Smise di dibattersi per un momento e lo guardò. Heath stava passando la punta della lingua sulla piccola ferita... forse lei non vedeva l'effetto causato dai suoi denti, ma di sicuro Heath lo avvertiva. Il senso di colpa la investì come un'ondata nel rendersi conto di avergli fatto male. Si costrinse a restare nuovamente immobile. Immobile e in silenzio. Senza lasciarla andare, Heath la spinse giù, giù, in ginocchio, e Effie chiuse gli occhi come a voler resistere. Lui era più forte. Lo era sempre stato. Si ritrovò in ginocchio, la testa piegata all'indietro e il dolore che la attraversava incandescente ed elettrico come il piacere; tanto minima era la differenza tra le due sensazioni che lei non avrebbe saputo dire quale stesse effettivamente provando. Tutto era intricato, annodato e contorto, ciascun sentimento inutile senza l'altro. Continuando a tenerla per il polso, Heath le lasciò finalmente andare i capelli per poter slacciare il bottone dei jeans e abbassare la cerniera. Lungo e grosso, il 11


prepuzio già luccicante dell'umore pre orgasmo... Dio, Effie adorava il suo uccello. Chiuse gli occhi e di nuovo bisbigliò: «Dillo». «Voglio scoparti in bocca, Effie.» Lei allora gridò, un grido sommesso e sofferente, e aprì gli occhi per guardarlo. Heath, il suo Heath. Che si accarezzava il pene e infine glielo accostava alle labbra, premendo fino a fargliele schiudere. Lei lo prese con voracità, fino in fondo, rilassando i muscoli della gola. Questa era la sola cosa che contasse. Il sapore di lui. La sensazione della sua pelle contro la propria, le sue mani che le stringevano la testa, costringendola a fare esattamente ciò che lei gli aveva ordinato. Scoparlo con la bocca lentamente e profondamente, poi più veloce, fino a che i suoi denti lo graffiarono e lui la obbligò ancora una volta a piegare la testa all'indietro per poterla guardare. La. Sua. Fottuta. Bocca. La bocca di Heath la faceva impazzire di desiderio. Avrebbe voluto che la baciasse. Che la divorasse viva per poi risputarla. Che pronunciasse il suo nome come aveva fatto in quel momento, come un monito, ma con una dolcezza più pericolosa di qualunque minaccia. Il suono del suo amore per lei. Faceva più male di qualunque altra cosa, quel suono. Le rendeva impossibile fingere che lui fosse solo uno dei tanti. Che ci fossero stati altri che non erano lui. Effie aprì la bocca, offrendoglisi tutta. Più di una volta in passato si era abbassata a supplicarlo; poteva farlo di nuovo, se pretendere non avesse funzionato. Ancora una volta Heath le accostò il pene alle labbra. Ne fece scorrere la punta lungo il labbro inferiore. Poi quello superiore. Le concesse un assaggio della carne calda, liscia, prima di ritirarlo di nuovo. 12


E a quel rifiuto, Effie ebbe un gemito. «Lo vuoi.» La sua voce. Profonda. Dura. E in qualche modo, sempre, sempre con una lievissima nota di stupore, quasi non riuscisse a credere a quello che lei faceva. Un dubbio, quello, che la spingeva a odiarlo. Heath dovette notare la sua espressione, perché il suo viso si indurì. Ancora una volta la afferrò per i capelli, e ripeté: «Lo vuoi». «Sì. Scopami in bocca. Fammi sentire il tuo sapore. Lo voglio...» Aveva smarrito le parole. Restava solo il piacere sofferenza. E l'oblio. Heath glielo infilò in bocca, lo ritirò. Una, due volte. Effie si smarrì in quella ripetitività, nel gesto sempre uguale, ma ogni volta che lui si ritraeva, mormorava una protesta. «Ti voglio» disse Heath. Mi hai, pensò Effie, ma rimase in silenzio. Mi avrai sempre. Si alzò e si volse mentre lui le sollevava il vestito, e quindi le abbassava le mutandine lungo i glutei e le cosce e gliele sfilava. Le fece divaricare le gambe, obbligandola a chinarsi sulla spalliera del divano. Una mano saldamente piantata sulla sua nuca, con l'altra le infilò dentro il pene. Lei gridò ancora nel sentire dentro di sé quel calore proibito. Heath era sempre rischio e pericolo. Era sempre il suo porto sicuro. Allungò le braccia, premendo la guancia contro i cuscini, poi sollevò le natiche per invitarlo a scoparla più in profondità, così a fondo da farle male. «Adoro che mi scopi.» Le dita di lui affondarono nella poca carne appena sopra i fianchi. Avrebbe lasciato dei segni che lei sarebbe stata costretta a giustificare. O forse no. Forse 13


non avrebbe detto nulla, lasciando che fossero i lividi a parlare. «Toccati» intimò Heath con voce roca. Effie insinuò la mano tra le cosce, trovò il clitoride e prese a titillarlo mentre lui si muoveva dentro di lei. Sarebbe venuta per la masturbazione, o per gli affondi di lui, o magari solo per il pensiero che la stava scopando. Era successo anche questo. La pressione, l'umido delle dita, la spinsero più vicina all'orgasmo. Sempre più in fretta, per adattarsi al ritmo di Heath. La velocità del suo respiro, l'accelerazione degli affondi le dissero che anche lui era vicino. Effie smise di toccarsi. A Heath non piacque. La schiaffeggiò sulla natica, un colpo secco, duro. «Devi venire per me, Effie.» Lei voleva venire. Di fatto, forse non sarebbe neppure riuscita a impedirselo. Lo sapevano entrambi, anche se a volte si chiedeva se Heath dubitasse dell'inevitabilità dei suoi orgasmi così come dubitava del suo amore. Anche per questo a volte lo odiava. Lui la colpì di nuovo, più volte questa volta. Altri ematomi. Fu il pensiero del porpora e del viola che sbiadivano nel verde e nel giallo sulla sua pelle chiara a spingerla a sollevare i fianchi. A riprendere il clitoride fra le dita. Fu questo, in ultima analisi, a farla venire con un grido rauco, quasi gutturale. Tremò in preda a un'estasi che le annebbiava la vista. E Heath si staccò da lei. «Effie, Effie, Effie» ansimò. «Ti amo.» Era questo il punto nodale dell'amore; quando amavi qualcuno, volevi dargli tutto il possibile. Volevi il meglio per lui, a qualunque costo. Volevi vederlo superare tutto quello che era orribile e doloroso, andare oltre qualunque cosa potesse ferirlo. Effie non sarebbe mai stata capace di farlo per Heath, né lui per lei. 14


Sarebbero stati per sempre il reciproco memento delle cose che Effie avrebbe voluto che entrambi dimenticassero. CosÏ, benchÊ sapesse che lui aspettava di sentirla dire qualcosa, si accontentò di ascoltare.

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