JENNIFER L. ARMENTROUT
TRA DUE MONDI traduzione di Alice Casarini
ISBN 978-88-6905-112-8 Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: Half-Blood Spencer Hill Press This translation published by arrangement with Spencer Hill Press through RightsMix LLC © 2011 Jennifer L. Armentrout Traduzione di Alice Casarini Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale. © 2016 HarperCollins Italia S.p.A., Milano Prima edizione HC luglio 2016
Tra due mondi
Dedica
Per Kathy manchi a tutti noi; ti vogliamo bene
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Aprii gli occhi di scatto: il mio inquietante sesto senso mi aveva fatto schizzare a mille l'istinto di combattere o di fuggire. Respiravo a fatica a causa del pavimento coperto di polvere e dell'umidità della Georgia. Da quando ero scappata da Miami, non avevo piÚ trovato un posto sicuro. Nemmeno questa fabbrica abbandonata lo era. C'erano dei daimon. Li sentivo al piano di sotto, perlustravano sistematicamente tutte le stanze, spalancavano le porte e le richiudevano sbattendole. Il rumore mi riportò a qualche giorno prima, quando avevo aperto la porta della camera della mamma. L'avevo vista fra le grinfie di uno di quei mostri, di fianco a un vaso rotto di fiori d'ibisco. I petali viola erano caduti sul pavimento, mescolandosi al sangue. Il ricordo mi fece annodare lo stomaco; il dolore era vivo e fortissimo, ma non potevo pensare a lei in questo momento. Balzai in piedi, bloccandomi nel corridoio stretto e sforzandomi di capire quanti daimon ci fossero, in base ai rumori. Tre? Forse di piÚ? Afferrai di scatto il manico sottile della paletta da giardiniere. La sollevai, facendo scorrere le dita sui bordi taglienti rivestiti di titanio. Quel gesto mi fece ricordare cosa dovevo fare. I daimon odiavano il titanio. A parte la decapitazione, che era veramente troppo disgustosa, il titanio era l'unica cosa che potesse ucciderli. Quel metallo prezioso, che prendeva il 9
nome dai Titani, era velenoso per le creature dipendenti dall'etere. Da qualche parte nell'edificio, un'asse del pavimento scricchiolò e cedette. Il silenzio fu rotto da un grido fortissimo che cominciò come un gemito sommesso e si trasformò in uno strillo intenso e acuto. Era un urlo inumano, rivoltante e orribile. Non c'era niente al mondo che emettesse un suono come il grido di un daimon... di un daimon affamato. E quel daimon era vicino. Sfrecciai lungo il corridoio, con le scarpe da ginnastica logore che rimbombavano sulle assi consumate. Ero sempre stata velocissima e le lunghe ciocche di capelli sporchi mi svolazzavano alle spalle. Girai l'angolo, sapendo che avevo solo pochi secondi... Una zaffata di aria stantia mi vorticò intorno quando il daimon mi afferrò la maglietta e mi sbatté contro il muro. Polvere e intonaco fluttuarono nell'aria. La visuale mi si riempì di puntini neri; mi rimisi in piedi a fatica. Quei buchi nerissimi senz'anima che aveva al posto degli occhi sembravano fissarmi come se fossi stata il suo prossimo pasto. Il daimon mi afferrò la spalla e io lasciai che il mio istinto prendesse il controllo. Mi voltai di scatto; un barlume di sorpresa gli attraversò il viso pallido. Feci partire il calcio e lo colpii sul lato della testa. L'impatto lo spedì barcollante contro la parete opposta. Girai su me stessa e affondai la mano. La sorpresa si trasformò in terrore quando il daimon abbassò lo sguardo e vide la paletta che gli avevo conficcato nella pancia. Non importava mirare a un punto specifico. Il titanio uccideva sempre i daimon. Dalla bocca spalancata gli uscì un verso gutturale, poi la pericolosa creatura esplose in una nuvola di scintillante polvere blu. 10
Con la paletta ancora in mano, piroettai su me stessa e corsi giù per le scale, facendo due gradini per volta. Ignorai il dolore ai fianchi mentre sfrecciavo attraverso il piano di sotto. Ce l'avrei fatta... dovevo farcela. Se fossi morta in quella topaia, vergine, sarei stata incazzatissima nell'aldilà. «Dove corri, piccola Mezzosangue?» Barcollai da una parte e caddi in una grossa pressa d'acciaio. Mentre mi giravo, mi sentii rimbombare il cuore contro le costole. Il daimon comparve un paio di metri dietro di me. Era una creatura disgustosa, come quello del piano di sopra. La bocca spalancata metteva in mostra i denti appuntiti come quelli di una sega e quei buchi nerissimi mi facevano venire i brividi. Non riflettevano la luce o la vita, significavano solo morte. Le guance del daimon erano incavate, la pelle di un pallore soprannaturale. Le vene sporgenti gli incidevano il viso come serpenti d'inchiostro. Sembrava davvero una creatura uscita dal mio incubo peggiore... qualcosa di demoniaco. Solo i Mezzosangue potevano vedere oltre la loro maschera per qualche istante. Poi subentrò la magia che controllava gli elementi e che rivelò il suo aspetto precedente. Era uno splendido uomo biondo che mi fece pensare ad Adone. «Che fai qui tutta sola?» chiese lui, con voce profonda e seducente. Feci un passo indietro, ispezionando la stanza in cerca di una via d'uscita. L'aspirante Adone mi bloccava il passaggio, ma sapevo che non potevo restare immobile a lungo. I daimon riuscivano ancora a controllare gli elementi. Se mi avesse colpita con l'aria o con il fuoco, non avrei avuto scampo. Fece una risata che non trasmetteva né divertimento né vitalità. «Forse se mi supplichi, e dico sul serio, ti concederò una morte rapida. Sinceramente i Mezzosangue 11
non fanno per me. I Puri, invece...» aggiunse con un gemito di piacere, «sono un banchetto di lusso. Voi Mezzosangue siete più cibo da fast food.» «Avvicinati di un altro passo e farai la fine del tuo amichetto al piano di sopra.» Speravo di sembrare abbastanza minacciosa. Cosa decisamente poco probabile. «Devi solo provarci.» Lui aggrottò le sopracciglia. «Stai cominciando a farmi arrabbiare. Hai ucciso due di noi.» «Che fai, tieni il conto?» Mi si fermò il cuore quando sentii scricchiolare il pavimento alle mie spalle. Mi voltai di scatto e vidi un daimon femmina. Si avvicinò lentamente, spingendomi verso l'altro essere. Mi stavano intrappolando per non darmi nessuna possibilità di fuga. Un terzo daimon strillò, da qualche parte nella pila di ciarpame. Ero immobilizzata dal panico. Lo stomaco mi si rivoltò violentemente mentre le dita mi tremavano intorno al manico della paletta. Per gli dei, avevo voglia di vomitare. Il capo dei daimon si mosse verso di me. «Sai cosa sto per farti?» Deglutii e mi stampai in faccia un'aria di disprezzo. «Bla bla bla, stai per uccidermi, bla bla bla. Lo so.» Il grido famelico della femmina coprì la sua risposta. Era ovvio che stava morendo di fame. Mi girò intorno come un avvoltoio, pronta a squartarmi. La fissai, stringendo gli occhi. Quelli affamati erano sempre i più stupidi, i più deboli del gruppo. Secondo la leggenda era il primo assaggio dell'etere, della forza vitale che scorreva nel nostro sangue, a rendere schiavi i Puri. Un solo sorso li trasformava in daimon e dava inizio a una vita intera di dipendenza. C'erano buone probabilità che riuscissi a superarla. Il maschio invece... be', quello era un altro discorso. Feci una finta in direzione della femmina. Lei venne 12
verso di me come una drogata che cerca la sua dose. Il maschio le gridò di fermarsi, ma era troppo tardi. Scattai nella direzione opposta, come una centometrista olimpica, sfrecciando verso la porta che avevo aperto a calci quella stessa notte. Se fossi arrivata all'esterno, la fortuna sarebbe stata di nuovo dalla mia parte. Mi si accese un lumicino di speranza che mi fece correre ancora più forte. E poi successe la cosa peggiore che potesse accadere. Davanti a me divampò un muro di fiamme che prese a bruciare le panche e schizzò fino ad almeno due metri e mezzo di altezza. Era reale, non era un'illusione. Sentivo il calore del fuoco che crepitava e divorava le pareti. E poi lui si fece strada camminando fra le fiamme: aveva l'aspetto di un cacciatore di daimon in tutto e per tutto. Il fuoco non gli strinò i pantaloni e non gli macchiò la maglietta. Le fiamme non gli bruciarono neanche un solo capello. I suoi occhi gelidi erano fissi su di me: avevano il colore di una nuvola che porta il temporale. Era lui... Aiden St. Delphi. Non avrei mai dimenticato il suo nome o il suo viso. Avevo una ridicola cotta per lui sin dalla prima volta in cui l'avevo visto davanti all'arena di allenamento. All'epoca io avevo quattordici anni e lui diciassette. Ogni volta che lo vedevo in giro per il campus, mi dimenticavo che era un Puro. La presenza di Aiden poteva significare solo una cosa: erano arrivate le Sentinelle. I nostri sguardi si incrociarono, poi lui lanciò un'occhiata alle mie spalle. «Giù!» Non me lo feci ripetere due volte. Mi buttai a terra da vera cascatrice professionista. Sentii il calore della fiammata che sfrecciava sopra di me, diretta al bersaglio previsto. Il daimon femmina prese a sbattere furiosamente contro il pavimento, facendolo tremare, e l'aria si riempì 13
delle sue grida di dolore. Solo il titanio poteva uccidere i daimon, ma ero certa che anche essere bruciati vivi non fosse tanto piacevole. Mi sollevai sui gomiti e attraverso le ciocche di capelli sporchi vidi Aiden abbassare la mano. Subito dopo si sentì un pop e le fiamme scomparvero di colpo com'erano apparse. Passò qualche altro secondo e non rimasero altro che il fumo e l'odore del legno e della carne bruciati. Altre due Sentinelle entrarono di corsa nella stanza. Ne riconobbi una. Kain Poros: un Mezzosangue che aveva circa un anno più di me. Secoli prima ci eravamo allenati assieme. Kain adesso si muoveva con una grazia che prima non aveva mai avuto. Scattò dritto verso la femmina e con un fendente rapidissimo le conficcò un pugnale sottile nella carne bruciata. Anche di lei restò soltanto una nuvola di polvere. L'altra Sentinella aveva l'aria di essere un Puro, ma non l'avevo mai visto prima. Era tutto muscoli (e steroidi); si fiondò verso il daimon che non avevo visto, ma che doveva essere da qualche parte nella fabbrica. La grazia con cui si muoveva nonostante l'enorme massa di muscoli mi fece sentire decisamente inadeguata, soprattutto considerando il fatto che ero ancora spalmata sul pavimento. Feci una gran fatica a rialzarmi, ora che la scarica di adrenalina causata dal terrore si stava esaurendo. All'improvviso mi esplose una fitta lancinante nella testa: la mia guancia aveva sbattuto fortissimo contro il pavimento. Ero sconcertata e confusa: mi ci volle un attimo per capire che l'aspirante Adone mi aveva abbrancata per le gambe. Mi girai, ma quel verme mi afferrò i capelli e mi strattonò la testa all'indietro. Gli affondai le dita nella pelle, ma non servì affatto ad allentare la forza con cui mi tirava il collo verso il basso. Per un terribile istante di sgomento pensai che volesse staccarmi la testa di netto, ma poi lui mi piantò i denti affilatissimi nella spal14
la, lacerandomi i vestiti e la pelle. Mi misi a urlare. A urlare davvero. Andavo a fuoco. Doveva essere così: mentre il daimon mi prosciugava, mi sentivo la pelle in fiamme, come se mi stessero conficcando spilli appuntiti in ogni cellula. E anche se ero solo una Mezzosangue e non ero stracolma di etere come i Puri, il daimon continuava a bersi la mia essenza come se lo fossi stata. Quello che voleva non era il mio sangue, ma ne avrebbe bevuti litri su litri anche solo per arrivare all'etere. Sentii il mio spirito vero e proprio spostarsi quando lui lo risucchiò. Il dolore divenne totale e assoluto. All'improvviso il daimon sollevò la bocca. «Che cosa sei?» sussurrò, pronunciando quelle parole con disprezzo. Non ebbi nemmeno tempo di pensare a quella domanda. Me lo strapparono via di dosso e io crollai in avanti. Mi raggomitolai in un ammasso sanguinante, sembravo più un animale ferito che non qualcosa di anche solo lontanamente umano. Era la prima volta che venivo marchiata... prosciugata da un daimon. Fra un gemito e l'altro, sentii un rivoltante scricchiolio e poi delle urla disumane, ma ormai il dolore mi aveva travolto i sensi. Partiva dalla punta delle dita e si estendeva fino al centro del mio corpo, che era ancora in fiamme. Cercai di alleviarlo con la respirazione, ma cazzarola... Due mani delicate mi distesero sulla schiena e mi costrinsero dolcemente a staccare le dita dalla spalla. Alzai lo sguardo e fissai Aiden. «Stai bene, Alexandria? Ti prego, di' qualcosa.» «Alex» risposi a fatica. «Mi chiamano tutti Alex.» Lui fece una risatina sollevata. «Okay. Va bene. Alex, riesci ad alzarti?» Annuii, o almeno credetti di averlo fatto. Ogni due o tre secondi una fulminante vampata di calore mi attra15
versava il corpo, ma il dolore si era fatto più sordo e meno intenso. «È stato davvero... uno schifo totale.» Aiden mi mise un braccio intorno alla vita e mi aiutò ad alzarmi. Barcollai mentre mi scostava i capelli per dare un'occhiata alla ferita. «Porta pazienza per qualche minuto. Il dolore passerà da solo.» Alzai la testa e mi guardai intorno. Kain e l'altra Sentinella guardavano con disprezzo due cumuli identici di polvere blu. Il Puro era voltato verso di noi. «Dovremmo averli fatti fuori tutti.» Aiden annuì. «Alex, dobbiamo andare. Subito. Dobbiamo tornare al Covenant.» Il Covenant? Non riuscendo propriamente a controllare le mie emozioni, mi voltai verso Aiden. Era vestito tutto di nero, la divisa delle Sentinelle. Per un breve, intenso istante, sentii riemergere la cotta da ragazzina che avevo avuto per lui tre anni prima. Aiden era davvero splendido, ma la rabbia mi fece scacciare subito con forza quella stupida cotta. Era il Covenant che li aveva mandati in mio soccorso? E allora dov'erano quando uno dei daimon si era infilato in casa nostra? Aiden fece un passo avanti, ma invece di vedere lui, ripensai al corpo senza vita di mia madre. L'ultima cosa che lei aveva visto prima di morire era l'orribile faccia di un daimon, e l'ultima cosa che aveva sentito... mi vennero i brividi nel ricordare il dolore lacerante del marchio. Aiden fece un altro passo verso di me. Io reagii sull'onda della rabbia e del dolore. Mi lanciai contro di lui, usando mosse con cui non mi esercitavo da anni. Quelle semplici come i calci e i pugni erano un conto, ma avevo a malapena imparato le tecniche di attacco vere e proprie. Lui mi afferrò la mano e mi fece piroettare verso la direzione opposta. In pochi secondi mi aveva immobilizzato le braccia, però tutto il dolore fisico e per la morte di mia 16
madre crebbe dentro di me fino ad avere la meglio sul buonsenso. Mi piegai in avanti, decisa a creare abbastanza spazio fra noi per sferrargli un potentissimo calcio all'indietro. «Non farlo» intimò Aiden, con una voce soltanto apparentemente dolce. «Non voglio farti del male.» Riuscivo soltanto a respirare in modo pesante e irregolare. Sentivo il sangue caldo scorrermi giù per il collo e mescolarsi al sudore. Continuai a lottare, anche se mi girava la testa, e il fatto che Aiden riuscisse a respingermi così facilmente non faceva altro che alimentare la mia furia. «Ehi, ehi!» gridò Kain, di fianco a noi. «Alex, lo sai chi siamo! Non ti ricordi di me? Non vogliamo farti del male.» «Zitto!» Mi liberai dalla presa di Aiden e schivai Kain e Mister Steroidi. Non si aspettavano che scappassi via da loro... ma fu proprio quello che feci. Raggiunsi l'uscita della fabbrica, evitai l'asse rotta e corsi fuori. I piedi mi portarono verso il campo dall'altra parte della strada. I miei pensieri erano un unico groviglio incasinato. Perché stavo scappando? Non stavo cercando di tornare al Covenant fin dall'attacco dei daimon a Miami? Il mio corpo voleva rifiutarsi di muoversi, ma io continuai a correre fino a raggiungere l'erba alta e i cespugli che pizzicavano la pelle. Dietro di me sentivo passi pesanti che si facevano sempre più vicini. Mi si offuscò un po' la vista, mentre il cuore mi rimbombava nel petto. Ero così confusa, così... Un corpo d'acciaio mi si schiantò addosso, lasciandomi senza fiato. Crollai su me stessa, in un groviglio di braccia e gambe. In qualche modo Aiden riuscì a girarsi e attutì l'impatto. Atterrai sopra di lui e rimasi immobile per un secondo; 17
poi lui mi fece scivolare a terra e mi inchiodò contro l'erba che mi pizzicava. Dentro di me esplosero panico e rabbia. «Perché arrivate solo adesso? Dov'eravate una settimana fa? Dov'era il Covenant quando hanno ucciso mia madre? Dov'eravate?» Aiden scattò all'indietro, spalancando gli occhi. «Mi dispiace. Noi non...» Il fatto che si scusasse mi fece solo infuriare ancora di più. Volevo fargli del male. Volevo costringerlo a lasciarmi andare. Volevo... volevo... Non sapevo neanch'io che diavolo volevo, ma non riuscivo a smettere di urlare, di graffiarlo e di prenderlo a calci. Mi fermai soltanto quando Aiden premette il corpo lungo e snello contro il mio. Sentendo il suo peso, sentendolo così vicino, rimasi immobile. Non c'era nemmeno un millimetro di spazio fra noi. Avvertivo le curve scolpite dei suoi addominali che mi premevano contro il ventre, sentivo le sue labbra a pochi centimetri dalle mie. All'improvviso mi venne un pensiero folle. Chissà se le sue labbra erano tanto morbide e dolci quant'erano belle... perché da vedere erano fantastiche. Era il pensiero più sbagliato che potesse venirmi in mente. Dovevo essere pazza... era l'unica spiegazione possibile per quello che stavo facendo e pensando. Il modo in cui fissavo le sue labbra, il fatto che volessi disperatamente che mi baciasse... era tutto sbagliato, per mille motivi. Oltre al fatto che avevo appena cercato di staccargli la testa, avevo un aspetto veramente disastroso. Avevo il viso così sporco da essere quasi irriconoscibile; non facevo la doccia da una settimana ed ero abbastanza sicura di puzzare. Ero davvero disgustosa. Ma dal modo in cui abbassò la testa, pensai veramente che stesse per baciarmi. Tutto il mio corpo si tese aspet18
tando quel momento: era come se stessi per ricevere il mio primo bacio, ma non era certo la prima volta che baciavo qualcuno. Avevo baciato un sacco di ragazzi, non lui però. Non un Puro. Aiden si spostò e il suo corpo premette ancora più forte contro il mio. Inspirai di scatto e la mia mente corse a un milione di chilometri al secondo, ma senza tirar fuori niente di utile. Lui mi posò la mano destra sulla fronte. Allarme rosso. Mormorò una frase di Costrizione sottovoce, troppo in fretta perché potessi distinguere le parole. Ma porca... Mi sentii travolgere da un'oscurità improvvisa che mi cancellò qualsiasi pensiero sensato. Era impossibile resistere a qualcosa di così potente: senza neanche cercare di protestare, mi lasciai sprofondare in quell'abisso buio.
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